redazione il torinese

A Milano l’Ice Club Torino trionfa con Raffaele Zich

Dopo i successi internazionali di Innsbruck della scorsa settimana ottenuti dalla coppia di artistico Contarino/Pauletti e dalla pattinatrice di singolo Anais Coraducci, l’Ice Club Torino ha conquistato, oggi, altre medaglie con i suoi pattinatori più giovani. Nella 2° Gara nazionale Elite, che si sta svolgendo all’Agorà di Milano, Raffaele Zich ha vinto una medaglia d’oro nella categoria Advanced Novice Boys, totalizzando il punteggio di 90,14.Il pattinatore torinese ha pattinato uno swing nel programma corto, mentre nel lungo ha gareggiato sul “Tango dell’Assassino”. Una bella medaglia di bronzo è stata conquistata da Francesca Prato nella categoria Advanced Novice Girls, con il punteggio di 82.42.La Prato è stata una delle poche atlete ad eseguire un salto triplo in gara. La pattinatrice dell’Ice Club Torino ha presentato un corto programma sulle musiche del film “La La Land”, mentre per il lungo ha interpretato musiche gitane.Entrambi i pattinatori sono allenati da Edoardo De Bernardis e Renata Lazzaroni.“E’ stato un inizio di stagione positivo – ha dichiarato la Presidente dell’Ice Club Torino Claudia Masoero – e i nostri atleti stanno ottenendo risultati decisamente positivi, in tutte le categorie, dimostrando impegno, grinta e carattere. Ci aspettano altre gare e speriamo altre soddisfazioni”.

BC 

PERNIGOTTI: VIGNALE- BOTTA VISITANO LO STABILIMENTO

“La Regione Piemonte utilizzi parte delle risorse a disposizione per dare una soluzione ai lavoratori Pernigotti”

Pochi giorni fa gli esponenti del Movimento Nazionale per la Sovranità Gian Luca Vignale e Marco Botta avevano dichiarato “Non vogliamo lasciare soli i dipendenti della storica fabbrica di cioccolatini e torroni e vogliamo garantire loro il nostro sostegno non solo nelle sedi amministrative ed istituzionali, ma anche fisicamente davanti allo stabilimento”. Promessa mantenuta, questa mattina si sono recati ai cancelli della Pernigotti per incontrare i lavoratori. “Ai lavoratori abbiamo espresso che la soluzione più concreta è dare attuazione dell’Ordine del Giorno da me proposto” spiega Vignale. “Solo sedendosi al tavolo con la proprietà turca, si potrà dare voce all’acquisizione del marchio da parte della Regione che potrà garantire di individuare un imprenditore che si occupi della produzione”. “L’augurio è che ora non si perda tempo prezioso e si proceda fattivamente con la salvaguardia della produzione, dei posti di lavoro e di un marchio storico del nostro territorio» dichiara Botta. “Va ricordato – proseguono – che, a seguito della trasformazione di Finpiemonte da banca a finanziaria, nelle casse della Regione ci sono 200 milioni di euro finalizzati al sostegno delle imprese, al mantenimento e alla creazione di posti di lavoro”.  Vignale conclude “senza indugio la Regione Piemonte utilizzi parte delle risorse a disposizione per dare una soluzione ai lavoratori Pernigotti e all’intero territorio novese”.  

 

IN 400 PER L’OTTAVA CORSA DEI ROTTAMI

La rottamazione è di moda in tutti gli ambiti ed è quanto mai attuale nella corsa, dove un po’ tutti “lamentano acciacchi” veri o presunti

Così il DL Gruppo Giudici Gare Torino lo ha preso come pretesto per organizzare da 8 anni un evento “La corsa dei rottami” e questa mattina al parco della Pellerina 400 runners, record della gara, si sono ritrovati per conquistare l’ambito attestato.Una corsa camminata di 7,2 km. per non prendersi troppo sul serio e per abbandonare velleità di agonismo e che ogni anno devolve l’intero ricavato per uno scopo benefico.Per il 2018 il DL GGG ha donato all’UGI, 4mila euro, il ricavato delle iscrizioni.Lo start è avvenuto alle 9,30 dalla bocciofila lato corso Appio Claudio e prima della partenza i giudici non hanno dovuto richiamare “i rottami” che sono partiti ordinatamente, altrimenti in caso contrario sarebbe intervenuto il “carro attrezzi”!Il primo a tagliare simbolicamente il traguardo è stato Darko Viel tesserato per la Durbano Gas Energy, che ha concluso la prova in 25’48”, mentre la prima donna è stata Elisa Picardi del Borgaretto in 30’08”.Numerosi premi a sorteggio per tutti e con gli attestati che sono andati a ruba e suddivisi su quattro categorie : fino a 39 anni Futuri Rottami, da 40 a 49 anni Quasi Rottami, da 50 a 59 anni Rottami e dai 60 e oltre, Rottami in stato avanzato.Non sono mancati neppure i riconoscimenti speciali, decisi all’unanimità dalla giuria, per i meriti acquisiti sul campo: con il diploma di miglior rottame dell’anno sono stati premiati per le rispettive categorie Bruna Vaccarino e Francesco Giglio.

Giovani attori dietro la macchina da presa, tra la tragedia della guerra e le disillusioni della vita

Sotto lo sguardo sorridente di Rita Heyworth, nella gran visibilità delle ciocche verdeblu da quest’anno sulla capigliatura rossoarancio della Emanuela Martini, con la benedizione della madrina Lucia Mascino, s’è inaugurata allora la 36ma edizione del Torino Film Festival

Le prime immagini sono quelle di The Front Runner di Jason Reitman, fluidamente ma altresì corposamente tratto dal libro All the Truth is out: the Week Politics Went Tabloid di Matt Bai, qui anche in veste di sceneggiatore, coadiuvato da Jay Carson. Non è soltanto il resoconto della parabola tutta in discesa di Gary Hart, senatore democratico dalle molte chances nella corsa alla Casa Bianca, alle Presidenziali dell’’88, ma pizzicato tra un discorso e l’altro in una relazione nata sul campo, fuori da un matrimonio costruito e lasciato intendere sui migliori principi, che gli avrebbe fatto perdere consensi e voti, riponendolo in un misero cono d’ombra da cui per anni non sarebbe riemerso: è soprattutto il ritratto, al di là della colpevolezza della scappatella, di certa carta stampata – per l’occasione, del Miami Herald che accese le micce -, di una informazione che dimentica tesi e propositi e volontà elettorali per scavare sempre più a fondo nella polvere del gossip, per farsi spettacolarizzazione, per assumere i contorni della più spoglia competizione sportiva. La storia si costruisce con dialoghi serrati, con le scene concitate che tendono alla distruzione dell’avversario, con le riunioni in redazione, con le tante piccole figure delineate con intelligenza e spirito, soprattutto il ritratto dolente e combattivo allo stesso tempo della signora Hart, interpretata da Vera Farmiga. In questo grande baraccone che sta dalla parte opposta del lavoro metodico di Tutti gli uomini del Presidente, notevole è la figura del candidato vista attraverso gli occhi di Hugh Jackman, estremamente solido, combattivo, consapevole.

Di tono minore, con una realizzazione e un tecnicismo che denunciano i difetti delle opere prime, il primo film passato in concorso, 53 Wars della polacca Ewa Bukowska, attrice di successo nel proprio paese per film e serie televisive, passata oggi dietro la macchina da presa. Basandosi su una storia vera, analizza la vicenda di una coppia, lei scrittrice a seguire dalle brevi, interrotte telefonate o dai reportage televisivi la vita di lui, cronista dai terreni di guerra, si chiamino Afganistan o Cecenia. Al centro una donna obbligata a morire giorno dopo giorno, nell’attesa di un ritorno o di quello squillo di telefono a comunicargli un decesso. È una morte temuta, forse a tratti immaginata, alla fine desiderata, sempre in un’attesa che giorno dopo giorno procura il vuoto intorno e quel vuoto inizia a inserirsi nel corpo, nei ricordi, nel cervello. In una pericolosa indecisione tra immaginazione e realtà. Nell’agguato continuo di quella sindrome post traumatica da stress che riempie le giornate di chi è tornato ma tortura altresì chi è rimasto a casa in attesa. Pur nella brevità della storia, la giovane regista fa compiere un percorso di dolore ad un intenso personaggio che ha i tratti sempre più sofferti e allucinati di Magdalena Poplawska, ma lo tratteggia al tempo stesso senza approfondire, per schegge e immagini a volte confuse, per inquadrature sghembe che reclamano l’affermazione dell’autrice ma che si risolvono soltanto per infastidire e creare anche il vuoto nell’ispirazione. I dialoghi centellinati, i visi e gli insiemi non a fuoco, il passato e il presente mescolati, il richiamo ad un’esplosione che coinvolge tutto e tutti, non aiutano affatto la linearità del racconto.

Al contrario, convince appieno Paul Dano, attore trentaquattrenne – lo abbiamo visto in Little Miss Sunshine, come figlio di Daniel Day-Lewis nel Petroliere, come attore deluso dalla professione e dal mondo hollywoodiano in Youth del nostro Sorrentino – con Wildlife, sua opera prima scritta con la collaborazione della compagna Zoe Kazan, nipote del mitico Elia. Il Montana dei primissimi anni Novanta, un piccolo paese tra mandrie e paesaggi sconfinati, una famiglia del più tranquillo ordinario, un padre (Jake Gyllenhaal) che lavora nel vicino circolo del golf, una madre casalinga (un’eccezionale Carey Mulligan) ed un ragazzo di quattordici anni, scuola pallone e partite con papà, i suoi occhi grandi a guardare il mondo che gli gira intorno. Una perfezione destinata a guastarsi. Lasciato a casa dal lavoro e troppo orgoglioso per riaccettarlo quando i responsabili ammettono l’errore di valutazione, il padre se ne va in montagna a spegnere i fuochi che sono divampati (Incendi è il titolo del romanzo di Richard Ford: e si capirà ben presto che quel fuoco che lambisce le foreste non è il solo a esplodere, quegli incendi colpiscono anche le persone e la vita), accettando anche la paga di un dollaro l’ora, mentre il ragazzo comincia a impegnarsi in uno studio fotografico e mamma a far da istruttrice in una piscina, entrambi a cercare di arrotondare con qualche quattrino in più. Mamma sogna una vita più felice e un vecchio signore con attività in proprio e casa quasi da sogno potrebbe fare al caso suo: ma il pompiere torna e prima o poi bisognerà fare i conti anche lui. È la summa delle disillusioni, la necessità di guardare al domani con occhio diverso, umanamente in via di distruzione: e quella fotografia entro cui il ragazzo tenta di ricompattare la propria famiglia, non lascia certo benevoli spiragli aperti, gli sguardi ormai spenti lasciano intendere quanto il disfacimento sia ormai totale. Lo stile di Dano affonda con piena maturità nel tranquillo andamento di un racconto che nasconde tragedie, lo sguardo che sorvola l’America rurale, affronta le ribellioni e il coraggio e distrugge il sogno americano. Ben raccontando, nell’interno del nido ormai definitivamente a pezzi come all’esterno, i suoi personaggi e le loro azioni, seguendoli da vicino, con la macchina da presa incollata addosso, a cominciare da Joe, il timido ragazzino, impersonato da Ed Oxenbould, muto testimone, un nome sui cui ci sarà da tenere gli occhi ben aperti.

Se vogliamo, in questo finale del primo sabato di festival, fare un salto nella sezione “Festa mobile”, diciamo di Pretenders di James Franco, che certo non può essere presente perché, ci avverte Emanuela Martini, “lavora molto”. E siamo felici per lui. Resta peraltro il fatto che tutto il divertimento, intelligente, causticamente ricostruttivo di un’operazione e di un’epoca, che ci aveva procurato lo scorso anno The disaster artist, ovvero la lavorazione del film che mai sia stato affatto ad opera di due amici e collaboratori (sullo schermo la coppia di fratelli Franco), con il film presentato quest’anno qui in prima mondiale se ne è andato un po’ in pappa. Lui lei e l’altro, un triangolo amoroso, da amour fou, tra uno scrittore/regista, un’attrice e un regista, un incontro all’insegna del cinema che dopo aver promesso citazioni per i cinefili si perde tra le lenzuola di questo o di quello, con un erotismo che per un attimo scombussola ma che poi rimette le cose a posto. Un incontro che si porta appresso amicizia e passioni, scambi repentini e scritture, fughe e inseguimenti, sentimenti e l’Aids che ti porta via (siamo a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta), un incontro che batte le strade americane e vola in Europa per parlarci di Nouvelle Vague con Godard e Anna Karina, di Truffaut e di Jules et Jim, con lei che corre sul ponte abbigliata come Jeanne Moreau, di Dreamers e dell’Ultimo tango e della Schneider che non parlò più con Bertolucci. Poi la storia sceglie di “chiacchierare” dell’ambiente del cinema e lo fa in maniera confusa, con psicologie stagnanti e personaggi alla fine non ben scolpiti, ripetitivi.

 

Elio Rabbione

 

 

 

Nelle foto: “The Front Runner” di Jason Reitman che ha inaugurato il TFF; “53 Wars” di Ewa Bukowska (polonia); Carey Mulligan e Jake Gyllanhaal in “Wildlife” di Paul Dano; gli interpreti di “Pretenders” con la regia di James Franco.

 

La strada del Fiammingo

Crea, con il suo Sacro Monte ed il Santuario, da secoli è un punto di riferimento per le genti non solo della Valcerrina (alla quale appartiene) come pure del Monferrato ma anche di un’area geografica molto più vasta
Non va dimenticato, infatti, il ruolo che ebbero alcune municipalità in passato, come ad esempio quelle di Vercelli o di Alessandria per il finanziamento nella fase di edificazione delle cappelle. E tra coloro che contribuirono alla nascita del Sacro Monte ci furono due fratelli giunti, sia pure in momenti diversi, dalla Fiandra, Jean e Nicolas de Wespin, detti Tabaguet, italianizzati Tabacchetti. A loro è dedicato il libro ‘La strada del Fiammingo. Dal Brabante al Monferrato: i Tabacchetti di Fiandra’, edito dal Centro Studi Piemontesi, lavoro di Graziella Riviera. L’avventura ha una data ed un luogo di inizio: Dinant-sur-Meuse, 8 luglio 1587. Orfano e privo di mezzi, armato solo di talento e di tenacia, Jean de Wespin, detto Tabaguet lascia a vent’anni il Brabante per venire in Italia, attraverso le Alpi. Questo è l’inizio di una lunga avventura che lo porterà (realmente) dalla Mosa al Po, al Monferrato ed alla Valsesia, sino a Crea e Varallo. Più tardi lo raggiungerà il fratello minore Nicolas. E Jean si rivelerà come uno dei più significativi artisti piemontesi, dovendo però affrontare le insidie di un difficile passaggio tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. I due fratelli protagonisti, conosciuti in Italia come Giovanni e Nicola Tabacchetti, attraversano le guerre di Fiandra e di Monferrato, vivono assedi, epidemie, conflitti religiosi. Nel loro percorso – a cavallo tra realtà ed immaginazione, descritte comunque sempre con dovizia di particolari e forte verosimiglianza storica – incontrato Margot, regina di Navarra, sfiorano la visita a Varallo di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, con l’Infanta Catalina Micaela e il viaggio nuziale sul Po della loro figlia Margherita, sposa di Francesco Gonzaga di Mantova, matrimonio da cui deriveranno le mire e le aspirazioni dei Duchi sul Monferrato che coroneranno con la sua annessione un secolo dopo, nel 1708, dopo la morte di Ferdinando Carlo, ultimo Gonzaga, e l’ufficializzazione con il Trattato di Utrecht del 1713 che, ponendo fine alla guerra di successione al trono di Spagna, portò ai Savoia la corona regia.
I due Tabacchetti, poi, firmano contratti con Priori e Canonici, si immergono nella vita quotidiana di cantieri e mercati. In parallelo c’è una figura femminile, la piccola Theodora Caccia, figlia del pittore Guglielmo Caccia detto ‘Il Moncalvo’, futura monaca – pittrice lei stessa con il nome di Orsola e sensibile interprete della fede sul territorio. A lei tra l’altro, l’autrice ha dedicato un ampio ultimo capitolo del libro. Sullo sfondo ci sono i Sacri Monti, ma anche il Monferrato nel non facile periodo che attraversava con tanti riferimenti a Crea, Salabue, Moncalvo, Casale (diventato poi ‘quel maledetto Casale’ di manzoniana memoria nelle immortali pagine dei Promessi Sposi). Il testo è arricchito dalle tavole genealogiche dei Tabacchetti e dei Savoia, da una cronologia ragionata che compara le vicende storiche della famiglia Tabacchetti e del periodo storico e da una ricca bibliografica che è spunto per ulteriori approfondimenti.L’autrice, Graziella Riviera, torinese di origini monferrine, ha lavorato alla Rai come autrice e regista realizzando programmi televisivi e radiofonici, come i telefilm ‘Lunedì dell’Angelo’, ‘Un sogno a Colonia’, gli sceneggiati ‘Guido Gozzano’ e ‘La Signora dei Misteri’ su Carolina Invernizio ed il pluriennale programma in diretta ‘Colloqui’ per Radiodue.
MASSIMO IARETTI

 

Juve-Spal, cori contro Napoli e Firenze

Juventus-Spal finisce 2-0 nel secondo anticipo di sabato  della 13/a giornata della  serie A. I bianconeri vincono con i gol  al 29′ del primo tempo di Cristiano Ronaldo e al 15′ del secondo di Mandzukic. Dopo la vittoria di  12 partite giocate su 13, la Juve viaggia a 37 punti  (+9 sul Napoli che gioca oggi). Dalla curva sud dell’Allianz Stadium si sono levati cori contro Napoli e Firenze. Gli ultrà bianconeri hanno intonato slogan  contro i napoletani e soprattutto  contro i fiorentini.

(foto archivio C. Benedetto www.fotoegrafico.net)

Europei troppo diversi per l’unione?

Fondazione Collegio Carlo Alberto Piazza Arbarello 8 – Torino

Lezione di Onorato Castellino

Guido Tabellini
Università Bocconi

“Gli europei sono troppo diversi tra loro per costruire un’unione politica?”

Introduce

Elsa Fornero

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A cura di Università di Torino e CeRP – Fondazione Collegio Carlo Alberto

Guido Tabellini è professore di economia presso l’Università  Bocconi dal 1994. Dal luglio 2013 è titolare dell’Intesa Sanpaolo Chair in Political Economics.

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Confermare la partecipazione a:
https://lezioneonoratocastellino.eventbrite.it

Reflections & Distortions

Al Gaggenau Hub di Milano va in mostra il “caos postmoderno” dell’artista polacca Maria Wasilewska

Sculture ardimentose. E concettualmente pretenziose. In acciaio e legno. Alle spalle una grande artigianale manualità, “nobilitata” da un intuito artistico che segna la strada verso opere di indubbia armonia e calibrata creatività. Sono sei le sculture inedite site-specific portate in mostra da Maria Wasilewska, che vive a Cracovia ed é fra le artiste polacche più note sulla scena dell’arte contemporanea internazionale, al Gaggenau Hub di corso Magenta, a Milano. L’esposizione, organizzata in occasione del centenario dell’indipendenza della Polonia (1918-

20018), e che per questo gode del patrocinio e del supporto del Consolato generale della Repubblica Polacca, è curata da Sabino Maria Frassà e chiude (dopo le rassegne dedicate a Francesca Piovesan, a Franco Mazzucchelli e a Ivan Barlafante) il ciclo artistico “On Reflection”, promosso dal brand di design Gaggenau e dal progetto non profit Cramum, che dal 2012 sostiene eventi e iniziative artistico-culturali in Italia e all’estero, con particolare attenzione al lavoro e alla creatività degli artisti più giovani. Sotto il titolo di “Reflections & Distorsions” – titolo che la dice tutta sugli effetti compositivi e sul significato concettuale delle opere – la personale meneghina della Wasilewska completa un lungo e ambizioso progetto avviato proprio a Milano nel 2014 attraverso la mostra “Distortions” tenuta da “Amy D Arte Spazio”, galleria che rappresenta l’artista in Italia. Allora ed oggi, l’artista si “arrovella” e si cimenta con esiti estetici assolutamente avvincenti intorno al tema fil rouge della “distorsione nel riflesso”. Noi tutti “viviamo in un caos postmoderno”, sostiene Maria Wasilewska, e l’arte non può far altro che rappresentare “le ‘distorsioni’ e la deformità della realtà in cui viviamo e che si nasconde dietro un ordine di facciata”. “Maggiore è la presenza di ‘distorsioni’ mediante movimenti, riflessi e altre inferenze, maggiore – secondo l’artista – sarà la possibilità che ci distacchiamo dall’ossessione di interpretare e razionalizzare la realtà e tutto ciò che ci circonda”. Ecco allora i “mostri informi” che osserviamo nel riflesso delle sue sculture. In merito alle quali, scrive il curatore della mostra Frassà: “Le opere – apparentemente algide e perfette – ricercano la deformità nel riflesso come unico modo di rappresentare noi e la realtà. Lo spettatore si trova così di fronte all’opera perso, deforme e moltiplicato…uno, nessuno e centomila”. L’opera tramanda bellezza, perfezione creativa. Suggestioni poetiche. Senza mai regalare scontate risposte. Non può. E non è questo il suo compito. Ci ricorda solo, e ancora una volta, che “l’unica certezza che l’uomo contemporaneo può avere è il ‘so di non sapere’ o addirittura il ‘so di non poter sapere’”.

Gianni Milani

 

“Reflections & Distorsions”

Gaggenau DesignElementi Hub, corso Magenta 2, Milano, tel. 02/29015250

Dal 15 novembre 2018 al 13 gennaio 2019

Orari: solo su appuntamento, 10/18,30

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Nelle foto:

– Sculture “Senza titolo” (dal ciclo “Reflections & Distortions”), legno e acciaio, 2018
– Maria Wasilewska al lavoro

GREENPEACE ORGANIZZA LA SECONDA EDIZIONE DI MAKE SOMETHING WEEK

UNA SETTIMANA DI EVENTI IN TUTTO IL MONDO PER PROPORRE UN’ALTERNATIVA AL CONSUMISMO NATALIZIO

 

I volontari del gruppo locale di Greenpeace organizzeranno a Torino, domenica 2 dicembre, presso la Casa Dell’Ambiente, una giornata da passare [ri]scoprendo creatività, manualità, impegno per l’ambiente, cura per il prossimo… attraverso presentazioni e laboratori pratici, per tutti e tutte. L’ingresso sarà libero e gratuito, l’orario 10-19.In particolare, ci saranno laboratori di sartoria creativa per tutte le età, un tavolo-riparazioni per dispositivi elettronici, incontri con realtà che si occupano di cibo a livello sociale, una lezione di fitness “alternativa”… Fra i collaboratori: Cuci Chiara, Hyaena Design, Straset, Manùc Atelier, Food Not Bombs, PaneUrbano, Restarters Torino, Massimo Andriani.

 

Questa iniziativa si inserisce nell’ambito della seconda edizione di Make Something Week, una settimana di eventi-laboratorio gratuiti promossa da Greenpeace in tutto il mondo dal 23 novembre al 2 dicembre dove, guidati da creativi e professionisti del settore, i partecipanti impareranno a riparare, riciclare, riutilizzare e dare nuova vita ad oggetti inutilizzati e destinati ad essere gettati via, tramite il fai-da-te e l’autoproduzione. Quest’anno tantissimi gli eventi organizzati in tutta Italia, da Torino a Milano, Roma, Palermo… solo per citare alcune città.

 

Nell’ambito della Make Something Week rientra anche l’evento organizzato dal FabLab torinese che, per aderire all’iniziativa, ha organizzato per giovedì 29 novembre un workshop gratuito e aperto a tutti, presso la sua sede di via Egeo 16 a Torino.  Il protagonista dell’attività sarà uno degli alimenti che consumiamo con maggior frequenza nella vita quotidiana: il caffè. Si rifletterà sull’utilizzo sempre maggiore di macchine per l’espresso e in particolare delle capsule, rifiuti non differenziabili che produciamo in grande quantità senza riflettere sull’impatto che possono avere sull’ambiente. Con appositi strumenti stampati in 3D è possibile ovviare al problema, separando l’alluminio dalla plastica. I fondi di caffè così raccolti verranno “cucinati” insieme ad altri ingredienti naturali per produrre un impasto modellabile, che verrà trasformato in pezzi unici di vasellame 100% biodegradabile.

 

Make Something Week si propone di sfidare il modello irrazionale di consumo e superare la cultura dell’usa e getta in occasione del Black Friday e a ridosso delle festività natalizie e di fine anno, quando più che mai le persone sono spinte all’acquisto di oggetti che spesso restano inutilizzati o gettati via, producendo rifiuti e inquinamento. “Siamo stati indotti a pensare che la felicità provenga da ciò che compriamo, mentre sappiamo che la vera felicità viene da ciò che riusciamo a creare” dichiara Giorgia Monti, responsabile della Make Something Week in Italia. “Con questa settimana di eventi vogliamo far riscoprire alle persone la bellezza di creare insieme e dare nuova vita a quello che già abbiamo, superando lo shopping tradizionale.”

 

Grazie al lavoro dei tantissimi artisti coinvolti, quest’anno in Italia l’iniziativa lancia una sfida all’uso della plastica monouso, promuovendo tra le persone la condivisione di soluzioni e alternative creative all’uso irrazionale di quest’ultima.