ilTorinese

Suggestioni natalizie

Come acquistare doni e rendere felici tutti:  il venditore, chi li riceve e noi stessi

A cura del blog

https://quantabellezza

inquestomondo.com/

La scorsa settimana la mia cara amica Federica Falchero  ha scritto un bellissimo post su FB affermando che per Natale avrebbe acquistato solo ed esclusivamente oggetti o servizi venduti da amici che hanno attività in proprio. Detto, fatto. Ho immediatamente risposto taggando miei amici che hanno attività favolose e che, a mio avviso, meritano il successo. La lista si è arricchita così tanto che la Fefa ed io abbiamo stilato una vera e propria guida per gli acquisti di Natale.  Ecco la prima puntata, studiata per proporvi un mix di idee molto interessante.

Volete vivere o regalare un’esperienza di gusto, nuova ed intrigante? “Dolli’, Cucina al Centro” è un ristorante nel cuore di Torino. Una ristorazione sapiente che mette d’accordo tradizione e innovazione, con una cucina bella da vedere e buona da mangiare. https://www.facebook.com/DolliCucinaAlCentro

Cercate un luogo speciale per fare una cena o un pranzo di lavoro? Non perdetevi Ca’ Mariuccia di Andrea e Angela. Loro sono una coppia unica, vulcanica e straordinaria; sono i fondatori di un’Azienda agricola etica e un centro culturale per la diffusione di metodi e pratiche ecosostenibili. Dal giovedì al sabato li trovate anche a Torino al mercato di Porta Palazzo con orario continuato dalle 9.00 alle 18.00 https://www.facebook.com/camariuccia/

Volete fare un pensierino chic e gourmet? Le sorelle Bragotti vi accoglieranno alla Ancienne Maison du The, un luogo unico e meraviglioso, per le infinite specialità di the che potrete trovarvi e per la gentilezza squisita delle padrone di casa; Simona ed Alessia vi sorprenderanno! https://www.facebook.com/LAncienne-Maison-du-Th%C3%A9-162317073270

Siete alla ricerca del segreto per tornare in pace con il mondo, come me? Prenotate un massaggio da Lina! Lei è una ragazza speciale e una grande professionista: massofisioterapista, naturopata e persona di grandissima umanità. Andateci e non potrete più farne a meno. Ha anche pensato a una stupenda giftbox Natalizia, potete contattarla qui: https://www.facebook.com/lina.lavarino
La bellezza è da scoprire, condividere e regalare a Natale! Non ne potrete più fare a meno, fidatevi!

Maurizio Bramezza

Tra tutti l’iraniano “Botox” eccelle per il suo realismo intriso di humour nero e allucinato

Ancora le proiezioni dei film in concorso al 38mo Torino Film Festival

 

Prima o poi una domanda ce la dovremo fare. Al di là delle visioni e di ogni giudizio, bello o brutto che sia, confortante o negativo. Perché, pur nel rispetto della preziosa esistenza, e delle scelte effettuate, il clima d’angoscia dei dodici titoli in concorso, coniugato in differenti direzioni? Frutto inevitabile di un’attualità che sembra a tutti i costi soffocarci e non permetterci vie di fuga? Perché le nuove generazioni cinematografiche, quelle che intraprendono con positivi risultati o con immaturità, incertezze, pallide vanità un nuovo percorso, scelgono o trovano rifugio, ai loro occhi più sicuro (la descrizione della realtà), nel mondo di oggi, nella società con i suoi mali? Da quanto tempo qualcuno non gira completamente pagina e ci regala una commedia (non uno di quei troppi titoli che ci sforna, a tratti con grande povertà, il cinema di casa nostra – e non è che per i titoli che ci arrivano dal resto d’Europa e oltre l’erba del vicino sia sempre più verde -, ma una di quelle che potrebbero trovar posto in un luogo cinematografico per eccellenza, una rassegna, un festival, una mostra, definitelo voi, una di quelle che magari un tempo venivano definite “sofisticate”, fornendo eleganza e humour: a memoria frettolosa, da quelle parti, di divertimento e di bella scrittura, l’edizione 37 del TFF sfornò Il grande passo con Fresi e Battiston, nel 2017 Armando Iannucci presentò il suo Morto Stalin, se ne fa un altro), dalla sceneggiatura significativa soprattutto, tutta sorrisi o risate e dialoghi brillanti come non se ne sentono da tempo? Non significherebbe girare la testa dall’altra parte, per qualcuno potrebbe segnare l’occasione per affrontare molti degli stessi problemi con un filo di vivifica ironia. L’approccio di Pif al mondo della mafia dovrebbe aver insegnato qualcosa. Eravamo nel 2013. E’ un mondo difficile da affrontare, pieno di timori per le radici leggere, guardato con la convinzione dell’inattualità forse, di situazioni e svolgimenti che non farebbero più presa sul pubblico.

 

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Pertanto, per quanto riguardo l’edizione numero 38, noi ci siamo sciroppati sniffate che nemmeno il più provetto pusher ha mai distribuito in simile quantità, identità sessuali irrisolte, famiglie in lotta dove uno fisicamente e non solo è lontano dall’altro, assassini da compiersi come bere un bicchier d’acqua, animali martoriati e immediatamente sepolti, comunità e povertà difficilmente recuperabili, il cattolicesimo chiuso e gli insegnamenti dell’imam, mestieri con cui sbarcare il lunario che rendono poco o nulla, attentati e morti che richiamano il Bataclan, padri e madri assenti mentre i figli s’arrangiano come possono, inciampando magari ad ogni passo, i nonni di cui prendersi cura o ancora capaci di badare ai nipoti e regalare un sorriso, la fuga sognata da molti per la tanta voglia di scorgere un futuro, la ricchezza a lungo sospirata e che il più delle volte non ripaga, la Storia da riscoprire, quella di oggi dolorosissima e quella di ieri che ha visto inganni e guerre e vittime. Di questo panorama pressoché privo di luci, nulla di nuovo con il brasiliano Casa de Antiguidades di Joao Paulo Miranda Maria, fatto di magia e di realtà, la storia del vecchio Cristovam, un uomo di colore originario delle zone rurali del nord del Brasile trasferitosi al sud per lavorare in una fabbrica di latte. Una vita che deve fare i conti con le frange xenofobe, con la solitudine, con le privazioni di ogni giorno. Riscoprendo un’antica sala abbandonata e ritrovando all’interno vecchi oggetti che lo riportano indietro negli anni, l’uomo troverà la forza di sopravvivere. Un percorso che si riempie di momenti irrisolti, di figure tratteggiate in modo approssimativo, di sogni o vaneggiamenti, di maschere e di un pallido horror lungo cui con qualche difficoltà lo spettatore riesce ad avanzare. Mentre Regina diretto da Alessandro Grande, unico titolo italiano in concorso, ambientato tra angoli bellissimi della Calabria, farebbe ben sperare nella sua prima mezz’ora descrivendo il rapporto stretto, all’indomani della scomparsa della madre, che s’è venuto a stabilire tra un padre e una figlia quindicenne, motivo primo quel gran desiderio di lei di fare la cantante, per nulla ostacolata anzi spinta a provini e prime serate, magari addolciti con qualche presente verso chi organizza. Ma un giorno, mentre sono su una barca a motore sulla distesa d’acqua di in lago della Sila, un incidente, la morte di un sub, viene a capovolgere le loro esistenze e lo stesso rapporto. Per il padre è stato un incidente, Regina si lascia travolgere dai sensi di colpa. Di qui ha inizio una giravolta verso un debole thriller che abbandona la vecchia strada, non da corpo alla vicenda e soprattutto cancella in sé l’analisi genitore/figlia che aveva fatto ben sperare in una qualche riuscita.

 

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Sognano l’Italia Mofe e Rosa nel nigeriano This is my desire dei fratelli Arie e Chuko Esiri. Il desiderio di rappresentare attraverso quadretti quotidiani le aspirazioni dell’uomo e della donna, lui operaio in fabbrica, lei parrucchiera: dovranno entrambi abbandonarle, tentando di costruire in patria quel futuro che speravano altrove. Ben raccontato, curiosi personaggi tratteggiati con un certo gusto, fatti e chiacchiere che delineano una intera quotidianità. Toccando il tema della omosessualità, Poppy field del rumeno Eugen Jebeleanu vince su Why not you, produzione Austria/Belgio firmata da Evi Romen, di ambientazione altoatesina, ovvero la storia di Mario, ballerino e cuoco, tossicodipendente, per cui la danza non sarà mai una professione fissa. Quando perde in un attentato ad opera degli integralisti – restandone lui illeso – l’amico Lenz a Roma, dove è andato nella speranza di un provino, la sua vita rimane sconvolta, al paese tutti lo guardano con indifferenza, le condoglianze ai genitori del morto, produttori vinicoli, non sono affatto gradite: mentre si fa avanti Nadim che lo introduce nella esigua schiera dell’imam e degli altri affiliati. Un mondo nuovo in cui trovare i mezzi per abbandonare il prossimo? Senza spiegazioni o partorendo idee e ripensamenti, Mario cambia abiti e mente. Sfugge la strada che ha seguito, forse soltanto la danza gli indicherà una più sicura indicazione verso il futuro. Più duro, lineare, compatto, saggiamente esplicativo Poppy field. Dove Cristi (Conrad Mericoffer che è un macigno, possibile migliore attore?), poliziotto abituato a vivere quotidianamente con dei colleghi per cui l’unico credo è essere uomini e machi senza se e senza ma, tenta di tenere nascosta la sua esistenza di omosessuale. Un giorno è chiamato a intervenire con i compagni ad una manifestazione in cui un gruppo omofobo ha fatto interrompere in un cinema un film dai contenuti lgbtqi: i toni già aspri s’inaspriscono allorché uno dei manifestanti minaccia di smascherare Cristi. Per la durata di gran parte dei complessivi 81 minuti, si intrecciano rabbia, sguardi, parole urlate, colleghi che insinuano e momenti di dura difesa, violenza, decisi ricatti, verità che possono da un momento all’altro venire a galla. Jebeleanu racchiude il racconto con estrema tensione nel chiuso della sala cinematografica, dentro il rosso delle poltrone, chiedendosi altresì se quel machismo imperante non sia anche capace di fare sessualmente altre scelte.

 

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Su uno dei gradini più alti dei premi, vorremmo vedere quello che maggiormente ci sembra meritare attenzione, Botox dell’iraniano Kaveh Mazaheri, ovvero la parabola da giustiziere delle sorelle Akram (l’attrice la interprete possibile migliore attrice?), che alterna momenti più o meno lucidi ad altri decisamente di povertà mentale, e Azar, che serve in un istituto dove ricche signore, con il botox, vanno per ringiovanire. Con loro vive un fratello, allegro, uomo tuttofare, di quelli con la battuta pronta che a volte offende inconsapevolmente. Akram, un mattino, offesa per l’ultima volta, lo scaraventa giù dal tetto dove sta lavorando. Se ancora ci fosse qualche dubbio sullo stato comatoso dell’uomo, Azam accelera la fine con un sacchetto di plastica. Mentre le sorelle diffondono sempre più la voce che il congiunto se ne sia andato inaspettatamente in Germania (del resto lo sentivano tutti che stava studiando il tedesco): proprio mentre Azim ha bisogno di riposte definitive alla sua intenzione di coltivare e commerciare certi funghi magici. Audace, a tratti folle nelle visioni e nei monosillabi rotti di Akram, pronto ad affidarsi al sogno e alla speranza più sconquassata, costruito sugli sprazzi di humour nero e dentro una geometria sapientemente portata avanti, chiuso nelle strette mura di casa del trio per aprirsi su quel lago gelato entro cui – un pezzo bellissimo e maturo di cinema – scompare la vittima all’interno della sua auto, Botox riserba un finale a sorpresa, che nasce nella mente delle due donne, un piccolo inatteso capolavoro, scoppio ultimo di un film che si spera possa trovare posto sui nostri schermi abituali, in tempi decisamente normali, culturalmente più liberi e aperti.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: “Regina” diretto da Alessandro Grande; “This is my desire” dei nigeriani Arie e Chuco Esiri; un momento do “Poppy field” interpretato da Conrad Mericoffer; le sorelle assassine di “Botox” dell’iraniano Kaveh Mahazeri

In arrivo 400 giovani in supporto ai volontari Anpas

È di prossima uscita, entro la fine dell’anno, il nuovo bando per la selezione ad operatore volontario del servizio civile universale. Un’opportunità formativa di alto valore per ragazze e ragazzi di età compresa fra i 18 e i 29 anni non compiuti.

Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) Comitato regionale del Piemonte, come indicato dalla prima graduatoria, avvierà i propri progetti di servizio civile negli ambiti del soccorso in emergenza 118 e del trasporto infermi per i servizi di tipo socio sanitario, dando la possibilità a circa 400 giovani di diventare volontari soccorritori.

I 400 giovani in servizio civile, dopo un’adeguata formazione, contribuiranno a dare un importante aiuto alle Pubbliche Assistenze Anpas del Piemonte e alla comunità, soprattutto in questa particolare situazione di emergenza.

Tutte le informazioni riguardo i progetti di servizio civile delle associazioni Anpas del Piemonte e i posti disponibili saranno pubblicati, appena uscirà il bando, sul sito www.anpas.piemonte.it e sui canali social di Anpas Piemonte.

Per partecipare alle selezioni occorrerà, una volta pubblicato il bando del Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, presentare domanda esclusivamente online sulla piattaforma del Dipartimento. L’accesso alla piattaforma per i cittadini italiani residenti in Italia o all’estero deve avvenire esclusivamente con SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale.

Anpas Piemonte invita i giovani interessati a far domanda di servizio civile a dotarsi per tempo dell’identità digitale SPID così da essere già pronti quando sarà pubblicato il bando. L’identità SPID è rilasciata dai Gestori di Identità Digitale (Identity Provider), soggetti privati accreditati da AgID che, nel rispetto delle regole emesse dall’Agenzia, forniscono le identità digitali e gestiscono l’autenticazione degli utenti.

I progetti di servizio civile in Anpas che riguardano l’ambito del socio sanitario in Piemonte prevedono lo svolgimento di servizi socio-sanitari sia su pulmini sia su autoambulanze per quei cittadini che devono effettuare terapie come dialisi, trasporti interospedalieri, essere dimessi da ospedali o case di cura, frequentare centri diurni di socializzazione o riabilitazione. In molti casi gli utenti possono essere persone disabili che spesso necessitano di essere accompagnate negli spostamenti in quanto non autosufficienti o perché bisognosi di particolari accorgimenti durante la fase del trasporto.

I progetti di servizio civile in Pubblica Assistenza Anpas nel campo del soccorso di emergenza 118 in Piemonte includono, oltre alla possibilità di effettuare i servizi sociali precedentemente descritti, anche l’impiego in servizi di emergenza urgenza 118.

I volontari in servizio civile saranno quindi impegnati nel ruolo di soccorritore in ambulanza e in tutte le mansioni concernenti le attività di emergenza e primo soccorso. I progetti prevedono l’inserimento e il tutoraggio dei volontari a partire da una puntuale formazione certificata dalla Regione Piemonte e da un successivo periodo di affiancamento a personale più esperto.

Un arresto e una denuncia grazie all’applicazione Youpol

Nei giorni scorsi a seguito di una segnalazione giunta sulla App della Polizia di Stato Youpol, gli agenti della Squadra Volante hanno effettuato una perquisizione all’interno  di un alloggio nei pressi di piazza Sofia

All’interno,  una coppia di conviventi, di 22 e 24 anni. La perquisizione consentiva il rinvenimento di 7 involucri contenenti marijuana ed un frammento di hashish, nella camera dal etto dei due, oltre ad un bilancino di precisione e materiale vario utile al confezionamento. Il giovane, che  annovera fra i suoi trascorsi di polizia un arresto nel maggio scorso per la detenzione di un chilogrammo di hashish, questa volta ha cercato di accollare la proprietà dello stupefacente esclusivamente sulla sua ragazza, che si era prestata anche in virtù dello stato interessante in cui versa. Il giovane, resosi però conto che tale escamotage non stava sortendo l’effetto voluto, ha offeso gli operatori con insulti molto gravi e, dopo aver dato un pugno contro una parete negli uffici di Polizia, ha dichiarato al personale del 118 che la responsabilità della lesione  fosse dei poliziotti. Pertanto, oltre ad essere arrestato per la detenzione dello stupefacente, è stato anche denunciato per oltraggio a P.U. e calunnia. La sua fidanzata è stata denunciata per detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio in concorso.

Nona giornata di campionato serie A per le torinesi

Benevento-Juventus Sabato 28 novembre ore 18 / Torino-Sampdoria
Lunedì 30 novembre ore 18.30

Sorteggiati i campi degli ottavi di finale di Coppa Italia previsti per il 13 e 20 gennaio 2021.Gara unica ma nel caso s’affrontano 2 squadre di serie A si sorteggia chi giocherà in casa,Ecco cos’ha deciso l’urna:
Juventus-Genoa…la vincente sfiderà chi vincerà tra Sassuolo-Spal

Milan-Torino  la vincente affronterà chi vincerà tra Fiorentina-Inter

Qui Juve: oggi sabato alle ore 18, la Juventus sfiderà  il Benevento in una gara molto importante per il prosieguo della stagione. La formazione bianconera titolare è destinata a rimanere un’incognita almeno fino al fischio d’inizio, in quanto Andrea Pirlo non sarebbe intenzionato a svelare troppo le carte. Tuttavia, dalla Continassa filtra l’indiscrezione che non partirà per la trasferta di Benevento Cristiano Ronaldo, il quale  rimarrà aTorino per allenarsi in vista dei prossimi impegni contro Dinamo Kiev ma soprattutto in vista del derby tra Juventus e Torino di sabato 5 dicembre ore 18.Buone notizie in difesa dove è stato recuperato Bonucci che torna regolarmente a disposizione.

Qui Toro:granata galvanizzati dal passaggio del turno in Coppa Italia. Ieri doppia seduta tecnico tattica in vista della sfida di lunedì contro la Sampdoria.
Obiettivo vincere per risalire la classifica verso posizioni più tranquille e dare continuità ai sprazzi di bel gioco espressi in qualche gara ed ai risultati.Ancora modulo 3-5-2 che dà sicurezza alla squadra e recuperato in pieno capitan Belotti.Ancora fuori Verdi per infortunio e fermi per covid Vojvoda, Gojak,Lukic ed Ujkani.A disposizione per il derby Baselli che sta affrettando il recupero dopo 7 mesi lontano dai campi di gioco.

Vincenzo Grassano

Il Mammut e la vetta del Mottarone

Ale era un bambino vivace. Tanto vivace che in casa lo chiamavano “argento vivo”. Con la sua famiglia abitava sulla collina del Parogno, proprio in cima alla salita della Verzella, in un punto dove – con lo sguardo – si dominava tutto il centro della sua città. Era uno spettacolo, soprattutto di notte, nelle giornate di vento: Omegna stava lì sotto, punteggiata da centinaia e centinaia di luci che parevano fiammelle tremolanti. Già da piccolo era capace di stare – proprio lui, così irrequieto – anche più di un’ora al giorno incollato alla finestra oppure appoggiato alla ringhiera del balcone per guardare, affascinato, la montagna che aveva davanti: il Mottarone.

 

Quella montagna, per Ale, aveva qualcosa di misterioso che stuzzicava la sua fantasia. E ne aveva, oh se ne aveva, di fantasia. Mentre i suoi amici giocavano, si rincorrevano, lui – che non si tirava certo indietro – a volte veniva come rapito da quel monte. Non passava giorno che , almeno per un po’, non lo scrutasse in lungo e in largo, passando in rassegna tutti i contorni delle vette, scendendo – con lo sguardo – tra gli alberi fin giù, alle prime case di Omegna tra le Brughiere, Verta, Vignale e Borca segnavano il perimetro più basso della montagna. Almeno così era per quello che poteva vedere con i suoi occhietti vispi dall’osservatorio di casa sua. Persino a scuola, dove frequentava la quarta elementare, non staccava gli occhi dal Mottarone.

Per sua fortuna e per disperazione  della maestra che, di tanto in tanto, doveva chiamarlo più volte per nome al fine di ottenerne l’attenzione al lavoro della classe, il suo banco era proprio di fianco alla finestra che dava, guarda caso, sulla montagna. Ale si metteva a guardare, appoggiando la testa bruna sulle braccia incrociate, la “sua” montagna. Già, poiché lui aveva una montagna tutta per se. O almeno era ciò che pensava, correndo con la fantasia. Un giorno gli sembrò persino che si fosse mossa, proprio lassù sulla vetta, tra la baita-rifugio del Club Alpino e le antenne paraboliche  della televisione ( in realtà erano dei ripetitori radiotelevisivi che, una volta ricevuto il segnale, lo ritrasmettevano nella zona, in tutte le case: ma per lui erano “le paraboliche”, perché gli ricordavano delle specie di astronavi lunghe e snelle che puntavano in alto, verso il cielo, quasi a volerlo toccare con le loro punte dritte). Dove eravamo rimasti? Ah, sì…che cosa strana. Era durata poco più di un attimo, di un battito di ciglia. Eppure non si era sbagliato. Anche gli alberi – castagni e faggi dalle chiome fitte – erano stati scossi da un fremito , come  se degli orsi si fossero grattati la schiena sui loro tronchi, come aveva visto fare in un documentario alla TV. Un’ondeggiamento, una scrollatina, niente di più. Un terremoto ? No, non poteva essere. La maestra un giorno aveva spiegato che quella non era una terra sismica, non era “ballerina” come altre parti d’Italia. Eppure non si era sbagliato. L’aveva vista. Non se le inventava le cose, lui…almeno quando si parlava del Mottarone. Eh, no ! Con la “sua” montagna non si poteva proprio scherzare o raccontare bugie. Un giorno, rovistando tra i libri della biblioteca di papà, ne trovò uno che parlava proprio del Mottarone. Ale si mise a sfogliarlo, lentamente, rimanendo a bocca aperta davanti a tutte quelle belle foto. I paesaggi invernali , con la neve s scintillante e quei ghiaccioli che scendevano giù dai rami degli alberi, come tante candeline rovesciate; la primavera, con i prati di mezza costa striati di varie tonalità di verde e punteggiati da margherite, primule e viole; l’autunno dai caldi colori pastello, che trasformano i boschi cedui in luoghi magici, abitati da vispi animaletti e da piccoli folletti alla ricerca di funghi e di bacche, alle prese con un tempo che si stempera dolcemente in una vena malinconica quando gli occhi scendono giù, dai versanti della montagna fino alle acque appena increspate del lago d’Orta. Ale guardava le foto sgranando gli occhi, pieno di meraviglia. Con una certa fatica ma anche tanta buona volontà, si mise a leggere:“…La cima del Mottarone ha la forma di una soda polenta montanara. Pare anche uno dei buoni panettoni di una volta, cotti senza la costrizione degli stampi costruiti perché si alzassero cilindricamente. Sembra una grossa pagnotta, fatta in casa e ben lievitata nel mezzo..”.

Gli era venuta una gran fame . Tutti quei paragoni con cose da mangiare gli stuzzicavano l’appetito, rammentandogli che era quasi mezzogiorno e che la mamma – guarda caso – stava proprio preparando la polenta. Ma un’altra frase lo colpì, stuzzicandogli questa volta non l’appetito ma la fantasia: “..La strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato “. Un “pachiderma”? E che cos’è un pachiderma !? Non riusciva proprio a farsene un’idea. Forse si trattava di un animale ma papà gli aveva spiegato che sul Mottarone c’erano scoiattoli, cinghiali, tassi, volpi, ricci, capre, mucche al pascolo, qualche cavallo, tanti uccelli. Si ricordava di averlo sentito parlare di un uccello strano, il cuculo, che veniva – a primavera, dopo le rondini –  a” cantare maggio” e di altri animali – forse le talpe – che scavano buche e gallerie sotto terra. Ma quei “pachi-non-so-bene-come-si-chiamano” non li aveva proprio mai sentiti nominare. Però, che bello pensare alla vetta del Mottarone come alla schiena di un grosso animale, se poi di animale si trattava. Era come se un qualcosa o un qualcuno, pensava, fosse salito fin lassù e poi di fronte a quel panorama che , in giro completo d’orizzonte, spaziava dal Monte Rosa alle vette ossolane e valgrandine e giù, a rotta di collo, verso la Svizzera e la pianura lombarda segnata dall’azzurro dei laghi per vedere ad ovest la punta aguzza del Monviso e risalire verso il Rosa dai contrafforti valsesiani, avesse deciso di rimanere lì per sempre. Ale chiuse il libro a malincuore. La mamma lo stava chiamando per il pranzo. Papà, come spesso accadeva, era via per lavoro e lui decise che , all’indomani, avrebbe chiesto spiegazioni al nonno Enzo che abitava a Baveno, sul lago Maggiore, ma che da giovane era vissuto con i suoi in montagna, all’Alpe Scerea, un po’ sotto la Vidabbia che, come in terrazzo naturale , era a un soffio dal Mottarone. Lui sapeva tante storie della montagna. Forse conosceva anche questa storia del pachiderma. Non pensò più ad altro e , sedutosi a tavola, ordinò alle mandibole l’attacco in grande stile alla polenta. Quel sabato i suoi genitori erano andati a trovare una vecchia zia che abitava in Val d’ Ossola. Lui era stato accompagnato dal nonno a Baveno. Scoccata l’ora di pranzo, davanti al suo piatto preferito,un invitante risotto con i funghi porcini, chiese: “Nonno, tu lo sai cos’è un pachiderma ?”. “Un pachiderma? Mah, se ricordo vengono chiamati così gli elefanti. Lo sai, vero che cosa sono ? “ ,rispose il nonno, sorridendo. ”Certo che lo so “,rispose pronto. ”Sono quei bestioni grossi che vivono in Africa, con le orecchie, il naso e i denti enormi..”.  ”Si chiamano proboscide e zanne, non naso e denti..e comunque sono più o meno quelli che dici tu”, corresse, paziente il nonno. “Ma, levami una curiosità: perché ti interessano tanto i pachidermi, gli elefanti ?”. Il nipotino non stava più nella pelle e disse, tutto soddisfatto: ”Nonno, lo sai che il Mottarone assomiglia a un pachi…., a un elefante ? L’ho letto su di un libro che ho trovato a casa“. ” A un elefante, cosa? Il Mottarone? Il Mottarone che assomiglia a un elefante? Ale, bambino mio, lo so che  hai tanta fantasia ma come fai a vedere nel Mottarone un elefante ?”, sorrise il nonno, scuotendo il capo ed accendendosi la pipa con delle lunghe tirate. ”Ma tu ,nonno, che hai vissuto sulla montagna, non hai mai sentito una storia che raccontava di un elefante sul Mottarone ? “ ,chiese ancora. Il nonno ci pensò su un po’ e poi, per non deluderlo, inventò una storia lì per lì, su due piedi. ”Vedi, tanti, tantissimi anni fa…”. ”Quanti,nonno?” l’interruppe Ale.

”Tanti quanti le dita tue e di tutti i tuoi amici moltiplicate per mille e forse anche di più..Ti stavo dicendo? Ah,sì..Tanti anni fa, ai tempi della preistoria, la terra era selvaggia. L’uomo viveva nelle caverne e da poco tempo aveva fatto una eccezionale scoperta: il fuoco. L’unico modo che aveva per poter sopravvivere era quello di cacciare. Ma purtroppo per lui gli animali erano enormi. E il più grande di tutti era il Mammut, l’antenato degli elefanti. In quel mondo non c’era nessuno che riusciva a tenergli testa. La sua mole imponente teneva lontana la  feroce Tigre con i denti a sciabola e persino l’enorme e coraggioso Orso delle Caverne non aveva mai osato sfidarlo a viso aperto. Eh, il Mammut era proprio un gran bel tipo…e forse uno di questi bestioni, nel suo girovagare, è arrivato fin su in cima al Mottarone e, addormentatosi, è rimasto lì per sempre”. Ale non era tanto convinto. Ma era anche molto curioso. Il dubbio lo rodeva. Quella del nonno era una storia inventata per non deluderlo oppure c’era qualcosa di vero? I pensieri gli si leggevano negli occhi. E il nonno Enzo se ne accorse. ”Tu vorresti saperne di più, non è vero ? Forse…forse ho qualcosa che ti può essere utile. Aspetta,però..dove l’ho messo?.. Ah, ora ricordo. E’ nell’armadio in soffitta”. Qualche minuto dopo Ale si trovò tra le mani un libro, un po’ vecchiotto e impolverato.  “Era di tuo papà. E se non ricordo male parla proprio di quell’epoca“, disse il nonno. La sera stessa, nel suo letto, Ale iniziò a leggerlo. Il titolo già l’aveva affascinato: “La guerra del fuoco”. Incredibile. Aveva ragione il nonno, era proprio la storia dei Mammut! Il ragazzino, una dopo l’altra,  divorava le pagine.

 

Il Mammut dominava invincibile. L’uomo non avrebbe mai potuto lottare contro di lui. Era agile, rapido, instancabile, capace di superare i monti;dimostrava d’essere riflessivo e dotato di una memoria tenace. Afferrava, lavorava e misurava la materia con la sua proboscide, scavava la terra con le enormi zanne, conduceva con saggezza le sue spedizioni e conosceva la propria supremazia. Il suo corpo sembrava una collina, le zampe grossi alberi; aveva zanne lunghe, capaci di trapassare una quercia; la proboscide sembrava un lungo serpente nero; la testa, una roccia. Si muoveva dentro una pelle grossa e rugosa come la scorza dei vecchi olmi, coperta di lunghi peli ruvidi. Le sue orecchie parevano dei giganteschi pipistrelli e quando si muoveva con il suo branco sembravano, tutti assieme, una colonna di giganti color dell’argilla. Quando, assetati, si allineavano sulla riva di un lago, bevevano in maniera così formidabile che il livello dell’acqua si abbassava.”. Ale chiuse gli occhi e si addormentò, sognando il Gran Mammut.  “Il Gran Mammut, dopo aver sostenuto mille battaglie vincendole tutte, si era stancato. Prese la decisione di lasciare il branco, dov’era da tutti riconosciuto come il capo e si incamminò verso la montagna che aveva di fronte, lasciandosi alle spalle il lago e le colline. Il sentiero era impervio, pieno ci cespugli e rovi, ma il Gran Mammut non se ne curava. Continuava a salire, puntando dritto verso l’alto. La sua mole enorme, di tanto in tanto, spariva dentro le nubi basse che avvolgevano i fianchi del monte e, dopo tanto camminare, giunse alla vetta che era ormai buio. Nel cielo era stesa una coperta di stelle che brillavano come tante fiaccole nella notte. Il Mammut alzò la proboscide più in alto che poté, per cercare di stringerle. Ma era fatica inutile : le stelle, che parevano così vicine, quasi da poterle sfiorare, restavano sempre al loro posto. Il Gran Mammut lanciò un tremendo barrito che scosse l’aria come una frustata e scese giù per le valli con il rumore di un tuono e l’impeto di un uragano. Poi, con la stessa foga , risalì sulla vetta, stanco del lungo viaggio ma soddisfatto per la scelta di vita solitaria. Si addormentò, pesantemente, coprendo con la sua mole immensa tutta la vetta”.

Anche sul Mottarone qualcuno dormiva e sognava. Era il Mammut che, caduto ormai da tantissimi anni in una forma di letargo, aveva il corpo coperto di terra e d’erba al punto d’aver preso le sembianze di una collina. La pioggia bagnava generosamente quello strano dosso, rendendolo sempre più fertile tant’è che vi erano cresciuto persino degli alberi. Molti anni dopo, a causa dell’ egoismo speculativo di uomini con pochi scrupoli su quel poggio vennero costruite prima una, poi due, poi tante costruzioni di legno, mattoni e cemento. Il Mammut dormiva e non sentiva sulle sue spalle il peso delle costruzioni, la ragnatela degli impianti sciistici e il fremito provocato dallo scivolare di discesisti e slalomisti che proprio in vetta al monte si divertivano d’inverno a scendere e risalire lungo le piste innevate. E nemmeno sentiva, durante le calde giornate estive, le grida di tutti quelli che passavano in quei luoghi ameni i loro pomeriggi d’ozio, in cerca di un refolo di vento che desse loro almeno l’impressione di un alito fresco. Erano tanti, troppi e spesso si lasciavano alle spalle una indelebile traccia di ignoranza e maleducazione, visibile in quei cumuli di rifiuti di ogni natura e volume. Ma lui non sentiva niente e nulla pareva potesse disturbarne il sonno millenario, quando un bel giorno operai e tecnici delle telecomunicazioni decisero di installare sulla vetta un’altra, potente, antenna televisiva. Gli scavi, piuttosto profondi, si concentrarono proprio nel punto dove il Mammut aveva la sua proboscide. Il solletico fece prudere l’enorme naso finché starnutì. La terrà tremò tutta. Gli addetti agli scavi, terrorizzati, fuggirono a gambe levate. Nei giorni successivi l’intera aera del Mottarone e la sua vetta furono meta di decine di esperti, tecnici, ricercatori,illuminati professori delle più importanti Università del paese. Vennero eseguiti studi accurati con sofisticate apparecchiature per cercare di capire cosa aveva originato quel fremito, quella scossa. Dopo un lungo consulto, durante il quale spesso il confronto degenerò in rissa al punto che, più di una volta, dovettero intervenire le forze dell’ordine per dividere quegli uomini di scienza che si stavano accapigliando, tutti convennero su di un punto fermo e preciso: non era successo nulla. Gli operai avevano sentito la terra ballare sotto i piedi? Fantasie. Erano scappati via di corsa , temendo un terremoto? Si erano sbagliati o forse avevano inventato questa storia per farsi un po’ di pubblicità. Del resto la scienza è scienza, e se afferma che non è accaduto nulla che si possa spiegare, significava  semplicemente che nulla era capitato. O forse qualcuno nutriva il coraggio di contraddire professori e cattedratici ? Passata anche quella bufera, sulla vetta della montagna venne finalmente innalzata una nuova costruzione d’acciaio. Il traliccio, formato da una miriade di pezzi di metallo intrecciati tra di loro, saliva slanciato verso il cielo per quasi quaranta metri. La terra non era più tremata. Comunque, per non  incappare in altri guai, i tecnici avevano scelto una diversa disposizione dell’antenna, a più di mezzo chilometro da quella pensata in un primo momento. Ma ormai il sonno di millenni era stato  disturbato. Il vecchio, grande Mammut era ormai sveglio. Non che si fosse destato subito, perché ci vollero alcuni mesi prima di averne piena coscienza. Dopo aver sbadigliato a lungo, l’enorme bestione si sentiva in piena forma. Quel lungo riposo gli aveva giovato. Se il giorno in cui si era appisolato sentiva le sue ossa cigolare e la grande massa dei muscoli era intorpidita ora , dopo il “sonnellino” , si sentiva come ringiovanito. Provò ad aprire gli occhi ma non vide nulla. In quello scuro immaginò fosse ancora notte. Una notte senza luna, nera come la pece, dove non s’intravvedeva  nemmeno una stella. Gli parve persino di sentirselo addosso quel cielo nero e opprimente quasi a dover sostenere sulle possenti spalle portare l’intero peso di quella cappa buia. Gli venne il dubbio di sognare ancora ma un istante dopo decise di muoversi. Zolle di terra grosse come aiuole saltarono in cielo come per effetto di una esplosione. Grandi alberi misero a nudo le loro radici, crepitando. Dal Santuario di Luciago alla strada Borromea, dalla Vidabbia all’alpe Grandi fino ai boschi che salivano oltre il Mastrolino, sopra Omegna , l’intero Mottarone  fu scosso da un formidabile e inaspettato evento. Un gigantesco animale, grande come il culmine della vetta, coperto da un pelo fitto, stava lì fermo su quattro enormi zampe, con due lunghe zanne e una impressionante proboscide che sferzava l’aria. Sulla groppa aveva tracce evidenti di terriccio, piccoli arbusti, muschi e radici. Nel mezzo del muso due occhi , grandi come scodelle, si guardavano attorno. Uno sguardo incuriosito, non spaventato. Si sarebbe quasi potuto azzardare anche l’aggettivo intelligente.

Quel giorno Ale era andato, come faceva di solito, a passeggio nei primi boschi che salgono sulla “montagna dei milanesi”, alla ricerca di funghi e piccoli frutti del sottobosco. In una radura in mezzo al bosco, incontrò l’enorme animale che dalla vetta era sceso in basso cercando di evitare strade e sentieri. In silenzio, il vecchio e grande Mammut e il ragazzino dalla testa bruna, si guardarono negli occhi. Era difficile stabilire chi dei due fosse più stupito per lo strano incontro. All’animale preistorico mancava solo il dono della parola. Cosa, del resto, superflua poiché durante il lungo sonno aveva sviluppato le sue capacità di pensiero a tal punto da poter comunicare attraverso gli impulsi che la sua enorme mente era in grado di trasmettere. Il suo cervello, enormemente evoluto, ospitava un grande archivio di memoria, paragonabile a un  potente computer. Fatti, luoghi, situazioni erano stati immagazzinati con un ordine perfetto, tale da far invidia ai più moderni e sofisticati sistemi infornatici. Bastò che Ale pronunciasse le sue prime parole ( “E tu,chi sei ?” ) perché il suono della voce del bambino gli rammentasse i suoni di quegli animali che sembravano scimmie ma camminavano su due zampe e con la schiena diritta: il modo di esprimersi, di comunicare attraverso suoni gutturali degli uomini che aveva conosciuto prima di lasciarsi andare al lungo sonno aveva qualcosa in comune. Il suo cervello, in un attimo, aveva già trovato il modo di stabilire un contatto con quel minuscolo essere che aveva davanti e che, con tutta probabilità, doveva essere proprio un cucciolo d’uomo. E dunque, al “chi sei?” pronunciato da Ale, rispose articolando delle parole lentamente, quasi sillabando: “Sono il Gran Mammut, signore delle immense foreste. Chi sei tu, piuttosto..”. Ale rimase a bocca aperta. Quella montagna di muscoli e peli che aveva davanti aveva parlato. E nonostante non avesse emesso il benché minimo suono, aveva sentito la sua “voce”. “Io..io sono Ale…” , rispose , tradendo  qualche incertezza. “Che strano nome. Non l’ho mai udito prima d’ora. Eppure, a prima vista, mi sei parso un cucciolo d’uomo. Ale.. Mah.. e che razza di animale saresti, allora ? –, borbottò il pachiderma. “Ma scusa, te l’ho appena detto:sono Ale, ho dieci anni e vivo ad Omegna. Se per cucciolo d’uomo intendi un bambino allora sì, sono proprio così. Ma tu, che sembri un Mammut, cosa ci fai qui sul Mottarone ?Non eri un animale preistorico e come tale ormai estinto ?”. Per nulla intimorito, Ale non intendeva rinunciare alla sua curiosità. Figurarsi poi in questo caso, dal momento che si trovava davanti proprio un bel Mammut in carne e ossa. E per di più sulla vetta della sua montagna. Non stava più nella pelle dalla contentezza. Altro che storie!n Quel libro diceva il vero quando lesse “ ..la strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato..”. Chiese allora al Mammut se conosceva quel signore che aveva scritto il libro ( perché,pensava, dovevano per forza conoscersi altrimenti , lo scrittore, come avrebbe potuto sapere che la sommità del Mottarone nascondeva proprio il Gran Mammut?). Il pensiero dell’animale incontrò quello del bambino, dialogando per un po’. Al termine di quell’incredibile colloquio, seppure a grandi linee, Ale apprese la storia del Mammut, scoprendo  che ci aveva scritto quelle cose era all’oscuro di tutto. Aveva tirato a indovinare, usando la fantasia. E gli  era andata bene.  Dopo di che toccò al bambino raccontare la sua di storia e così tra i due nacque una forte simpatia. Fu a quel punto che Ale pensò di far conoscere al vecchio Mammut il mondo che stava attorno. Disse all’animale: “Sai, credo che le cose, dai tuoi tempi, siano cambiate un po’. Forse è bene che ti accompagni giù dalla montagna, così te ne renderai conto da solo. Ma non andiamo da questa parte. E’ meglio passare dall’altro versante”. Con buon passo – il Mammut, con la sua enorme mole ed il bambino in groppa, dove si teneva ben stretto alle grandi orecchie – presero a risalire il monte attraverso boschi di castagni, robinie e  faggi per poi ridiscendere. Raggiunsero una strada e quella terra, liscia e dura, color antracite, era già una novità per l’animale. L’asfalto, come lo chiamava Ale, non c’era ai suoi tempi e il Mammut nutriva seri dubbi sulla bontà di quella terra. Comunque, in breve tempo , a dispetto del suo considerevole volume, il Mammut si era già lasciato alle spalle molti tornanti, tant’è che potevano già intravedere le prime case di Cheggino, sopra Armeno. Non incontrarono anima viva. Il Mammut si stupiva vedendo quei blocchi di pietra con delle aperture chiuse da assi di legno e Ale ebbe il suo bel daffare a spiegargli che erano case e che lì dentro vivevano gli uomini. Il Mammut aveva memoria di uomini primitivi che dimoravano nelle caverne e pareva scettico ma non insistette per non dare dispiacere a quel suo piccolo amico così gentile e premuroso. Ad Armeno non incontrarono nessuno. Il paese era come vuoto. Le strade deserte e le case con gli usci sbarrati. Anche il bar sulla piazza del Municipio,quasi sempre aperto, aveva calato la serranda. E così pure i negozi. Ale era sorpreso. Gli sembrava di attraversare uno di quei villaggi fantasma dei film western. Ignorava che, appena segnalata la presenza di uno strano, enorme animale,  somigliante a un elefante, che stava scendendo la Mottarone, la voce si era sparsa in un battibaleno e la gente, spaventata, si era chiusa in casa , chiudendo porte e finestre. Così, dopo Armeno, fu anche a Bassola, al Pescone, ad Agrano. Solo a Borca incontrarono le prime auto che, alla vista del Mammut, fecero dei rapidi dietrofront, con manovre convulse quanto azzardate. Nonostante Ale gli avesse parlato delle auto, la vista di quei strani animali colorati, rumorosi , veloci e puzzolenti  (si lasciavano alle spalle una scia odorosa e acre che irritava la sua proboscide) turbò non poco il vecchio Mammut. Non più con passo spedito ma con andatura incerta, dubbiosa, il bestione imboccò la statale del lago d’Orta, dirigendosi verso il centro di Omegna. Ma lì i pochi curiosi che, sfidando la paura, si erano nascosti dietro le colonne di granito del Municipio per spiarne le mosse, non lo videro mai arrivare. Il Mammut sparì nel nulla. Di quella montagna di carne e peli preistorici non c’era traccia. Svanita, quasi non fosse mai esistita se non nei sogni e nell’immaginario dei cusiani. Anche quel bambino che alcuni giuravano di aver visto in groppa al Mammut ma che nessuno poteva dire di aver riconosciuto, era sparito con lui. Alcuni automobilisti, qualche abitante di Borca, il gestore dell’Agip, giuravano che i due stavano andando verso Omegna. Ma lì, come già sappiamo, non erano mai giunti.

Nei giorni che seguirono furono indette assemblee, riunioni, tavole rotonde, consigli comunali a “porte chiuse” e in sedute aperte al pubblico. Corsero fiumi di parole,un bla-bla-bla impressionante, tanto monumentale quanto inutile. Tutti dicevano la loro, chi aveva visto e chi no. Scomodarono  scienziati, storici e biologi, antropologi e paleontologi, filosofi e medici, impiastri e ficcanaso, letterati e analfabeti. Giornali e riviste pubblicarono articoli, saggi, inchieste, indiscrezioni, fotomontaggi. Un mare d’inchiostro sommerse l’opinione pubblica. Alla fine di tutto questo chiassoso guazzabuglio il “caso” venne chiuso con una rassicurante presa di posizione di Sua Eccellenza il Prefetto che così sentenziò: “Non è successo nulla. Dopo aver analizzato e ponderato il problema siamo giunti, con assoluta certezza e senza difetto alcuno, alla decisione di comunicare che si è trattato solo di uno scherzo dell’immaginazione. Tutto, dunque, è sotto controllo: parola di Prefetto“. E quindi? Era stato solo un sogno, un’illusione ottica? La gente si guardava, scettica. E se nessuno, pubblicamente, osava mettere in discussione il Prefetto, in cuor proprio agli abitanti dei paesi attorno al lago d’Orta quelle parole suonavano poco convincenti per non dire addirittura false. Non erano per nulla convinti. Dopotutto, passati la paura ( ma era poi davvero paura ? O non era forse una bella e forte emozione di quelle che si provano davanti a qualcosa di nuovo e inaspettato!) l’idea di un Mammut in giro per la città non dispiaceva affatto. Qualcuno , con uno spiccato pallino per gli affari,aveva già pensato di cambiare nome a un noto ristorante per ribattezzarlo “ Al vecchio Mammut “ o di aprire un locale notturno in stile preistorico, con arredamento alla “Flinstone” oppure il Caffè “Delle due clave”. Tutto sommato, quell’elefante vecchio di  milioni di anni , alla gente piaceva. Anche a scuola, tra i bambini, si parlò per molto tempo solo di questo. E tutti si impegnavano a far supposizioni su dov’erano andati a finire il Mammut ed il bambino. C’era chi li aveva visti prendere il volo e sparire tra le nuvole, in direzione delle alture dei “Tre Gobbi”, suscitando un coro di risate. Chi invece li aveva visti nuotare nel lago verso il lido di Gozzano, lasciandosi alle spalle una scia come la motonave Azalea. Solo Ale non parlava. Dal suo banco guardava fuori dalla finestra, su verso la vetta del Mottarone. Il Mammut era tornato là, considerando quella del letargo la miglior soluzione. Si era scavato una comoda tana in una valletta isolata e con la proboscide si era coperto di foglie e terriccio. Era un segreto pattuito con il suo piccolo amico. Di tanto in tanto, senza farsi vedere dagli altri, Ale agitava la mano, accennando un timido saluto in direzione del rifugio segreto tra gli alberi, pensando intensamente al Mammut. Chissà se l’animale lo  percepiva il saluto? Non ne era del tutto certo ma, di tanto in tanto, seppure l’aria era immobile, senza un benché minimo alito di vento,  là in alto le chiome degli alberi  parevano scosse da un leggero, appena percettibile, fremito. E i suoi occhi sorridevano di una felice complicità.

Dalla Regione un aiuto ai centri per disabili. Le strutture sono in difficoltà per la pandemia

Si aiutano strutture in grave stato di sofferenza a causa dell’emergenza pandemica”

Ammonta a quasi cinque milioni di euro lo stanziamento che, su proposta dell’assessore al Welfare Chiara Caucino, la Giunta regionale ha deliberato di destinare alla ripresa delle attività svolte dalle strutture semiresidenziali per disabili.

“Si tratta di un provvedimento molto atteso ed importante, con il quale la Regione interviene a favore di centri che, a causa dell’emergenza pandemica, versano in un grave stato di sofferenza”, dichiara l’assessore.

Caucino precisa poi che “le risorse destinate ai centri diurni sono in parte statali, per poco meno di tre milioni, e in parte regionali per due milioni, come previsto dall’art. 25 della legge RipartiPiemonte, e sono finalizzate al ristoro dei maggiori oneri sostenuti per l’adozione di sistemi di protezione di personale e utenti e alla ripresa delle attività compromesse dalla pandemia”.

Il riparto delle risorse, determinato con un atto che verrà assunto a breve dal Settore competente, avrà come criterio principale sarà il numero degli utenti in carico frequentanti la struttura, come rilevato dal monitoraggio effettuato dagli uffici preposti. Il trasferimento, come di consueto, avverrà tramite gli enti gestori territoriali. Le spese ammissibili, come previsto dal Dpcm del 23 luglio 2020, vanno dall’acquisto di strumenti diagnostici o di misurazione della temperatura alla formazione del personale, dall’acquisto di prodotti igienizzanti e di dispositivi di protezione individuale ai costi di igienizzazione, dall’acquisto di tablet per le videochiamate ai maggiori oneri per il trasporto derivante dalla riorganizzazione delle attività dovuta alla chiusura. L’ammontare massimo di contributo per ciascun posto utente è di 730 euro.

“Riconoscere ai soggetti che gestiscono i centri diurni per disabili un ristoro economico, dopo il periodo di grande difficoltà vissuto a causa dell’epidemia, è doveroso e necessario – conclude Chiara Caucino – Le Istituzioni debbono dimostrare in modo concreto la loro vicinanza e riconoscenza verso coloro che con dedizione e con amore si prendono cura delle persone più fragili, siano esse disabili, anziani o minori”.

Mpp a difesa di Pininfarina Engineering

Il settore dell’automotive ha caratterizzato lo sviluppo di Torino e del Piemonte intero nel corso del XX secolo e la pur necessaria ricerca di nuovi settori di sviluppo del territorio non può permettere a Torino e al Piemonte di prescindere dall’industria automobilistica.

La crisi economica derivante dalla pandemia da coronavirus è la più grande sfida che ci troviamo ad affrontare dal dopoguerra e come ogni altro settore della produzione industriale l’automotivesta attraversando un momento estremamente delicato.

Pininfarina engineering , a seguito della perdita di alcune commesse ha annunciato la chiusura ed il licenziamento di oltre 130 dipendenti notevolmente qualificati dietro ai quali, è bene ricordarlo, ci sono altrettante famiglie.

Le proposte avanzate dalla proprietà indiana, che peraltro si è rifiutata di chiedere il ricorso agli ammortizzatori sociali, sono insufficienti; a quanto si apprende è stata avanzata la proposta – verbale e non scritta- della riassunzione con nuovo contratto di soli 60 dipendenti ed un contributo di 6mila euro per accettare il licenziamento.

Come Movimento Progetto Piemonte auspichiamo che le Istituzioni del Territorio- Comune, Città Metropolitana e Regione-convochino le parti e le associazioni di categoria per trovare una soluzione diversa dalla chiusura di un’importante presidio dell’automotive piemontese e per difendere un settore industriale già notevolmente depotenziato negli ultimi anni.

 

Massimo Iaretti – consigliere comunale – Presidente MPP

Gigi Cabrino – consigliere comunale aderente a MPP

Covid e carcere, la luce in fondo al tunnel è ancora lontana

“Dei 4.263 detenuti ospitati nei 13 Istituti penitenziari piemontesi i reclusi positivi al Covid al 24 novembre erano complessivamente 42: 40 gestiti all’interno del carcere e 2 ospedalizzati a Biella. Gli agenti e gli operatori penitenziari positivi erano, invece, 187. Numeri che inducono alla riflessione e preoccupano i detenuti e i loro parenti ma anche gli operatori”. Lo ha dichiarato  il garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Bruno Mellano.

“Anche se la luce in fondo al tunnel dei contagi Covid-19 nel contesto penitenziario è ancora lontana – ha agginto – ora è almeno possibile ragionare su alcuni dati condivisi: il Ministero della Giustizia ha reso finalmente pubblico, sul proprio sito Internet istituzionale, un dettagliato report settimanale per monitorare la pandemia negli Istituti penitenziari italiani, mentre il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria piemontese ha attivato un monitoraggio quotidiano condiviso con le Istituzioni regionali e i sindacati di polizia penitenziaria”.

Osservando che l’assessore regionale alla Sicurezza “ha recentemente raccolto un rinnovato appello dei sindacati di polizia penitenziaria per l’inserimento degli agenti di polizia penitenziaria nella campagna di screening anti Covid prevista per le forze di polizia”, ha concluso che “non si può non ricordare che la comunità penitenziaria è una sola ed è costituita da detenuti, agenti e operatori e che vanno aggiunte politiche reali di decongestionamento delle strutture, in modo da poter permettere una efficace gestione degli spazi e della popolazione reclusa ed eventualmente intervenire con efficacia qualora dallo screening emergessero criticità importanti. La rete dei garanti continua e continuerà a vigilare”.

Il Rotary Torino Lagrange fornisce arredi alla scuola

District Grant “AbbracciAMO LA SCUOLA!”

Il Rotary Torino Lagrange, con il supporto della Rotary Foundation, promuove iniziative di alto valore sociale per migliorare il benessere della comunità; nel corso della sua storia il Rotary è stato infatti il veicolo per sostenere ed attuare concrete iniziative ed attività solidali a favore della città di Torino e non solo.

Nel profondo convincimento che, soprattutto per i bambini più piccoli, la scuola costituisca un fondamentale strumento di uguaglianza, integrazione, educazione alla socialità ed ad un sano apprendimento, il Rotary Torino Lagrange intende offrire ai Servizi Educativi del Comune di Torino il proprio contributo per fornire componenti di arredo oggi necessari per assicurare la continuità scolastica, in un momento storico in cui il distanziamento sociale risulta essere l’unica misura possibile per limitare il rischio da contagio Covid-19. In particolare, le scuole che beneficeranno della donazione saranno le seguenti:

  • Scuola Infanzia – Via Reiss Romoli 49;
  • Scuola Infanzia – Via Ala di Stura 23;
  • Scuola Infanzia – via Asinari di Bernezzo 23;
  • Asilo Nido – via Asinari di Bernezzo 23;
  • I.C. Sandro Pertini Scuola Infanzia – Via la Loggia 51/53.

La fornitura sarà basata su componenti già oggetto di donazione negli anni precedenti e individuata in concerto con l’ufficio dell’Economato, e sarà composta da 125 brandine da riposo impilabili.

Anche quest’anno siamo lieti di poter offrire il nostro contributo al sistema scolastico torinese – commenta Alberto Maria Barberis, Presidente del RC Torino Lagrange per l’A.R. 2019/2020 – quale degna conclusione di un Protocollo triennale d’intesa con la Città di Torino che ha permesso a diverse scuole del territorio di beneficiare di arredi e forniture utili a migliorare la fruizione dei plessi. Ringraziamo il Comune di Torino per la sua collaborazione e disponibilità al dialogo e la Rotary Foundation per il suo supporto al nostro progetto. La complessità del periodo che stiamo vivendo a causa della pandemia ha rallentato la definizione delle operazioni, ma grazie allo spirito di servizio che contraddistingue i Soci rotariani è stato comunque possibile portare a termine questa fornitura che auspichiamo possa rappresentare un messaggio di positività e speranza per molti”.