redazione il torinese

Il fuoco e il gelo sui monti della Grande guerra

ALPINI FUOCOCent’anni dopo il primo anno della “Guera Granda”, rileggendo le storie di vita e di guerra raccolte da Enrico Camanni in Il fuoco e il gelo. La Grande Guerra sulle montagne  – crude e vere perché narrate dai protagonisti in prima persona attraverso le lettere e i diari – si scopre un mondo d’insospettata complessità e ricchezza

GUERRA ALPINI

Si uccidevano nella bellezza assoluta della montagna, nella vertigine delle Dolomiti, sui deserti degli altipiani e nel gelo dei ghiacciai. Combattevano per pezzi di roccia così impervi che talvolta le valanghe si portavano via i vincitori. Era la guerra più assurda, nei posti più incantati”. Cent’anni dopo il primo anno della “Guera Granda”, rileggendo le storie di vita e di guerra raccolte da Enrico Camanni in Il fuoco e il gelo. La Grande Guerra sulle montagne  – crude e vere perché narrate dai protagonisti in prima persona attraverso le lettere e i diari – si scopre un mondo d’insospettata complessità e ricchezza. E di speciale umanità. Per tre anni e tre terribili inverni la Grande Guerra scaraventa migliaia di uomini sul fronte che dallo Stelvio e dall’Ortles scende verso l’Adamello, le Dolomiti, il Pasubio e Asiago. In quegli anni di fuoco, su 640 chilometri di ghiacciai, creste, cenge, altipiani e brevi tratti di pianura cadono circa centottantamila soldati. Le Alpi diventano un immenso cimitero a cielo aperto, sfigurate da una devastante architettura di guerra che scava strade e camminamenti, costruisce città di roccia, legno e vertigine, addomestica le pareti a strapiombo e spiana le punte delle montagne.Alpini e soldati del Kaiser si affrontano divisi tra l’odio imposto dalla guerra e l’istinto umano di darsi una mano, invece di spararsi, ALPINI GUERRA6per far fronte alla tormenta e alla neve. Si ingaggiano battaglie anche a tremilaseicento metri, ma la vera sfida è sempre quella di resistere per rivedere l’alba, la primavera, la fine della guerra, prima che la morte bianca si porti via le dita di un piede, o la valanga si prenda un compagno. Intanto, l’isolamento, il freddo, i dislivelli bestiali, le frane, le valanghe, la vita da trogloditi, la coabitazione tra soli uomini producono risposte sorprendenti, insolite collaborazioni umane, geniali rimedi di sopravvivenza e adattamento. “La guerra – racconta Camanni – trascina il popolo contadino sulle montagne e lo obbliga a scoprire un mondo severo e ignoto, astrusa frontiera nel cuore dell’Europa rurale e industriale. I soldati si accorgono all’improvviso che tra l’Italia e l’Austria ci sono le montagne, che lassù passano i confini delle nazioni, che bisogna morire per delle rocce dove i ricchi andavano a divertirsi”. In questa guerra assurda  si rafforza il mito del legame degli alpini con la montagna. Serve a dare un senso al nonsenso, aiuta a sopravvivere. I valori di eroismo e altruismo legati al sacrificio dei soldati-alpinisti che si vanno a immolare sull’altare della ALPINI GUERRA 14Patria per difenderne i confini. “La leggenda delle penne nere, il cameratismo montanaro, gli stereotipi del fiasco di vino e del vecchio scarpone – scrive l’autore –  segneranno tre generazioni perché metà delle famiglie italiane perderà un padre, un marito, un figlio al fronte, o lo vedrà tornare invalido, oppure pazzo. Il mito dell’Alpe insanguinata conquisterà un ruolo indelebile nel Novecento e offuscherà il ricordo romantico dell’alpinismo dei pionieri”.  E’ la Guerra Bianca a consacrare una montagna tragica e austera, “la Madre che non perdona i propri figli ma dona loro l’immortalità”. A quell’immagine e a quella memoria il fascismo si appiglierà per fortificare la coscienza nazionale, lodando le gesta esemplari degli alpini-alpinisti. “Pochi miti della storia moderna hanno impiegato tanto tempo a sbiadire e a perdere forza, senza mai abbandonarci del tutto – dice Camanni –  anche se si tratta di un racconto di sofferenza e morte (o forse proprio per quello), anche se è la cicatrice di un sacrificio che lasciò sui ghiacciai e sulle creste del fronte orientale una processione di ragazzi innocenti”. In centottantamila non tornarono dalle Alpi, e un terzo se li prese la montagna stessa.

Marco Travaglini

SOTTOPASSO MARONCELLI, APPROVATO IL PROGETTO

E’ stato approvato dalla Giunta Comunale, su proposta dell’Assessore alla Viabilità e Infrastrutture della Città di Torino, nella seduta di oggi, il progetto di fattibilità tecnica ed economica per il sottopasso della Rotonda Maroncelli.

maroncelli sottopasso

Il nuovo sottopasso ha l’obiettivo di decongestionare uno dei più trafficati nodi cittadini situato all’incrocio tra i corsi Maroncelli, Unità d’Italia e Trieste, sul confine con Moncalieri.

Questa nuova opera, disposta sull’asse nord-sud, è stata infatti progettata per separare i due flussi di traffico che percorrono c.so Unità d’Italia – c.so Trieste e c.so Maroncelli, in modo tale da alleggerire e velocizzare l’ingresso e l’uscita verso le zone a sud della Città.

Il tunnel, al di sotto dell’attuale rotonda Maroncelli, avrà una lunghezza di 75 metri con due rampe di accesso e uscita sulla direttrice di c.so Unità d’Italia – c.so Trieste di circa 140 metri.

Completati i lavori, sulla superficie verrà mantenuta l’attuale viabilità con la rotatoria nella zona di incrocio e con la presenza di una corsia per senso di marcia nel tratto di c.so Unità d’Italia – c.so Trieste interessato dalle rampe del sottopasso.

Per tutta la durata dei lavori sarà comunque sempre garantita la percorribilità veicolare dei tratti dei corsi Unità d’Italia, Trieste e Maroncelli con momentanee deviazioni della circolazione veicolare.

www.comune.torino.it

Da Torino alla Grande Mela, il sogno targato USA

New York, il crollo di Wall Street (2008), l’intraprendenza italiana, il sogno targato U.S.A, il successo; poi il capitombolo nell’aula di un tribunale, con dosi di amore e qualche tragica amarezza. Sono gli ingredienti principali del romanzo “Ai nostri desideri” (Marsilio) del torinese Enrico Pellegrini, brillante ed estroso avvocato d’affari 45enne che da anni vive e lavora nella Grande Mela, nella mecca del denaro, a Wall Street. Ergo, sa bene di cosa parla.

pellegrini

Nell’ultima sua fatica letteraria ritroviamo alcuni personaggi del suo romanzo rivelazione (“La negligenza” Premio Selezione Campiello 1997); primo fra tutti il protagonista, Rosso Fiorentino, che ora non svolazza più di festa in festa, ma è comunque ancora inconcludente. Sogna di scrivere e intanto si barcamena tra lavoretti vari, incluso fare da chaperon (gratis) in India a uno scrittore di successo che gli indica un piano B di larghissimo respiro “ricordati, fa qualcosa di bello e di grande”. Ed ecco la folgorante idea: esportare la focaccia genovese in America. L’improbabile progetto parte lento…ma di negozio in negozio finisce per essere quotato a Wall Street e procurare soldi a palate. Poi tutto precipita, la società del Rosso si schianta al suolo, trascina nel vuoto le principali banche americane e sfracella un milione di posti di lavoro. Tonfo notevole che lo porta dritto davanti al giudice, a rischiare una condanna che, in anni di carcere, sconfina nell’eternità. Negligenza o truffa? Demente, profeta delirante o il più grande filibustiere 27enne di tutti i tempi? Come andrà a finire? Ai lettori l’ardua sentenza e il gusto di avventurarsi in questa favola moderna sospesa tra ironia, divertimento e… riflessioni serissime.

Sei un avvocato imprestato alla letteratura o uno scrittore ferrato anche in giurisprudenza e finanza?

«Credo nessuno dei due. Di giorno faccio l’avvocato e rappresento l’establishment, quindi i poteri forti, e di notte scrivo romanzi raccontando le storie degli “underdogs” che sono quelli che faticano».

Come mai 20 anni tra un libro e l’altro? E in che lingua scrivi?

«Scrivo sia in inglese che in italiano. 20 sono gli anni che ho impiegato per scriverlo. Forse mi è mancato il talento; ma è anche vero che la struttura del libro è particolarmente difficile e complicata. Un grande scrittore americano mi ha detto che se Manzoni ha sciacquato i panni in Arno, io ho sporcato i miei nell’East River, fiume particolarmente lercio attorno a Manhattan»

Sbaglio o c’è una buona dose di autobiografia? Dove inizia e dove finisce Enrico Pellegrini nel romanzo?

«Mi piace molto una frase che dice “questa storia è vera perché l’ho inventata io”».

Il protagonista Rosso Fiorentino a chi si ispira?

«Nel mio secondo romanzo “La negligenza” il protagonista era Enrico Celestri. Qui è sempre lui, ma ha cambiato nome all’anagrafe per far perdere le sue tracce. Sceglie di chiamarsi Rosso Fiorentino, come un pittore maledetto del Rinascimento».

Quando, perché e com’è stato passare da Torino a New York?

«Intanto è vero che l’Italia è ancora più bella vista da lontano. Dopo l’università a Torino, ho fatto un Master a Chicago e lì ho ricevuto un’offerta da uno degli studi più importanti di Wall Street che non era rifiutabile. Ecco come sono arrivato a New York».

Tu ce l’hai fatta, che consigli daresti a chi ha il tuo stesso sogno e deve ancora partire?

«A New York tutto è possibile e non c’è alcun limite all’immaginazione. Ma bisogna sapere che è una città molto tosta in cui ogni cosa è basata sul rapporto di forza. Quando ci arrivi da single tutte le candeline sono accese per te e sei un predatore. Poi improvvisamente, quasi senza accorgertene, quando magari incominci a mettere su famiglia e a comprare casa, diventi una preda nella pancia della balena dove tutti cercano di spolparti».

In Italia riscuotono molto successo i legal thriller che trasmettono l’idea di una vita frenetica, aggressiva, competitiva al massimo dove puoi guadagnare tantissimo ma se non vinci non sei nessuno. E’ un’immagine che corrisponde alla realtà?

«Assolutamente si. Quando arrivi ti rendi conto che le tue possibilità sono infinite; però proprio perché tutto è possibile, accade anche di trovarsi in un legal thriller vero, dove la realtà in realtà è finzione e dove tutti sono contro tutti».

Racconti un crack finanziario che travolge le banche, te ne sei occupato?

«Si dal crack Enron in poi mi sono occupato di alcuni momenti della storia finanziaria americana».

La domanda ti sembrerà ingenua, ma sono davvero tutti lupi a Wall Street?

«Si, anche se secondo me il vero lupo è il sistema. E’ la sua pressione che spinge la gente ad essere lupi».

In un’intervista hai detto che in America ogni famiglia si indebita al punto di correre rischi incalcolabili pur di mantenere il suo standard di vita. E’ ancora così dopo la lezione del 2008 o si sono ridimensionati?

«E’ ancora così. I pre asili costano 50mila dollari all’anno, le case vengono comprate con il 20% in contante e l’80 % a debito, ovvero con un mutuo. Quindi tutto il sistema è basato sull’avere quello che non si ha».

E’ vero che abitavi vicino a Bernard Madoff?

«Si e le mie bambine gli correvano in braccio come se fosse Babbo Natale. E siccome i bambini hanno un grande istinto, questo ovviamente dice molto delle sue capacità di riuscire a presentarsi come uomo prodigo».

Conosci altri lupi di Wall Street?

«Ricordo che quando vivevo in Italia era chiara la distinzione tra buoni da una parte e cattivi dall’altra; invece a New York è tutto un grigio perla dove persone che ti sembravano moralmente integerrime, le ritrovi il giorno dopo sul giornale accusate di truffe da milioni di dollari».

Conosci davvero Jonathan Franzen? E altri scrittori?

«Franzen ha la mia stessa agente americana e, anche se qualcuno sostiene che abbia un caratteraccio, invece è molto simpatico e piacevole, sebbene non ami esporsi e difenda la sua privacy. Poi John Irving che invece ama molto le feste, o almeno questa è la mia opinione.

Tra l’altro il suo libro “Vedova per un anno” è stato adattato per il cinema da un mio amico ed è diventato il film “The door in the floor” con Kim Basinger e Jeff Bridges».

Come sono i rapporti tra scrittori?

«Non c’è concorrenza, ce n’è molta di più a Wall Street dove appena tiri su il telefono il lunedì mattina alle 10 inizia il linciaggio».

Dove e come vivi a New York? Nel libro scrivi che tutti la amano, meno quelli che ci vivono. C’è qualcosa che chi sogna di stabilirsi nella Grande Mela dovrebbe sapere e ancora non sa?

«Vivo a Manhattan tra la 62° e Park Avenue, nell’Upper East Side. Quando abitavo in uno studio di 50mq stavo come un papa. Il segreto a New York è non possedere nulla».

Quando sei fuori dall’ufficio cosa ti piace fare? I tuoi hobby?

«Amo scrivere. Poi avendo tre bambini ovviamente loro rappresentano la mia agenda. Mi piace vivere la città scoprendo sempre angoli nuovi; giocare a tennis a Central Park dove ci sono dei campi meravigliosi che almeno giustificano le tasse così alte; andare a mangiare nel Queens ad Astoria nei ristoranti greci; camminare giù per Lexington Avenue fino a Gramercy il sabato mattina».

Da dove arriva l’ispirazione per i tuoi romanzi?

«Dai sentimenti. Io spero sempre nell’innamoramento; invece a New York, città molto dura, purtroppo il più forte è quello della sopravvivenza».

Laura Goria

 

Dantès

dantes“No, non lo voglio un coso così”, s’impuntò, mettendo il broncio. “Com’è possibile giocarci? E’ talmente piccolo, fragile. No e poi no. Io adesso voglio un cane grosso, robusto. Voglio un cane che sia pronto a scattare ai miei ordini, che mi riporti il pezzo di legno quando lo scaravento lontano. Che mi faccia anche da cavallo quando voglio salirci in groppa. Un cane grosso, capito?”

Guardava fuori dalla gabbia con i suoi occhi da cucciolo. Occhi dolci, stupiti, grandi. Fin troppo grandi per quel batuffolo di morbido pelo. Sembrava uno di quei peluche per i quali vanno matti i bambini. Eppure, nonostante quella sua aria persa che avrebbe spezzato il cuore a chiunque, era stato rifiutato. Sì, proprio così: rifiutato. O, per meglio dire, scartato da quella famiglia di gente – ricca solo nel portafoglio – perché, in quanto a sensibilità, beh… ci sarebbe molto da discutere. Lui, stimato padre di famiglia, sposato con prole, banchiere di successo, aveva promesso al figlio un cane in regalo. Quest’ultimo, di nome Lorenzino, aveva fatto i capricci pur di averne uno tutto per se. Lo voleva piccolo, da coccolare ma, come tutti i capricciosi, era estremamente volubile e, alla vista di quel tenero batuffolo di pelo, cambiò idea. “No, non lo voglio un coso così”, s’impuntò, mettendo il broncio. “Com’è possibile giocarci? E’ talmente piccolo, fragile. No e poi no. Io adesso voglio un cane grosso, robusto. Voglio un cane che sia pronto a scattare ai miei ordini, che mi riporti il pezzo di legno quando lo scaravento lontano. Che mi faccia anche da cavallo quando voglio salirci in groppa. Un cane grosso, capito?”, disse con quella vocina isterica che faceva venire i nervi. E così suo padre, abbandonata l’idea del cagnolino, scelse un grosso alano che portava sulla piastrina già il nome:Bertone. Nulla da dire su quest’ultimo particolare. Ad un cagnone (e quello era davvero un cagnone) quel nome calzava a pennello. Lui, invece, solo e piccino, restò lì, nella sua gabbia. Si era illuso di poter andar via con quel bambino. Aveva un aspetto non proprio gradevole, grasso e pieno dantes4di foruncoli, ma era pur sempre meglio andare con lui che restare chiuso in quella gabbia. Si era fatto notare, scodinzolando allegro, tirando fuori la lingua, allungando la zampa. Ma quello, niente. Nemmeno una piega. Aveva detto qualcosa in quella sua lingua da umano che lui non aveva compreso poi, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, aveva voltato le spalle e se n’era andato via. Da quando era nato, terzo di una cucciolata di quattro bastardini incrociati non si sa bene con chi, era sempre stato lì nel canile. I primi tempi, per lo svezzamento, era rimasto con la mamma e i fratelli, e poi – a due mesi – l’avevano messo lì, solo soletto, in quella gabbia che era diventata la sua cuccia. Aveva guaito a lungo, fino a sfinirsi, ma nessuno si era mosso in suo soccorso. Non si ricordava nemmeno quanto tempo fosse passato. Un paio di volte al giorno (ma qualche volta una sola…) un uomo, che doveva essere il guardiano del canile municipale, gli allungava una ciotola con dell’acqua e un pastone che non sapeva di nulla. Le prime volte l’aveva annusato, senza mangiarlo. Ma cos’era mai quella sbobba? Era insipida, insapore e persino incolore se si eccettuava un vago color grigiastro. Poi, nei giorni successivi, visto che il menù passato dal convento era sempre quello, vinte dalla fame le ultime resistenze, se lo fece andar bene, lasciando la scodella vuota. Le sue giornate passavano monotone in una noia terribile, fatta dei soli pochi gesti che gli erano consentiti: andare avanti e indietro in quella gabbia che ormai conosceva a memoria, dopo averla ispezionata centimetro per centimetro. Poteva seguire il suo percorso obbligato ad occhi chiusi ma, quando lo fece, sbatté il muso contro la rete e, da allora, decise di non fare altri esperimenti e di tenere ben aperti gli occhietti. In poco tempo le gabbie vicine si svuotarono. Non erano molti gli “ospiti” lì dentro ma in breve furono molti di meno. Un pastore tedesco venne prelevato da una guardia giurata che si dilettava d’allevamento e che intendeva addestrarlo per il suo lavoro di vigilanza. Un giovane pitbull condivise un destino più o meno simile, finendo a fare la guardia nel parco di una villa signorile. Il pechinese con il quale, una volta, aveva abbaiato del più e del meno, già male in arnese, finì a fare da “dama di compagnia” ad una contessa che sembrava una vecchia megera con quel grosso naso arcuato sul quale svettava un orribile porro. Ansimava come un mantice, quella vecchia incipriata, ma non rinunciava alle sue sigarette infilate nel lungo bocchino di madreperla. Anche i due bastardini come lui, entrambi volpini mezzosangue, avevano trovato modo di accasarsi dal droghiere, che amava i cani e s’era subito affezionato ai due inseparabilidantes3 animali dal pelo fulvo. Rimanevano solo lui, sua madre e gli altri fratelli, un vecchio Setter quasi cieco e ormai inibito alla caccia, un Rottweiler che sembrava, o voleva sembrare, cattivissimo e Pucci, un bassotto tanto grasso da strisciare la pancia per terra. Erano loro i superstiti del canile, i più sfortunati: relegati nelle gabbie in attesa che accadesse qualcosa o che, meglio ancora, qualcuno venisse a reclamarli. Intanto passavano i giorni e dalle finestre entrava una luce fredda e triste, riflesso di quel cielo d’inverno, color grigio cenere. Una mattina, quando ormai rassegnato e sfiduciato non aveva nemmeno voglia di tirarsi su sulle quattro zampe, standosene sdraiato e sonnacchioso, avvertì un certo trambusto. Dalle stanze degli uffici si udiva una discussione a più voci. Una di queste, cristallina e piuttosto acuta, era senz’altro di una giovane donna. Almeno, così sembrava. Di lì a poco, nell’ampio locale con le gabbie, comparì una ragazza dal piglio deciso e allegro. Non tanto alta, dai bei lineamenti, teneva i lunghi capelli raccolti dietro la nuca, a coda di cavallo. Dopo una rapida ricognizione s’accovacciò davanti alla sua gabbia. “Che bello che sei, con quel musetto”, disse, appoggiando la mano aperta alla rete. Lui, d’istinto, capì che era giunta la sua occasione e non poteva permettersi di sprecarla. Sì alzò e, con delicatezza, leccò il palmo della mano. “Che tenero. Sei proprio un amore”, sospirò la ragazza. Rialzatasi in piedi, si rivolse al signore che stava al suo fianco. “Papà, vorrei lui. Prendiamo questo piccolino? Che dici?”. L’uomo, cingendo con un braccio le spalle della figlia, sorrise e annuì. In pochi minuti, sbrigate le pratiche dell’affido, il cucciolo passò dalla condizione di recluso a quella di cane libero, felice e coccolato. Infatti, la ragazza l’aveva preso in braccio e gli stava lisciando il pelo con un’infinità di carezze. Gli diede subito un nome: Dantès. In fondo anche lui, come Edmond Dantès, il protagonista de “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, aveva subito dei torti e sofferto, così piccolo e indifeso, una vita grama. Dantès venne rinchiuso nella tetra prigione del Castello d’If su una piccolissima isola dell’arcipelago di Frioul, nel golfo di Marsiglia. Lui, nel canile municipale, in una gabbia.  “Dantès, piccolo mio, ti piace il tuo nome?”. Alle parole della ragazza, che si chiamava Carla, replicò guaiendo timidamente e leccando la mano che lo accarezzava, dimostrando la sua felicità. Nella bella casa di campagna dove vivevano Carla e suoi genitori, il piccolo Dantès si trovò a meraviglia. Coccolato e ben nutrito, era diventato la mascotte di quella famiglia. Anche i vicini e gli amici di Carla lo riempivano di coccole e lui, scodinzolando, non si tirava certo indietro.  Gli unici momenti tristi li viveva quando il pensiero andava alla madre e ai fratelli che erano rimasti nel canile. Poverini, chissà quanto dovevano essere tristi! In quel periodo, a poche settimane dalle feste di fine ann
o, era difficile che qualcuno li adottasse. A lui era andata bene, anzi benone. Ma erano ormai poche le persone che regalavano dei cani ai bambini. Soprattutto d’inverno, quando avrebbero dovuto tenerli in casa gran parte del tempo, almeno fino ai primi tepori della primavera. Oggi vanno di moda solo i videogiochi. Non si lamentano, non sporcano, non si ammalano e quand’anche si rompessero, si buttano nella spazzatura e se ne acquista di nuovi. Un cane, per di più se cucciolo, è delicato, ha bisogno di cure, attenzioni. Bisogna prestare ascolto ai consigli del veterinario, seguire una certa dieta alimentare. Eh, già… erano proprio questi i motivi per cui era pessimista sulla sorte della sua famiglia, quella d’origine.  Una vena di tristezza velava i suoi occhietti e diventata mogio, mogio quando, sdraiato sulla sua copertina di lana, vedeva scorrere sullo schermo televisivo le immagini di cani che si rincorrevano, giocando. Carla, da ragazza intelligente qual dantes2era, non ci mise molto a comprendere le ragioni di quegli sguardi languidi e malinconici. Così, parlandone più volte con i genitori, finì per convincere anche il padre e la madre che la famiglia di Dantès andava in qualche modo riunita. La casa era grande e ampio era il giardino che la circondava. Ospitare più cani non era un’impresa così impossibile. Tornarono al canile ma lì trovarono solo due cuccioli. “ E gli altri?”,chiese Carla. “Che fine hanno fatto gli altri due? Sono stati affidati? ”. Il responsabile del canile tranquillizzò la ragazza. La madre e il terzo componente della famiglia erano stati trasferiti momentaneamente in un altro canile, insieme a vecchio Setter e al bassotto Pucci,  a causa di alcuni lavori che si erano necessari. Se volevano prelevarli là, non c’era problema. La documentazione necessaria l’avrebbe preparata subito. E così fece.  Iniziavano a calare le prime ombra della sera quando l’auto del signor Casolare varcò il cancello di casa con a bordo, insieme a lui e alla figlia, i tre cuccioli e la madre. Ispirata dai racconti di Dumas, Carla non esitò a trovare i nomi per tutti. Così i cuccioli diventarono Athos, Porthos e Aramis, come i tre più famosi moschettieri del Re di Francia, e alla cagnetta che li aveva partoriti assegnò un bel Regina Margot, a parziale risarcimento delle sue umili origini di trovatella. Dantès non stava nella pelle dalla gioia e saltellava felice, giocando a rincorrersi con i suoi fratelli che, più che tre moschettieri, erano tre piccole pesti. La Regina Margot, dalla sua cesta, guardava felice, con una finta aria di distacco, le evoluzioni della sua cucciolata. E non si stupirebbe nessuno se pensasse “Che belli, i miei figlioli. E che fortuna che abbiamo avuto, tutti insieme, ad incontrare queste brave persone”. Una fortuna che, evidentemente non è da tutti. Bastava guardare fuori dalla finestra, verso i prati al limitare del bosco, per capirne il perché. La neve, caduta in abbondanza, si era trasformata in pioggia, rendendo ancora più infido e scivoloso il terreno. Un ragazzino grassoccio stava correndo dietro ad un grosso cane che, a  dire il vero, lo stava letteralmente trascinando. Tentava di trattenerlo con il guinzaglio, ma non aveva forza sufficiente. Piangeva, imprecava, supplicava il cane di fermarsi. Aveva il fiato grosso, incespicò e cadde.  Si rialzò, ansimando. Ma le suppliche non servirono a nulla. Il suo Bertone aveva voglia di muoversi, correre e non prestava ascolto a quel lagnoso ragazzetto. Dantès e tutti gli altri guardavano la scena divertiti dalla finestra, al caldo. Si direbbe, dalle smorfie, che stessero sorridendo. In fondo, non era quello che voleva tanto, quel ragazzino piagnucoloso, tutto bagnato e sporco di neve fangosa? Un bel cane grosso, robusto, scattante…

Marco Travaglini

Alle Vallere nasce l'eco-camping

Po alberi imbrunireSu una superficie di 30 mila metri quadrati, con 40 aree sosta per camper, 40 postazioni per le tende, un ristorante, una piscina naturale biodesign, alle porte di Torino nasce ‘Grinto’, la struttura ricettiva per il turismo sostenibile, nel Parco delle Vallere, lungo il Po, verso l’abitato di Moncalieri. Si tratta di un Urban Eco Village, il primo in Europa, consacrato al basso impatto e all’utilizzo delle energie alternative, prodotto in un’alleanza con il Parco del Po e delle colline torinesi.

(Foto: il Torinese)

27 BORSE DI STUDIO AGLI ALLIEVI DELL’ISTITUTO ARTUSI

ARTUSI CUOCHISono previste per l’anno scolastico2015/16 Borse di Studio per gli allievi più meritevoli dell’Istituto Alberghiero Artusi di Casale Monferrato. Le erogherà la Banca Popolare di Novara agli studenti che nell’Anno scolastico 2015/16 hanno conseguito risultati di eccellenza per profitto, comportamento, capacità e perseveranza; ciò sia sui banchi di scuola che nelle attività pratiche. Sarà una commissione, presieduta dal dirigente Claudio Giani, a stabilire quali saranno i destinatari delle borse di studio secondo la classifica stilata in base ai criteri fissati nel regolamento interno. Per ognuna delle classi dell’Istituto si avranno un primo, un secondo e un terzo classificato a seconda del punteggio ottenuto. Si tratta di un significativo riconoscimento da parte di Banca Popolare di Novara, da sempre punto di riferimento per risparmiatori ed aziende, che a Casale Monferrato vanta una presenza quasi secolare, con un forte radicamento nel tessuto sociale ed economico.

Raid punitivo contro relazione omosex del figlio

carabinieri bloccoIndividuati, e denunciati i colpevoli dell’aggressione avvenuta lo scorso 16 maggio in un’area di sosta di Benevello, in provincia di Cuneo. Sono un professionista di Alba e un suo amico artigiano accusati di concorso in lesioni personali aggravate, violenza privata, minacce aggravate e danneggiamento. I carabinieri hanno stabilito che non si trattò di un tentativo di rapina ma di un ‘raid punitivo’ del professionista per scoraggiare la relazione omosessuale del figlio, appena diventato maggiorenne, con un giovane extracomunitario. I tre aggrediti sono stati medicati al Pronto soccorso, uno di loro ha avuto 90 giorni di prognosi.

Torino Fashion Bloggers, gli eventi di giugno

I 5 EVENTI fashion del mese di Giugno selezionati per voi dalle TORINO FASHION BLOGGERS

 

Per iniziare facciamo un tuffo nella cultura con l’apertura di un importante mostra tutta al femminile.

USA. New York. US actress Marilyn MONROE. 1956.
USA. New York. US actress Marilyn MONROE. 1956.

MARYLIN MONROE, LA DONNA OLTRE IL MITO

Palazzo Madama dedica all’attrice e all’icona Marylin Monroe, una grande mostra con oltre 150 pezzi composti da oggetti personali, tra abiti, accessori ed oggetti di scena, appartenuti alla diva, insieme ad una serie di meravigliose fotografie inedite scattate da leggendari fotografi dell’epoca.

DOVE ? Palazzo Madama a Torino

QUANDO ? Dal 1 giugno 2016 al 19 settembre 2016

QUANTO ? Intero 12 euro Ridotto 10 euro

 FB FASHION W

TORINO FASHION WEEK è un grande evento di moda, unico nel suo genere, una vera e propria settimana della moda che porterà a Torino designers e professionisti nel campo dell’abbigliamento dell’accessorio e del gioiello, in passerella infatti sfileranno oltre 50 stilisti provenienti da tutte le parti del Piemonte e non solo, selezionati da Cna e Confartigianato.

DOVE ? Ex area industriale Mirafiori, Corso Settembrini 178 a Torino.

QUANDO ? Dal 27 giugno al 03 luglio 2016.

QUANTO? Ingresso gratuitoGli eventi e le presentazioni sono aperte al pubblico mentre invece le sfilate sono su invito oppure basta accreditarsi sul sito www.torinofashionweek.it

 FB MARKET

IL BUNKER BIG MARKET 02

L’organizzazione Big Market e il locale Bunker di Torino, presentano una nuova edizione del mercato, BUNKER BIG MARKET un nuovo market place di Torino che nasce dall’esigenza di creare periodicamente un punto di aggregazione alternativo per persone di tutte le età, dagli adulti ai bambini. Per questa edizione vi aspettano più di 60 espositori dislocati all’interno della struttura di Via Paganini. Abbigliamento di seconda mano, vintage, artigianato locale, punti di ristoro dove sorseggiare una bibita o mangiare, workshop, un’ area gioco dedicata ai bambini e musica live.

DOVE ? Presso il Bunker in Via Nicolò Paganini 1 a Torino

QUANDO? Domenica 26 Giugno dalle 10 alle 21

QUANTO ? Ingresso gratuito

 FB AFTER TEA

AFTER TEA SUNDAY MARKET

After Tea è un mercato itinerante nato a Barcellona e approdato a Torino nel 2011. Questo mese torna con una nuova edizione ed una nuova location all’aperto. La bellissima Piazza Emanuele Filiberto e Via Sant’Agostino al Quadrilatero, saranno gli scenari di questo mercato creativo con stand di designer di abbigliamento, oggettistica e arredamento, artisti di ogni genere, collezionisti di vinili ed altro ancora.

DOVE? Al Quadrilatero Romano di Torino

QUANDO ? Domenica 26 Giugno dalle 10 alle 20

QUANTO ? Ingresso gratuito

 FB SALVARIO EMPORIUM

SAN SALVARIO EMPORIUM

E dulcis in fundo vi segnaliamo un importante appuntamento a Torino per lo shopping , il San Salvario Emporium, un ricco mercato interamente dedicato alla creatività e ai designer emergenti,

100 espositori e un universo di giovani creativi in continua espansione: stilisti, artigiani, designer, makers, illustratori ed editori indipendenti che, attraverso tecniche e stili in cui si intrecciano tradizione, estetica contemporanea, ricerca e sperimentazione, creano prodotti originali realizzati in pezzi unici o in tiratura limitata..

Per questa edizione estiva vi aspetta un ospite speciale. Chi ? Noi delle Torino Fashion Bloggers!

Vi aspettiamo nel salotto dedicato all’estate allestito dal laboratorio Zidalab per due chiacchiere e qualche scatto!

DOVE ? Piazza Madama Cristina a Torino

QUANDO? Domenica 12 Giugno

QUANTO ? Ingresso gratuito

tfb1Volete conoscere tutti gli eventi torinesi di Giugno? Li trovate tutti sul nostro magazine www.torinofashionbloggers.com

Si chiude una campagna senza colpi di scena. Ma i candidati hanno lavorato tra la gente

manifesti elezioniNon sono più di moda i comizi in piazza per l’ultimo giorno di campagna elettorale. Tutti i candidati dedicheranno queste ultime ore (la campagna chiude alle 24 di venerdì) per rivolgersi agli indecisi, inviando sms e mail agli elettori. La campagna per le Comunali di Torino non ha avuto colpi di scena e ora è il momento dell’ appello alla partecipazione al voto. Fassino chiede di  “non disperdere energie” e a “scegliere il voto più utile alla città”, Chiara Appendino (M5S) replica: “Facciamo un appello a seggiotutti i torinesi affinché vadano a votare, un’occasione unica per Torino”. Nicola Fratoianni, dirigente di Sinistra Italiana, che candida Giorgio Airaudo è l’unico a fare un minimo di polemica : “Alcuni studenti e un progetto dell’università pubblica – afferma – sono stati usati per fare propaganda per Fassino. Un’operazione discutibile, abbiamo rivolto un’interrogazione alla ministra dell’Istruzione”.  Lo staff di Fassino smentisce: “Solo falsità. Osvaldo Napoli, di Forza Italia,  è stato all’alba all’ospedale Maria Vittoria, dove è nato e, visitando Barriera di Milano  ha anche proposto di dedicare una targa a Gipo Farassino nella sua casa natale di via Cuneo. Video su Facebook per la chiusura elettorale di Roberto Rosso. Il notaio Morano, candidato per Lega e Fratelli d’Italia ha chiuso la campagna giovedì sera con un aperitivo in un locale di piazza Zara.  E sabato sarà giorno di riflessione per gli elettori.

Eternit bis: in attesa della Corte Costituzionale

ETERNIT FABBRICASi saprà forse nella giornata di venerdì o, al massimo, nei primi giorni della prossima settimana, quale è stato l’orientamento della Corte Costituzionale in merito alla questione di costituzionalità sul “ne bis in idem” sollevata dalla difesa di Stephan Schmidheiny davanti al gup del Tribunale di Torino nell’ambito del procedimento Eternit bis e da questo magistrato rinviata al massimo interprete della giustizia costituzionale. Martedì a Roma le parti sono rimaste sulle loro posizioni, da un lato la pubblica accusa, l’avvocatura dello Stato e i legali delle parti civili, dall’altro la difesa del multimilionario svizzero che ha sostenuto le sue ragioni per bocca dell’avvocato Astolfo Di Amato. Laura D’amico, difensore di Afeva, l’Associazione familiari vittime amianto, ha sostenuto con particolare incisività la tesi del non fondamento giuridico della questione, citando una sentenza della Corte europea, nella quale si parla di un soggetto che sia stato condannato o assolto per un reato, “ma qui – spiega Bruno Pesce, coordinatore dell’associazione e della vertenza amianto – non c’è stata nessuna condanna, quanto un non dover procedere perché il reato, che non era l’omicidio ma il disastro, era prescritto”. Dunque l’attenzione di tutti è rivolta al sito nella Corte Costituzionale che, nonostante abbia esaminato il caso martedì, si è trovata nell’impossibilità di pubblicare on line la propria decisione, lasciando tutti nell’incertezza.

Massimo Iaretti