Il lockdown del 2020 è stato il primo caso, almeno in Europa, di impedimento forzato di ogni attività che non fosse strettamente necessaria.
Si è scoperto lo smart working (l’unica cosa “furba” è chi l’ha creato nella forma attuale, dove chi lo esercita deve sostenere tutti i costi, quali pasti, riscaldamento, linea telefonica, ecc)
La riduzione forzata della libertà, il divieto di recarsi al mare o in montagna, pena sanzioni pesanti, l’obbligo di recarsi a fare la spesa da soli, l’obbligo vaccinale e la cassa integrazione, gli importi della quale spesso arrivavano dopo mesi hanno comportato uno stress non indifferente in chi ne è stato oggetto.
Come sempre avviene quando si è sotto stress, la reazione è estremamente individuale; ricordiamo che lo stress è la reazione ad eventi esterni ed esistono ben due tipi di stress: quello positivo, o eustress, che consente di reagire positivamente e quello negativo, o distress, che al contrario può minare seriamente la salute dell’individuo.
Evidente come anche nel caso del lockdown le persone abbiano reagito in modi molto diversi tra di loro.
Alcuni sono andati completamente in tilt, non concependo una vita senza discoteca, magari privi di social network, senza hobbies e, spesso, con una scolarità bassissima che non consente loro un’interazione che ad altri è concessa.
Hanno avuto, in questo periodo, un enorme sviluppo trasmissioni televisive create apposta per chi non possa o non sappia ragionare col proprio cervello preferendo interessarsi al gossip di emeriti sconosciuti.
Allo stesso modo hanno avuto sviluppo, e questo è positivo per l’economia di un Paese, produzioni cinematografiche destinate allo streaming Tv, dato che le sale cinematografiche erano chiuse (città come Torino erano testimoni del numero di set cinematografici sparsi un po’ ovunque).
Ma, come dicevo, non tutti hanno reagito in questo modo.
Io, per esempio, ho continuato ad insegnare online ai vari studenti, ho organizzato la loro mostra fotografica di fine anno, ho ripreso a studiare russo, ho scritto il mio primo libro (e fra poco uscirà il terzo), ho studiato (per insegnare agli altri occorre prima sapere le cose) ed ho proseguito la mia attività di consigliere comunale.
Cosa ho di diverso da chi ha perso la voglia di fare, di reagire? La volontà? Il carattere, che non si lascia prendere alla sprovvista da provvedimenti inutili quanto dannosi? Un ricordo della teoria manzoniana degli eletti e dei reietti?
Sicuramente una mente imprenditoriale vedrebbe nel lockdown un’ottima opportunità di azione, per il ridotto numero di concorrenti, per il bisogno di soddisfare le esigenze altrui di socializzazione e di dialogo anche a distanza.
Troppe persone, si è visto col senno di poi, amano lamentarsi anziché reagire, attendere invece di agire, ricevere la carità anziché procurarsi ciò di cui hanno necessità.
Confucio diceva “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.”
Ecco: noi spesso attendiamo che qualcuno ci porti in dono (in vendita implicherebbe essersi procurati il denaro) ciò di cui abbiamo bisogno, anziché muovere noi i passi essenziali per procurarcelo.
Se vedete questo aspetto a livello di Paese, potete comprendere la disparità di percezione fra quanti lamentano di non trovare lavoro e quanti, dalla parte opposta, non trovano maestranze per la loro attività.
Ma non solo: lamentarsi, a 40 anni di età, perché non si ha conseguito un diploma anziché frequentare uno degli innumerevoli corsi di istruzione serali o online indicano una maggior propensione alla lamentela che alla soluzione.
Nei casi più gravi e da parte di soggetti più a rischio, ad esempio gli adolescenti che non hanno ancora una personalità definita, si assiste ad un incremento dei ricoveri in neuropsichiatria infantile (14-18 anni) in prevalenza causati dagli effetti post Covid (inteso come evento globale, non come infezione).
E’ evidente che molti di questi ricoveri vedano come responsabili i genitori del paziente (escludendo una patologia di origine traumatica o altrimenti contratta) che non hanno saputo prepararli alla vita da adulti.
Consentire sempre, soddisfare qualsiasi richiesta provenga dai figli, non rifiutare alcune richieste non significa amare i figli né volere il loro bene: significa solo essere genitori biologici (e almeno 2 su 10 credono di essere i padri ma non lo sono) ma lavorare contro gli interessi del figlio. Dire “no” ogni tanto ci renderà impopolari, verremo additati come insensibili, dittatori o altro ma preparerà i figli a sopportare le rinunce.
Sergio Motta