Spara alla madre di 101 anni uccidendola e poi si toglie la vita con la stessa pistola. L’anziana donna abitava con lui a Rivoli. L’uomo, che nell’appartamento dell’omicidio-suicidio deteneva regolarmente l’arma impiegata, aveva saputo di recente di avere un tumore al pancreas: lo ha scritto in una lettera trovata dai carabinieri, chiamati da lui stesso prima di spararsi.
di Pier Franco Quaglieni
Maggioranze artificiali - Sepolcri - Chiampa segretario? - (Im)presentabili
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Maggioranze artificiali
Dopo l’esito elettorale che non consente una maggioranza, c’è chi invoca responsabilità da parte di tutti i partiti al fine di creare una maggioranza in Parlamento comunque . Se una maggioranza e’ necessaria per avviare la legislatura eleggendo i Presidenti delle due Camere,non credo che maggioranze artificiali possano portare ad un buon governo.Grillini, Pd,centro-destra maggioritario sono alternativi e può essere solo possibile il ricorso al trasformismo parlamentare o alle ammucchiate consociative che sono l’esatto opposto della democrazia. La maggioranza governa,la minoranza controlla. Questa e’ la regola della democrazia . Fuori da questo ambito una democrazia seria,ma l’Italia non lo è ,sceglie il ritorno alle urne. Diede risultati disastrosi il compromesso tra Pci e Dc degli anni di piombo anche se fu una necessità . In ogni caso era un’altra epoca storica. Pensare ad un governo grillino ,immaginando di essere in Germania e non in Italia,appare un vero e proprio abbaglio.Le grandi coalizioni impongono grandi partiti,non gli agglomerati della protesta demagogica e velleitaria .
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Sepolcri
Il capitano della Fiorentina, morto trentenne nel sonno, merita rimpianto e suscita commozione,ma stupisce il suo funerale nel tempio di Santa Croce a Firenze ,il sacrario dei grandi italiani,immortalati dal Foscolo nei Sepolcri.Tra quei marmi dormono eterni Machiavelli e Michelangelo,ad esempio ,e lo stesso Alfieri che andava ad ispirarsi per trarre dalle ceneri di quei grandi italiani gli auspici del riscatto nazionale. D’accordo che il calcio è la nuova droga che agita le menti delle masse deliranti ,ma risulta molto difficile assimilarlo alla storia italiana.Per altri versi,a Firenze non si fa nulla per valorizzare e far conoscere quella chiesa come centro morale della storia italiana. Non c’è una sola targa illustrativa delle figure che vi sono sepolte. Neppure Foscolo, i cui resti vennero traslati in quella chiesa , ha un ricordo. E’ anche questo lo specchio di un'Italia misera e superficiale.
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Chiampa segretario?
Sergio Chiamparino aspira anche alla segreteria del Pd. E’ incredibile che un politico che non è mai andato oltre i confini della regione che presiede,ambisca ad un ruolo in cui neppure Renzi che ha ben diversa caratura ,si è rivelato all’altezza. Passi per il magistrato Emiliano che avrebbe fatto meglio ad uscire dal PD, annullandosi per andare con Liberi ed eguali,ma Sergio è persona seria. Sembra quasi incredibile che anche lui auspichi un Governo con i grillini come Emiliano. Ma dopo il 4 marzo la febbre non è ancora sbollita.
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(Im)presentabili
La campagna elettorale e’ stata dominata dal tema degli impresentabili ,una semplificazione stupida nata da certi giornalisti che confondono l’informazione con il killeraggio mediatico. Tutti i cittadini,lo dice la Costituzione ,hanno diritto a candidarsi .E a decidere con il voto chi sono gli ineleggibili devono essere i soli cittadini nella cabina elettorale.Certi giornalisti presuntuosi che imperversano come grilli parlanti in televisione dovrebbero tacere. Hanno diritto di criticare,ma non di demolire. Molti hanno fatto propaganda sfacciata per la grande Bonino e un’esigua minoranza li ha seguiti.Molti hanno demonizzato per vent’anni Berlusconi ,ma la gente ha continuato a votarlo. Pensino a scrivere giornali decenti che ritrovino lettori e smettano di sostituirsi al popolo sovrano.
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LETTERE
L’utopia di fare un governoHo letto con interesse il tuo articolo sulle elezioni del 4 marzo su iltorinese.it Penso che la situazione europea per quanto riguarda le elezioni dei singoli Stati sia stata inquadrata. Per il resto non sono d’accordo soprattutto sulla parte relativa a Berlusconi e la destra in genere. Per non parlare di Salvini…promettere un flat tax al 15% è solo propaganda nè più né meno del reddito di cittadinanza…per non parlare dell’immigrazione...propaganda I 5s sono frutto della disfatta dei partiti e della loro incapacità di guardare ai problemi reali delle persone. Penso che abbiano fatto molta presa sull’elettorato arrabbiato, arrabbiato con la sinistra o pseudo-tale, magari in alcuni casi anche immaturo, ma ricordiamoci il risultato al Senato…parla chiaro. Mi astengo dal giudicarli cosìa raffica. nel breve periodo, nonostante gli evidenti problemi, ma faccio una piccola considerazione: quelli che erano tanto “capaci” ci hanno portato, solo qualche anno fa, sull’orlo del baratro…e le cose, penso, non vadano mai dimenticate. Per quanto riguarda il PD attualmente è solo lo specchio del suo arrogante segretario pseudo-dimissionario, che non fa mai uno straccio di autocritica e no si rivolge mai alle piazze ma ai bei salotti dei teatri italiani in cui sono presenti solo i suoi adepti. Resta il fatto, non rassicurante, che la costruzione di un governo al momento sia quasi utopia…se, per una volta, terranno fede a ciò che tutti dicono continuamente in tv, sui social/internet e sui giornali…
Lucia Irene

Lo scorso anno il Tribunale Ecclesiastico Regionale del Piemonte ha annullato 120 matrimoni, 45 le domande respinte . In occasione dell’inaugurazione del nuovo Tribunale ecclesiastico interdiocesano di Pianezza, presente l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, è stato reso noto che il primo motivo di nullità, in 51 casi, riguarda l’incapacità consensuale “per grave difetto di giudizio sui diritti e i doveri del matrimonio”, in 28 casi si tratta invece di incapacità di assumerne gli obblighi e da diversi tipi di simulazione come l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo, del bonum prolis, cioè il diritto e dovere a procreare, e l’infedeltà. Il 52% dei casi riguarda la Diocesi di Torino, sono 68 sulla celebrazione di circa 2.200 matrimoni in totale. E’ stato respinto un caso di matrimonio celebrato per dolo e ne è stato dichiarato nullo uno celebrato per effetto di violenza.
Se vogliamo le Olimpiadi rispettiamo il Pala Vela








C’è sempre, in ogni storia, un antefatto che motiva i perché dei successivi accadimenti. E l’antefatto, in questo caso, per poco non finiva in tragedia. Sì, perché il direttore della ferriera, l’ingegner Scorbutici, se poteva ancora raccontare in giro per la città ciò che gli era accaduto, dopo essersela cavata al buon prezzo di un grande spavento, era perché Osvaldo aveva una pessima mira. E l’esasperazione per le angherie, i torti e le ingiustizie patiti sul lavoro avevano fatto tremare la mano all’operaio dell’altoforno, anticipandogli il colpo di pistola che passò due dita sopra la testa dell’incredulo Venanzio Scorbutici. Il proiettile si conficcò nel muro e il direttore crollo a terra, svenuto. I due impiegati che erano con lui si misero ad urlare. “Hanno ammazzato il direttore! Aiuto! Gli hanno sparato addosso!”. Osvaldo, di fronte a tutto quel trambusto, buttò la rivoltella giù dal ponte sul fiume e scappò via, insieme a Cecco e Nando che l’avevano accompagnato e, pistole in tasca, sarebbero stati lì per lì pronti a far fuoco se non fossero rimasti pietrificati da una fifa blu proprio sul più bello. Così, a perdifiato, fuggirono in montagna, cercando riparo nelle vecchie cascine abbandonate dopo la guerra. I loro compagni , in qualche modo, fecero avere cibo e notizie nei due giorni successivi ma poi, considerato che i carabinieri stavano intensificando le ricerche di quelli che, nella zona, venivano ormai indicati come “gli attentatori”, si pensò di
organizzare l’espatrio dei tre. Senza tante chiacchiere si pensò di mandarli in Cecoslovacchia, via Svizzera e Austria. Il tempo strettamente necessario a preparare i documenti, ovviamente falsi, e predisporre i passaggi che avrebbero consentito a Osvaldo, Cecco e Nando di oltrepassare la “cortina di ferro”, e i tre si trovarono a Praga. L’impatto con il socialismo reale fu tutt’altro che semplice.
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Nel cuore dell’Europa divisa, nella Praga dei primi anni sessanta, si toccava con mano il clima difficile del tempo e anche i tre si trovarono alle prese con le situazioni, i problemi, le angosce, i drammi della gente comune di quel paese. Il Partito, dopo averli fatti espatriare, non li lasciò soli. Cecco e Nando lavorarono alla Škoda di Mladá Boleslav, in Boemia centrale, a circa cinquanta chilometri a nord-ovest di Praga, alla linea di montaggio della “Spartak”, che, per motivi legali legati al nome, venne poi ribattezzata “Octavia”: una berlina a tre volumi di schema classico (motore anteriore e trazione posteriore), di linea tradizionale ma elegante. Osvaldo, invece, fu dirottato alla fabbrica di birra “Staropramen”, una delle più antiche della città. Tutti e tre, comunque, oltre al lavoro, avevano un altro impegno: occuparsi di “Radio Oggi in Italia”, la radio clandestina che, dalla capitale cecoslovacca, trasmetteva dagli anni ’50,gestita da iscritti al PCI che erano emigrati lì, quasi tutti per sfuggire a processi. La speaker dell’emittente, Stella Amici, tanto per fare un esempio, era fuggita dall’Italia all’indomani degli scontri di Modena del 1950 davanti alle Fonderie Riunite, dove sei scioperanti erano rimasti uccisi dalla polizia. Tra gli altri che si occupavano della Radio, sempre da Praga, c’era Francesco Moranino, l’ex comandante partigiano biellese “Gemisto”, parlamentare comunista riparato in Cecoslovacchia perché inseguito da una condanna per fatti avvenuti nel corso della guerra partigiana. “Radio Oggi in Italia” era praticamente unica nel suo genere a parte un solo precedente, molto più limitato, con un’emittente in lingua francese che visse soltanto un anno e mezzo , tra l’estate del ’54 e il dicembre del ’55. Anch’essa diffusa da Praga, faceva esplicito riferimento al PCF. Il primo ministro francese Pierre Mendès-France ne pretese la chiusura e la ottenne in cambio di accordi commerciali con la Cecoslovacchia.
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La radio del PCI ,invece, continuava la sua battaglia dell’etere al servizio del più grande partito comunista dell’Occidente, pur senza apparire come espressione diretta di Botteghe Oscure. I testi delle note e dei commenti arrivavano alla redazione dai giornalisti dell’Unità e di Paese Sera o, addirittura, da dirigenti del PCI. Uno dei collaboratori più assidui era Sandro Curzi. Da dove trasmettesse era un mistero e il governo italiano si dannava l’anima nel far la guerra a questa emittente, ascoltata dai comunisti e non solo, che arrecava un gran fastidio. Infatti, una radio non conosceva ostacoli e poteva arrivare senza problemi anche dove comprare l’Unità in edicola o riceverla in abbonamento non era cosa facile. Furono promosse, soprattutto da parte democristiana, azioni parlamentari e persino diplomatiche da parte dell’Italia verso la Cecoslovacchia, ma senza alcun esito. Osvaldo si occupava di smistare le notizie, Nando – che era patito di musica classica – s’ingegnava con le colonne sonore e Cecco dei turni di vigilanza perché, diceva “siamo in un paese socialista, ma non si sa mai”. “Radio Oggi in Italia” era sempre “sul pezzo” tanto che nel luglio del 1960, durante il governo Tambroni, quando a Genova e poi a Reggio Emilia avvennero violenti scontri tra dimostranti e polizia per protesta contro l’indizione di un congresso nazionale del Movimento Sociale, quella che veniva definita la “radio fantasma del PCI” riuscì a seguire gli avvenimenti praticamente in diretta, con una tempestività sorprendente (mentre Radio Rai operò con la consueta ufficialità di ispirazione governativa e solo attraverso i comuni notiziari). Ma quel tran-tran non andava a genio allo sfortunato attentatore che seguiva con grande attenzione ed entusiasmo le notizie provenienti dall’isola caraibica di Cuba dove Fidel Castro e “Che” Guevara stavano costruendo, giorno dopo giorno, la rivoluzione sotto il naso degli americani.
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Già nell’aprile di quell’anno ( era il 1961) i mercenari, armati e sostenuti dagli americani, erano sbarcati alla baia dei Porci, dirigendosi verso la Playa Larga e la Playa Girón. Ma il tentativo da parte di esuli cubani e mercenari addestrati dalla CIA di conquistare la parte sud-ovest di Cuba, fallì e i cubani – in tre giorni di combattimenti -sconfissero gli aggressori. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, J.F. Kennedy, ammise le responsabilità degli Usa e annunciò, come risposta, l’embargo totale contro Cuba. Quell’isola ribelle,terra di musica e socialismo “caliente”, dello zucchero di canna e del rum, esercitava un’attrazione incredibile e Osvaldo pensò che era il caso di offrirsi volontario per andar là, al caldo dei tropici, “ ad edificare il socialismo”. Che ci fosse un gran lavoro da fare non vi era alcun dubbio. Negli anni ’50, secondo l’UNESCO, un cubano su tre era analfabeta e quel paese apparteneva a un gruppo di nazioni il cui reddito medio pro capite oscillava tra i 300 e i 499 dollari l’anno. L’eredità del latifondismo era pesante e si poteva toccar con mano l’entità della disuguaglianza sociale. Così, con il primo viaggio utile, Osvaldo partì per la terra di Fidel , animato delle migliori intenzioni e pronto ad esportare le sue esperienze di pedagogia socialista. L’entusiasmo rivoluzionario subì un rapido raffreddamento che, in breve, diventò delusione quando s’accorse che i cubani erano ben felici di ricevere un aiuto “internazionalista” ma che questo consisteva nel partecipare alla campagna agricola della raccolta della canna da zucchero. Tagliare la canna è un mestiere duro, che stanca all’inverosimile. Quando le canne misurano 4 o 5 metri d’altezza vanno tagliate con il machete per essere poi raccolte e portate allo zuccherificio; se non vengono lavorate immediatamente diminuisce il loro contenuto zuccherino. Lì vengono schiacciate dalle macine per far uscire il succo, molto scuro e pieno di impurità che viene raccolto in vasche, dove – al caldo – l’acqua evapora e il succo si trasforma in sciroppo o melassa, che viene gradualmente raffinato. A quel punto i cristalli di zucchero si formano da soli, allo stesso modo dei cristalli di sale in una pozza d’acqua marina che si asciuga sole. Tra quelle canne, Osvaldo si sentiva perso, come un elfo in una foresta di giganti. Lui a cuba voleva dare una mano a “tirar su il socialismo e far capire ai cubani l’importanza di sentirsi compagni” ma non pensava che questo equivalesse a farsi venire i calli spessi e duri sulle mani e tagliuzzarsi dappertutto in un campo “de caña de azúcar”. Così fece richiesta di tornare a Praga, insistendo a tal punto che il suo desiderio venne esaudito. E dopo qualche mese nella capitale cecoslovacca, tra la birra da imbottigliare e i programmi della radio, ormai prescritto il reato per il quale era stato condannato in contumacia, lasciò il modesto alloggio a Malá Strana e rientrò in Italia. Un viaggio lungo e complicato lo riportò sulle rive del lago dov’era nato, negli anni a venire, oltre a pronunciare in ogni occasione la sua frase rituale (“compagni, la situazione è grave”), a chi l’interrogava sulla scelta di andare e poi tornare in fretta da Cuba, rispondeva con una certa gravità: “Ho avuto un insanabile dissenso politico con il compagno Fidel e, insieme, abbiamo concordato che era meglio lasciar stare e non insistere nel manifestare le nostre contrarietà”.
Marco Travaglini
di Pier Franco Quaglieni
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La morte di Piero Ostellino, giornalista principe, priva il mondo della cultura, in particolare di quella liberale, di uno dei suoi protagonisti più importanti. E’ l’ultimo grande liberale insieme a pochissimi altri come Giuliano Urbani ,con cui Ostellino, insieme a Valerio Zanone, fondo’ il Centro Einaudi, destinato, quest’ultimo, via via ad allontanarsi sempre di più dagli obiettivi dei padri fondatori. Erano gli ultimi anni 60 e il liberalismo subalpino era prigioniero di visioni conservatrici molto limitate e viveva in contemporanea la crisi legata all’esplosione del ‘68 .Il giovane Ostellino, ben più di Zanone, era il maitre a’ penser a cui noi giovanissimi guardavamo .Una sorta di Gobetti ,ma molto più colto e maturo di quello vero già allora molto venerato più che studiato. Era un grande giornalista, ma era anche un uomo di studi severi. La sua cultura era ampia ed approfondita. Come altri giornalisti colti – penso a Bettiza e a Ronchey- aveva girato il mondo, era stato corrispondente del “Corriere “da Mosca e Pechino in anni cruciali. Aveva come direttore riportato all’onor del mondo il “Corriere della sera”, aprendolo anche a firme scomode come Dino Cofrancesco. Fu il vero superamento del degrado del giornale raggiunto con la direzione di Piero Ottone .
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Nel 2010 fu insignito del Premio Pannunzio e fu l’occasione per rinverdire un’amicizia nata tanti prima. Scrisse per un’antologia di scritti in mio onore pubblicati nel 2013 una splendida ed affettuosa prefazione. Venne a Torino al Consiglio Regionale a fare, su mio invito, nel 2012,una straordinaria lectio magistralis sulla cultura liberale . Il testo venne stampato e rappresenta una densa summa del suo pensiero politico. Pochi politici erano presenti, ma tanti docenti e giovani capirono il livello altissimo dell’oratore. Gli piacque che io avessi fatto aprire l’incontro con lui con l’Inno Nazionale, cogliendo anche il taglio risorgimentale del suo essere liberale. Di fronte ai neo falsi liberali che hanno studiato liberalismo al Cepu, Ostellino fu implacabile . E’ stato uno dei tanti torinesi importanti, come Soldati e Dionisotti, costretti ad emigrare oltre la Mole per veder riconosciute le proprie qualità .Una volta mi definì un eroe per essere restato a Torino. Provai un orgoglioso imbarazzo per quelle parole. Torino , città angusta e provinciale, non era fatta per Ostellino che trovo ‘ negli ultimi anni come interlocutore torinese soprattutto ,se non esclusivamente, il Centro Pannunzio. Era anche disgustato di questo paese e viveva sempre più spesso in Francia. Era un giornalista e un politologo di fama internazionale ,non poteva scodinzolare nei salotti e nei tinelli snob di Torino ne’ in quelli dell’Avvocato, ne’ in quelli molto peggiori dei nuovi notabili rozzi, arroganti, arricchiti che comandano in questa città . Ostellino amava la storia, prediligeva i temi alti e sempre meno persone si rivelavano in grado di capirlo, malgrado la chiarezza della sua prosa .Con la sua scomparsa sento che è mancato un fratello maggiore. Non riesco a scrivere di più perché la commozione prevale.
quaglieni@gmail.com
Si era aggrappato al portellone di un’ambulanza e impediva ai mezzi di entrare e di uscire dal pronto soccorso del Mauriziano. Il trentaquattrenne originario del Camerun, ubriaco, è stato arrestato dalla polizia per resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Ha anche dato alcuni calci a un poliziotto che con l’aiuto delle guardie giurate tentava di bloccarlo. E’ stato denunciato per oltraggio e interruzione di pubblico servizio.
(foto: il Torinese)
Il bus che stava per trasportare una scolaresca in gita era riverniciato e ritargato così da farlo sembrare nuovo. Ma i controlli della polizia municipale hanno rivelato che il mezzo era in servizio da ben 22 anni. Il torpedone a tre assi è stato così fermato appena prima della partenza dal quartiere di Madonna di Campagna, aveva anche la revisione scaduta e presentava inoltre violazioni sul cronotachigrafo. Gli studenti sono stati portati in gita su un altro autobus.
(foto: il Torinese)
Il giovane cercava lavoro ed era disposto a fare il portiere di notte. Il suo nome era Joseph, Vissarionovich Djugashvili. Per gli amici, Koba. Quel georgiano dallo sguardo glaciale era Josif Stalin
Ci sono avvenimenti storici che sembrano così incredibili da essere considerati leggende. Una di queste mi è stata raccontata ad Ancona, durante l’attesa per l’imbarco verso Spalato, dall’altra parte dell’Adriatico. Una storia che si svolse proprio lì, accanto al porto Vecchio. Una storia raccontata, molti anni dopo, da un anziano portiere dell’Hotel Roma e Pace, il signor Pallotta . Dalle finestre di quell’albergo, a due passi dai moli, si scorgeva il mare. La pubblicità che ne decanta l’ospitalità narra di proposte di “riscaldamento a termo-sifone senza aumento di prezzo, ottimo restaurant a tutte le ore, omnibus a tutte le ore”. E’ lì che, in una fredda giornata d’inverno del 1907, un giovane russo dagli abiti eccentrici e dallo sguardo glaciale entrò nella hall dell’austero “Roma e Pace”. Indossava una blusa russa di satin nero sotto la giacca, grigia come il logoro soprabito; gli unici segni di eleganza erano la vistosa sciarpa rossa di seta ed un ampio cappello di feltro nero. Un amico italiano lo aveva accompagnato in via Leopardi, dopo un viaggio lungo e scomodo a bordo di una nave carica di grano proveniente da Odessa. Il giovane russo cercava lavoro ed era disposto a fare il portiere di notte. Il suo nome era Joseph, Vissarionovich Djugashvili. Per gli amici, Koba. Solo alcuni anni più tardi tutto il mondo lo conobbe con un altro nome. La storia dice che il giovane, sulla trentina, fosse già ricercato per estorsione e rapina in Georgia. Il portiere di giorno al “Roma e Pace”, Paolo Pallotta, non era molto convinto di assumere quel giovane dall’aspetto dimesso, la barba rada e i baffi neri. E forse non si sbagliava. Koba era un ragazzo troppo timido e poco intraprendente. Rimase poche settimane, prima di essere congedato e riprendere il suo viaggio in direzione Venezia, dove svolse la mansione – seppure per un breve periodo – di campanaro al convento di San Lazzaro degli Armeni, sull’omonimo isolotto della laguna. Un’esperienza fugace, durata poco perchè suonava le campane con decisione e forti rintocchi,
secondo il rito ortodosso, e questo non andava a genio agli abati mechitaristi.Una storia intrigante di cui si trova traccia anche nelle tavole di Corto Maltese, il personaggio dei fumetti creato dal Hugo Pratt. Ne “La casa dorata di Samarcanda”, lungo la mitica Via della Seta, il marinaio Corto – figlio di una prostituta di Gibilterra e di un marinaio della Cornovaglia – impegnato nella ricerca del tesoro di Alessandro il Grande, caduto in mano ai bolscevichi della città dalle cupole blu, si salva da un’esecuzione grazie ad una telefonata con quel “portiere di notte”, rammentandogli i tempi di Ancona. Corto, scavando nei ricordi di quel 1907, gli disse,tra l’altro: “evidentemente non eri tagliato per fare il portiere di notte”. Chi era il giovane russo con cui s’incontrò nel vecchio porto della città marchigiana? Il mistero si svela subito: quel georgiano dallo sguardo glaciale si chiamava Josif
Stalin. Il punto di congiunzione tra la storia e l’immaginazione lo offre un volume di Raffaele Salinari, “Stalin in Italia ovvero Bepi del giasso” ( che, tradotto, suona come “Giuseppe dal freddo”)– pubblicato a Bologna qualche anno fa, ma rimasto tagliato fuori dai circuiti di distribuzione nazionali e forse per questo poco conosciuto. Medico e docente universitario, Salinari ha voluto ricostruire un pezzo di storia italiana (e russa) della quale si è sempre saputo ben poco. Secondo le informazioni che Salinari ha raccolto, Stalin si sarebbe imbarcato in seguito ad una rapina ad un portavalori zarista. Per finanziare l’ala bolscevica del partito socialdemocratico operaio russo, Josif/Koba si dedicò agli assalti alle diligenze malgrado la pratica fosse stata disapprovata dalla dirigenza interna. Così Stalin, in fuga, passò da Ancona per raggiungere la Svizzera dove Lenin era in esilio e si mantenne come poteva. Del suo arrivo nel capoluogo marchigiano resterebbero due testimonianze: un articolo del Candido di Giovannino Guareschi del 1957 e una lapide commemorativa nell’albergo (il “Roma e Pace”,appunto) chiuso
ormai da qualche anno, i cui arredi sono stati acquistati da un anonimo collezionista, lapide inclusa. Nelle stanze ormai vuote di quel vecchio albergo hanno soggiornato altri personaggi importanti per la storia del nostro Paese: Luchino Visconti, membri di Casa Savoia e addirittura una coppia di amanti da gossip, come Benito Mussolini e l’ucraina Angelica Balabanoff. Dietro alle serrande abbassate e alle imposte chiuse pare proprio che il “Roma e Pace” conservi storie e misteri che aleggiando sulle sponde del Mediterraneo orientale. Che siano vere o presunte poco importa, perché in tempi dove tutto è a portata di smartphone, leggende e suggestioni ci restituiscono il piacere dell’immaginazione. E poi, diciamolo, il pericolo è passato e nessuno trema più davanti al minaccioso motto “adda venì Baffone”.
Marco Travaglini