L’ANGOLO DELLA POESIA
di Gian Giacomo Della Porta
Victor Hugo scrisse: “Il mare possiede la cosa più grande: il colore del cielo”.
Partendo da questa citazione, ho cominciato a riflettere sul tema dei viaggi e su quanto effettivamente questi ultimi coincidano nelle sensazioni e nelle volontà, se svolti per mare e nei cieli. Innanzitutto ci allontanano da qualsiasi sponda di salvezza per avvicinarci a quel senso del destino non più governato da mano umana, ma dal fato. Forse il volo e la navigazione, così lontani da terra, ci restituiscono la prospettiva originaria di ciò che siamo stati prima della vita, prima di trovarci realmente a subire il fascino della percezione poetica (che il filosofo Ortega y Gasset descriveva come una visione di preconoscenza). Le avventure di cielo e di mare ci portano alla grazia di un infinito ritorno, e ciò che di nuovo ci sembra di scoprire è in realtà qualcosa di già conosciuto e vissuto: trovo simbolico che il vascello di Capitano Uncino, nel Peter Pan di J.M.Barrie, possa rivelare la sua navigazione celeste soltanto agli adulti rimasti un po’ bambini (e vi è un grosso richiamo alla figura del poeta), e che seguendolo solo con gli occhi e con il cuore arrivi a svelare l’Isola che non c’è, la magia della giovinezza.
Ne “la Ballata del Vecchio Marinaio” tutta la vicenda ruota attorno all’uccisione, da parte del vecchio marinaio, di quell’albatro simbolo del patto d’amore tra l’uomo e la natura. La morte dell’uccello sacro pare essere avvolta dal mistero della violenza gratuita, dal dramma della noia e della frustrazione. Non posso fare a meno di pensare che la ragione profonda del senso di questa uccisione risieda nell’implacabile necessità di volo da parte del vecchio marinaio. Una sorta di identificazione estrema (e più violentemente rappresentata dall’albatro morto che gli altri marinai gli appenderanno al collo come simbolo di condanna per le sventure che colpiranno la nave), una volontà di introiettare il potere alato in un corpo colpito dalla maledizione del volo, poiché cessa di essere poesia dopo l’uccisione, e che la natura ha concepito privo di ali. Forse il vecchio marinaio era consapevole di tutto questo, e da quel giorno l’albatro ha cominciato a vivere nell’occhio scintillante (glittering eye, scrive Coleridge) che affascinava gli ascoltatori della storia e che tanto ricorda la stella di cui sentiamo la mancanza e che cerchiamo nelle notti limpide, alzando lo sguardo al cielo. Il viaggio in mare pare trasformarsi in una sorta di surrogato del volo nei cieli, quasi fosse un’illusione di libertà. Gli uomini si ingannano sovente a proposito della libertà. E come la libertà si annovera fra i sentimenti più sublimi, così anche l’illusione relativa è fra le più sublimi.
Pensando al viaggio di mare per eccellenza, l’Odissea: le Sirene hanno un’arma ancora più terribile del loro canto, ed è il loro silenzio. Non è mai accaduto, ma forse non è del tutto inconcepibile, che qualcuno si salvi dal loro canto, ma dal loro silenzio certamente no. Alla sensazione di averle vinte con la propria forza, all’orgoglio che ne consegue e che travolge tutto, nessun mortale può resistere. E infatti, probabilmente, quando Ulisse giunse, le Sirene non cantarono, sia che credessero che a un tale avversario convenisse soltanto il silenzio, sia che il viso beato di Ulisse, che non pensava ad altro che a cera e catene, facesse loro dimenticare il canto. Ulisse però, se così posso esprimermi, non udiva il loro silenzio; egli credeva che esse cantassero e che egli solo fosse salvaguardato contro di esse. Le Sirene, più belle che mai, si torcevano e si distendevano, tendevano gli artigli sulle rocce. Sembrava non volessero più sedurre, ma cogliere al volo, il più a lungo possibile, la luce riflessa nei grandi occhi di Ulisse.
La morte, in cielo o per mare, viene elevata a strumento estremo per esaudire un desiderio alato, che non è necessariamente il sentimento di una vita oltre, ma il naturale ricongiungimento all’illusione stessa della vita: il sogno di volare.
17 dicembre 1995
‘Inno all’Amore’ è il primo volume di una trilogia edita da Bertoni Editore che comprenderà altre due antologie di prossima pubblicazione: ‘Inno alla morte’ e ‘Inno all’Infinito’.
Questo connubio è alla base della produzione poetica di Pinuccia Matta, autrice di un recente volume dal titolo “Amare è poesia” (Aletti Editore). Da sempre amante dell’arte e impegnata nel seguire la galleria d’arte e antiquariato di famiglia, Mattarte, con sede a Verolengo, Pinuccia Matta si è ispirata, nelle sue liriche, all’amore, inteso nell’accezione dell’amor cortese, tipico del Dolce Stil Novo. Questo sentimento, generato dal profondo del cuore, trova la sua espressione più felice proprio nella parola poetica e rappresenta la chiave di volta per l’essere umano per potersi avvicinare al divino.
La sua raccolta di poesie ‘Amare è poesia’ è online sul sito della Biblioteca delle Suore Montevergine, in occasione della Fiera del Libro giunta alla sua seconda edizione. L’autrice ha anche partecipato nell’agosto 2019 alla rassegna Libri nel Borgo Antico di Bisceglie.