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Morti sul lavoro, una strage senza fine. Il Piemonte in zona arancione

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DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022: SONO 1.006 LE VITTIME. OLTRE 91 DECESSI AL MESE.

 

SUL PODIO DELL’INSICUREZZA IN ZONA ROSSA CI SONO VALLE D’AOSTA, TRENTINO-ALTO ADIGE, BASILICATA, CAMPANIA E CALABRIA.

 

E ANCORA UNA VOLTA LA MAPPATURA DELL’EMERGENZA DELL’OSSERVATORIO VEGA ENGINEERING AIUTA A CAPIRE DOVE I LAVORATORI HANNO RISCHIATO MAGGIORMENTE LA PROPRIA VITA DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022.

“Superati i mille morti nel 2022 e manca ancora un mese al bilancio annuale. Sono 1.006 i lavoratori che da gennaio a novembre 2022 hanno perso la vita da Nord a Sud del Paese con una media di oltre 91 vittime al mese. Stiamo parlando di oltre 22 decessi alla settimana e di almeno 3 infortuni mortali al giorno. Sono 722 gli infortuni mortali verificatisi in occasione di lavoro e 284 in itinere (cresciuti del 21,4% rispetto allo scorso anno quando era ancora assai diffuso lo smart working). Nel periodo gennaio-novembre 2021 invece i decessi totali sono stati 1.116 e, come nei mesi scorsi, stiamo osservando un decremento della mortalità, purtroppo solo apparente. Infatti, ricordiamo come quest’anno siano quasi sparite le vittime sul lavoro correlate al Covid (10 su 909 secondo le stime degli ultimi dati disponibili di fine ottobre 2022). Lo scorso anno, invece, costituivano tragicamente oltre un quarto dei decessi sul lavoro (282 su 1017). Ciò significa che gli infortuni mortali “non Covid” sono cresciuti del 22% passando dai 735 di fine novembre 2021 agli 899 del 2022. Quest’ultimo dato è del tutto analogo a quello del 2019, epoca pre-covid, a dimostrazione che il tragico fenomeno delle morti sul lavoro sostanzialmente non subisce diminuzioni da anni. Questo a conferma del fatto che passata l’emergenza Covid, rimane quindi ancora tragicamente purtroppo quella dell’insicurezza sul lavoro. E l’unica arma per contrastarla è la prevenzione attraverso la formazione e l’aggiornamento di tutte le figure coinvolte nell’organizzazione aziendale: dal datore di lavoro ai dirigenti, fino ai preposti e ovviamente ai lavoratori”.

Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, non ha dubbi: la più recente e dettagliata indagine realizzata dagli esperti del proprio team continua a descrivere una situazione più che allarmante.

“Auspichiamo che i nostri studi e approfondimenti possano rappresentare uno strumento efficace sul fronte della prevenzione degli infortuni sul lavoro – prosegue Mauro Rossato – L’obiettivo della diffusione di questi dati, infatti, è quello di spingere tutti coloro che si occupano di tutelare la salute dei lavoratori a riflettere e a rispondere quanto prima in modo efficace a questa strage”.

I numeri degli incidenti sul lavoro, del resto, non possono far altro che portare ad una triste riflessione. Le denunce totali di infortuni sono cresciute del 29,8% rispetto al 2021, arrivando a quota 652.002; con il settore della Sanità sempre in testa alla graduatoria degli infortuni in occasione di lavoro (80.256 denunce); seguono: Attività Manifatturiere (70.483) e Trasporti (51.583). Importante in questi dati anche la lettura sull’evoluzione delle denunce totali di infortunio per Covid: a fine ottobre 2021 erano 36.821, mentre a fine ottobre 2022 sono diventate 107.602. Praticamente sono triplicate, dimostrando che il virus è divenuto molto meno mortale ma è ancora largamente presente nei luoghi di lavoro.

Oltre i numeri però ciò che conta per l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre è il rischio reale di morte dei lavoratori, regione per regione e provincia per provincia. Si tratta dell’indice di incidenza della mortalità, cioè il rapporto degli infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa regionale e provinciale, la cui media in Italia nei primi undici mesi dell’anno è di 32 decessi ogni milione di occupati. Questo indice, un vero e proprio “indicatore di rischio di morte sul lavoro”, consente di confrontare il fenomeno infortunistico anche tra regioni con un numero di lavoratori diverso.

Sulla base dell’incidenza degli infortuni mortali, l’Osservatorio Vega definisce mensilmente la zonizzazione del rischio di morte per i lavoratori del nostro Paese che viene così descritto – alla stregua della pandemia – dividendo l’Italia a colori.

A finire in zona rossa alla fine dei primi undici mesi del 2022, con un’incidenza superiore a +25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 32 morti sul lavoro ogni milione di lavoratori) sono: Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Basilicata, Campania e Calabria. In zona arancione: Puglia, Umbria, Marche, Sicilia, Piemonte, Toscana e Veneto. In zona gialla, cioè sotto la media nazionale: Abruzzo, Molise, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna e Lombardia. In zona bianca, ossia la zona in cui l’incidenza delle morti sul lavoro è la più bassa: Friuli-Venezia Giulia.

(sul sito www.vegaengineering.com/osservatorio sono disponibili i grafici e i dati).

INFORTUNI MORTALI E STRANIERI

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 132, cioè oltre il 18,3% del totale. Anche qui l’analisi sull’incidenza infortunistica svela chiaramente come gli stranieri abbiano un rischio di morte sul lavoro più che doppio rispetto agli italiani. Gli stranieri infatti registrano 58,5 morti ogni milione di occupati, contro 29,1 italiani che perdono la vita durante il lavoro ogni milione di occupati.

I NUMERI ASSOLUTI DELLE MORTI SUL LAVORO IN ITALIA DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022

Sempre in cima alla graduatoria con il maggior numero di vittime in occasione di lavoro è -inevitabilmente a livello statistico – la regione con la più alta popolazione lavorativa d’Italia, cioè la Lombardia (115) che, per contro, come abbiamo visto in precedenza, presenta un’incidenza di infortuni mortali al di sotto della media nazionale, collocandosi così in “zona gialla”.

Seguono: Veneto (68), Campania (65), Lazio (62), Piemonte (59), Emilia Romagna (53), Toscana (51), Puglia (48), Sicilia (47), Trentino-Alto Adige (29), Marche (23), Calabria (21), Liguria (16), Sardegna e Abruzzo (15), Umbria (14), Basilicata (10), Valle D’Aosta (6), Molise (3) e Friuli-Venezia Giulia (2).

Nel report allegato il numero delle morti in occasione di lavoro provincia per provincia.

Nei primi undici mesi del 2022 il settore Costruzioni fa registrare nuovamente il maggior numero di decessi in occasione di lavoro: sono 124. Seguono: Trasporti e Magazzinaggio (104) e Attività manifatturiere (91).

La fascia d’età più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è sempre quella tra i 55 e i 64 anni (273 su un totale di 722). Ma l’indice di incidenza più alto di mortalità rispetto agli occupati viene rilevato ancora tra i lavoratori più anziani, gli ultrasessantacinquenni, che registrano 92,2 infortuni mortali ogni milione di occupati.

L’incidenza di mortalità minima rimane, invece, ancora nella fascia di età tra 25 e 34 anni, (pari a 16,1), mentre nella fascia dei più giovani, ossia tra 15 e 24 anni, l’incidenza risale a 23,7 infortuni mortali ogni milione di occupati. Questi dati confermano anche alla fine dei primi undici mesi del 2022 che la maggior frequenza di infortuni mortali si riscontra tra i lavoratori più vecchi.

Le donne che hanno perso la vita in occasione di lavoro da gennaio a novembre del 2022 sono 54 su 722. In 59, invece, hanno perso la vita in itinere, cioè nel percorso casa-lavoro.

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 132, 57 quelli che sono deceduti a causa di un infortunio in itinere.

Anche alla fine dei primi undici mesi del 2022 sono il lunedì e martedì i giorni della settimana in cui si è verificato il maggior numero di infortuni mortali (più precisamente il 17,9% del totale degli infortuni mortali in occasione di lavoro), seguito dal venerdì (17,6%).

Le denunce di infortunio sono in aumento (+ 29,8% rispetto a novembre 2021). A fine novembre 2021 erano infatti 502.458 mentre a fine novembre del 2022 sono 652.002. E ad essere triplicate (ultimi dati ottobre 2022) sono le denunce di infortunio per Covid: passate dalle 36.821 di fine ottobre 2021 alle 107.602 di fine ottobre 2022. Anche decurtando gli infortuni per Covid dai dati appena visti risulta un aumento delle denunce di infortuni del +19% nel 2022 rispetto al 2021.

Sono più di 80 mila gli infortuni occorsi in occasione di lavoro nel settore Sanità e Assistenza Sociale. Oltre 70 mila quelli nelle Attività manifatturiere e superano i 51 mila nei Trasporti.

Le denunce di infortunio delle lavoratrici italiane nei primi undici mesi del 2022 sono state 268.565, quelle dei colleghi uomini 383.437.

LA ZONIZZAZIONE A COLORI È LA NUOVA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA ELABORATA DALL’OSSERVATORIO SICUREZZA SUL LAVORO VEGA ENGINEERING DI MESTRE, PER FOTOGRAFARE, IL LIVELLO DI SICUREZZA DEI LAVORATORI.

L’incidenza degli infortuni mortali indica il numero di lavoratori deceduti durante l’attività lavorativa in una data area (regione o provincia) ogni milione di occupati presenti nella stessa. Questo indice consente di confrontare il fenomeno infortunistico tra le diverse regioni, pur caratterizzate da una popolazione lavorativa differente.

La zonizzazione utilizzata dall’Osservatorio Sicurezza Vega dipinge il rischio infortunistico nelle regioni italiane secondo la seguente scala di colori:

Bianco: regioni con un’incidenza infortunistica inferiore al 75% dell’incidenza media nazionale

Giallo: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il 75% dell’incidenza media nazionale ed il valore medio nazionale

Arancione: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il valore medio nazionale ed il 125% dell’incidenza media nazionale

Rosso: regioni con un’incidenza infortunistica superiore al 125% dell’incidenza media nazionale

Stress o maleducazione?

Stamane ero in coda in un poliambulatorio in attesa del mio turno e mi sono soffermato ad osservare il comportamento delle altre persone presenti.

A parte che, avendo l’occhio allenato, posso dire con la massima precisione quale comportamento assumerà ognuno dei presenti, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare non sempre sono le persone più agiate, di un ceto più elevato a comportarsi nel modo migliore.

Sia tra alcune persone sedute in attesa del proprio turno, sia tra alcune di quelle allo sportello dell’accettazione, serpeggiava il malumore per motivi che sfuggono all’umana comprensione.

Va precisato che, essendo un periodo di festività, il numero di pazienti era notevolmente ridotto rispetto ad altri periodi dell’anno: qualcuno può permettersi una vacanza lunga, qualcuno capisce che fare gli esami del sangue se divori capponi ripieni e svuoti damigiane di vino non ha molto senso, fatto sta che stamane i tempi di attesa erano, al massimo di 2-3 minuti.

Ciò nonostante, il cafone di turno c’è sempre, che arriva allo sportello trattando l’impiegata come fosse una schiava, o che pretende di avere ragione anche se è il medico ad aver sbagliato omettendo un esame nell’impegnativa.

Il colpo di genio l’ha manifestato una signora, distinta, età approssimativa 50 anni, che stava raccontando ad una vicina come tempo addietro il medico avesse sbagliato una prescrizione e questi cattivoni del poliambulatorio l’avevano fatta tornare dal medico anziché aggiungere loro l’esame mancante.

Ora, a parte che è un reato modificare una ricetta, come può pensare la distinta signora che un poliambulatorio possa decidere quali esami occorrano ad un paziente?

Tempo addietro in alcuni Pronto Soccorso in varie parti del Paese si sono manifestati episodi di violenza a carico di infermieri, impiegati e medici da parte di persone che non possedendo un cervello ragionano con le mani e talvolta con armi anche improprie; probabilmente è servito affiggere negli ospedali un cartello che ricorda che il personale delle strutture mediche è “pubblico ufficiale” e che ogni aggressione, verbale o fisica, nei suo confronti è prevista come reato: “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio[..] è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni>”per vedere ridotti di numero gli episodi.

Non serve molto scriverlo in un articolo perché gli ignoranti non leggono ma… non si sa mai.

La vera causa di tutto ciò è comunque l’ignoranza di cui è pervasa la maggior parte delle persone che non conoscono il funzionamento della macchina pubblica, che non sanno parlare in modo costruttivo col proprio medico e, peggio ancora, non capiscono ciò che il medico dice loro.

Se dici all’impiegata “Devo fare il Cardioencefalogramma”, a parte chiedere una prestazione inesistente, probabilmente dovrai mostrare l’impegnativa o la prenotazione; se ti rifiuti di mostrarla perché non vuoi che l’impiegata violi la tua privacy sei un cretino a prescindere perché come possono svolgere la prestazione che chiedi? A parte che, per educazione, dovresti chiedere, “per favore, dove devo andare per effettuare questo esame?” mostrando l’impegnativa.

Poi, capisco che la mascherina dia fastidio, ma se l’hai tenuta fuori, dove non è obbligatoria, fino all’ingresso in struttura, perché la togli quando entri e, ancor peggio, quando un’addetta della struttura ti invita a indossarla, fingi di accettare per poi sfilartela nuovamente?

Come ho scritto in un articolo su queste colonne il 19 maggio u.s., lo stress è sicuramente presente in molti di noi, per le ragioni più varie. Qualcuno lo gestisce meglio, qualcuno non lo sopporta affatto, qualcuno ha imparato a conviverci attutendone gli effetti più deteriori.

Qualcuno, addirittura, ha trasformato uno stress dannoso, o distress, in qualcosa di positivo, di utile, o eustress, così da trarne beneficio.

Un mio collega di oltre 30 anni fa, costretto a fare code di 1 ora in auto per recarsi al lavoro, aveva cominciato ad utilizzare quel tempo per apprendere una lingua straniera, ascoltando le cassette così da non accorgersi del tempo trascorso inutilmente ottenendo, in cambio, un vantaggio.

Questo periodo, gli ultimi 3 anni in particolare, hanno sottoposto tutti noi ad uno stress non indifferente, tra mutamento di abitudini, aumento dei prezzi, rischi sanitari, politiche finto buoniste e finto ambientaliste che ti impediscono di usare un’auto nuova per fartene acquistare una che inquina uguale ma nuova (vedi zona B di Milano).

Ciò non toglie, tuttavia, che vivendo in una società civile dobbiamo imparare a rispettare chi ci circonda, a partire da chi sta lavorando per noi (cassiera, addetta alle vendite, impiegata all’accettazione, impiegata comunale) proseguendo con chiunque incroci il nostro cammino.

Molti sono convinti di essere il Marchese del Grillo, che apostrofava il popolo dicendo “Io sono io e voi non siete un c…”ma era un film, erano altri tempi e lui, anche nella vita reale, avrebbe forse potuto permetterselo essendo Sordi; perciò il mancato diritto di precedenza, non rispettare il senso di entrata/uscita da un negozio, o la spinta non volontaria per strada vengono vissuti da alcuni ignoranti come una questione di lesa maestà.

Quando succede a me, ricordo al Marchese di turno che sottoterra avrà ancora meno spazio.

Riassumendo: stress, vicende personali, fretta, dispiaceri non giustificano mai il comportamento maleducato; l’educazione viene prima di ogni altra rivalsa, anche per pretendere i propri diritti, purché siano tali, se non riconosciuti.

Soprattutto riflettiamo prima di parlare, inserendo il cervello prima di far agire il corpo: siamo proprio sicuri di aver ragione?

Sergio Motta

Gioia e nostalgia in quei capodanni torinesi tutti diversi… quante emozioni dagli Anni ‘70 ad oggi

COSA SUCCEDEVA IN CITTÀ

In fondo ogni anno è diverso dall’altro. Come i capodanni, del resto.

Hanno comunque punti in comune. Costanti che si ripetono come i paragoni tra un anno e l’altro ed un capodanno e l’altro. Valutando e riflettendo su ciò che è stato e quello che vorremmo che fosse. Oscillando su occasioni mancate e riflettendo. Sapendo che è meglio avere rimpianti e non rimorsi.
Sapendo che il ricordo ti aiuta nel vivere e nel superare le difficoltà. Sapendo che l’allegria delle feste si abbina a quella nostalgia che abbiamo per il tempo che passa.
Nel 1975 un capodanno passato a giocare a tombola in quel di Napoli. Per l’esattezza a Frattamaggiore, vicino a Napoli.  Con Patrizia Alfano e Franco Cardinali. Viaggio avventuroso con una 850 sport.
Era la spider dei poveri imprestata dal padre di Franco. Raggiungevamo  gli amici napoletani conosciuti l’estate prima in un campeggio in Calabria. Pensate, fino ad allora non conoscevo la pasta aglio olio e peperoncino e manco la mozzarella in carrozza. Ospiti della famiglia Foscini. Tre fratelli. Due maschi e la femmina, cancelliera alla procura di Torino. In quegli anni era in pieno centro in via Milano angolo via Tasso. A 100 metri dal municipio. 1975, anni radiosi e di assoluta fiducia. Anni di comunità. La tombolata come naturale epilogo e premessa per un futuro sicuramente più bello dell’allora presente. Realmente non fu così, ma tentare era già qualcosa. Nel 1983 c’era già il riflusso ma a me poco importava.
1983,  partimmo Antonella ed io per Genova.
Capodanno da coppietta. Sposi dal 1978 era ora di fare una figlia. Chissà perché non ho mai voluto un figlio? Ed il “destino” me ne ha regalate due. Alice e Sara. Mi è andata decisamente bene. Il 31 dicembre il ristorante era quasi vuoto. Sul mare, scelto grazie alla guida dei ristoranti di Veronelli. Che ricordi.
Poi Santa Margherita ligure. Con quel mare così bello e così triste in inverno. Fummo accontentati ed il 19 gennaio , ero ad un seminario di formazione, grazie telefonata alla moglie: che mi dici? Sono incinta. Il 27 luglio nacque Alice Tosetto. Forse stavo maturando,  entrando nel mondo degli adulti.
Ma non finisce qui. 2005, capodanno al Sermig. Capodanno del digiuno. Ed offerta per i poveri. Andammo in quattro: Sara Paola la mamma ed io. Era la prima volta. Un Capodanno profetico, incentrato sulla pace e convivenza tra i popoli. Tante sale piene. Piene di giovani. Veramente molto bello.
Con questa mia personale stima in chi crede.
Per allora e per oggi una isola serena e felice. Fuori un mondo che, sinceramente e francamente, a volte non capisco. Erano  17 anni fa e le cose sono decisamente cambiate in peggio. Poi fiaccolata fino al Duomo.
I bambini reggevano lo striscione inneggiante alla pace. Che emozione vedere Sara trionfante e raggiante tenere quello striscione.
Tutto è negli occhi e diciamo anche nel mio cuore , nella mente con ricordo nitido.
Nel 2023 faccio il giro di boa del decennio virando verso la meta dei 70. Tempo di riflessione e valutazioni. Dalla Tombola del 75 a Napoli ad oggi passando da Genova e tornando nella mia Torino, cercando pace per noi e per loro. Per tutti. Utopia sicuramente ma è bello sempre accarezzare l’Utopia.
Credere in altro. Credere di voler andare oltre.
Affinché la speranza non muoia mai. Si è affievolita  indubbiamente. Ma non sono perse tutte le speranze. Buon anno a Tutti. Stavolta veramente a Tutti. Magari nel 2023 qualche passo in avanti lo faremo.

PATRIZIO TOSETTO

Il Papa che ci ha fatto capire i limiti del nostro tempo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non accolsi bene la nomina di Benedetto XVI, ritenendo errata e contraddittoria la sua affermazione relativa alla “dittatura del relativismo“, in quanto il relativismo non può generare dittature. Successivamente mi sono ricreduto perché la prevalenza del pensiero unico ha generato un sempre più pesante conformismo e ha imposto linguaggi tutti eguali che sono diventati delle vere e proprie litanie sedicenti laiche. Certamente ha generato un nichilismo in cui la verità viene soffocata e la coscienza annullata. Il male e il bene si confondono e si mescolano, generando indifferenza etica se non cinismo. Il pensiero debole non ha aperto nuove vie alla libertà di pensiero, ma ha tentato di togliere di mezzo ogni visione etica della vita, quelle che Bobbio definiva le etiche laiche. Questo è il messaggio laico di questo Papa che proveniva dall’ex Santo Uffizio. Ho avuto modo di conoscere da vicino attraverso le sue opere Papa Benedetto e ho avuto modo di intermediario attraverso l’amicizia di Marcello Pera, il liberale che con lui scrisse un libro che andrebbe ripubblicato.

Molti sedicenti laici hanno irriso al suo pensiero, giungendo ad impedirgli di parlare all’Universita’  di Roma. Era stato un illustre accademico in Germania e a Roma, la città di cui era vescovo, gli impedirono di tenere una conferenza. Fu un episodio di squadrismo intellettuale vergognoso di cui furono responsabili dei professori e non i soliti facinorosi del movimento studentesco. Basterebbe questo episodio per capire il culturame laicista nostrano, intollerante verso chi non la pensa come lui e incapace di un confronto rispettoso. Il modo dignitoso e silenzioso con cui prese atto del divieto accademico romano dice molto di quest’uomo che ha dimostrato di riconoscere con umiltà i propri limiti , rinunciando alla Cattedra di Pietro. Non era una scelta semplice , ma sottintendeva anche la piena e lucida comprensione della crisi di una Chiesa che nel Concilio Vaticano II aveva in parte smarrito la forza della sua tradizione e necessitava di una guida più forte al timone della navicella di Pietro. In quella scelta che non fu di viltà, ma di amara consapevolezza di una situazione drammatica di cui il Papa era ben consapevole vi è una grande lezione di vita. Dirà la storia se Papa Francesco abbia posto anche solo parziale rimedio alla crisi della fede e della Chiesa, ma certo la rinuncia di papa Benedetto si rivelò più eloquente di una enciclica. Anche il suo discusso discorso di Ratisbona che toccava i temi cruciali dell.’Islam e dell’Occidente va riletto come un prezioso contributo per capire i tempi in cui viviamo e la incompatibilità di ogni fede religiosa con la violenza. Allora suscitò polemiche aspre e ingiuste. Oggi non è il momento di trarre bilanci,  ma è il momento di riconoscere il valore innanzi tutto umano di un protagonista del nostro tempo che scegliendo il silenzio e la preghiera ha continuato a indicarci senza imposizioni ed asprezze dogmatiche uno stile di vita in un mondo che ha smarrito quasi tutti i suoi valori etici per accogliere come modello il turpiloquio del politicamente corretto.

A capodanno un concerto per i diritti

Col desiderio di dare un contributo – che sappiamo piccolo – costante, tenace e appassionato ad una campagna per la pace e per i diritti umani (anche perchè profondamente convinti che l’una non possa sussistere senza gli altri, e viceversa) anche quest’anno ci siamo mobilitati per celebrare la “Giornata mondiale della pace” (istituita da Papa Paolo VI e successivamente condivisa da tutte le principali religioni mondiali).
Essa si svolgerà quindi il 1° gennaio 2023 al Sermig di Torino.
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Giampiero Leo 
Portavoce del Coordinamento interconfessionale del Piemonte “Noi siamo con voi”


PER LA PACE E PER I DIRITTI

Nella pace e nei diritti nessuno è straniero. Noi credenti non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo impegnarci per un’etica della responsabilità, dobbiamo pensare alla luce del bene comune, ovvero come un ‘noi per voi’ aperto alla fraternità universale.

E’ l’ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato, questo del Concerto di Capodanno per prepararsi al senso della Pace e dei Diritti. Le religioni possono essere la resistenza più forte alle follie della guerra e delle oppressioni e la strada maestra per riannodare i fili della pace e dei diritti: i diritti dei lavoratori, dei migranti, dei malati, dei bambini non nati, delle persone in fin di vita e dei più poveri, i diritti della libertà di pensiero, di espressione, di religione, di autodeterminazione e di sicurezza dei popoli, diritti sempre più spesso trascurati o negati”.

Dopo la guerra di invasione contro la popolazione ucraina sprofondata nella morte, nella paura e nel gelo dell’inverno, emblematico quello che sta accadendo in Iran: ci sono voluti quarantatré anni di sofferenza per le donne iraniane perché il mondo intero si accorgesse delle loro priorità. In questo periodo leggi e interpretazioni ciniche della sharia hanno tentato di trasformarle in cittadine di secondo livello. Oggi questa situazione non sta più bene non solo alle donne, ma anche agli uomini. Ed è la prima volta che una richiesta legittima e fondamentale delle donne viene percepita dalla popolazione a prescindere dal genere. Tocca a noi credenti farla diventare patrimonio di tutti. Il riconoscimento dei diritti delle persone più deboli non deriva da una concessione governativa, quei diritti derivano dal riconoscimento della dignità umana.

Crediamo nel Concerto di Capodanno perchè la musica ha il potere di “sincronizzare” menti e cuori, di unire, esercitando una funzione sociale, mettendo in comunicazione fra loro persone di lingue, culture e religioni differenti. Ascoltare musica, o crearla ha lo straordinario potere di rinfrancare il corpo e lo spirito. Per Platone, musica era “tutto ciò che soddisfi desideri e aspirazioni”, un’arte che congiunge il pensiero razionale con l’emozione. La musica quindi come costruttrice di ponti, come strumento di pace, capace di abbattere muri e indifferenze.

Noi del Coordinamento interconfessionale del Piemonte con il Concerto del Capodanno 2023 vogliamo percorrere insieme l’unica strada possibile per riannodare i fili della pace, facendo diventare i nostri maestri strumentisti veri e propri “donatori di musica”, per ritrovare quella capacità ostinata di amare, amare indiscriminatamente. Appuntamento allora per il 1° Gennaio a Torino alle 18.00 all’Arsenale della Pace del Sermig.

Dossier carceri: in arrivo i fondi per gli istituti piemontesi

Carcere minorile, intervento da oltre 25 milioni

L’occasione per rendere nota la notizia è stata la conferenza stampa Gli spazi del carcere contemporaneo, svoltasi a Palazzo Lascaris per presentare il Dossier delle criticità strutturali e logistiche delle carceri piemontesi, realizzato con il contributo dei garanti comunali.

“Per il 2023 – ha proseguito Mellano – si prevede un milione di euro per la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio immobiliare penitenziario di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. Come Coordinamento regionale dei garanti chiediamo al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di svolgere entro sei mesi un’attenta ricognizione degli spazi presenti nelle tredici strutture penitenziarie piemontesi per adulti e, appunto, nel carcere minorile di Torino affinché ambienti inutilizzati o abbandonati possano essere recuperati per attività formative, lavorative o di socializzazione”.

“La rete dei garanti comunali, coordinata dal garante regionale – ha dichiarato il componente dell’Ufficio di Presidenza Gianluca Gavazza, che ha portato il saluto dell’Assemblea – è una ricchezza che permette una presenza quotidiana in ogni Comune sede di Istituto di pena di cui il Dossier, giunto alla settima edizione, è frutto”.

I garanti comunali di Alessandria Alice Bonivardo, Asti Paola Ferlauto, Biella Sonia Caronni, Cuneo Alberto Valmaggia, Ivrea Raffaele Orso Giacone, Saluzzo Paolo Allemano e Torino Monica Cristina Gallo hanno denunciato come gli Istituti carcerari siano stati negli anni abbandonati a sé stessi e necessitino di personale e di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria non rimandabili. Accanto alle note dolenti, non è mancata la sottolineatura di migliorie ottenute negli anni.

“A breve – ha aggiunto Mellano – vedranno la luce progettazioni della Regione assai innovative relative agli sportelli lavoro e multiservizi e agli agenti di rete. È necessario che le carceri piemontesi mettano a disposizione spazi e uffici per permettere l’incontro degli operatori con i detenuti”.

Le conclusioni sono state affidate all’architetto Cesare Burdese, già componente della Commissione Architettura penitenziaria del Ministero della Giustizia, che ha sottolineato come “i rapporti con l’Amministrazione penitenziaria siano spesso rigidi, burocratici e legati a concetti e schemi spaziali del passato”. E ha evidenziato, come esempio positivo, la progettazione condivisa dell’Icam di Torino.

Il Dossier sarà recapitato alle autorità e ai soggetti interessati.

Mattei, un caso ancora aperto

di Massimo Iaretti

A poco più di sessant’anni la tragica scomparsa di Enrico Mattei suscita ancora interrogativi e discussioni, anche accese. Lo ha dimostrato la conferenza ‘Il caso Mattei’, organizzata a Somma Lombardo, nell’area delle ex Officine Aeronautiche Caproni, nel parco di Volandia, a poca distanza dai terminal 1 e 2 dello scalo internazionale di Malpensa.

Il 17 dicembre scorso grazie alla Fondazione Volandia si sono confrontati. con grande rigore, pur talvolta su posizioni diverse, tutti relatori di grande spessore, con l’avvocato Paolo Re, del Foro di Pavia, membro del comitato scientifico della Fondazione a fare da moderatore.

Ad aprire la serie dei contributi è stato Massimo Ferrari, già docente di storia del giornalismo all’Università Cattolica di Milano, che ha evidenziato come la storia di Mattei debba essere inserita in quella della Democrazia cristiana, del movimento cattolico italiano e della stessa Università Cattolica, alla quale era stato iscritto pur senza raggiungere la laurea per via dei moltissimo impegni di lavoro. “Gliene conferirono una in ingegneria honoris causa, che non c’entrava niente” ha detto Ferrari, ricordando anche il contributo ‘defilato ma importante’ dato alla lotta partigiana in cui stabilì relazioni solide sia nell’ambito delle Fiamma Verdi, formazioni cattoliche, sia delle Garibaldi, comuniste. Quando iniziò la sua attività amministrativa all’Agip, che avrebbe dovuto liquidare dal Pci dissero “è bravo perché coinvolge tanto i politici, quanto i preti”.

Ferrari ha poi ricordato come, pur incaricato da De Gasperi di liquidare l’Agip, face esattamente in contrario, credendo nella possibilità di trovare delle fonti energetiche sul suolo nazionale, partendo dalle prospezioni e dagli studi fatti nel 1944 nel cremonese, tenuti rigorosamente nascosti ai tedeschi. E quando gli fecero notare che i tecnici erano stati fascisti rispose, lui che era partigiano ed antifascista, “ ma che me ne frega, se sanno fare il loro lavoro apriamo una pagina nuova”.

La relazione di Ferrari ha poi riproposto quello che accadde dopo, con lo sviluppo della ricerca delle fonti energetiche, la nascita dell’Eni, i rapporti con Paesi del Terzo Mondo impostati in modo assolutamente innovativo, la sua figura come una sorta di ‘Adriano Olivetti nel settore petrolifero’ per i rapporti con la maestranze.

Bruno Franchi, presidente dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza di Volo e docente di diritto aeronautico a Modena, invece, ha tracciato, soltanto sotto un profilo squisitamente giuridico,quello che è stato il lavoro effettuato dalla Commissione Savi, senza entrare assolutamente nel merito di quelle che furono le modalità di intervento e le conclusioni.

Il relatore ha spiegato che, sin dal 28 ottobre1962, su disposizione del Ministro della Difesa, l’Ufficio del Segretariato Generale dell’Aeronautica dispose la costituzione di una commissione tecnica per verificare quanto era accaduto, presieduta da un generale dell’Aviazione e composta da quasi tutti militare, la quale terminò i suoi lavori nel marzo del 1963.

Franchi ha spiegato che tale scelta fu coerente con quelle che erano le disposizioni normative dell’epoca: l’organizzazione civile divenne autonoma nel 1963, quindi successivamente al sinistro avvenuto il 27 ottobre del 1962.

Oggi, ovviamente, le cose sarebbero diverse in quanto l’inchiesta tecnica, è stata sostituita da una inchiesta di sicurezza e lAnsv, che le conduce è un soggetto posto in condizione Di terzietà effettiva.

Franchi in ogni caso ha evidenziato che “tutto quello che c’è in relazione di inchiesta non deve scandalizzare perché è coerente con gli impianti allora esistenti a livello nazionale ed internazionale” e non emerge che vi siano stati problemi con l’autorità giudiziaria sulla documentazione.

Di tenore decisamente divergente, invece, sono stati i contributi dei due relatori successivi, Gregory Alegi e Vincenzo Calia.

Alegy, docente alla Luiss di Storia delle Americhe e autore di due saggi storiografici su Ustica e la morte di Italo Balbo, dopo aver detto che la prospettiva è capire, raccontando le cose come sono andate, si è soffermato sulle conclusioni della Commissione Savi, al nome del comandante della prima regione aerea, Ercole Savi, considerato uno dei maggiori esperti di volo strumentale in Italia.

Il relatore ha detto di averlo intervistato e conosciuto, che la commissione era composta da membri piloti di valore ed esperienza per valutare un collega come Bertuzzi con alle spalle 1200 ore di volo militare come capo equipaggio e 10mila come civile.

Secondo la lettura di Alegy i commissari sono stati molto attenti a tutelare la memoria del collega. Se poi quanto è accaduto sia stato generato a un malore del pilota non si può escludere o ammettere, nel senso che non ci sono abbastanza elementi per poterlo affermare.

Per quanto attiene l’ipotesi che sia stato un attentato la Commissione escluse che possa essersi verificato uno scoppio in volo, non avendo rilevato, a suo dire, elementi oggettivi su base concreta.

In sostanza il dramma in cui morirono Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale sarebbe stato dovuto ad una serie di cause non ad una causa unica.

Di altro tenore e basata su una diversa lettura dei fatti e degli atti la relazione di Vincenzo Calia che, quando era procuratore di Pavia riaprìl’inchiesta per verificare se quando accaduto fosse conseguenza di un sabotaggio all’aereo  Morane-Saulnier  come aveva raccontato un collaboratore di giustizia alla procura di Caltanissetta.

Il magistrato ha raccolto in un libro, scritto con la giornalista Sabrina Pisu, le risultanze di un lavoro investigativo durato anni.

La tragedia fu al centro di 2 inchieste parallele. Quella dell’aeronautica, come già detto, nel marzo del 1963 escluse l’ipotesi di sabotaggio, pur ammettendo che non era stato possibile accertare con esattezza le cause di quanto avvenuto.

La seconda della magistratura di Pavia si concluse nel 1966, stabilendo l’accidentalità dell’evento, badandosi in particolare sulle condizioni meteo proibitive, la sola testimonianza di Mario Ronchi, proprietario del campo dove cadde l’aereo, gli accertamenti medico-legali che non evidenziarono tracce di esplosivi, gli accertamenti tecnici.

Il dottor Calia, dopo aver ricordato di aver sentito la maggior parte dei membri della commissione tecnica ha evidenziato, quanto è risultato dalle nuove indagini, in difformità da quelle della precedente inchiesta.

Innanzitutto il bollettino della stazione meteo di Linate di quella sera che parlava di “pioggia, nebbia, visibilità a 800 metri, visibilità in pista a 1400 metri”, quindi una situazione non critica. Nell’occasione è stato fatto ascoltare l’audio delle comunicazioni tra Bertuzzi e Linate.

Sulla ‘sola testimonianza di Ronchi’ il magistrato ha detto, a 33 anni dal fatto di aver trovato 31 persone che avevano visto, alla stessa ora, nello stesso punto del cielo, fiammelle’. Ronchi, a caldo, in un’intervista aveva detto di aver udito un boato e fiammelle nel cielo. E’ stato anche fatto vedere un vecchio filmato Rai dove si sente soltanto  una parte delle dichiarazioni di Ronchi, fatte a caldo: l’audio è stato cancellato ma a suo tempo ricostruito grazie alla lettura del labiale. Stessa sorte ha subito un’intervista ad un’altra testimone del fatto a Bascapè.

Riguardo agli accertamenti medico legali non c’è stato alcun conflitto tra la magistratura e la commissione tecnica, in quando, secondo quanto appurato dall’inchiesta del 1994, i consulenti avrebbero acquisito le conclusioni della commissione tecnica senza controlli o verifiche.

Secondo quando emerso dalla nuova indagine, che ha visto la riesumazione dei resti di Mattei e di McHale (non di Bertuzzi), su quanto rimasto dei reperti, si sarebbe arrivati, con consulenze scientifiche di altissimo livello, alla conclusione di schegge dovute ad esplosivo di bassa intensità,

Sicuramente sul luogo del sinistro, la sera in cui avvenne, ci furono delle stranezze: i vigili del fuoco arrivarono dopo due ore, nell’immediatezza c’era invece l’investigatore Tom Ponzi che acquistò tutte (o una grande parte delle) foto scattate, personale della Snam.

Sui quanto rimaneva delle persone che viaggiavano a bordo dell’aereo, poi venne effettuato un esame dei resti già detersi dal fango..

Infine il magistrato ha ricordato che i resti dell’aereo vennero stoccati provvisoriamente presso il 4° Gruppo Manutenzione e Motori dell’Aeronautica a Novara che in un opuscolo celebrativo della sua attività ricorda che nel 1962 si svolsero presso la sala prove di Novara fasi dell’inchiesta per accertare le cause dell’incidente in cui perse la vita Enrico Mattei, che ‘avrebbe potuto essersi verificato per altimetro manomesso o una bomba a bordo’.

In sostanza ha detto Calia  che sulla base delle risultanze e degli accertamenti compiuti “è certo che sia esplosa una bomba”, il resto sono tutte ipotesi di plausibilità.

A rafforzare queste conclusione c’è la sentenza del 10 giugno 2011 della Corte d’Assise di Palermo nel processo contro Salvatore Riina per la scomparsa di Mauro De Mauro, giornalista dell’Ora di Palermo, rapito ed assassinato perché si sarebbe spinto troppo oltre nella sua ricerca della verità sulle ultime ore di Entico Mattei in Sicilia.

Riina venne assolto dall’accusa ma nella sentenza si legge: ‘data per acclarata la natura dolosa, causa della caduta I-Snap, condivisibile con quanto accertato dalla Procura di Pavia”, affermazione ripresa anche dalla Corte d’Assiste di Palermo e dalla Cassazione.

Il relatore ha infine citato una frase detta da Amintore Fanfani, all’epoca presidente del Senato, nell’ottobre 1986 e pubblicata da ‘Il Resto del Carlino’ che disse “chissà forse l’abbattimento dell’aereo di Matteo è stato il primo gesto terroristico del nostro Paese”.

E Fanfani non era certamente, navigatore di lungo corso della prima Repubblica.

Un caso, dunque ancora aperto, a sessant’anni da quella tragica notte del 27 ottobre.

Difendersi dalle fake news

Le fake news, ne sentiamo ormai parlare quotidianamente, sono le notizie false diffuse con intenti sensazionalistici, spesso anche su giornali che dovrebbero essere affidabili.

La recente pandemia, la guerra Russia-Ucraina, l’elezione di un Governo di centro-destra e molti altri temi sono stati utilizzati per diffondere notizie bomba, prive di fondamento con il risultato di aumentare la tiratura delle copie o l’audience o, nel caso di giornali online, i like ricevuti.

Un caso limite è il cosiddetto “clickbait” ovvero un titolo ad effetto che ha come scopo quello di attirare i lettori a cui spesso segue un articolo di tono diverso, talvolta opposto.

E’ come se nel titolo fosse scritto “Strage ferroviaria in Amazzonia” e l’articolo, invece, recitasse “Per costruire una ferrovia si stanno disboscando ettari di foresta pluviale”.

E’ evidente come il titolo attiri più lettori dell’articolo vero e proprio.

Spesso però le notizie sono totalmente false ed è difficile talvolta capire se siano notizie vere, modificate “ad usum deplhini” o totalmente inventate.

Consideriamo che da alcuni anni si è rafforzata l’abitudine, da parte di alcune testate anche importanti, di copiare pari pari un lancio di agenzia e pubblicarlo in modo identico ad altre testate.

Va da sé che se la notizia d’agenzia fosse un fake, e succede, tutti diffonderebbero una notizia falsa.

Quante volte hanno annunciato la morte di questo o quel personaggio famoso?

E’ di un mese fa la notizia del rinvio a giudizio per un tale che aveva diffuso una notizia falsa riguardante l’arresto, che sarebbe avvenuto in data 8 aprile 2017, di Fedez e J-Ax trovati in possesso di 28 grammi di cocaina. Stante la falsità della notizia i due rapper hanno querelato l’autore della notizia.

Per la cronaca, mentre il PM ha chiesto l’archiviazione il GIP ha richiesto, nello scorso mese di novembre, il rinvio a giudizio per diffamazione aggravata a mezzo stampa (data l’enorme diffusione di una notizia sul web questa è considerata un’aggravante.)

Come capire, dunque, se una notizia sia autentica o prima di fondamento?

Innanzitutto la serietà del giornale: la legge n° 62 del 7/3/2001 sulla stampa prevede che la stampa periodica debba essere registrata presso un Tribunale e che il Direttore responsabile (iscritto all’albo dei giornalisti) sia responsabile di quanto viene pubblicato: va da sé che un giornale serio verifica la fonte prima di diffondere la notizia.

Sedicenti giornali, fogli di notizie, blog, stampa alternativa e simili non avendo carattere di periodicità, esulano da tali obblighi e, spesso, contengono notizie false come una banconota da 30 euro.

In seconda analisi, vale la pena dedicare qualche minuto a cercare in rete se tale notizia sia stata battuta da altre testate o se il diretto interessato abbia smentito pubblicamente: se non vi è traccia della notizia in altri luoghi oltre a quello in cui l’avete vista state sereni: il vostro idolo è ancora vivo.

Poi, esattamente come nel phishing, quando la ricca vedova nigeriana vi nomina eredi di un patrimonio immenso perché vi vuole bene senza sapere chi siate, anche nel caso delle fake news si può notare un linguaggio mal tradotto, pieno di errori e di periodi evidentemente tradotti pari pari da un’altra lingua, cosa che un giornalista nostrano non farebbe.

Un ulteriore controllo può essere fatto sul nome del sito web che ha lanciato la notizia: se il nome è molto simile a quello di un sito famoso tranne per una lettera oppure  due lettere sono invertite, è evidente che l’intento sia quello di confondere gli utenti del web.

Ma per quale motivo le fake news vengono diffuse?

Avete un’idea di quanta pubblicità graviti intorno al web? Quanti banners si aprono mentre leggete una notizia, anche seria, e si ripropongono durante la lettura cambiando oggetto?

Se avete l’idea vi siete risposti: lo scopo è soprattutto quello di attirare navigatori che leggano la pubblicità, così l’inserzionista sarà contento di quel sito, tornerà a pubblicare e il gioco ricomincia.

Ho scritto “soprattutto” perché, in realtà, può esservi anche uno scopo ben peggiore: indicandovi di cliccare su un link per aprire la notizia o per vederne il video, voi rischiate di raggiungere un sito che installerà nel vostro pc (o nello smartphone) un software che potrà raggiungere le vostre mail, o identificare i vostri dati IBAN se li avete utilizzati da quel dispositivo, o testare le vostre abitudini per proporvi poi questo o quel prodotto.

In questo caso è sufficiente posizionare il puntatore del mouse sul link, senza cliccare, e vedere in basso a sinistra dello schermo quale indirizzo compaia: se è lo stesso del giornale potete stare più tranquilli.

Come diceva il giornalista Andrew Lewis “Se non stai pagando qualcosa, non sei il cliente ma il prodotto che stanno vendendo.”

Pensateci bene quando siete in rete.

Sergio Motta

La città che cambia. Una “fonderia” (inter)culturale alla ex Nebiolo

Con l’approvazione della delibera avvenuta  in Giunta comunale arriva il via libera per la realizzazione di un Centro culturale polifunzionale presso l’edificio ex-Nebiolo, sito in via Bologna 55 a Torino, proposto dalla Fondazione della Confederazione Islamica Italiana (CII).

Un progetto di fattibilità importante e ambizioso, opera dello Studio De Ferrari Architetti, realizzato di concerto con gli assessorati e gli uffici competenti della Città di Torino e in base allo studio sugli scenari di fruizione sviluppati per garantire attenzione alla sostenibilità, tanto dal punto di vista ambientale che socioculturale, elaborato da un gruppo di ricerca del Politecnico di Torino – Dipartimento di Architettura e Design – formato da docenti attivi nell’ambito del design per l’interculturalità, in collaborazione con i giovani del TurinProject CII. Il luogo sarà aperto al pubblico e offrirà servizi ai giovani e con il coinvolgimento del tavolo interfedi per un maggiore inclusione delle diverse provenienze culturali e religiose.

Il gruppo di lavoro nell’insieme ha analizzato la riqualificazione degli spazi del sito della ex-Fonderia Caratteri Nebiolo, attualmente in stato di abbandono, in un’accogliente e creativa “fonderia culturale” in continuità e contiguità con la storia del quartiere e dell’edificio stesso. L’architettura industriale dell’ex Fonderia Nebiolo, una delle più importanti fonderie di caratteri tipografici, nonché fabbrica di macchine per tipografia su scala internazionale, racconta l’anima di un’epoca, di un territorio e della cittadinanza che questi luoghi ha vissuto e contribuito a plasmare: essa sarà dunque accuratamente preservata nelle sue parti caratteristiche, di concerto con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, per definire le nuove identità, siano esse nuove destinazioni d’uso o attività e funzionalità connesse.

Il quest’ottica il Centro culturale polifunzionale si proporrà quale luogo multiculturale aperto alla cittadinanza e non solo – dichiara la vicesindaca Michela Favaro –  rappresentando una novità per la città e un punto di riferimento anche nazionale, oltre che collocarsi in uno scenario di buona pratica a livello internazionale”.

I contenuti culturali delle attività – prosegue l’assessore Gianna Pentenero – verranno svolte all’interno della ex Nebiolo saranno condivisi con il “Comitato Interfedi”, struttura permanente all’interno del Centro Interculturale della Città, nata in occasione dei XX Giochi Olimpici Invernali, che collabora con la Città nella promozione di iniziative volte a mantenere un’atmosfera di proficuo dialogo e confronto tra le diverse culture religiose, per una crescita democratica e culturale della società. In tal modo si favorisce la promozione di un dialogo interreligioso che consenta di fare della ex Nebiolo un luogo inclusivo ed integrante, attraverso una progettualità interculturale”.

In seguito alla riqualificazione – sottolinea la vicesindaca –  la superficie di mq. 5322 sarà destinata per un 60% circa a studentato, comprensivo di residenza, spazi dedicati alla ristorazione, servizi ed annessi, a cui si aggiungeranno la biblioteca con sala studio. Poiché si tratta di un progetto educativo rivolto a studenti/esse iscritti/e a percorsi formativi universitari e post universitari con carriera attiva meritevoli, il 70% dei posti letto sarà messo a disposizione di studenti utilmente inseriti nelle graduatorie EDISU, secondo l’ordine di merito. Il 17% circa della superficie del Centro culturale polifunzionale sarà messo a disposizione della Città e della Circoscrizione con servizi di pubblica utilità aperti alla cittadinanza, come la sala mostre, la sala congressi e spazi d’incontro per lo svolgimento di eventi culturali, manifestazioni, conferenze, corsi e altre attività che andranno così ad aggiungersi al sistema di servizi pubblici e privati offerti dalla Città. Circa il 16% sarà destinato a luogo di culto, cui si aggiungeranno spazi multifunzionali e per servizi annessi”.

La Fondazione CII ha formulato inoltre la richiesta di affidamento in cura degli adiacenti giardini, da poco intitolati a Giorgio Cardetti, come ulteriore assunzione tangibile di responsabilità e dimostrazione di desiderio di condivisione benefica col quartiere: lo spazio verde – che resterà pienamente agibile a tutti i cittadini – sarà riqualificato e valorizzato, anche con attività di giardinaggio e orticoltura, a beneficio non solo degli studenti alloggiati ma anche dagli abitanti della Circoscrizione.

Il percorso avviato grazie alla preziosa collaborazione del Politecnico di Torino e all’interesse della Città – Presidente Hajraoui Mustapha della Fondazione CII – ci ha permesso di definire a Torino il progetto di fattibilità di un centro che declinerà nella molteplicità dei suoi spazi la coltura e la cultura dei valori universali della pace, del dialogo interculturale e interreligioso”.

“Dal primo momento in cui con la Confederazione Islamica si è parlato di un futuro Centro Culturale a Torino – spiega la prof.ssa De Giorgi, Vice Rettrice per la Qualità, il Welfare e le Pari Opportunità del Politecnico di Torino – ho pensato che il Politecnico potesse e dovesse cogliere questa opportunità di co-progettazione mettendo in campo capacità di visione e competenze per supportare la Confederazione nella definizione di obiettivi “alti”, di medio e lungo termine. Tra le finalità del progetto, il rilancio in chiave consapevole, evoluta e internazionale della sfida dell’inclusione, del dialogo e della pace nella nostra Città. Un intento dall’alto valore sociale e culturale, pienamente in linea con la mission del Politecnico di Torino”.

L’Ex Fonderia Caratteri Nebiolo è un patrimonio storico della Città di Torino. Per questo – sottolinea il progettista dello Studio De Ferrari Architetti Vittorio Jacomussi – il progetto di fattibilità nell’affrontare i numerosi problemi della riqualificazione ha operato nel massimo rispetto del linguaggio architettonico, mantenendo la sua espressività attraverso il trattamento delle superfici e l’utilizzo di arredi poco invasivi, l’inserimento di nuovi ambienti nel rispetto dell’architettura storica, della luce naturale come degli spazi verdi, della multifunzionalità per gli ampi spazi interni”.

Il Contesto

L’area in cui si colloca il compendio ex Nebiolo, nel quartiere Aurora, è stata oggetto negli ultimi anni di significativi interventi di riqualificazione – tra cui il nuovo centro direzionale Lavazza con il suo museo, la sede dello IAAD, il “Camplus” Regio Parco di via Perugia, il recupero ad attività di servizi del cosiddetto “Sigaro” presso l’ex sede del Toroc ed un punto vendita della GDO- volti alla rigenerazione urbana di un tessuto in passato prevalentemente  industriale, ma situato a pochi passi dal centro città, interventi che saranno anche favoriti dalla realizzazione di un’apposita fermata della linea 2 della metro. La progettualità della APS si colloca in questo programma di ridisegno complessivo, in grado di iniettare nuova vitalità a un distretto che, tramontati gli insediamenti industriali che ne facevano una periferia, è destinato a trasformarsi completamente dal punto di vista urbanistico, sociale e culturale.

Le tendenze alimentari secondo Amazon: i torinesi amano i formaggi e le penne rigate

Ecco cosa non può mancare sulle tavole degli italiani secondo l’analisi di Amazon Fresh: frutta e verdura fresca, bevande e cibi sani sono all’ordine del giorno, insieme alla pasta, irrinunciabile tradizione, e a un buon bicchiere di vino

 

Dalle banane ai mirtilli fino a carote e zucchine, nel 2022 gli italiani hanno dimostrato particolare attenzione alle proprie abitudini alimentari come testimoniano le loro tendenze di acquisto, sempre più orientate verso prodotti freschi e salutari, come frutta e verdura, bevande zero zuccheri e latte senza lattosio. A rivelarlo è un’analisi di Amazon Fresh, il servizio di consegna della spesa in giornata di Amazon.it.

Cibi sani sì, ma al gusto della tradizione gli italiani non rinunciano: la pasta si conferma un pilastro della cultura gastronomica in tutto lo Stivale, ovviamente accompagnata da un buon bicchiere di vino. E uno degli aspetti più amati della pasta è proprio la sua versatilità, perciò, ognuno ha il proprio formato preferito.

Per esempio, romani e bolognesi non possono a fare a meno dei mezzi rigatoni, i milanesi preferiscono i fusilli, mentre i torinesi, optano per le penne rigate. Per quanto invece riguarda il vino, il bianco trentino Muller Thurgau è il più acquistato sia a Roma che a Bologna e Torino, mentre, nella città meneghina, patria dell’aperitivo, si stappano più bottiglie di Prosecco.

Scopriamo nel dettaglio le specifiche tendenze alimentari del 2022 nelle città di Roma, Bologna, Milano e Torino.

 

Torino: formaggio che passione

Tra tutte le specialità culinarie del capoluogo piemontese, ce n’è una che quest’anno ha conquistato proprio tutti: il formaggio. Spalmabile, grattugiato o a fette non conta, a cuor non si comanda. L’analisi di Amazon Fresh ha infatti rilevato un aumento degli acquisti di formaggio di ben 7 volte rispetto al 2021. Dopotutto, che agnolotti sarebbero senza!

Roma e le spezie: un legame che dura da secoli

I romani coltivano da sempre un forte legame con le spezie alle quali, sin dall’epoca dell’Impero, venivano attribuite proprietà salutari oltre che essere apprezzatissime per il loro sapore. Oggi, questa passione continua: il consumo di erbe essiccate e spezie, infatti, è raddoppiato rispetto allo scorso anno, trend che dimostra quanto la magia di questi antichi aromi si sia conservata nel tempo, diventando per i romani la soluzione ideale per rendere speciale anche la ricetta più semplice.

 

Dolce Bologna: tra Torri e leccornie

A spopolare nel 2022 a Bologna sono stati i dolci. La città Grassa, così chiamata per via della sua tradizione culinaria sostanziosa e abbondante, non si smentisce: la golosità è al primo posto. A dimostralo è l’incremento degli acquisti da parte dei bolognesi di torte e muffin , biscotti e snack dolci e praline al cioccolato aumentati di quasi 10 volte rispetto al 2021 secondo l’analisi di Amazon Fresh.

Milano: benessere e sport al primo posto

Anche a Milano al dolce non si dice mai di no, ma i meneghini compensano con uno sprint salutista e, tra una lezione di pilates, un esercizio in palestra e un po’ di jogging al parco, ricorrono sempre di più a integratori e alimenti specifici per lo sport, il benessere e il dimagrimento, il cui acquisto è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno.

 

Ecco svelata la top 10 dei prodotti più acquistati su Amazon Fresh nel 2022:

  1. Sant’Anna Acqua Naturale 
  2. Fyffes Banane fresche di Baileys
  3. Parmalat Zymil Uht Senza Lattosio 
  4. Mirtilli freschi di Baileys
  5. Mutti Passata di Pomodoro, 100% Italiano
  6. Finocchi freschi di Spreafico
  7. Coca-Cola Zero Zuccheri e lattina 100% riciclabile
  8. Iceberg senza residui di Bonduelle
  9. Zucchine fresche di Peviani
  10. Carote fresche di Spreafico

Nella vetrina Amazon Fresh è possibile trovare tutto per la spesa quotidiana: frutta e verdura, freschi e surgelati, vino, prodotti per la casa e la cura della persona. Il servizio è compreso all’interno dell’abbonamento Amazon Prime.