Quarant’anni fa, a Vallette… I “migliori” anni della mia scuola
Seconda mattinata alla “Levi”. Dove si era rimasti? Ricordate? Già: una quarantina d’occhi mi sfidavano… E anche oggi, seconda mattinata, continuavano a sfidarmi. Dalla mia, non più di un poker di alunni. Misi subito, in atto, la carta dell’attacco. La prima che mi uscì dal mazzo. Lasciai sedia e cattedra e cominciai ad addentrarmi, nella fitta spianata di banchi. O di quello che restava del parco banchi, disseminati a caso per la classe e diventati quasi tutti estroversi tazebao di varia letteratura e tavole confessionali su cui imprimere le alte voci di imperituri e straripanti amori, così come di fedi calcistiche inossidabili. A terra zaini e zainetti, scarpe da ginnastica che in larga parte avevano conosciuto tempi e aromi migliori, fogli e qualche libro sparsi a caso, perfino con una certa geniale creatività. Al termine della teatrale “passeggiata”, all’ultimo banco un giovincello dall’aria guascona, capelli a spazzola, non alto e cicciotello, leader incontrastato –s’era subito capito – della classe, se ne stava bello spaparanzato, schiena al muro su sedia caracollante e incollata non si sa come a un povero pavimento in legno che, dopo anni di ingiurie vandaliche, gridava solo misericordia. Al banco di fianco, un’altra “dolce creatura”, capelli alle spalle e pacchetto di sigarette in bella vista nel taschino di una camiciola da cui uscivano muscoli da palestra e corporatura da ripetente felicemente e caparbiamente incallito.
Seppi poi che il suo nome era Matteo e, in certo senso, rappresentava il “braccio armato” del giovinducetto di cui sopra. Silenzio “da non volava una mosca”. Una vocina dentro: prof buttati, adesso o mai più. Fisso e sfido il giovin ducetto. E con lui tutta la classe. Oggi voglio insegnarvi una parola che, da queste parti, mi pare sia poco conosciuta…caro Cosimo, detto Mimmo. Wow, mi ero rivolto proprio a lui. Il suo nome me l’aveva indicato il collega look english che mi aveva accompagnato il giorno prima alla classe. Il ragazzotto trasalì, nel mutismo imbarazzato dei compagni. Cosimo? Mimmo? Come avevo osato pronunciare cotanto nome “invano”? E per giunta con quel diminutivo “Mimmo”, in uso solo – per sua strettissima volontà – agli amici e ai fedelissimi? E quel “caro” poi di fronte al “Cosimo”. Mimmo (diventammo in seguito amici e “permise” anche a me di chiamarlo così ) si lasciò cadere di botto con un moto d’ira malcelato sulle quattro gambe della sedia. Era ormai sfida a due. Dalla mia, stranamente sentivo però di aver recuperato l’interesse (parlare di stima era ancora presto) di buona parte della classe. Ora dovevo cavalcare l’onda. Un lampo. Ritornai alla cattedra e scrissi alla lavagna, a caratteri cubitali, sottolineati e con tanto di esagerati due punti esclamativi, la parola RISPETTO!! Stetti un attimo ad osservare con puro compiacimento quel parolone scritto bello grande, bianco su nero, poi mi girai di botto verso la classe. Prima lezione, dunque. Un misto di grammatica italiana e di educazione civica. E perfino, come vedremo, di Educazione Musicale. Rivolto ai ragazzi – Mimmo aveva ripreso la posizione standard “sedia al muro”, aria di assoluta indifferenza e rabbia non ancora del tutto sopita – Rispetto – declamai – sostantivo maschile. Primitivo, astratto. Parola magica, capace di miracoli impensati, ma assai poco tenuta in considerazione, purtroppo, nel mondo in cui viviamo e perfino in questa classe, mi pare di avere intuito. Silenzio totale. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza. Cosa significa per voi la parola ‘Rispetto’? Dài forza, sentiamo qualche risposta. Una mano alzata. La parola “Rispetto”, prof, mi mancano le parole ma mi fa venire in mente il titolo di una canzone inglese… che a casa mio fratello mi fa ascoltare a palla! Lui è fissato con ‘sto Rhytm and Blues e guai a chi glielo tocca, che s’inc…., s’incavola come una belva! Magnifico. Respect! gridai. Capelli nerissimi, frangetta sulla fronte. Quella vocina arrivava come una benedizione da un “piccoletto”, Alessandro, che ben presto divenne mio fido “alleato” . “What you want, Baby I got … All I’m askin’, Is for a little respect”. Gran bel pezzo – continuai. Sapete che addirittura questa canzone incisa da un grandissimo come Otis Redding e poi dalla leggendaria Aretha Franklin è diventata l’inno, alla fine degli Anni ’60, di alcuni movimenti antirazzisti, negli Stati Uniti?E se tanto mi dà tanto, non vi sembra che anche noi potremmo prendere quasi come nostro inno ufficiale questa canzone?
Risolino (e come diversamente?) di Cosimo, che “minaccia”: Il rispetto si deve guadagnare. Parole sante! Parliamone! Domani, prof, porto la cassetta(allora si usavano ancora le musicassette, i cd erano in allora oggetti assolutamente futuribili) e ce la sentiamo in classe…magari la teniamo anche qui e ogni tanto ce l’ascoltiamo! Grande Ale! Piano piano, la classe si stava trasformando, nella sua larga maggioranza, sia pure con qualche silenziosa perdurante ma tangibile resistenza da parte del gruppo “eversivo” guidato dal Mimmo che non voleva essere chiamato Mimmo, in un celestiale consesso scolastico degno delle migliori Orsoline. Un miracolo. Da girone infernale a inaspettato, quasi Eden. La campanella – salvifica – suonò. La “sfida all’Ok Corral” l’avevo, almeno inizialmente, superata. In classe entrò una giovane e carina collega di Educazione Fisica. I ragazzi uscirono in corridoio per raggiungere la palestra. Fu allora che Cosimo detto Mimmo (ma solo per gli amici) mi si avvicinò e mi sussurrò appena, con aria circospetta di chi non voleva più di tanto dare nell’occhio: Il rispetto s’ha da guadagnare! Io lo fissai e gli sussurrai, con aria “mafiosa” pari se non superiore alla sua: Parliamone! E (per grazia divina) con Mimmo ne abbiamo parlato tanto. Con lui e con centinaia di altre ragazze e ragazzi della “Levi”. Per quattordici lunghi anni. I “migliori anni” della mia scuola. La migliore scuola delle mie scuole.
Gianni Milani