Negli ultimi mesi la Regione Piemonte ha avviato un ampio percorso di ascolto e confronto con gli Ordini delle Professioni Sanitarie e tutti i principali stakeholder del sistema, finalizzato all’aggiornamento e alla stesura definitiva del nuovo Piano Sociosanitario 2025–2030. Un processo partecipato, che ha coinvolto oltre 300 associazioni, rappresentanze professionali, organizzazioni sindacali e istituzioni, con l’obiettivo di dare risposte concrete ai bisogni emergenti di salute e di modernizzare il sistema regionale dopo oltre trent’anni dall’ultimo piano strutturale. In questi mesi, anche gli Ordini professionali hanno portato il proprio contributo, avanzando proposte e sollecitazioni volte a rafforzare il ruolo delle professioni sanitarie e a innovare i modelli organizzativi e gestionali della sanità piemontese.
Con l’approvazione della versione definitiva del Piano, gli Ordini delle Professioni Sanitarie del Piemonte – Infermieri, Ostetriche, Fisioterapisti, Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione – esprimono soddisfazione per il riconoscimento e la valorizzazione delle professioni sanitarie contenuti nel documento.
Il Piano, approvato dalla Giunta regionale su proposta dell’assessore Federico Riboldi, accoglie molte delle proposte avanzate dagli Ordini professionali, determinando particolare apprezzamento per il recepimento delle proposte relative al rafforzamento e alla centralità dell’infermiere di famiglia e di comunità, figura fondamentale per garantire una presa in carico proattiva, integrata e continuativa delle persone nei contesti territoriali e domiciliari, specialmente per le situazioni di fragilità, cronicità e non autosufficienza. Inoltre, non di poco conto, il Piano dedica grande attenzione ai ruoli manageriali e all’autonomia organizzativa delle professioni sanitarie, prevedendo tra l’altro l’istituzione del Dipartimento Assistenziale guidato da professionisti sanitari non medici, e una governance più partecipata e multidisciplinare dei percorsi di cura.


Articolo 2: 
Il numero di maggio 2017 del mensile “Torino storia” “dedica il suo principale articolo ad un fatto scandaloso: l’esistenza di un padiglione creato negli anni ’80 dall’architetto Andrea Bruno, progettista di fama internazionale, sotto il cortile di palazzo Carignano “sepolto e dimenticato” da molti anni. Si tratta di un padiglione modernissimo da 300 posti a sedere o 700 persone in piedi. Era un’idea che aveva iniziato a prendere forma per iniziativa del Presidente della Regione Aldo Viglione, così attento al restauro e al rilancio del patrimonio storico-artistico del Piemonte, a cominciare dalle residenze sabaude e dal Museo del Risorgimento. Ne parlò lo stesso prof. Bruno, quando venne a ricordare Viglione al Centro “Pannunzio” una decina di anni fa. Il lavoro costò 13.945.000 euro e si protrasse dal 1987 al 1994,scoperchiando il cortile di palazzo Carignano e scavando fino a 11 metri. Viglione morì nel dicembre 1988. E’ diventato un pezzo modernissimo di archeologia sommersa, come ironicamente afferma il prof. Bruno. Venne infatti ricoperto da pesanti lastroni di metallo per occultare i lucernari, in modo da impedire che si potesse vedere dall’esterno la sua esistenza. La spesa dell’opera, il suo non utilizzo per tanti anni che ha privato palazzo Carignano di una struttura molto importante, l’occultamento del lavoro ci portano necessariamente a pensare a precise responsabilità. Non sappiamo di chi siano state, ma sicuramente ci sono. Se l’opera non venne utilizzata neppure un giorno, non fu un fatto casuale, ma il frutto di una scelta . Chi fece questa questa scelta? Quali sono stati i motivi dell’occultamento? Qualcuno si accorse che il lavoro era inutile e che furono gettati al vento ingenti fondi pubblici? E perché ,invece di far porre lastroni, non ha segnalato la cosa alla Procura della Repubblica ? Noi chiediamo che il Consiglio Regionale si faccia carico, in primis, di far chiarezza. Il Museo del Risorgimento rimase chiuso per anni per lavori di rifacimento per presentarsi con un nuovo allestimento in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia nel 2011.Si spesero fondi ingenti. Sarebbe importante-ribadiamo – stabilire chi fece mettere i lastroni metallici per occultare il padiglione sotterraneo inutilizzato. Ad un certo momento la dott. Cristina Vernizzi direttrice del Museo per molti anni venne improvvisamente sostituita, non si è mai saputo in base a quali motivi. La sua rimozione suscitò scalpore. La democrazia comporta chiarezza e non consente zone d’ombra. Noi chiediamo che il numero di “Torino Storia” n. 18 venga acquisito agli atti e venga ascoltato in seduta pubblica il prof. Andrea Bruno. Grazie per l’attenzione e molti cordiali saluti. Siamo certi che un fatto del genere non verrà sottovalutato nella sua gravità.