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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Mazo de la Roche   “La fortuna di Finch”    -Fazi-    euro  18,00

 

Dopo “Jalna” e “Il gioco della vita”, ecco il terzo capitolo della saga che prende il nome della casa che domina le praterie e i boschi dell’Ontario, di proprietà della famiglia Whiteoak. Partono da lì gli intrecci di personaggi e vite  che l’autrice scrisse tra fine anni 20 e 50 del 900.

La vita stessa della scrittrice canadese Mazo de la Roche (nata a Newmarket nel 1879, morta a Toronto nel 1961 a 82 anni) vale più di mille romanzi. Un’infanzia solitaria allietata dalla passione per la lettura, una fantasia inarrestabile che la cala in un mondo immaginario. Un rapporto fuori dagli schemi con la compagna di tutta la vita Caroline Clement: la cugina orfana di 8 anni che i genitori di Mazo avevano adottato.

Da allora sono state inseparabili, in quello che all’epoca era chiamato “Boston Marriage”, e adottarono anche due bambini.

Nell’arco della sua esistenza ha scritto 23 romanzi, tra i quali la saga di Jalna, lunga storia familiare architettata in 16 volumi che abbracciano l’arco di tempo tra 1854 e 1954 e che si rivelò un successo internazionale.

Ambientata in Canada, racconta le vicende di più generazioni di  Whiteoak, padroni del maniero di Jalna, nell’Ontario. Capostipiti il capitano Philiph e la sua adorata moglie Adeline, circondata da uno stuolo di figli e nipoti di cui detiene il controllo, tra una bizza e l’altra.

Nel terzo volume la centenaria Adeline è morta da più di un anno e come ultima beffa ha stabilito che erede della sua fortuna sia il nipote Finch al compimento dei 21 anni.

Nel corso della festa per il compleanno decisivo, Finch propone agli zii Ernest e Nicholas di offrirgli un viaggio in Inghilterra, dove aveva avuto inizio la loro stirpe; un modo per ampliare il suo orizzonte ed incontrare persone e un mondo nuovi.

Molti i personaggi che si affacciano sulla scena, a partire dalla cugina Sarah, orfana cresciuta dalla zia Augusta nella campagna del Devon. Giovane fanciulla sensibile, raffinata e amante della musica. Finch ne è stregato ma dovrà vedersela con un altro pretendente.

Nel frattempo a Jalna i rapporti tra Renny (che gestisce la proprietà) e sua moglie Alayne, da passionali si fanno turbolenti, anche per l’amicizia del marito con una vedova tostissima che forse sarebbe più adatta come sua compagna …..e poi altri continui sviluppi raccontati con l’incanto di questa scrittrice.

 

Rachel  Cusk   “Il lavoro di una vita”    -Einaudi-   euro 12,00

Rachel Cusk è l’autrice di successo della trilogia “Resoconto”, “Transiti” e “Onori” con i quali ha rivoluzionato la scrittura contemporanea, usando in modo nuovo la prima persona singolare in libri che sfiorano l’autobiografia e il memoir, ma sono una cosa ancora diversa e non facilmente incasellabile in una definizione.

Nata in Canada, si è trasferita in Gran Bretagna dove vive tra Londra e il Norfolk, è madre di due figlie e proprio di maternità parla in “Il lavoro di una vita”; una sorta di diario di questa esperienza che fu pubblicato la prima volta 20 anni fa e le valse una montagna di critiche. Fu messa all’indice, bollata come madre inadeguata, egoista e ostile verso i bambini.

La verità è che ha avuto il coraggio di sviscerare a fondo pensieri, dubbi, ansie, tormenti e cambiamenti di vita e del corpo… e lo ha fatto in modo lucido, quasi spietato, senza indulgere nei soliti luoghi comuni relativi all’essere madri.

In 150 pagine l’autrice descrive il rito di passaggio della maternità con il corollario di stati d’animo oscillanti, fatica, paura  e dolore del parto.

La sua è una visione dirompente rispetto alla letteratura classica in materia, dal momento che invece di osannare gestazione, parto e cura della prole, parla di difficoltà oggettiva nell’affrontare un cambiamento così enorme che non solo incide a fondo sul fisico, ma muta radicalmente il percorso di vita.

Perché, come scrive: «il corpicino di mia figlia mi viene consegnato…in quel momento mi rendo conto che ora esiste una persona che è me, ma non è confinata nel mio corpo».

Per darvi un’idea ecco la sua narrazione dell’allattamento al seno: «i suoi seni sono requisiti, riprogrammati….Quando il  bebè arriva  sono come due testate pronte al lancio. Il bambino succhia; il macchinario entra in azione».

Poi c’è la riorganizzazione della vita e della coppia per accudire la prole, il tabù dello scambio di ruoli

in cui magari è la donna ad andare al lavoro, mentre l’uomo resta a casa. Ma più facilmente c’è la rinuncia materna alla carriera, perché le donne sono anche un po’riluttanti ad abdicare al prestigio dell’essere madre.

La Cusk sottolinea come «quando nasce un bambino non è detto che nasca anche una madre. A volte deve nascere anche lei, ed è come imparare una lingua straniera». Ecco possiamo sintetizzare così il suo pensiero. Ma non perdetevi il suo libro che contiene molto di più ….

 

Carlo Verdone  “La carezza della memoria”   -Bompiani-   euro   17,00

Tenerezza e melanconia sono ciò che rende carezzevole la memoria del passato. Potremmo definire così questo libro di Carlo Verdone, attore, regista e sceneggiatore che non ha bisogno di presentazione.

Dopo il successo del memoir precedente “La casa sopra i portici” nel 2012, ora prosegue con il racconto di parte della sua vita.

Galeotto fu il Covid 19, per colpa del quale, scrive Verdone «Stiamo perdendo la generazione degli anziani, i veri custodi della memoria».

Complice l’isolamento imposto dal lockdown, si è ritrovato immerso nella solitudine e nel silenzio della sua casa romana, con il terrazzo la cui vista spazia dalla Pineta di Castel Fusano al Pincio. E’ nata così l’idea di aprire finalmente un grosso scatolone, parcheggiato da un decennio sull’ultimo ripiano di un armadio.

Uno scrigno siglato “Fotografie sparse (da riordinare)”, pieno di autentici tesori della memoria: lettere, pagine varie, fotografie e biglietti.

Il libro prende vita da lì e in 14 capitoli, ognuno aperto da una fotografia in bianco e nero, Verdone ci diletta con spizzichi del suo passato…. e non un passato banale.

Gli inizi da giovane, quando emerge il suo talento nel comporre monologhi per il teatro. E’ bravo e si fa subito notare dal regista Enzo Trapani, all’epoca eminenza grigia della Rai sempre in cerca di nuovi talenti. Lo vuole a Torino, nel 1978, dove per tre mesi alloggia in un orrido hotel del centro, e lavora in Rai con “I gatti di Vicolo Miracoli”,“I Giancattivi” e incontra Nuti e Troisi.

Poi ci sono i ricordi dei genitori, il padre Mario, grande critico stimatissimo, ma negato nella guida…e preparatevi ad aneddoti divertenti.

I fratelli, i viaggi con il padre, i rapporti con i suoi due figli, l’amore per la musica e la sua collezione di  dischi  che contagia il  figlio Paolo e gli indica una strada per superare la sua timidezza.

C’è molta famiglia in questo libro, quella che l’ha cresciuto con precisi valori e grande sensibilità. Doti che fanno amare Verdone e a volte  lo mettono in imbarazzo, come quando la gente lo ferma e gli chiede aiuto. Una popolarità che gli permette di entrare, anche se per poco, nella vita di persone meravigliose, come l’ex  modella bellissima, Stella.

Ma c’è molto altro in queste pagine soffuse di malinconia, in cui uno degli attori più amati del cinema italiano ci fa entrare, con infinito garbo, nelle pieghe più intime del suo animo.

 

Massimiliano Governi   “L’editor”    -Blu Atlantide-     euro  16,00

Lo scrittore romano in questo romanzo porta in scena una trama gialla e l’ambienta nel mondo dell’editoria.

L’inizio promette subito bene, nel parco della Caffarella, con il ritrovamento di «..un corpo disarticolato come quello di un rospo, disteso nello spiazzo erboso……ucciso a colpi di bastone sul volto e alla testa».

Dapprima si pensa che la vittima di tanta efferata violenza potrebbe essere uno dei tanti barboni della capitale.

Poi si scopre che è un famoso editor romano di 47 anni. Chi e perché si è accanito tanto da avergli sfondato il cranio, sfigurato il volto, spezzato gambe e braccia forse con una mazzetta da muratore?

Sulle tracce dell’assassino si avventura un ispettore di mezza età, che in passato aveva indagato su fatti di mafia, poi trasferito dal sud. Il suo nome non compare mai, si sa solo che è un accanito fumatore di “Stop” senza filtro, appassionato di letteratura, si è cimentato anche come scrittore, ha una moglie malata e il suo lavoro da tempo non gli dà più grandi soddisfazioni.

L’idea di entrare nel mondo dell’editoria ad alto livello sembra più che mai nelle sue corde.

La sua però più che un indagine è una vera e propria ossessione: ripercorre i passi dell’editor quasi al millimetro, ricostruisce i suoi rapporti personali e professionali, i dolori che hanno segnato la sua vita.

Mette a ferro e fuoco autori, scrittori, imprenditori privi di scrupoli, amici, nemici e colleghi del morto.

Interroga la vedova, della quale finisce per subire il fascino, e che gli lascia aperta la porta di casa nella quale l’ispettore entra più volte, dormendo nel letto della vittima, frugando nel suo computer e nelle sue cose con un’attenzione maniacale per ogni minuscolo dettaglio.

Procede praticamente in solitaria e conduce un’indagine fuori dagli schemi, quasi un diario esistenziale, dalle atmosfere malinconiche.

L’ispettore si muove sullo sfondo di una Roma affascinante, con le sue strade piene di storia e l’indagine che lo conduce anche tra le lapidi del mastodontico cimitero del Verano. Accumula prove, restringe il campo e ovviamente finisce per trovare il colpevole.

Tutta la verità sul “Piano Solo”. A tu per tu con Mariotto Segni

L’INTERVISTA / MARIOTTO SEGNI 

Di Massimo Iaretti

 Il “Piano Solo, del quale le generazioni più giovani hanno quasi perso memoria, negli anni Sessanta fu un argomento di grande e delicata attualità.

Si trattava di un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico,
fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo, durante il suo incarico
di comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Nel 1967 L’Espresso
uscì con un titolo ad effetto: 1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di
stato’. I giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari sostennero che
Antonio Segni, all’epoca dei fatti presidente della Repubblica e de Lorenzo
fecero pressione sul Partito Socialista che rinunciò alle riforme ed accettò
di formare un secondo governo Moro perché preoccupato dall’attuazione di
tale piano. Poche settimane fa si è tornato a parlare nuovamente di quanto
accadde 57 anni fa con un libro di Mariotto Segni, edito per i tipi della
Rubbettino, che legge quanto accadde allora da tutt’altra angolazione ed il
titolo è eloquente: “Il colpo di stato del 1964 – La madre di tutte le fake
news”. L’autore è figlio di Antonio Segni, parlamentare nella Democrazia
Cristiana, poi fondatore del Patto Segni dopo un breve transito in Alleanza
Democratica, e propugnatore di diverse battaglie referendarie, tra cui quella
che portò all’abolizione della preferenza multipla. Dal 2004 non ha più
incarichi parlamentari (l’ultimo è stato a Strasburgo) e l’ultima campagna
referendaria con Parisi e Di Pietro fu quella stoppata dalla Corte
Costituzionale. E’ stato anche docente della cattedra di diritto civile
all’Università di Sassari. Nel libro, che è molto documentato e si legge
agevolmente, sottolinea che lo scoop dell’Espresso, che diede il via ad una
vera e propria campagna di stampa che dipinse la Democrazia Cristiana
come un partito golpista, fu in realtà una gigantesca fake news, la prima
della storia repubblicana e forse la più imponente. Abbiamo chiesto a
Mariotto Segni quale sia stata la genesi del libro e le motivazioni che
l’hanno spinto a scriverlo a distanza di tanti anni.
“Questo libro è nato in modo singolare e mi si potrebbe chiedere perché
non l’ho scritto prima. Tre anni fa, nel 2018, ricorrevano i 40 anni del
sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. Nel rileggere i giornali che
ripercorrevano la sua vita e la sua vicenda mi capitò di leggere anche alcuni
articoli che rievocavano in modo arbitrario le vicende del 1964. Ho
effettuato una rilettura attenta degli stessi e mi sono accorto che la
narrazione era rimasta sostanzialmente inalterata in 50 anni. Ho lavorato
per quasi tre anni e avanzando nella ricerca del materiale mi sono reso
conto che era stato raccontato un pezzo di storia italiana con una
costruzione falsa. Come documenti mi sono basato sull’archivio Antonio
Segni e, per una strana circostanza, a casa ho trovato una cassetta con molte
lettere e documenti che poi ho richiamato nel libro e prodotto come
allegati. Ma nel rileggere il tutto la scoperta più grande, più significativa e
più singolare è stato il costatare come documenti conosciuti erano stati
raccontati in modo diverso se non opposto”.
 All’epoca fece scalpore la proposta di Cesare Merzagora che si propose per
guidare un governo di tecnici svincolato da partiti. Certo che i tempi sono
davvero cambiati se pensiamo ai governi di Lamberto Dini, su incarico del
presidente Scalfaro, o di Monti, nominato dal presidente Napolitano …..
“In realtà quella di Merzagora era una autocandidatura, in realtà è mia
convinzione che mio padre non fosse d’accordo su un Governo Merzagora
ma pensasse piuttosto ad un monocolore DC”.
Per l’ipotesi di colpo di stato che sarebbe maturato nel 1964 e che indica
come una gigantesca fake news ante litteram quale sarebbe stata la ragione
alla base ?
“Non saprei dirlo, credo che sia stato il desiderio di un grande scoop.
Eugenio Scalfari su ciò ha costruito la sua carriera di giornalista. In ogni
caso questo ha influenzato fortemente tutto il corso degli anni Sessanta. Da
lì è iniziato il racconto della Democrazia Cristiana golpista. Il risultato di
questa predicazione è stata una campagna che dipingeva l’Italia come ad un
passo dal colpo di Stato e la Dc come partito pronto a fare il golpe pur di
sbarrare la strada al Pci. La narrazione successiva ha poi rafforzato la tesi
scalfariana che ha fatto partire tutto dal luglio 1964, con l’azione golpista
nella quale sarebbero stati coinvolti il Presidente della Repubblica e l’Arma
di Carabinieri.
Antonio Segni era contro il centrosinistra ?
“Mio padre non aveva una preclusione politica di principio, riteneva che si
dovesse fare più avanti nel tempo e che l’esperienza dei due anni del
Governo Fanfani (che aveva l’appoggio esterno del Psi) costituisse un
pericolo enorme per il Paese. E non dimentichiamo la preoccupazione
angosciata di Guido Carli, l’allora Governatore della Banca d’Italia, cui si
aggiungevano quelle della stampa e della Cee”.
Che rapporto ha sviluppato con Scalfari ?
Lui e Repubblica appoggiarono fortemente la prima parte della campagna
referendaria, come Montanelli. Con Scalfari c’è stato un buon rapporto ma
nella vicenda in questione le sue responsabilità sono evidenti. La campagna
sul presunto golpe del 1964 ha fatto molto male all’Italia. Paolo Mieli negli
anni Novanta, in polemica con Scalfari disse “Avete dato la spinta
psicologica al terrorismo rosso, se dite ai giovani che c’è uno Stato violento
si fornisce ai giovani il motivo per rispondere con la violenza”.
Che reazioni ha avuto l’uscita del libro ?
“E’ da poche settimane in libreria. Ho sentito parecchi amici che mi hanno
detto che riapre il discorso non solo sulla crisi del 1964, ma anche di ciò
​che è seguito. Mi auguro che sia l’inizio di una revisione storica, di un
cammino più lungo”.
Il suo libro si chiude con una interessante appendice di documenti. E tutto o
c’è ancora qualcosa da aggiungere ?
“In questa pubblicazione ho utilizzato tutto quanto era possibile utilizzare.
C’è un punto, però, che ancora non è accertabile ed è quello dell’ipotesi del
coinvolgimento del Kgb in questa vicenda. Non è chiaro perché gran parte
del materiale che proviene dall’archivio del Kgb e dal Cremlino è ancora
ampiamente secretato in quanto è stato consegnato così dal Governo
Inglese. Ho chiesto all’archivio storico del Senato ma il Governo italiano è
tenuto a seguire le indicazioni di quello britannico”.
Qual è il suo ricordo di Antonio Segni ?
“Con un padre che per tutta la mia giovinezza è stato al centro politico
italiano si può essere o contestatori o tifosi e io sono stato un suo tifoso.
Era un uomo dal carattere difficile, certamente, ma di grande sentimento e
di grande spessore.”
Massimo Iaretti

Evacuation è la parola d’ordine

LIBRI /FOCUS INTERNAZIONALE 

di Filippo Re
Quando la realtà si avvicina alla trama del romanzo. L’allarme delle sirene, la corsa disperata ai rifugi, ambulanze che sfrecciano, carri armati nelle strade, soldati con le tute antigas, tutti pronti all’esodo

Evacuation è la parola d’ordine. In una Tel Aviv assediata dalla guerra, raggiunta da missili e razzi, l’esercito ordina alla popolazione di evacuare la città. Su tutti i canali televisivi si invitano gli abitanti a chiudersi nelle “stanze sigillate” che sono state allestite in ogni abitazione in vista di un possibile conflitto. È come se la vita di Tel Aviv, principale centro economico del Paese, si fermasse di colpo per giorni o per settimane. Ma il vecchio Saba, nonostante gli appelli diffusi con gli altoparlanti, decide di scendere dall’autobus su cui era stato fatto salire per essere portato al sicuro, insieme al giovane nipote Naor e alla fidanzata Yael. I tre iniziano un tour clandestino e pericoloso nelle strade di Tel Aviv, nel cuore di una metropoli deserta dove si può morire da un momento all’altro. Il romanzo “Evacuazione” di Raphael Jerusalmy (La nave di Teseo) descrive il dramma di una città laboriosa, piena di vita e di giovani che sprofonda all’improvviso in uno scenario di guerra. Il libro di Jerusalmy preannuncia ciò che potrebbe accadere in caso di guerra tra Israele e i Paesi arabi o tra Gerusalemme e Teheran. La guerra sembra lontana ma poi un razzo lanciato da Gaza sorprende e trapassa la “cupola di ferro”, il sistema difensivo “Iron Dome”, centrando il kibbutz Mishmeret, nell’area di Kfar Saba, a pochi chilometri a nord di Tel Aviv e a km 80 da Gaza, ferendo sei persone, come è accaduto di recente. La paura si diffonde tra la popolazione e paralizza ogni movimento. Dopo il razzo caduto sulla città è a rischio anche l’Eurofestival della canzone che si dovrebbe svolgere a maggio al Centro Congressi. Tel Aviv era stata colpita anche dieci giorni prima ma in quel caso i razzi erano stati intercettati e distrutti in volo. L’aviazione israeliana ha risposto con una pioggia di missili contro postazioni di Hamas e della Jihad Islamica. Scenari di guerra che si avvicinano a quelli descritti nel libro. Ma le intimidazioni a Israele non vengono solo dai gruppi jihadisti. Il regime siriano ha più volte minacciato di colpire l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv se non si fermeranno gli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani e di Hezbollah in Siria. Non è la prima volta che Tel Aviv viene presa di mira dai missili. Già nel 2012 e nel 2014 in città era risuonato l’allarme antimissile. Non accadeva dal 1991, al tempo della guerra del Golfo, con 41 vecchi missili scud lanciati da Saddam Hussein contro Israele. Anche oggi, come ai tempi del rais di Baghdad, Israele si scopre debole e vulnerabile. In casi di guerra con l’Iran le autorità israeliane dovranno evacuare gli abitanti di Tel Aviv e sistemarli in altre aree, come nel deserto del Negev. Tre milioni di persone che vivono tra Tel Aviv e i numerosi sobborghi, tutti molto popolati, sono pronti a lasciare le loro case. Durante la guerra fra Israele ed Hezbollah nel 2006, il movimento sciita libanese lanciò 4000 razzi contro la Galilea, obbligando migliaia di israeliani a fuggire verso sud. Oggi ci si chiede cosa potrebbe accadere in caso di conflitto con l’Iran? Temendo una pioggia di missili dall’Iraq nel 2003, durante l’invasione americana, l’esercito aveva progettato di sistemare l’intera popolazione di Ramat Gan, la più popolosa zona di Tel Aviv, in tende allestite su un terreno individuato fra Kiriat Gat ed Ashkelon, nel sud del Paese. Chi non riuscirà a lasciare la città dovrà cercare riparo nei rifugi sotterranei, sotto teatri, cinema, scuole e ospedali. I missili di Hamas, Hezbollah e della Jihad islamica hanno già paralizzato diverse città israeliane, molto più piccole di Tel Aviv. Le immagini della casa in fiamme colpita da un razzo nei dintorni di Tel Aviv hanno impressionato l’opinione pubblica. Non si può tollerare un missile contro un aereo civile in fase di decollo o in atterraggio. Tzahal è pronto a rispondere.

Primavera d’Irlanda tra fede e storia

LIBRI   Domenica 16 maggio la presentazione del romanzo di Maura Maffei

Maura Maffei ,  con la sua avvincente vena poetica, narra il compiersi del destino del giovane guerriero irlandese Ruairi’  al tempo del vescovo  Patrizio , vero personaggio storico in “Primavera d’ Irlanda”, nuovo romanzo di leggenda e di rigore storico.

Il romanzo storico- religioso di  Maura Maffei verrà presentato domenica 16 maggio alla Soms di Pomaro (Al) con la partecipazione di Mons.  Mancinelli.

“Storia e non storia di Rossella Casini”

LIBRI / Nell’ultimo libro di Sabrina Sezzani, il caso della giovane Rossella, una vita atrocemente spezzata dalla ‘ndrangheta

Il sottotitolo del libro, edito da “Neos Edizioni” , sintetizza con lucida drammaticità la vicenda narrata: “La donna che non mi hanno lasciato diventare”. A parlare è Rossella Casini, nata a Firenze nel 1956 e uno dei nomi di “caduti” per mafia che si leggono ad alta voce ogni 21 marzo, la cui storia però è rimasta a lungo dimenticata.

A raccontarcela, in un centinaio di pagine ricche di sincera empatia, a metà strada fra l’indagine psicologica e quella giornalistica, è oggi Sabrina Sezzani, anche lei – come Rossella – fiorentina e già autrice nel 2017, sempre per “Neos Edizioni”, della raccolta di racconti “Seduta sul tuo splendore. Trenta storie fiorentine al femminile”. Racconta la Sezzani: “In queste pagine mi sono arrogata un diritto che non ho: quello di sostituire i suoi pensieri con quelli che io ho immaginato fossero i suoi. Questo quindi, non è un libro su Rossella Casini, ma un libro della mia Rossella Casini”. Per anni di Rossella si sono occupati in pochi. “Scomparsa” nel 1981 a soli 25 anni, la sua storia è rimasta a lungo dimenticata. Una storia che sembrava destinata al silenzio, finché nel 1994 un pentito racconta agli inquirenti che Rossella Casini, giovane donna vittima di un amore “sbagliato”, era stata rapita, stuprata, fatta a pezzi e gettata in mare nella tonnara di Palmi. Senza dubbio, uno dei più vili, turpi e racapriccianti delitti mai commessi dalla ‘ndrangheta. Quale la sua colpa? Quella di aver convinto il fidanzato Francesco Frisina, calabrese di Palmi (conosciuto alla Facoltà di Pedagogia dell’Università di Firenze), a collaborare con la Giustizia, dopo l’assassinio del padre del ragazzo, imprenditore agricolo, per mano di due killer e il ferimento dello stesso giovane in un agguato tesogli pochi mesi dopo nel dicembre del ’79. Francesco accetta l’invito di Rossella, ma la sua conversione dura poco e il ragazzo ritratta. Rossella si ritrova così coinvolta nella faida mafiosa che vede contrapporsi ferocemente le ‘ndrine Gallico – Frisina contro i Parrello – Condello, finendo stritolata dalle regole dell’omertà mafiosa che s’era illusa di riuscire ad infrangere per amore. “Fate a pezzi la straniera”, fu a quel punto l’ordine dei boss mafiosi. E il 22 febbraio 1981 Rossella scomparve nel nulla. Il suo corpo non fu più ritrovato. I suoi genitori non hanno mai avuto la consolazione di una tomba dove poterla piangere. Il processo, iniziato nel 1997, si concluderà nove anni dopo con l’assoluzione per insufficienza di prove: Rossella non ha mai ricevuto giustizia, la magistratura si è arresa, non è stata in grado di fare chiarezza, di individuare e punire esecutori e mandanti. Ci racconta la giovane con le parole scritte dalla Sezzani: “Per le aule dei Tribunali, io, semplicemente, non sono più. Ho smesso di esistere in una data imprecisata, in un modo imprecisato, per mano di non si sa chi. Sono sparita, ho smesso di dare contezza di me. Il resto è sconosciuto, questo dice la verità processuale”. Ma quale la vera verità? Se lo chiede con palese tormento la scrittrice, riaprendo ferite profonde mai rimarginate, ben consapevole di quanto “sia davvero importante ricercare il perché delle cose, andare alla fonte delle informazioni e cercare di dare un senso alla nostra sete di sapere”.
Il Comune di Firenze ha collocato una targa in memoria di Rossella nel centro storico dove abitava con i genitori, in via Borgo la Croce: “Qui visse Rossella Casini vittima della ’ndrangheta scomparsa dal 22 febbraio 1981 perché per amore infranse la regola criminale del silenzio”. E a Firenze a Rossella è intitolato anche un giardino, una scuola a Scandicci e il presidio di “Libera” a Viareggio. Nel 2019 le è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile.

g. m.

Per info: “Neos Edizioni”, via Beaulard 31, Torino; tel. 011/7113179 o www.neosedizioni.it

La “Scuola di fantasia” di Rodari

Rodari seppe “lavorare di fantasia”, diventando uno dei più grandi scrittori per l’infanzia di tutti i tempi.  Alcuni anni fa Einaudi ha ripubblicato la sua  “Scuola di Fantasia”, con l’introduzione di Mario Lodi, il grande pedagogista (morto nel 2014) che ha ridisegnato il valore educativo della scuola, cambiandone aspetti e metodologie

 

Gianni Rodari nasceva ad Omegna il 23 ottobre 1920, in riva al Lago d’Orta dove i genitori, originari della Val Cuvia nel Varesotto, si erano trasferiti per lavoro. Nasceva in via Mazzini, una delle vie principali di Omegna, dove il padre, Giuseppe Rodari, fornaio, svolgeva la sua attività.

Così lo ricordava lo stesso Rodari: “La parola ‘forno’ vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un’impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e si chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti. L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. È fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di broncopolmonite. A quei tempi non c’era la penicillina“. Nonostante l’infanzia segnata da quel lutto, Rodari seppe “lavorare di fantasia”, diventando uno dei più grandi scrittori per l’infanzia di tutti i tempi.

Recentemente Einaudi ha ripubblicato la sua  “Scuola di Fantasia”, con l’introduzione di Mario Lodi, il grande pedagogista che ha ridisegnato il valore educativo della scuola, cambiandone aspetti e metodologie. I testi raccolti nelle due parti di questo libro (la prima, dedicata a bambini, genitori e professori; la seconda al rapporto tra bambini, libri e scrittori) rappresentano i contributi più significativi – risalenti agli anni dal 1966 al 1980 –  di Gianni Rodari che ha espresso, in modo semplice e chiaro, le sue idee e le sue riflessioni sull’universo formativo, sul rapporto educativo adulti-bambini, sui processi e sulle finalità della formazione delle nuove generazioni. “Un bambino, ogni bambino, bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia ogni volta da capo”, scriveva Rodari, accompagnando le sue riflessioni con tante proposte concrete per restituire all’immaginazione, grazie al potere liberatorio della parola, lo spazio che le compete nella vita dei propri figli. Nella seconda parte del libro è particolarmente interessante la classifica che Rodari stila ( in nove punti) riferendosi ad alcuni discutibilissimi sistemi che possono far nascere nei bambini “ una nausea inestinguibile verso la carta stampata”. Lo scrittore omegnese  li indicava “piuttosto alla buona , ma non senza convinzione“. Vale la pena di trascriverli ( e di farne tesoro).

1.Presentare il libro come una alternativa alla Tv (I bambini trovano divertente e utile rimanere davanti alla televisione, i cui meriti educativi superano gli immancabili demeriti e si ritiene che negare un’occupazione, sentita come piacevole, sia un modo per gettare sulla diversa attività proposta un’ombra di fastidio e di castigo)

 

2.Presentare il libro come una alternativa al fumetto (Non essendoci un rapporto di causa e effetto tra la passione per i fumetti e l’assenza di interesse per le buone letture, è evidente che tale interesse deve nascere da qualche altra parte, dove le radici dei fumetti non arrivano)

 

3.Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più (Non si può chiedere ai ragazzi di amare un passato che non è il loro)

 

4.Ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni (Sono la società, la famiglia e la scuola a dover organizzare il tempo libero dei ragazzi, offrendo biblioteche ricche e invitanti…)

 

5. Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura (Dare la colpa ai bambini oltre che facile è comodo, perché serve a coprire le colpe proprie…Necessitano “divulgatori” di qualità, che sappiano suscitare la curiosità cognitiva dei ragazzi…)

6. Trasformare il libro in uno strumento di tortura (Determinati compiti assegnati dalla scuola, quali, per esempio: trascrivere pagine, riassumere, mandare a memoria, descrivere le illustrazioni, trasformano il libro in uno strumento di fatica, perché tali esercizi moltiplicano le difficoltà della lettura, anziché agevolarla e, così, non nasce il bisogno culturale della lettura)

 

7. Rifiutarsi di leggere al bambino (La voce di un genitore e dell’insegnante fa una funzione insostituibile. Necessitano pazienza e abilità: occorre saper leggere con espressione e con entusiasmo)

 

8. Non offrire una scelta sufficiente (È indispensabile l’allestimento di una bibliotechina personale, o collettiva, ricca e aggiornata)

 

9. Ordinare di leggere (La tecnica della lettura si può imparare “a scapaccioni”; ma l’amore per i buoni libri non è una tecnica, è qualcosa di più interiore e legato alla vita e non s’impara con le maniere drastiche e contestabilissime).

Che dire di più? L’immaginazione (o la fantasia, che è la stessa cosa) contribuisce in modo notevole a disinibire la mente, a farla uscire dagli schemi precostituiti, aprendo la strada alla creatività. Una grande lezione di quell’omegnese straordinario che fu il  “maestro” Rodari.

Marco Travaglini

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Nguyên Phan Que Mai “Quando le montagne cantano” -Nord- euro 18,00

Diciamo subito che è uno dei libri più belli, emozionante e scritto benissimo, che abbia mai letto.
Perché in 380 pagine racchiude molteplici tesori letterari: la tragedia di un popolo, la persecuzione di innocenti, la precarietà della vita, il buio; ma anche lo splendore dell’animo umano, la forza del perdono….e tantissimo altro che scoprirete leggendo. E’ il romanzo di esordio della giornalista e poetessa nata nel 1973 in Vietnam, dove per sopravvivere ha fatto anche la venditrice ambulante e la coltivatrice di riso. Poi, grazie a una borsa di studio ha lasciato il paese ed ora vive a Giacarta con il marito diplomatico e due figli.
Il libro portentoso è ispirato in parte alla storia della sua famiglia, sullo sfondo del Vietnam travagliato dalla guerra.
Narra la vita, i dolori e la forza di 3 generazioni di donne travolte dalla storia atroce del loro paese; tra conflitti, carestie, rivoluzione e dittature, bombe al napalm e orrore infinito.
Inizia nel 1972 ad Hanoi con la piccola Guava e sua nonna Diệu Lan in fuga dalle bombe americane che radono al suolo la loro casa. Senza scoraggiarsi decidono di ricostruirla ed è anche l’inizio del racconto della vita della nonna e della sua famiglia. E’ la storia del Vietnam ripercorsa in modo magistrale da una vietnamita: senza retorica o vittimismo, solo la cruda e spietata realtà, più affilata di un coltello nel colpire il lettore. Attraverso la saga familiare si ricostruisce il dramma di un paese martoriato: il colonialismo francese, la spietata occupazione giapponese, la divisione tra nord e sud in guerra tra loro, la grande carestia, le ingiustizie della riforma agraria che trasformano il vicino in nemico mortale, il ruolo degli americani.
Quella della nonna era una famiglia benestante di proprietari terrieri che lavoravano sodo e trattavano bene i dipendenti; poi con l’avvento dei comunisti possedere terra è diventato un crimine punito con la morte ed è l’inizio dell’odissea. Di colpo a Diệu Lan –che a 25 anni ha visto uccidere entrambi i genitori e a 28 aveva già 5 figli e ne voleva altri- viene portato via tutto. Il fratello ucciso, un figlio fuggito chissà dove e lei in fuga con i bambini più piccoli che è costretta a mettere al sicuro, presso famiglie e suore. Dunque la tragedia di una scelta dilaniante: abbandonarli sperando di ritrovarli quando le acque saranno più calme. Il libro è anche racconto dell’attesa straziante dei parenti andati a combattere: dramma nel dramma il ritorno di vite stravolte come quella della mamma di Guava, o il nulla di chi è disperso senza un luogo in cui poterlo piangere. Un libro che l’autrice ha scritto in 7 lunghi anni ed è la testimonianza di una voce femminile che rivive le sofferenze di un popolo e lo strazio che i singoli personaggi hanno dovuto attraversare.

 

Teresa Ciabatti “Sembrava bellezza” -Mondadori- euro 18,00

In questo romanzo Teresa Ciabatti riconferma la sua bravura nel raccontare l’universo femminile, e sviscera a fondo le emozioni e le dinamiche di madri, sorelle, figlie e amiche.
Voce narrante è quella di una scrittrice 47enne che, dopo un’adolescenza un po’ ai margini e in secondo piano rispetto alle coetanee più ricche e blasonate, si prende una gran bella rivincita sul piano professionale diventando una scrittrice di successo.
Nella vita privata, invece ci sono più macerie: è separata ed ha una figlia di 20 anni, Anita, che vive a Londra e stravede per il padre, mentre con la madre è perennemente in rotta di collisione poiché la ritiene la principale artefice del divorzio (anche se così non è).
Dopo 30 anni di silenzio, nella vita della scrittrice torna a farsi viva la sua amica ai tempi dell’adolescenza, Federica, e il rapporto tra le due si rinsalda, anche se le loro traiettorie di vita hanno seguito direzioni diverse. Federica tiene in piedi un matrimonio scricchiolante, ha due figli e vive a Genova. Soprattutto è la sorella di Livia, che ai tempi del liceo era la più bella e corteggiata, quella perfetta, l’ape regina in famiglia e tra i coetanei. Ed ecco che la protagonista torna indietro con la memoria, alla giovinezza negli anni 80, e a un fattaccio che ha distrutto più vite.
Livia dapprima sembrava scomparsa, poi viene trovata in frantumi e agonizzante in mezzo ai cespugli sotto casa, dopo un volo di metri. Mentre le ipotesi sulla dinamica dell’incidente si sprecano, la ragazza resta in coma per 20 giorni, subisce una craniotomia che lascerà cicatrici, e quando si risveglia deve riappropriarsi di tutta una serie di conoscenze e abilità che richiedono una lunga e faticosa riabilitazione. Ma soprattutto le è stato rubato il futuro, perché resterà per sempre al palo dello sviluppo cerebrale di una 18enne, con un ritardo cognitivo e mentale per il resto della vita.
La tragedia ha pesanti ripercussioni sui genitori di Livia che non sanno bene come muoversi e scaricano su Federica il fardello di occuparsi della sorella minorata. Federica diventa di colpo madre e badante di Livia, una responsabilità che pesa più di un macigno e determina le sue scelte di vita future, come la fuga in un matrimonio affrettato.
La scrittrice ripercorre le fasi dell’amicizia con Federica «movimento continuo di rovesciamenti, che vedeva primeggiare una nella sofferenza dell’altra, e viceversa».
Il romanzo parla del tempo che passa, di ferite che non si rimarginano, di incomprensioni, e a movimentare le cose torna sulla scena Livia all’alba dei 50 anni anagrafici ma cristallizzati ai 18.

 

Mary Gaitskill “Questo è il piacere” -Einaudi- euro 15,00

La storia è ambienta nella New York blasonata dei party dell’editoria, e racconta di due editor affermati, Quinn e Margot, che dopo un inizio imbarazzante- lui cerca di infilare la mano sotto la gonna di lei- finiscono per diventare grandi amici. Entrambi felicemente sposati e realizzati nelle loro carriere, sono legati da un rapporto consolidato.
Lui è sempre pronto a sostenerla nei momenti down e le fornisce preziose dosi di autostima.
Lei è depositaria delle confidenze di Quinn che le racconta apertamente, anche con battute pesanti e sconvenienti, delle donne che ruotano nella sua orbita, che lui corteggia, umilia, usa, manipola o protegge.
Già, perché Quinn è abituato ad approcci non sempre limpidi con il genere femminile, sia nella vita privata che in ambito professionale.
Ma in epoca di Mee Too, questo modus operandi risulta inaccettabile e finisce in aule di tribunale con tanto di caduta negli inferi di chi non ha saputo tenere a freno le mani.
Il romanzo alterna la versione di Quinn a quella di Margot: lui stenta a rendersi conto della gravità delle sue azioni, dimostra notevole incapacità emotiva ed è lontano anni luce dal comprendere il punto di vista delle donne.
Margot veleggia tra il senso di colpa per non aver messo un freno ai comportamenti inappropriati di Quinn e, d’altro canto, il concetto di lealtà dovuta a un amico. E pone un’amletica domanda: dove si colloca e finisce l’amicizia e dove sconfina nella complicità deprecabile?
Questo il nocciolo del breve romanzo della scrittrice 66enne diventata famosa con il racconto che aveva ispirato il film “Secretary” del 2002, con James Spader e Maggie Gyllenhaal. Da allora ha scritto altri romanzi e racconti che scavano a fondo nei rapporti umani.
Dall’esperienza di un suo amico travolto dalle accuse in clima Mee Too ecco questo romanzo che a lui si ispira per i lineamenti di Quinn, in una vicenda decisamente attuale.

 

Ma Jan “Il sogno cinese” -Feltrinelli- euro 15,00

Il 67enne scrittore cinese Ma Jan da tempo vive esule a Londra e i suoi libri sono proibiti nella sua patria: un ostracismo del regime scattato anni fa, a partire dal suo pamphlet -denuncia sui fatti di Piazza Tiananmen “Pechino è in coma” del 2009.
Proprio perché in esilio Ma Jan può permettersi uno sguardo lucido e realista sul suo paese e può pubblicare un romanzo come questo che è uno spietato affresco della Cina odierna, una satira dark che non fa sconti a nessuno e punta l’indice contro l’obbrobrio dei regimi totalitari.
Al centro della vicenda c’è Ma Daode: mediocre funzionario di provincia, corrotto fino al midollo, ricco sfondato, sposato ma famoso per le sue 12 amanti, devoto seguace e ammiratore del presidente Xi Jinping. Daode è il direttore dell’Ufficio del Sogno cinese, da poco istituito nella città di Ziyang e suo preciso compito è indottrinare la popolazione.
Deve entrare nella testa delle persone e convincerle ad aderire alla grande campagna per realizzare il “sogno cinese” e l’ambizioso progetto di “ringiovanimento nazionale”. Ovvero fare tabula rasa di pensieri e ricordi, cancellare memoria del passato, non avere libero arbitrio e seguire in massa il sogno del presidente che promette a tutti una “vita di gioia senza freni”.
Ma il passato si mette di traverso nella mente di Ma Daode che continua ad essere rincorso da pensieri allucinati, visioni e angosce che riportano alla superficie immagini del suo passato: violenze a cui ha assistito quando era una giovane Guardia Rossa, ma anche quelle di cui è stato artefice e responsabile.
A perseguitarlo più di tutto è il ricordo del suicidio dei suoi genitori, dopo essere stati malmenati e umiliati da militanti maoisti ai quali lui stesso li aveva denunciati. Poi lui e la sorella che li seppelliscono di nascosto in una cassa modesta, in un luogo che ormai non c’è più.
La modernizzazione l’ha raso al suolo, come cerca di fare anche con l’antico villaggio di Yaobang, costringendo con la forza gli abitanti ad abbandonare le loro case, promettendo un luogo migliore in cui vivere e un indennizzo che non ci sarà mai.
Ma non è facile per il regime cancellare dalla memoria collettiva del paese il passato, così come è complicato per Daode sconfiggere i suoi fantasmi, ed ecco una possibile soluzione: un microchip da impiantare nel cervello per sostituire i ricordi con la visione del leader.

I finalisti della XX edizione Premio InediTO si presentano

Si svolgeranno dal 10 al 24 maggio le presentazioni dei 76 finalisti nelle varie sezioni della ventesima edizione del Premio InediTO – Colline di Torino 2021 selezionati tra 1.249 iscritti e 1.382 opere (provenienti da tutta Italia e dall’estero) dal Comitato di Lettura, in collaborazione con i comuni e le biblioteche aderenti, l’associazione Tedacà e la casa di produzione Indyca partner del concorso. 

Le presentazioni avverranno attraverso le pagine Facebook degli enti coinvolti dalle ore 18:00 in modalità streaming nelle seguenti date:

10 maggio – Narrativa-Racconto: Biblioteca Civica “A. Arduino” di Moncalieri

12 maggio – Testo Canzone: Biblioteca Civica Musicale “Andrea Della Corte” di Torino

14 maggio – Narrativa-Romanzo: Biblioteca Civica Multimediale “Archimede” di Settimo Torinese in collaborazione con “Incipit Offresi”

17 maggio – Saggistica: Biblioteca Civica “N. e P. Francone” di Chieri

19 maggio – Poesia: Biblioteca MOviMEnte di Chivasso

21 maggio – Testo Teatrale: con Tedacà

24 maggio – Testo Cinematografico: con Indyca

 

Parteciperanno alle dirette che permetteranno di conoscere gli autori, Margherita Oggero (presidente della Giuria), i giurati Milo De AngelisMaria Grazia Calandrone, Alfredo Rienzi, Enrica Tesio, Sacha Naspini, Maria Teresa Ciammaruconi, Marco Lupo, Valentina Maini, Flavio Vasile, Michela Marzano, Massimo Morasso, Laura Nuti, Elisabetta Pozzi, Emiliano Bronzino, Renato Gabrielli, Alice Filippi, Paolo Mitton, Diego Trovarelli, Teresa De SioWillie Peyote, Lisbona (impegnati in questi giorni a valutare le opere finaliste), i membri del Comitato di Lettura, il direttore Valerio Vigliaturo, gli assessori alla cultura delle città (Antonella Giordano, Laura Pompeo, Tiziana Siragusa) e i responsabili delle biblioteche (Cecilia Cognigni, Loredana Prisco).

Il concorso proseguirà la sua corsa fino alla meta finale della premiazione che si svolgerà a fine maggio dal vivo (in una data e sede ancora da definire, in base all’andamento dell’emergenza sanitaria), attraverso la proclamazione dei vincitori che riceveranno i premi previsti dal montepremi di 7.000 euro e quelli speciali (dedicati ad Alexander Langer e Giovanni Arpino, ideati con la Città di Torino, “Borgate Dal Vivo”, “Routes Méditerranéennes” in collaborazione con l’UJCE, “InediTO RitrovaTO” attribuito nella scorsa edizione a La ballata del 25 aprile di Alfonso Gatto, e “InediTO Young” in collaborazione con Aurora Penne), nonché un reading dedicato alle opere dei vincitori (cui hanno partecipato in passato Giorgio Conte, Franco Branciaroli, Eugenio Finardi, David Riondino, Francesco Baccini, Alessandro Haber, Laura Curino, Gipo Farassino, Arturo Brachetti, Rita Marcotulli, David Riondino, Red Ronnie e Lella Costa). Mentre, in collaborazione con il Salone OFF, sono stati ospitati a Chieri gli scrittori Marc Augé, Andrea Vitali, Giuseppe Catozzella e Michela Marzano (diventata giurata del premio).

Una vita operaia

LIBRI / RILETTI PER VOI   Giuseppe Granelli, classe 1923 ( morto a novant’anni nel 2013), operaio colto dell’acciaieria Falck di Sesto San Giovanni, è il protagonista di questo libro-inchiesta di Giorgio Manzini. Cresciuto nel villaggio Falck divenne, grazie a “Una vita operaia”, emblema della condizione dei lavoratori metalmeccanici nell’Italia del secondo dopoguerra

“Una vita operaia”, scritto da Giorgio Manzini e pubblicato da Einaudi negli “Struzzi Società” nel 1976, non è certo un libro nuovo e nemmeno si può dire sia stato un bestseller anche se vendette parecchie copie. E’ però un libro importante e persino attuale. Giuseppe Granelli, classe 1923 ( morto a novant’anni nel dicembre di due anni fa ), operaio colto dell’acciaieria Falck di Sesto San Giovanni, è il protagonista di questo libro-inchiesta di Giorgio Manzini. Cresciuto nel villaggio Falck divenne, grazie a “Una vita operaia”, emblema della condizione dei lavoratori metalmeccanici nell’Italia del secondo dopoguerra. Manzini, giornalista e redattore di “Paese Sera” ( scomparso, a 61 anni, nel 1991)  interrogò a lungo Granelli, scelto tra decine di migliaia di operai  di Sesto San Giovanni perché era conosciuto come un sindacalista di fabbrica che non ha mai sgarrato e perché era una persona libera e intelligente. Una vita come tante, chiusa in un giro ristretto, ma anche investita “dai bagliori dei grandi avvenimenti politici”:la Resistenza, le illusioni del ’45, le difficoltà economiche del dopoguerra,la rottura del fronte operaio,la restaurazione, la caduta del mito di Stalin, la lenta riscossa sindacale.

Questo libro di Giorgio Manzini – saggio, inchiesta, romanzo vero – ripubblicato recentemente dall’Archivio del Lavoro, oggi assume un significato ancora più profondo perché racconta di un uomo – Giuseppe Granelli, il protagonista in carne e ossa – che per quarant’anni ha lavorato alla Falck di Sesto San Giovanni. La sua esistenza è stata quella della città dove ha vissuto, dagli stabilimenti dell’acciaieria al villaggio operaio al Rondò da dove partivano le grandi marce solidali. Storie che sono diventate una parte della nostra storia nazionale: un simbolo altalenante di conquiste, di sconfitte, di risalite, di cadute, un microcosmo che può rispecchiare la vita dell’intero Paese. La fabbrica amata e odiata – il pane, la fatica, il conflitto – non c’è più. I resti, certi resti, dei vecchi capannoni (Concordia, Unione, Vittoria: si chiamavano così i vecchi stabilimenti della Falck),le fonderie, i laboratori, il forno sono come ombre e fantasmi di un passato. Resta la memoria di “una vita operaia”, di quel Giuseppe Granelli che, una volta andato in pensione, diventò la “voce degli operai” e raccolse le biografie di quasi 490 sindacalisti della Fiom,militanti, semplici operai che avevano speso la vita in fabbriche come l’Alfa Romeo, la Falck, l’Innocenti, la Breda, la Pirelli, la Richard Ginori, la Magneti Marelli e tante altre di cui non ci si ricorda nemmeno più il nome. Un lavoro prezioso, certosino, cosciente che quelle “sue vite”, raccolte con la consueta pazienza, catalogate nell’Archivio del lavoro di Sesto, erano la sua eredità, la medaglie al valore che nessuno gli ha mai messo sul petto. Il padre di Granelli, Tone, aveva lavorato anche lui alla Falck Concordia per quarant’anni, manutentore al laminatoio. Giuseppe (detto Giuse, Tumìn, Granel) cominciò a faticare, ragazzo di fabbrica, a 14 anni, per 84 centesimi l’ora a portar l’olio, scopare i trucioli di ferro, allungare gli stracci ai compagni alla macchina. Manzini seppe fare di Granelli il simbolo di milioni di uomini di un passato ora morto e sepolto.

Questo libro appartiene, come ha scritto Corrado Stajano, “alla letteratura industriale”, quella dei Carlo Bernari, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Primo Levi, Vittorio Sereni. Granelli, nel portafoglio, conservò per anni una fotografia di Stalin, per lui l’uomo della guerra patriottica, il vincitore delle armate naziste. Il XX Congresso del Pcus fu un trauma, la rivolta di Budapest un colpo al cuore. Granelli tenne sempre fede ai suoi principi di giustizia sociale: tolse dal portafoglio la foto di Stalin e non ne rimise altre. Amava il dubbio, il confronto. Aveva un grande rispetto per il sapere, era curioso, frequentò a Milano la Casa della Cultura diretta da Rossana Rossanda, era attratto dal fascino di Cesare Musatti e lesse i grandi libri della storia e della letteratura. Il libro di Manzini lo rese felice. Gli fece capire che una vita come la sua, simile a quella di infiniti altri, poteva  e doveva essere ricordata. Le ultime tre righe del libro raccontano la sua pazienza, la sua tenacia e la saggezza di quest’operaio che sapeva fare “i baffi alle mosche”: “ L’importante è continuare il rammendo, sostiene Granel, e avere fiducia. Se non si avesse fiducia si starebbe qui a diventar matti tutti i giorni?”. Manzini è morto da quasi venticinque anni. Anche Granelli non c’è più : è sepolto nel silenzio del cimitero del paese dei suoi genitori, a  Moio De’ Calvi, nella bergamasca. Rimane questo libro, “Una vita operaia”, troppo bello e troppo importante per non essere ripreso in mano, per leggerlo o rileggerlo.

 

Marco Travaglini

Tre lezioni sull’italiano con Circolo dei lettori per Incipit Offresi

Mercoledì 5, 12 e 19 maggio il primo talent letterario itinerante per aspiranti scrittori

“Incipit. Cominciamo dall’italiano” sono tre incontri online in programma mercoledì 5, 12 e 19 maggio alle ore 18 sull’evoluzione e il fascino della lingua italiana. Gli appuntamenti sono a cura di Fondazione Circolo dei lettori, Fondazione ECM – Biblioteca Archimede e Istituto Italiano di Cultura Barcellona, organizzati in occasione del talent letterario Incipit Offresi. L’obiettivo è riflettere sullo spazio concettuale e geografico occupato dalla nostra lingua, sulla sua incessante trasformazione e sul fascino che da sempre esercita in contesti internazionali per la grande tradizione culturale legata all’espressione letteraria e artistica.

La prima lezione, mercoledì 5 maggio, è affidata alla linguista e ricercatrice in gender studies Manuela Manera, che analizza l’italiano come sfida sociale in continua evoluzione, focalizzandosi su quanto la lingua, portatrice di un grande potenziale discriminatorio, serva non solo a definire la realtà ma soprattutto a determinarla. Mercoledì 12 maggio protagonista è Diego Marani, glottologo neodirettore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, autore di “La città celeste” (La nave di Teseo) e inventore della lingua-gioco Europanto, che mette l’italiano, lingua europea, a confronto con le altre lingue che lo circondano, canale di scambio con l’alterità. L’ultima lezione, mercoledì 19 maggio, è tenuta da Paolo Gravela, docente all’Istituto Italiano di Cultura Barcellona, che racconta la bellezza dell’italiano ma anche le sue “trappole” quando lo si insegna e lo si impara all’estero, in particolare in un contesto di idiomi “fratelli” come lo spagnolo e il catalano.

Gli incontri sono trasmessi online su circololettori.it e sulle pagine Facebook di Circolo dei lettori e Incipit Offresi.

Mercoledì 5 maggio, ore 18

Incipit. Cominciamo dall’italiano #1

Lingua, società, genere

Con Manuela Manera, linguista e ricercatrice in gender studies

Mercoledì 12 maggio, ore 18

Incipit. Cominciamo dall’italiano #2

L’italiano di confine

Con Diego Marani, glottologo, direttore Istituto Italiano di Cultura di Parigi, autore di “La città celeste” (La nave di Teseo)

Mercoledì 19 maggio, ore 18

Incipit. Cominciamo dall’italiano #3

L’italiano visto da fuori

Con Paolo Gravela, docente Istituto Italiano di Cultura Barcellona

INFO

www.incipitoffresi.it – info@incipitoffresi.it

tel. 011 80.28.722/588 – cell. 339 521.48.19