redazione il torinese

Farhad Bitani: “Pessimismo per il futuro dell’Afghanistan”

FOCUS INTERNAZIONALE     di Filippo Re

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L’Afghanistan ricadrà nella guerra civile, come già avvenuto in passato. Gli afghani non vogliono i talebani che hanno distrutto la popolazione per troppi anni e oggi sono più violenti di prima. Gli americani si ritirano perchè hanno perso la guerra già da tempo. Farhad Bitani, ex ufficiale dell’esercito afghano, condanna l’estremismo islamico e i talebani che in Afghanistan ha combattuto per anni rimanendo anche ferito in combattimento. Ma non è ottimista sul futuro del suo Paese. Dopo aver lasciato l’esercito si è trasferito in Italia come rifugiato politico. Ha raccontato la sua vita nel libro “L’ultimo lenzuolo bianco, l’inferno e il cuore dell’Afghanistan” in cui descrive gli eventi del suo Paese negli ultimi trent’anni. Farhad è oggi un mediatore culturale, un “volontario per la pace”, una persona che combatte la violenza nel mondo per cercare la verità.

D Farhad Bitani, se gli americani si ritirano davvero dall’Afghanistan i Talebani torneranno al potere a Kabul e con loro il burqa e il Medioevo? L’intesa talebani-americani per il ritiro delle truppe sembra vicina, come vede la situazione?

R Qualora gli americani dovessero ritirarsi dall’Afghanistan scoppierà una guerra civile non solo a Kabul ma in tutto il Paese, perché i talebani non sono accettati dai cittadini afgani. Il popolo afgano sotto il loro regime ha subito tutte le violenze inimmaginabili (anche se ci si sforza di capire non si sarà mai in grado di concepirlo fino in fondo perché solo chi subisce ti può realmente capire) e una disumanità allarmante. I talebani non hanno più una posizione stabile, dopo il 2001 si sono frammentati in tre fazioni diverse, diventando mercenari per interessi economici. Gli americani hanno perso la guerra in Afghanistan già da tempo, il rapporto con i mujahidin nell’ultimo periodo si è interrotto; addirittura l’uomo più fedele degli americani, l’ex presidente afgano Hamid Karzai, ha stretto amicizia con i russi andando contro gli interessi americani e la loro presenza in Afghanistan. L’unica possibilità rimasta agli americani è quella di trovare un accordo con i talebani legittimando così l’uscita delle truppe americane come segno di “pace”, coprendo così la loro perdita in Afghanistan.

D I talebani sono proprio diversi da quelli di ieri, come sostengono gli americani? C’è da fidarsi di loro o sono peggio di prima?

R I talebani sono un gruppo di integralisti creati dai servizi segreti del Pakistan, l’ISI, con l’appoggio economico dell’Arabia Saudita per non dare mai stabilità e pace al territorio afgano. Come ben si sa l’Afghanistan strategicamente è un Paese importantissimo. Non avere la pace in Afghanistan significa dare una sicurezza ai Paesi in guerra fredda tra loro, come Arabia Saudita-Iran, Pakistan-India, America-Russia, Iran-Israele. L’Afghanistan è diventato una sorta di campo di calcio per queste potenze internazionali che inizialmente hanno usato i mujahidin e ora utilizzano i talebani diventando una ruota che gira nello stesso verso da anni, un ciclo che si ripete più volte. Attualmente i talebani sono diventati più crudeli di prima, perché a differenza del passato dove c’era un unico leader, il Mullah-Omar, ora ci sono molti leader ognuno dei quali cerca di tirare acqua al proprio mulino per interessi economici.

D Ci sono i talebani, c’è l’Isis, c’è un esercito incapace di difendersi….si aprono scenari inquietanti per l’Afghanistan, c’è il rischio di una nuova guerra civile?
R Dobbiamo ricordare che oltre allo scontro tra la popolazione civile e i talebani è in corso anche la guerra tra i talebani e l’Isis. L’Isis non è un rischio grande per l’Afghanistan perché non proviene dalla popolazione afgana, non potrà mai vincere in quanto non sono afgani e non conoscono bene il nostro territorio e ciò che riserva. Dal punto di vista culturale gli afgani non accetteranno mai il comando da persone straniere.

D Negli anni Novanta lei era in Afghanistan. Cosa voleva dire vivere sotto l l’oppressione dei talebani? Forse è bene ricordarlo..

R Come si evince dalla descrizione fatta nel mio libro “L’ultimo lenzuolo bianco”, vivere sotto il regime talebano significa passare le notti al buio, avere un cielo senza stelle. Crescere nel regime talebano significa tornare al Medioevo, dove la violenza faceva parte della tua vita, era all’ordine del giorno: attraverso i propri occhi si assisteva a vere e proprie esecuzioni (era una fortuna non avere la propria testa tagliata), donne picchiate se passeggiavano da sole. Le scuole normali vengono eliminate a favore di scuole coraniche dove viene insegnato ciò che faceva più comodo a loro, ossia l’odio e la violenza verso gli occidentali. L’uomo perde la propria identità vivendo nel nulla sotto questo terribile regime.

D Lei era costretto a imparare a memoria il Corano, poi qualcosa è cambiato fino alla decisione di abbandonare la carriera militare…
R La lingua madre della maggior parte del mondo musulmano non è quella araba. Come ben si sa la lingua del sacro libro è l’arabo. In Afghanistan, in cui la lingua predominante è quella del pashtu e dari, non avevamo il diritto di imparare la lingua araba. Da piccoli venivamo costretti a memorizzare le sure del Corano in arabo e ci veniva data una spiegazione fasulla del suo contenuto, facendoci credere che la violenza che usiamo è dettata dal sacro libro e che l’uccisione degli infedeli ci avrebbe garantito una vita migliore nell’aldilà. E’ attraverso l’incontro con il diverso che è nata in me la voglia di scoprire la verità che si è rivelata completamente opposta a ciò che ci facevano credere.

D E’ cambiato qualcosa negli ultimi 20 anni nel suo Paese? Ci sono stati concreti miglioramenti per la società afghana?

R Nonostante tutti i soldi impiegati per l’Afghanistan, i cambiamenti sono stati pochissimi se non addirittura nulli. L’unico miglioramento che si può constatare è l’uscita dall’epoca del Medioevo per vedere al di fuori della nostra porta il resto del mondo, ossia l’Occidente. E’ stata data la possibilità ai giovani come me di riflettere e conoscere la realtà del diverso. C’è ancora moltissimo lavoro da fare per l’Afghanistan, un Paese che soffre la guerra da circa 40 anni, dando i soldi non come sempre ai potenti e ai gruppi armati ma alla gente che ha realmente bisogno, attraverso la costruzione di scuole per educare i bambini e attraverso un insegnamento culturale, non solo il proprio ma anche quello altrui da cui si può imparare moltissimo.

D Che futuro vede per i giovani e le donne. C’è molta preoccupazione soprattutto tra le donne, se la situazione dovesse peggiorare…

R Se la situazione dovesse peggiorare a pagarne il prezzo saranno in primis le donne e i bambini. La situazione tornerà come lo era sotto il regime dei talebani se non peggio. Le donne pian piano stanno cercando di riacquisire la propria libertà e di conseguenza la libertà di educare in modo sano i propri figli. Il ritorno sotto ai talebani significa togliere anche questa piccola speranza. I giovani non avranno più un futuro se non un retrocedere al passato, sarà una continua regressione del Paese.

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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Farhad Bitani: "Pessimismo per il futuro dell'Afghanistan"

FOCUS INTERNAZIONALE     di Filippo Re
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L’Afghanistan ricadrà nella guerra civile, come già avvenuto in passato. Gli afghani non vogliono i talebani che hanno distrutto la popolazione per troppi anni e oggi sono più violenti di prima. Gli americani si ritirano perchè hanno perso la guerra già da tempo. Farhad Bitani, ex ufficiale dell’esercito afghano, condanna l’estremismo islamico e i talebani che in Afghanistan ha combattuto per anni rimanendo anche ferito in combattimento. Ma non è ottimista sul futuro del suo Paese. Dopo aver lasciato l’esercito si è trasferito in Italia come rifugiato politico. Ha raccontato la sua vita nel libro “L’ultimo lenzuolo bianco, l’inferno e il cuore dell’Afghanistan” in cui descrive gli eventi del suo Paese negli ultimi trent’anni. Farhad è oggi un mediatore culturale, un “volontario per la pace”, una persona che combatte la violenza nel mondo per cercare la verità.
D Farhad Bitani, se gli americani si ritirano davvero dall’Afghanistan i Talebani torneranno al potere a Kabul e con loro il burqa e il Medioevo? L’intesa talebani-americani per il ritiro delle truppe sembra vicina, come vede la situazione?
R Qualora gli americani dovessero ritirarsi dall’Afghanistan scoppierà una guerra civile non solo a Kabul ma in tutto il Paese, perché i talebani non sono accettati dai cittadini afgani. Il popolo afgano sotto il loro regime ha subito tutte le violenze inimmaginabili (anche se ci si sforza di capire non si sarà mai in grado di concepirlo fino in fondo perché solo chi subisce ti può realmente capire) e una disumanità allarmante. I talebani non hanno più una posizione stabile, dopo il 2001 si sono frammentati in tre fazioni diverse, diventando mercenari per interessi economici. Gli americani hanno perso la guerra in Afghanistan già da tempo, il rapporto con i mujahidin nell’ultimo periodo si è interrotto; addirittura l’uomo più fedele degli americani, l’ex presidente afgano Hamid Karzai, ha stretto amicizia con i russi andando contro gli interessi americani e la loro presenza in Afghanistan. L’unica possibilità rimasta agli americani è quella di trovare un accordo con i talebani legittimando così l’uscita delle truppe americane come segno di “pace”, coprendo così la loro perdita in Afghanistan.
D I talebani sono proprio diversi da quelli di ieri, come sostengono gli americani? C’è da fidarsi di loro o sono peggio di prima?
R I talebani sono un gruppo di integralisti creati dai servizi segreti del Pakistan, l’ISI, con l’appoggio economico dell’Arabia Saudita per non dare mai stabilità e pace al territorio afgano. Come ben si sa l’Afghanistan strategicamente è un Paese importantissimo. Non avere la pace in Afghanistan significa dare una sicurezza ai Paesi in guerra fredda tra loro, come Arabia Saudita-Iran, Pakistan-India, America-Russia, Iran-Israele. L’Afghanistan è diventato una sorta di campo di calcio per queste potenze internazionali che inizialmente hanno usato i mujahidin e ora utilizzano i talebani diventando una ruota che gira nello stesso verso da anni, un ciclo che si ripete più volte. Attualmente i talebani sono diventati più crudeli di prima, perché a differenza del passato dove c’era un unico leader, il Mullah-Omar, ora ci sono molti leader ognuno dei quali cerca di tirare acqua al proprio mulino per interessi economici.
D Ci sono i talebani, c’è l’Isis, c’è un esercito incapace di difendersi….si aprono scenari inquietanti per l’Afghanistan, c’è il rischio di una nuova guerra civile?
R Dobbiamo ricordare che oltre allo scontro tra la popolazione civile e i talebani è in corso anche la guerra tra i talebani e l’Isis. L’Isis non è un rischio grande per l’Afghanistan perché non proviene dalla popolazione afgana, non potrà mai vincere in quanto non sono afgani e non conoscono bene il nostro territorio e ciò che riserva. Dal punto di vista culturale gli afgani non accetteranno mai il comando da persone straniere.
D Negli anni Novanta lei era in Afghanistan. Cosa voleva dire vivere sotto l l’oppressione dei talebani? Forse è bene ricordarlo..
R Come si evince dalla descrizione fatta nel mio libro “L’ultimo lenzuolo bianco”, vivere sotto il regime talebano significa passare le notti al buio, avere un cielo senza stelle. Crescere nel regime talebano significa tornare al Medioevo, dove la violenza faceva parte della tua vita, era all’ordine del giorno: attraverso i propri occhi si assisteva a vere e proprie esecuzioni (era una fortuna non avere la propria testa tagliata), donne picchiate se passeggiavano da sole. Le scuole normali vengono eliminate a favore di scuole coraniche dove viene insegnato ciò che faceva più comodo a loro, ossia l’odio e la violenza verso gli occidentali. L’uomo perde la propria identità vivendo nel nulla sotto questo terribile regime.
D Lei era costretto a imparare a memoria il Corano, poi qualcosa è cambiato fino alla decisione di abbandonare la carriera militare…
R La lingua madre della maggior parte del mondo musulmano non è quella araba. Come ben si sa la lingua del sacro libro è l’arabo. In Afghanistan, in cui la lingua predominante è quella del pashtu e dari, non avevamo il diritto di imparare la lingua araba. Da piccoli venivamo costretti a memorizzare le sure del Corano in arabo e ci veniva data una spiegazione fasulla del suo contenuto, facendoci credere che la violenza che usiamo è dettata dal sacro libro e che l’uccisione degli infedeli ci avrebbe garantito una vita migliore nell’aldilà. E’ attraverso l’incontro con il diverso che è nata in me la voglia di scoprire la verità che si è rivelata completamente opposta a ciò che ci facevano credere.
D E’ cambiato qualcosa negli ultimi 20 anni nel suo Paese? Ci sono stati concreti miglioramenti per la società afghana?
R Nonostante tutti i soldi impiegati per l’Afghanistan, i cambiamenti sono stati pochissimi se non addirittura nulli. L’unico miglioramento che si può constatare è l’uscita dall’epoca del Medioevo per vedere al di fuori della nostra porta il resto del mondo, ossia l’Occidente. E’ stata data la possibilità ai giovani come me di riflettere e conoscere la realtà del diverso. C’è ancora moltissimo lavoro da fare per l’Afghanistan, un Paese che soffre la guerra da circa 40 anni, dando i soldi non come sempre ai potenti e ai gruppi armati ma alla gente che ha realmente bisogno, attraverso la costruzione di scuole per educare i bambini e attraverso un insegnamento culturale, non solo il proprio ma anche quello altrui da cui si può imparare moltissimo.
D Che futuro vede per i giovani e le donne. C’è molta preoccupazione soprattutto tra le donne, se la situazione dovesse peggiorare…
R Se la situazione dovesse peggiorare a pagarne il prezzo saranno in primis le donne e i bambini. La situazione tornerà come lo era sotto il regime dei talebani se non peggio. Le donne pian piano stanno cercando di riacquisire la propria libertà e di conseguenza la libertà di educare in modo sano i propri figli. Il ritorno sotto ai talebani significa togliere anche questa piccola speranza. I giovani non avranno più un futuro se non un retrocedere al passato, sarà una continua regressione del Paese.
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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Un abbraccio alle mamme in difficoltà

Un anno fa partiva il progetto di solidarietà nato dalla sinergia tra la storica associazione torinese e la cooperativa lattiero-casearia: aiutati già 80 nuclei mamma-bimbo e distribuiti 6.880 pacchi spesa a base di prodotti freschi. Obiettivo principale: garantire un’alimentazione sana anche in condizioni di povertà

 

La macchia ‘allegra’ impressa sulle confezioni del latte è diventata ormai familiare a tanti torinesi che ormai, oltre al simbolo, hanno imparato anche a conoscere il progetto di solidarietà che c’è dietro. D’altra parte Don Ciotti, nel tenerlo a battesimo, lo definì ‘un marchio che parla, che dà voce a chi è ai margini’. Compie un anno in questi giorni Abbraccia una Mamma, iniziativa nata dalla sinergia tra l’Associazione Gruppo Abele e Abit, consorzio cooperativo lattiero caseario che fa capo a Trevalli Cooperlat. Le due realtà hanno messo a sistema le rispettive forze e vocazioni per offrire un aiuto concreto a mamme che vivono situazioni di vulnerabilità e disagio economico: nel corso del 2018 sono stati inclusi nel progetto 80 i nuclei mamma-bambino che ogni settimana hanno potuto beneficiare di un pacco spesa consistente in prodotti lattiero-caseari freschi, per un totale di 6.880 pacchi distribuiti. Le realtà che hanno ricevuto i pacchi e che continueranno a beneficiare di questo progetto sono: la Drophouse, centro diurno per donne in condizioni di vulnerabilità, la comunità famiglie Il Filo d’Erba, la comunità genitore-figlio, che accoglie donne con minori in uscita da percorsi di violenza, le attività di Genitori e Figli, progetto che mira a creare spazi di incontro e di sostegno tra famiglie, e quindi Progetto Mamma+, madri sieropositive con i loro figli nel primo anno di vita che vivono condizioni di disagio socio-economico. Quello di cui stiamo parlando non è solo un freddo numero – specifica Beatrice Scolfaro, vicepresidente del Gruppo Abelema un indice umano che ci parla di una società indebolita e sfibrata dalle difficoltà, fatta di individui cui spesso manca tutto, finanche le basi della sopravvivenza“. Ed in effetti l’obiettivo del progetto non è solo rispondere ad alcune esigenze essenziali, ma anche garantire un’alimentazione quanto più sana possibile, spezzando l’assioma secondo cui a un tasso maggiore di povertà debba coincidere un’inferiore qualità del cibo. “L’alimentazione è un diritto essenziale. Mangiare e mangiare sano è ciò che assicura la base per una vita più degna di questo nome“, la chiosa di Scolfaro.  Abbraccia una mamma ha una durata triennale e, oltre alla distribuzione di prodotti lattiero caseari di prima necessità, tende anche all’attuazione di iniziative di formazione professionalizzanti e di educazione alimentare. In questo primo anno sono stati anche realizzati bagnetti per bambini presso la sede del Gruppo Abele e allestita una sala merenda con tavolini e seggioline a misura dei più piccoli. “Veniamo dal mondo e dalla cultura contadina: cooperazione, solidarietà e responsabilità sociale sono valori che rientrano nel nostro dna di impresa commenta Paolo Fabiani, vicepresidente Trevalli CooperlatVogliamo mettere a disposizione dei territori in cui operiamo la nostra esperienza e competenza, dando un contributo per la crescita, anche sociale, delle nostre comunità. In questa direzione va anche il nostro sostegno all’iniziativa La Fattoria in fabbrica, prevista il 29 e 30 marzo prossimi, dove offriremo una merenda a tutti i partecipanti e porteremo alcuni animali delle nostre fattorie“.

Donne vittime di violenza, a Moncalieri  uno sportello informativo

L’assessora ai Diritti Civili, Monica Cerutti, è intervenuta ieri p all’inaugurazione dello sportello informativo per donne in difficoltà, presso il centro Polifunzionale P.G. Ferrero, in via Santa Maria 27, a Moncalieri

Si tratta di uno dei dieci sportelli finanziati da un bando della Regione e che va a rafforzare la rete contro la violenza sulle donne. Oltre all’apertura di questi punti d’ascolto, apriranno in Piemonte anche nuovi quattro centri antiviolenza (così dai sedici attuali, entro fine 2019 si salirà a venti). Nel caso dello sportello di Moncalieri la beneficiaria dei fondi è stata l’Arci Valle di Susa che ha presentato il progetto.  Il nuovo punto di ascolto riceverà le donne il mercoledì dalle 15 alle 18, senza appuntamento. Queste potranno recarsi di persona o telefonare al numero 3371082919. Gli addetti effettueranno un primo ascolto. Poi assegneranno la donna maltrattata a un’operatrice che seguirà il suo caso. L’apertura di questo sportello consentirà di creare  una sorta di ponte di collegamento tra le vittime e il centro antiviolenza più vicino. “Non solo, – afferma l’assessora – con questo nuovo punto informativo, e con quello complementare di Nichelino, andiamo a coprire un’area significativa della zona sud dell’area metropolitana che prima era priva di servizi di questo tipo. Stiamo colmando così una lacuna. Moncalieri è un centro importante e siamo felici di poter collaborare su un tema così delicato con l’Arci Valle di Susa e con l’amministrazione comunale che si è dimostrata sensibile al problema. L’unione delle istituzioni e della società civile rende la comunità più forte nel contrasto a una piaga sociale terribile come la violenza di genere”. Oltre alle forze dell’ordine, proprio per sottolineare l’importanza del momento, hanno partecipato all’inaugurazione anche diversi amministratori locali. Oltre alle assessore del comune di Moncalieri, Laura Pompeo e Silvia di Crescenzo, c’erano il sindaco di La Loggia, Domenico Romano, il sindaco di Trofarello Gian Franco Visca e l’assessora di Nichelino Gabriella Ramello.

 

Contro la povertà educativa minorile

Martedì 19 febbraio, alle ore 10, presso il Salone d’Onore della Fondazione CRT (via XX Settembre 31, Torino) si terrà l’evento “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile: i progetti per il Piemonte sostenuti dalle Fondazioni”, organizzato dall’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte, in collaborazione con ACRI. Interverranno Giovanni Quaglia, Presidente Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e Presidente Fondazione CRT; Giorgio Righetti, Direttore Generale ACRI; Francesco Profumo, Vice Presidente Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e Presidente Compagnia di San Paolo; Giandomenico Genta, Vice Presidente Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e Presidente Fondazione CRC; Carlo Borgomeo, Presidente “Con i bambini – impresa sociale”. L’evento sarà trasmesso in diretta streaming su www.fondazionibancariepiemonte.it

Quando il cibo ispira la narrazione

In concomitanza con la Mostra “Gulp!Goal! Ciak!. Cinema e Fumetti/Calcio e Fumetti” (Museo Nazionale del Cinema e Juventus Museum), il ristorante Les Petites Madeleines del Turin Palace Hotel propone un percorso improntato al food storytelling che abbina alcuni piatti della Carta a fumetti che scelgono le portate a loro interpreti

Obiettivi: coinvolgere il palato in suggestioni che vanno oltre l’assaggio, promuovere nuove formule di contaminazione cucina-ospitalità-cultura e contribuire alla valorizzazione di iniziative cittadine di valore artistico

Multisensorialità, esperienzialità e contaminazione: da queste premesse prosegue il percorso di sperimentazione di Les Petites Madeleines che inaugura il 2019 con un progetto che fa dialogare cibo, narrazione ed arte contestualizzandoli nell’ambiente cittadino in cui la struttura si trova. Nel nome del forte legame con Torino e della valorizzazione della cultura, in occasione della Mostra “Gulp!Goal! Ciak!. Cinema e Fumetti/Calcio e Fumetti” (Museo Nazionale del Cinema e Juventus Museum – 9 Febbraio/20 Maggio), nasce “Food&Comics: quando il cibo ispira la narrazione” in cui quattro delle proposte gourmet della Carta del ristorante del Turin Palace Hotel sono interpretate dalla mano creativa di alcuni talenti del panorama fumettistico italiano. Il cibo diventa così pretesto per immergersi in storie fatte di disegni ed immagini, tra onirismo e visionarietà, con lo scopo di stimolare tutti i sensi e di dare corpo ad una nuova dimensione gourmand.

L’esperienza: oltre l’immagine

Quattro piatti – “Insalata Russa, ventresca di tonno sott’olio, cialda di lievito madre”, “Spaghetto Antico Pastificio Fabbri al pomodoro”, “Trota, spugnola e angostura” e “Ganache al cioccolato fondente e praline di nocciola” – si fanno interpreti dell’estro di 4 illustratori (Ariel Vittori, Maurizio Rosenzweig, Giulia Argani e Sergio Gerasi) chiamati a realizzare altrettante tavole grafiche sulla base di 4 tracce “immaginate” dallo scrittore e sceneggiatore Giorgio Salati. Ciascuna opera, permettendo di decontestualizzare ogni portata dal suo ruolo, guida il commensale in un viaggio in cui il cibo diviene strumento di evocazione ed occasione di narrazione: attraverso una rivisitazione inattesa del valore degli ingredienti che compongono il piatto, il food storytelling, supportato dal segno grafico, apre così nuove strade alle emozioni.

All’ospite che sceglierà di assaggiare uno o più proposte dell’esperienza “Food&Comics”, identificate da un menù specifico inserito nella Carta del Ristorante, verrà inoltre consegnato un libretto con i 4 fumetti accompagnati dal commento degli autori e da un approfondimento sui singoli piatti. Un segnale tangibile dell’esperienza vissuta sarà, per l’intera durata della Mostra, l’esposizione a Les Petites Madeleines delle tavole originali che potranno anche essere acquistate dagli amanti del fumetto o da quanti se ne appassioneranno.

Sodalizi di eccellenze: il valore del contesto

“Food&Comics” è però molto più di una iniziativa nata dalla sensibilità e dal desiderio di sperimentazione del Turin Palace Hotel e de Les Petites Madeleines, è parte di un mosaico più ampio che fa di Torino il suo baricentro e della valorizzazione delle iniziative di cui è protagonista il suo obiettivo. “Concorrere a dare risalto anche ad alcuni progetti che animano la nostra città e il territorio attraverso iniziative che elaboriamo appositamente per diventarne un ulteriore canale di risonanza – conferma Piero Marzot, Direttore del Turin Palace Hotel – rappresenta appieno la nostra filosofia tesa a coinvolgere l’ospite oltre l’usuale accoglienza, invitandolo a intraprendere nuovi percorsi frutto di molteplici contaminazioni centrate sulla sollecitazione dei sensi. “Food & Comics” è infatti solo l’ultima delle nostre proposte realizzate in questa direzione”.

Sperimentazioni che generano benessere

Se il 2019 si apre nel segno della visionarietà del fumetto richiamando “Gulp!Goal! Ciak!. Cinema e Fumetti/Calcio e Fumetti”, il 2018 aveva trovato nei suoni la sua ispirazione (“I suoni del gusto”) mentre il 2017 aveva eletto cucina-arte-design a fil rouge con “Colours&Feelings”. Collegata alla mostra “L’emozione dei colori nell’arte” (Gam, 14 Marzo/14 Luglio 2017), l’iniziativa si era espressa nella realizzazione di un piatto (“Il Bianco e Il Nero”) e di un cocktail (“Il Verde e Il Rosso”) ispirati ad alcune delle opere esposte che, inseriti nella carta del Ristorante e nella drink list dell’American Bar dell’Hotel, ne sono divenuti strumenti di ulteriore amplificazione. “I suoni del gusto”, itinerario percettivo enogastronomico ispirato alla Mostra “Soundframes – Cinema e Musica in Mostra” (Mole Antonelliana 14 Gennaio 2018/7 Gennaio 2019), aveva invece puntato sulla musica. Alcune delle portate della Carta venivano servite sia con auricolari in cui ascoltare musica appositamente selezionata per ciascuna da un sound sommelier, sia con una presentazione esplicativa della scelta sonora. Risultato: pieno coinvolgimento dei sensi, massima valorizzazione dei prodotti e della carica emozionale. “Tutte le sperimentazioni che abbiamo intrapreso in passato e che svilupperemo in futuro – conclude Marzot – sono figlie del desiderio di offrire a chi ci sceglie nuovi canali di benessere e appagamento. Gli ingredienti su cui puntiamo per elaborare questi percorsi, spesso singolari, sono quelli che ci identificano maggiormente: accoglienza, cibo e amore per il territorio”.

Tesori nascosti del rock americano, 1965-1967

Il musicologo Giancarlo Marchisio terrà un incontro-conferenza 

L’incontro si accentrerà sulla realtà musicale americana che venne a formarsi con l’impetuosa ondata della British Invasion e sul fenomeno delle bands “meteora” nell’ambito del genere garage rock americano tra il 1965 ed il 1967. Si esporrà il contesto sociale americano di quei tempi, gli aspetti socio-psicologici dei concerti live, con riferimenti alle venues che furono terreno fertile per la nascita di miriadi di bands, in particolar modo nei generi garage/proto-punk. Si parlerà della realtà delle “Battles of the bands”, della funzione dei managers e degli intermediarii delle case discografiche di quei tempi e dei vari sottogeneri musicali rock in relazione alle aree geografiche (atlantic, pacific, middle-west etc.).

 

Grave bimba di 22 mesi picchiata dal compagno della mamma

DAL LAZIO

“E’ stato un raptus. Non volevo”. Questa la giustificazione del 24enne arrestato per avere picchiato la bambina di 22 mesi della propria compagna a Genzano, nei pressi  di Roma. La piccola è ricoverata in prognosi riservata in terapia intensiva all’ospedale Bambino Gesù. Il giovane,  italiano, è stato arrestato per tentato omicidio. Si trovava da solo in casa con i quattro figli della donna, tra cui la bambina e la sua gemellina.