Merlo: Centro, con questa sinistra non esiste
“In Italia, come insegna la storica tradizione democratico cristiana, ‘si vince al Centro’ ma,
soprattutto, ‘si governa dal Centro’. Una tesi che valeva ieri e che vale oggi, a prescindere da chi
governa di volta in volta.
Ma oggi esiste una certezza in più. Il Centro nel nostro paese non può allearsi con questa sinistra.
Per la semplice ragione che il Centro è sempre stato politicamente, culturalmente e
programmaticamente incompatibile con il populismo demagogico, con l’estremismo ideologico e
con il radicalismo massimalista. Detto con i rispettivi riferimenti, il Centro non è compatibile con
Conte, il duo Fratoianni/Bonelli e Schlein. Per ragioni politiche, culturali e programmatiche di
fondo. Il Centro, cioè, da quelle parti semplicemente non esiste. Al di là delle furbizie di Bettini e di
Renzi”.
On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’
LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
No, non è uno slogan. E neanche solo un’arma di propaganda poltica. Anzi, la possiamo quasi definire una costante. Poltica, culturale e soprattutto etica. Parliamo di q u e l l a c h e comunemente viene definita come “la via giudiziaria al potere”. Una prassi che appartiene ideologicamente ed ontologicamente alla sinistra italiana. Nella sua versione comunista prima e in quella populista e giustizialista poi. È appena il caso di ricordare, per chi l’avesse dimenticato o avesse poca memoria storica, il sistematico attacco “moralistico” e “giudiziario” del Pci contro il “malgoverno e la corruzione della Democrazia Cristiana”. Per non parlare, com’è altrettanto noto, l’attacco frontale del Pci – politico e anche e sempre di natura moralistica e giudiziaria – ai suoi principali leader e statisti: da Donat-Cattin – il più bersagliato – ad Andreotti, dallo stesso Moro a Cossiga e via elencando. Una tecnica che si è perfezionata con l’avvento della seconda repubblica e dopo l’irruzione del populismo giustizialista dei grillini che è poi diventato la cifra ideologica quasi esclusiva dell’attuale sinistra italiana contro il nemico giurato da delegittimare, appunto, prima sotto il profilo morale e poi da distruggere sul versante politico e giudiziario.
Ma, se vogliamo essere intellettualmente onesti, non possiamo non evidenziare che la “via giudiziaria al potente” appartiene di diritto al pantheon della sinistra italiana ma con discreti e convinti compagni di viaggio. È a tutti noto, del resto, che larghi settori della destra italiana, per non parlare della Lega originaria di Bossi, individuavano proprio nella “via giudiziaria al potere” la strada principe par abbattere l’avversario politico. È anche inutile, al riguardo, ricordare che la stragrande maggioranza della carta stampata del nostro paese – che appartiene prevalentemente alla sinistra nelle sue multiformi espressioni – ha sempre accarezzato e condiviso la deriva della “via giudiziaria al potere”. Una deriva, è bene non dimenticarlo, che era e resta profondamente antidemocratica e, soprattutto, anti costituzionale al di là del quotidiano ed ipocrita giuramento ai valori e ai principi costituzionali.
Insomma, parliamo di una deriva che, anche se blandamente respinta a livello verbale, viene sistematicamente praticata a livello politico. E prima o poi riemerge prepotentemente all’attenzione. È come un fiume carsico che corre nel sottosuolo ma basta un fischio, come si suol dire, e torna centrale nella strategia dei partiti che la cavalcano. Una scorciatoia pericolosa e al tempo stesso inquietante per chi coltiva l’obiettivo di rafforzare la qualità della nostra democrazia da un lato e la credibilità delle istituzioni democratiche dall’altro. Altrochè la democrazia dell’alternanza, il rispetto dell’avversario che non è mai un nemico, la negazione dell’odio nella vita politica e la centralità dei programmi. Qui non siamo, com’è sufficientemente chiaro a tutti coloro che non vivono di pregiudiziali politiche ed ideologiche, solo al “tanto peggio tanto meglio”. Ma, semmai, ci troviamo di fronte alla tenace e pervicace volontà di distruggere il nemico politico non attraverso il mero gioco democratico – cioè con il voto – ma di ricorrere a tutti i mezzi leciti e non pur di abbattere l’odiato nemico. Ed è proprio lungo questo percorso che si inserisce e si incrocia la “via giudiziaria al potere”. Una prassi ben nota e conosciuta nella politica italiana proprio perchè parte da lontano.
Per queste ragioni, semplici ma oggettive, è compito delle forze autenticamente e costituzionalmente democratiche unirsi affinchè questa deriva non abbia di nuovo e definitivamente il sopravvento. Anche perchè, se ciò dovesse consolidarsi per davvero, sarebbe il nostro impianto democratico e costituzionale ad andare irreversibilmente in crisi aprendo le porte ad una democrazia autoritaria da un lato e senza quelle garanzie, dall’altro, che hanno permesso al nostro paese di vivere, almeno sino ad oggi, in un contesto democratico e liberale. E non in quella che comunemente viene definita come “repubblica giudiziaria”.
POLITICA
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La politica tra i leader e i capi
LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
Insomma, per dirla con Mino Martinazzoli, “nella politica della prima repubblica c’erano i leader
mentre nella seconda ci sono solo più i capi”. Una riflessione antica e per una volta molto secca,
senza le note iperboli care al leader democristiano bresciano. Una nota, però, che riassumeva in
modo straordinariamente efficace la profonda differenza che c’era tra la prima repubblica – l’intera
prima repubblica – e la cosiddetta seconda repubblica. Cioè quando sono arrivati i partiti
personali, la personalizzazione della politica, l’azzeramento delle tradizionali culture politiche e,
soprattutto, il tramonto di una classe dirigente che aveva contribuito a dare lustro, credibilità ed
autorevolezza alla politica del nostro paese. Per queste ragioni, semplici ma oggettive, non
possiamo non recuperare il vecchio ed antico monito di Martinazzoli. Perchè in quel monito si
nasconde non solo la qualità di una classe dirigente ma anche, e soprattutto, il profondo
cambiamento della politica italiana. E, di conseguenza, la qualità della nostra democrazia. Perchè
proprio in quella distinzione c’è il tramonto di una leadership che anticipa i problemi, che sa
governare i processi politici, che amministra un paese con le armi di un progetto e di una visione
di società e che, in ultimo, non teme il confronto con gli avversari perchè lo ritiene decisivo ed
essenziale per perseguire il “bene comune” di un paese. Una leadership che, invece e al contrario,
è stata sostituita con una serie di capi che dispensano ordini da eseguire, che trasformano i partiti
in cartelli elettorali alle strette dipendenze dell’azionista di riferimento e che, soprattutto,
impoveriscono il merito delle questioni sul tappeto. Appunto, dai leader ai capi.
Ora, se vogliamo che la politica recuperi la sua dignità e che i partiti – o ciò che resta di loro –
ritornino ad essere strumenti che producono politica e non contenitori grigi ed insignificanti per
nominare i “fedeli” nei luoghi della rappresentanza istituzionale, la selezione della classe dirigente
è un passaggio fondamentale e decisivo. E questo perchè il ritorno dei leader – nazionali o locali
che siano non c’è differenza alcuna – è il frutto e la conseguenza di una selezione democratica dal
basso della classe dirigente e la promozione di chi sul campo dimostra di avere maggior carisma,
capacità di guida ed autorevolezza culturale e politica.
Insomma, la politica ha delle sue regole, semprechè non voglia diventare una succursale del
peggior populismo grillino o leghista in salsa salviniana. Due derive che confliggono apertamente
con la funzione e il ruolo della buona politica in una società democratica e plurale. Due derive che
vanno combattute ed isolate prima sul versante culturale e poi su quello politico. Certo, se si
pensa di stringere alleanze solide ed organiche con simili partiti e le rispettive sub culture
politiche, è inutile poi lamentarsi se dobbiamo convivere con un contesto di profondo degrado
democratico e costituzionale. Perchè, appunto, quel monito di Martinazzoli resta il vero nodo da
sciogliere per continuare a rinnovare la politica, per ridare qualità alla democrazia e, infine, per
conferire una nuova credibilità ai partiti e alle istituzioni.
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