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Che errore la furia iconoclasta contro Montanelli

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’associazione antifascista milanese “I sentinelli”, anticipazione maschile delle sardine, sull’onda iconoclasta di un pur giusto antirazzismo,vorrebbe eliminare dalla toponomastica di Milano il nome di Indro Montanelli, abbattendone anche il non bellissimo monumento che la città gli ha dedicato.

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Pur essendo stato considerato di destra  o comunque contro certa sinistra settaria, Montanelli dopo la rottura con Berlusconi, venne  osannato perfino nei festival dell’”Unità”.
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Oggi viene accusato di essere stato razzista perché durante la guerra in Africa  Orientale  scelse come compagna una giovanissima  abissina secondo le consuetudini locali. Giudicare Montanelli con i criteri odierni per un fatto lontano, legato ad un mondo remotissimo, appare del tutto strumentale ed anacronistico. Sembra che il digiuno  delle manifestazioni per tre mesi stia provocando il peggio. Molte menti appaiono turbate. Montanelli è stato il più grande giornalista del secondo Novecento ed ha saputo dimostrare di saper andare controcorrente quando era necessario per arginare una deriva conformistica intollerabile. Il suo “Giornale” è stato un’alternativa sicura a certo sinistrume che stava montando in Italia con arroganza egemonica negli Anni 70  e che finì di parteggiare per il terrorismo rosso. Tutti  o quasi si stavano allineando come delle pecore, ma Montanelli seppe dire  di no. Venne anche ferito dalle Br. Quell’episodio lontano della sua giovinezza va contestualizzato in una realtà  molto particolare come quella abissina. In ogni caso si può considerare  come un errore giovanile. Se un episodio isolato bastasse a screditare una vita intera, nessuno potrebbe avere un monumento o potrebbe essere ricordato. L’attenzione alla vita di Montanelli di questi “Sentinelli” – uno strano nome di cui non avevo mai saputo nulla – è quanto meno sospetta perché sono andati a cercare una macchiolina invece di considerare a pieno la figura complessiva di Indro. Ho avuto un rapporto di amicizia cordiale con lui che venne nel 1988 e nel 1991 al Centro Pannunzio. Furono eventi  indimenticabili. Conoscendolo da vicino capii la grandezza anche umana di Indro che inserii nel mio libro “Figure dell’Italia civile” che ho presentato in tutta Italia. Solo una volta trovai un arzillo vecchietto  che mi contestò il fatto di  averlo inserito  arbitrariamente nel mio libro che contiene i ritratti di Bobbio, di Casalegno, di Venturi e di tanti altri intellettuali di sinistra. Ma neppure l’arzillo vecchietto ebbe il coraggio di demolire Montanelli, raccontando l’episodio su cui si accaniscono i “Sentinelli”, un nome di per sè preoccupante perché in una libera democrazia le opinioni dovrebbero essere tutte rispettate senza bisogno di “Sentinelli“ che ci delimitino gli orizzonti del pensiero. Aveva ragione Flaiano quando diceva che i fascisti sono di due tipi: i fascisti e gli antifascisti. Renzo De Felice disse che il retaggio fanatico del fascismo si era trasmesso  in eredità all’antifascismo che in parte fu costituito da ex fascisti convertiti all’ultima ora. L’idea di cancellare i giardini Montanelli di Milano e di abbatterne la statua esprime un’intolleranza manichea che  non  sa rispettare la storia e le persone che la pensano diversamente. Un risorgente giacobinismo o un paleo- marxismo del tutto incompatibile con la civiltà liberale per cui Montanelli si è speso durante la sua lunga vita, magari  sbagliando qualche volta, come capita agli uomini che non sono dei santi e non ambiscono all’aureola perché hanno peccato. I “Sentinelli” si autodefiniscono oltre che antifascisti anche laici. Forse non sanno neppure cosa sia la laicità che non è solo tolleranza, ma è  soprattutto rispetto per tutte le idee. Questi signori non conoscono la differenza tra laicità e laicismo che spesso è assai poco laico. L’accanimento violento contro Montanelli lo sta a dimostrare.
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Robot guidati da remoto per “telepresenza” nelle strutture ospedaliere

Al via una nuova sperimentazione che impiega robot teleguidati messi a disposizione da TIM agli ospedali Regina Margherita e Sant’Anna e alla sede di CasaOz. L’iniziativa rientra nell’ambito della campagna di solidarietà digitale e di innovazione “Torino City Love” lanciata a marzo dal Comune di Torino

 

Robot guidati da remoto per “telepresenza” in alta definizione che consentono un contatto costante con il mondo esterno da parte delle persone che si trovano in strutture ospedaliere o di accoglienza: pazienti, mamme, minori, medici, infermieri, ostetriche, altro personale ospedaliero, familiari e anche educatori. 

Il progetto è partito a Torino, dove TIM ha attivato all’interno dei reparti di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale Infantile Regina Margherita e di Ginecologia e Ostetricia 1 universitaria dell’ospedale Sant’Anna, oltre che nella sede di CasaOz in corso Moncalieri, un innovativo servizio di “telepresenza”, cioè di video-comunicazione evoluta.

L’iniziativa fa parte della campagna di solidarietà digitale e innovazione di “Torino City Love”, alla quale ha aderito la Fondazione Medicina a Misura di Donna che ha sede all’ospedale Sant’Anna e ha fatto da ponte per l’operazione.

La piattaforma è stata avviata dal Comune di Torino per rendere disponibili gratuitamente ai cittadini soluzioni digitali innovative a supporto della sanità e delle persone attraverso la piattaforma ‘Torino City Lab’.

Grazie all’impiego dei robot, prodotti da Double Robotics (DOUBLE3) e connessi alla rete TIM, i bambini, le mamme e tutti gli altri operatori delle strutture interessate, impossibilitati a ricevere visite a causa delle disposizioni sul distanziamento sociale per il Covid-19, possono mantenere quotidianamente un contatto “umano” con i propri affetti che si trovano a casa o con alcuni specialisti operanti in altre strutture.

Più in dettaglio: per contrastare l’emergenza sanitaria, l’obiettivo del progetto di telepresenza robotizzata all’interno del reparto dell’Oncoematologia pediatrica dell’ospedale Regina Margherita è mirato a supportare i pazienti, i familiari e i professionisti sanitari e non sanitari nella comunicazione della diagnosi durante i colloqui clinici. Questo permette, ad esempio, ai genitori dei piccoli malati di essere entrambi “presenti”, seppur in videoconferenza, durante questi delicati e importanti momenti di definizione delle terapie, mantenendo in tal modo “l’umanizzazione” dell’assistenza al bambino, all’adolescente oncologico e alla sua famiglia e alleviandone così il senso di smarrimento e isolamento.

 

Sempre grazie ai robot, i piccoli pazienti, che aderiscono ad attività formative o ludiche proposte da CasaOz, possono anche continuare ad “avere vicino” i loro educatori e compagni di gioco, con i quali tramite gli applicativi di video chiamata ad alta definizione possono interagire, nonostante il protrarsi della loro permanenza in ospedale.

Per quanto riguarda invece il reparto di Ginecologia e Ostetricia 1 universitaria dell’ospedale Sant’Anna,  attraverso il robot,  il personale ospedaliero potrà porre in  contatto le donne gravide o le neomamme, che vengono mantenute in isolamento a causa dell’emergenza Covid -19, con i loro cari che sono risorsa preziosa in momenti delicati.

Inoltre in Terapia Intensiva Neonatale i robot potranno consentire alla mamma ricoverata in ospedale o ai genitori che si trovano a casa di mantenersi in contatto con il loro bambino.

I robot DOUBLE 3 entrano anche a CasaOz, dove grazie alla soluzione di telepresenza ad alta definizione i piccoli ospiti delle ResidenzeOz possono videochiamare, con il supporto degli educatori, gli amici conosciuti durante le attività diurne di CasaOz, quindi bambini e ragazzi di Torino o comuni limitrofi che oggi sono costretti a stare a casa propria, non potendo frequentare la sede dell’Associazione, oppure video dialogare con i parenti lontani che, per le restrizioni dovute al Covid-19, non possono per il momento raggiungerli a Torino per fare loro visita.

TIM, oltre ad aver messo a disposizione questi innovativi apparati robotizzati connessi, ha provveduto anche a formare alcuni operatori delle strutture ospedaliere e di CasaOz nella gestione dei singoli dispositivi e garantirà, per tutta la durata della sperimentazione, che si concluderà in autunno, un’assistenza tecnica da remoto.

“Quando a marzo abbiamo iniziato a sviluppare il progetto Torino City Love una delle priorità era generare azioni e opportunità usando digitale e innovazione per aiutare le famiglie a rimanere unite e affrontare il momento di difficoltà – dichiara Marco Pironti, Assessore all’Innovazione della Città di Torino –. Sono molto felice di poter annunciare l’avvio di questa iniziativa che diventa una preziosa risorsa disponibile proprio in questa direzione, confermando ancora una volta il ruolo fondamentale dei partner tecnologici della Città nell’accompagnamento all’utilizzo dell’innovazione in modo sempre più consapevole”.

“L’innovativa soluzione di videocomunicazione robotizzata di DOUBLE3, che oggi abbiamo reso disponibile presso alcuni reparti della Città della Salute e di CasaOz a supporto del progetto Torino City Love afferma Elisabetta Romano, Chief Innovation & Partnership Office di TIM – è il risultato dell’intensa attività di open innovation che da anni vede impegnata TIM a fianco di start up, sviluppatori e qualificati partner tecnologici, con l’obiettivo di dare impulso alla trasformazione digitale del Paese. Dalla risposta alla crisi può venire una innovazione duratura nel tempo”.

“A fronte dell’emergenza Covid-19 l’Oncologia pediatrica ha dovuto immediatamente cambiare le proprie policies, limitando l’assistenza al paziente malato a un solo genitore e sospendendo la proposta di qualsiasi attività ludico-ricreativa, costringendo i pazienti a un isolamento sociale ancora più severo. Il progetto di Telepresenza Robotica di TIM si inserisce a pieno titolo tra le attività in grado di supportare i pazienti e i familiari ospedalizzati – spiega la professoressa Franca Fagioli, Direttore della Struttura Complessa di Oncoematologia pediatrica – e supporterà i professionisti nelle comunicazioni di diagnosi e nei colloqui clinici in corso di terapia. Si tratta quindi di un progetto dall’alto carattere innovativo che offrirà ai pazienti e alle loro famiglie percorsi di umanizzazione dedicati e altamente personalizzati”.

“Il parto rappresenta di per sé non soltanto un importante evento “personale” per la donna, ma anche un evento ”sociale” che coinvolge la rete dei rapporti affettivi più stretti e fa sì che la comunicazione diretta con i propri cari, che ha dimostrati benefici psicologici e biologici, dia sicurezza e diventi una importante risorsa nel percorso di cura. Purtroppo, nel corso di questi mesi, l’emergenza Covid-19 ci ha costretti ad interrompere la possibilità di comunicazione personale diretta con il nucleo famigliare, soprattutto nel caso delle donne positive o sospette tali. I robot di TIM rappresentano una grande opportunità per superare tali barriere. Inoltre, l’inserimento di questa interessante innovazione tecnologica nei nostri reparti potrebbe aprire importanti prospettive per allargare le possibilità di comunicazione tra strutture, personale sanitario, pazienti e mondo esterno” commenta la professoressa Chiara Benedetto, Direttore della Struttura Complessa Universitaria di Ginecologia e Ostetrica 1 dell’ospedale Sant’Anna e Presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna, Ente che si occupa di umanizzazione della cura e dei suoi luoghi.

 “Abbiamo ritenuto davvero utile collaborare con TIM – dichiara Enrica Baricco, Presidente di CasaOz per garantire affiancamento e sostegno alle famiglie di CasaOz durante e dopo il periodo di cura di cui necessitano. Pensiamo che sia davvero importante essere di supporto alle famiglie che subiscono un maggiore isolamento, soprattutto in questo momento, e che quindi mostrano ancora più vulnerabilità. Ecco perché la sperimentazione di TIM si inserisce in un programma di digitalizzazione del servizio di CasaOz per permettere di raggiungere, sia oggi sia in futuro, un maggior numero di destinatari”.

 

 

 

 

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Lo sconcio di Parco Michelotti

Dire che il degrado avanza a falcate è usare un eufemismo. Parco Michelotti, lungo il Po: che disastro. Uno dei più incantevoli posti della nostra città allo stato brado. Strutture senza tetto ovunque, sporcizia ovunque.

Siamo stati inutili profeti nel sostenere quattro anni fa che la situazione sarebbe peggiorata. Saranno contenti quelli che, appunto anni  fa, manifestava contro l’uso privato del Parco pubblico. Ci si sono fiondati i pentastellati ed il nulla impastato con il niente si è palesato. Che ricordi con lo Zoo, poi con Experimenta e le feste della sinistra sbrindellata, ma pur sempre
Feste.

Oggi degrado, degrado, degrado. Mi viene da singhiozzare. Quando arrivo in piazza Crispi piango a dirotto. Accampamento Rom. Sono stato politicamente corretto, ma la sostanza non cambia. Io ho pianto una sola volta,  residenti e ristoratori o commercianti piangono tutti i giorni. Arrivano da Napoli trovando maggior lavoro in Barriera. Piccoli furti e piccoli ricatti, e ragazzi Rom che circondano altri ragazzini per minacciarli. Insomma tutto nella norma. Carabinieri? Forze dell’ordine? Vigili Urbani? Fanno quel che possono, cioè poco o niente. Sicuramente non per volontà, ma per possibilità. Chi proprio non ci sta e non si dà per vinto è il padrone della Pizzeria Don Gennaro, tutti i giorni fa una telefonata di denuncia agli organi competenti. Esiste un numero e un nucleo dei Carabinieri che si occupa dei Rom. Ormai non gli rispondono neanche più. Le prime volte, gentilmente gli facevano presente che nulla potevano. Piazza Crispi  era uno dei cuori pulsanti di Barriera. Oggi, quando va bene, due banchetti di frutta e verdura. Che tristezza. Era talmente commerciale che la Banca SanPaolo fece una vantaggiosissima offerta economica al PCI di Barriera. Prima c’era un basso fabbricato di legno. Al suo posto un palazzone di 6 piani e la sede della Banca di zona. Intorno, mille attività artigianali. Non si vive di ricordi. Ma almeno ci fa un po’ respirare, visto che in questo presente proprio non ci riconosciamo. Tra le altre cose da Don Gennaro si mangia proprio bene, ed il servizio è buono. Se ricordo bene è una costola di Gennaro Esposito che con Cristina sono tra le prime pizzerie storiche di Torino. Mangiare bene rende felici, non bisogna esagerare, un po’ come tutte le cose, in medio stat virtus, con  senso del limite. In Barriera come al Parco Michelotti non c’era felicità tra le persone, e si è abbondantemente superato il limite. Non puoi e non devi convivere e sopportare simili comportamenti. Ne va anche della loro dignità, come della nostra. Basterebbe applicare quattro regole di elementare convivenza per ritornare ad essere, se non felici, almeno sereni. Ma sembra proprio che vogliamo l’impossibile.

Patrizio Tosetto

Distanziamento

Sembra essere stato profetico il lapsus freudiano introdotto dal governo con l’uso, secondo me improprio, dell’aggettivo “sociale” accanto al termine “distanziamento”, vocabolo di cui, durante tutti questi mesi di lockdown ed anche tuttora si continua a parlare come uno strumento fondamentale per la prevenzione del contagio da Covid 19.

Come sarebbe stato più appropriato, ritengo, invece, parlare di necessità di “distanziamento fisico”, espressione che implica, appunto, una distanza fisica, ma non psicologica tra gli individui.
Ma in fondo penso che la pandemia da Coronavirus abbia semplicemente accelerato ciò che già stava avvenendo prima, il fenomeno dell’assottigliarsi dei rapporti umani e di solidarietà autentici.
Ed allora i nostri governanti, che sotto tanti aspetti, secondo me, in questi mesi di emergenza Covid 19, hanno peccato, forse, inconsapevolmente, hanno anticipato, con l’uso dell’espressione di “distanziamento sociale”, ciò che sarebbe accaduto e che era già, in un certo qual modo, scritto nelle premesse. In quella premesse di un’epoca pre Covid, orientata all’individualismo più spinto, all’interesse verso il proprio particolare, al puro egoismo, in una società in cui valori come famiglia e patria sembrano essere sempre più desueti.

Mara Martellotta 

Borse di studio negate ai violenti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La Giunta Cirio ha predisposto un regolamento per le borse di studio universitarie, prevedendo  la revoca del beneficio a chi trasgredisce ai regolamenti commette reati  o viene arrestato in una manifestazione 

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Forse può sembrare una norma troppo rigida almeno per chi  venga arrestato perché nella confusione di una manifestazione senza distanziamento sociale le responsabilità individuali vanno accertate in altra sede. Ma il principio è giustissimo perché chi ha comportamenti non conformi non deve fruire  di borse di studio. Sarebbe un non senso che ne possa fruire. Le recenti devastazioni di locali universitari e gli scontri violenti  scoppiati prima della pandemia al Campus Einaudi  sono solo l’ultimo degli episodi  che ricordano il ‘68. All’ Università si va soprattutto per studiare, magari anche per socializzare, ma si deve andare  non per trasgredire alla legge. E il nuovo regolamento, voluto dall’assessore Chiorino che dimostra anche in questa occasione coraggio, non fa che riflettere questo principio che non dovrebbe essere messo in discussione perché è un principio di  elementare buon senso. Chi ricorre alla violenza va sanzionato anche nei benefici oltre che dal rigore della legge. Appare davvero strano che il Rettore del Politecnico Saracco  dissenta sulla norma  anti-violenti, sostenendo che l’istruzione è un pilastro del recupero di chi sbaglia. Con questo ragionamento, che pure è giusto in linea di principio, si rischia di premiare con borse di studio non  i “capaci e meritevoli“ come stabilisce la Costituzione, ma chi si lascia andare alla violenza fisica e alla devastazione di beni pubblici come i locali dell’ Università. Con il permissivismo non si crea nulla di buono. Le regole della convivenza civile dovrebbero caratterizzare naturaliter gli studenti dei nostri atenei. Il ‘68 dovrebbe essere davvero tramontato in un Paese che sta uscendo faticosamente dalla pandemia.
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Esercito Italiano, a Torino le lauree triennali

Centoventotto Ufficiali frequentatori del 199° Corso “OSARE” discutono le relazioni di laurea triennale in Scienze Strategiche.

Sono in corso di svolgimento in modalità virtuale, presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, le sessioni di discussione delle relazioni di laurea triennale in Scienze Strategiche. Centoventotto giovani Ufficiali frequentatori del 199° Corso “OSARE”, tra i quali anche quattordici di nazionalità straniera, saranno impegnati fino al 9 giugno nell’esposizione, alle commissioni formate da docenti civili e militari, delle relazioni di laurea triennale riguardanti approfondimenti di tematiche di grande attualità: armamenti, cyber security, effetti di una pandemia, energie rinnovabili, intelligence, logistica sostenibile, matematica, relazioni internazionali, sostegno sanitario.

Il percorso di Laurea Triennale in Scienze Strategiche concepito per gli Ufficiali è una peculiarità nel panorama universitario in quanto interateneo ed interdipartimentale; nasce, dalla collaborazione tra quattro Istituzioni: Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, Università degli Studi di Torino, Accademia Militare di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. 

Sin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica, il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito in sinergia con la Scuola Universitaria Interdipartimentale in Scienze Strategiche (SUISS) dell’Università degli Studi di Torino, tramite aule virtuali interattive appositamente predisposte e dedicate, ha consentito, a tutti gli Ufficiali frequentatori, di completare da remoto il percorso di studi nel pieno rispetto dei tempi previsti. La Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino dove ogni anno si formano oltre mille studenti militari e civili, italiani e stranieri, rappresenta un polo culturale d’eccellenza  in grado di coniugare aspetti quali rispetto per le tradizioni, innovazione didattica ed internazionalizzazione degli studi.

Maria La Barbera

Cronache della peste. Le fate

Papà, esistono le fate?“ Alzo gli occhi dal libro… ma stai sempre leggendo, direte. Certo. È l’abitudine di una vita. E in questi frangenti – quarantena ed altre bazzeccole di cui inutile parlare… – un’ancora di salvezza…

Perché me lo chiedi?
Sai, ho visto una luce… Una luce piccolina, di là, nella camera…

E perché pensi che debba essere proprio una fata? Poteva essere qualsiasi altra cosa…
Beh, ma in quel cartone, Peter Pan, la fatina, sua amica, Trilly è piccola e luminosa… proprio come quella luce che ho visto. Così ho pensato…

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Cronache della peste. Le fate

Poche idee per la scuola

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’anno scolastico è finito, o meglio, è formalmente finito in giugno , ma è stato interrotto di fatto dal contagio del Coronavirus. Per mesi le scuole sono rimaste chiuse e si è cercato di supplire con la didattica a distanza per la quale la maggioranza dei docenti non era pronta e meno che mai erano pronti gli allievi che in un numero significativo soprattutto al Sud non possedevano un pc o un tablet di cui disporre.

Se fossero possibili delle verifiche serie, si vedrebbe che le la didattica a distanza è stata insufficiente e discontinua , in ogni caso incapace di stabilire un rapporto adeguato tra discente e docente. Forse la questa grave crisi  ad uscirne con le ossa massacrate è in particolare  proprio la scuola . Una cosa paragonabile al ‘68 i cui danni si sono prolungati per cinquant’anni, come predisse Renzo De Felice. Ad una settimana dagli Esami di Maturità non è ancora chiaro come si debbano svolgere, ma soprattutto non si sa come riprendere la scuola a settembre. La follia delle gabbie in plexiglass nelle aule sembra essere tramontata, ma le distanze di sicurezza restano un problema che va affrontato.
Certo, la ministra Azzolina che ha paragonato gli allievi a degli imbuti da riempire , non si sta rivelando adeguata al gravoso compito di dirigere in questa situazione drammatica quella che un tempo definivano  la “Minerva“. I grandi  ministri della Pubblica Istruzione in Italia sono stati pochissimi, il ministero è stato gestito per lo più da politici – spesso democristiani – abbastanza  incapaci e insensibili al ruolo della scuola pubblica statale. Per trovare nomi di alto livello bisogna riandare molto indietro a Francesco De Sanctis, a Michele Coppino,  a Luigi Credaro,a Benedetto Croce, a Giovanni Gentile e a Giuseppe Bottai. Nella storia della Repubblica  nessun ministro è stato all’altezza, salvo Salvatore Valitutti e in parte Giovanni Spadolini. Anche nella seconda Repubblica i ministri sono stati modesti . Certamente la ministra Azzolina è riuscita a commettere errori più di ogni altro ministro, anche se le vanno riconosciute delle oggettive attenuanti perché chiunque fosse stato a capo del  suo ministero avrebbe trovato delle serie, inedite difficoltà. Anche l’apparato ministeriale e’ modesto e direttori generali come Romano Cammarata sono impensabili. I sindacati della scuola sono stati sempre autolesionisti e non hanno mai difeso le ragioni dei docenti, in particolare la CGIL e anche in questa occasione hanno fallito. Lo sciopero da loro proclamato ha avuto un’adesione irrisoria  al  di sotto dello 0,50. Oggi di fatto non si hanno idee chiare su come riprendere la scuola dopo un quadrimestre perduto. C’è chi dice che si dovranno ridurre le ore di scuola, rimediare nuovi locali, aumentare il numero degli insegnanti, rivedere i programmi, sfoltendoli con una “didattica informale“, una espressione davvero fantasiosa ed inquietante. Sta accadendo un qualcosa di simile agli Anni Settanta  del secolo scorso quando si fecero i doppi turni a scuola e via via scadette la sua qualità della scuola   attraverso la voluta e demagogica  confusione tra il diritto allo studio e il diritto al titolo di studio. Anche nei giorni scorsi si sono svolti scrutini in cui è tornato prepotente il 6 politico e la promozione d’ufficio. Anche agli esami di maturità c’è da prevedere il cento per cento dei promossi. Capisco che i problemi posti dalla pandemia avessero la più assoluta priorità, ma va ricordato il ruolo insostituibile della scuola che è  in primis una questione di civiltà. Io sono abbastanza vecchio da ricordare i laureati del tempo di guerra e quelli che si laurearono subito dopo, magari indossando  la “divisa”da partigiano, gente che in tempi normali non avrebbe mai conseguito una laurea. Non vorrei che ci si avviasse su questa strada. Sia chiaro, è meglio essere asini che morti, ma almeno cercare di fare qualcosa come in tutti gli altri Paesi europei per la scuola è indispensabile. Anche la sorte della scuola non statale è  importante perché rischia davvero  di chiudere in modo definitivo. Istituti gloriosi come il “ San Giuseppe” o il “Sociale“ con storie secolari devono essere salvaguardati come un patrimonio della nostra cultura e della nostra storia. Forse dar voce ai docenti e ai presidi, alla scuola più in generale, nei prossimi Stati Generali convocati dal Premier sarebbe doveroso. Ad oggi non credo sia previsto.
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Movida, coronavirus e mal vivere

La movida o, meglio, la mala-movida ringrazia il coronavirus; non così i cittadini residenti nella zona di Piazza Vittorio e in San Salvario nelle zone, cioè, destinate all’ampliamento dei dehors ed alla “pedonalizzazione temporanea”.

In via di superamento gli effetti sanitari del coronavirus siamo tutti protesi a riprendere la vita personale e collettiva, a riprendere, finalmente, le attività. Nel corso della quarantena molti sono stati gli appelli a ripensare la qualità della vita, i propositi su una migliore e civile convivenza. Passata la festa, gabbato lo santo … paradossalmente dove non c’è stata festa e nessun santo.

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La quarantena vissuta non viene utilizzata per migliorare la vita collettiva, ma strumentalizzata per ampliare i momenti di disagio per la fascia di torinesi residenti nelle zone della movida. Nei musei si entra col contagocce, limitato il numero dei visitatori nelle sale, i Tribunali praticamente chiusi come le scuole ….non così i locali in zona movida che godono di un trattamento speciale. I locali movida (che pur devono riaprire) potranno ampliare lo spazio finora occupato, saranno chiuse al traffico e pedonalizzate alcune vie per consentire una maggiore occupazione di suolo pubblico ed il libero sciamare degli avventori; naturalmente le ore previste sono quelle del riposo serale e notturno. Insomma, sarà peggiorata la situazione preesistente al coronavirus.

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Per meglio gabbare viene usata la solita tecnica “in via sperimentale e temporanea” ; forse si intende sperimentare gli effetti che tali provvedimenti avranno sulla salute dei residenti . Sulla “temporaneità” il sarcasmo è d’obbligo. C’è di più e di meglio: saranno i titolari dei locali che dovranno occuparsi di contingentare l’arrivo dei frequentatori , non nei loro locali, ma nella zona pedonalizzata (sic!). Questo modo di procedere da parte di chi , per competenza istituzionale, si occupa del problema denota disprezzo nei confronti dei residenti ed incapacità a gestire la vita comunitaria. Si dovrà invocare “Arrridateccci il coronavirus!”.

Elle

La talpa. Finalmente liberi di… azzuffarci

Gli uomini tengono comportamenti contraddittori: con la ripartenza sembra che stiano cercando a ogni costo il loro annientamento che il virus non ha realizzato.

Pur avendo a disposizione un pianeta, gli uomini tendono a raggrupparsi, a organizzarsi in tribù, a inurbarsi, cioè a rinunciare al distanziamento individuale a favore dell’avvicinamento collettivo: così gli uomini hanno sempre fatto perché sono animali politici che dovrebbero dare il meglio di loro in spazi ristretti.

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La talpa. Finalmente liberi.. di azzuffarci