Nostra intervista al poeta torinese Guido Catalano
Qualche anno fa diceva di volere diventare “poeta professionista” un po’ per scherzo, un po’ no. Oggi, dopo 12 libri pubblicati, una miriade di reading e poetry slam con cui ha fatto il giro di tutta Italia, un podcast “Amare Male” (edito Chora) da cui è tratto il suo ultimo libro (edito Rizzoli), Guido Catalano “poeta professionista” lo è diventato veramente. Classe 1971, nasce a Torino, città dove vive attualmente e a cui è particolarmente legato tanto da renderla protagonista di diverse sue poesie. Nel 2015, Guido diede vita ad un blog, primissima vetrina dei suoi versi, costruendosi una credibilità online e offline. Oggi, oltre ai libri e agli spettacoli, Catalano usa i social come strumento di diffusione dei suoi componimenti poiché le poesie, sopratutto quelle brevi, sono “come una canzone: pura condivisione. Per cui sono perfette per piattaforme del genere”. Al Salone Internazionale del Libro di Torino, oltre alla presentazione del suo romanzo, ha affiancato il cantautore e musicista torinese Bianco all’ evento “Ticket to read”. Si è parlato di “cuori selvaggi” (titolo scelto per l’ edizione 2022 del Salone), di poesia, musica e ovviamente d’amore.
Oltre ad essere “un poeta professionista vivente”, come ami simpaticamente sottolineare, sei diventato anche un podcaster per la squadra di Chora con “Amare male”. Rispondendo alle missive degli utenti dal cuore infranto hai fornito “un servizio gratuito per chi soffre le pene d’amore”. Cosa ti ha dato questa esperienza che- di fatto- è una nuova forma di racconto della realtà?
Il podcast è stata un’esperienza bellissima. Raccontare delle cose senza essere visto, come succede alla radio, mi piace. Anche perché ho un’ idiosincrasia con le telecamere. Il podcast mi da maggiore libertà espressiva perché mi permette di essere ciò che voglio e, addirittura, di vestirmi come preferisco. Anche in mutande, ma non l’ ho mai registrato così.
Dici che le telecamere ti imbarazzano, ma tu parli spesso davanti al pubblico. Come vivi questo rapporto?
Probabilmente è dettato dal mio desiderio di farmi vedere perché diversamente sopporterei l’idea di recitare davanti a 100/200 persone. Fin da ragazzino, quando ho iniziato cantando in un gruppo, esprimevo in questo modo il mio bisogno di teatralità, malgrado io sia una persona timida. Spesso le persone che fanno spettacolo hanno questa caratteristica e utilizzano lo spettacolo per superarla. Per me il palco e il rapporto con la gente sono stati fondamentali per raccontare quello che scrivevo. Quando ho iniziato nessuno mi pubblicava e non esistevano i social: è stato naturale, per me, cercare il contatto con il pubblico dal vivo.
A proposito di timidezza, si dice che i timidi “apprendano” dal mondo e della vita di più di altri proprio grazie a questa loro modo di essere. Quanto è stata utile nel tuo caso?
Mi piace molto questa citazione perché i timidi guardano la vita e ascoltano in modo diverso e, così facendo, parlano più degli estroversi. Questa caratteristica è stata fondamentale per la mia scrittura. Infatti mi trovo continuamente ad ascoltare quello che succede intorno a me. La mia ispirazione viene, spesso, dalle conversazioni sentite al bar e dai dialoghi delle persone che mi circondano.
Da questo ascolto attivo è nato anche il tuo ultimo libro “Amare male”. I tuoi titoli sono sempre ironici. Cosa c’è dietro in questo caso?
E’ un titolo quasi paradossale perché da molto tempo non mi succedeva di essere felice in amore come lo sono ora ma ho ugualmente deciso di intitolarlo così. Parla della mia attuale relazione che è felice, ma anche della storia di tanti altri. E così torniamo al tema dell’ ascolto: a me piace la vita della gente, ho piacere a sentire i loro racconti. Non mi dispiacerebbe fare “l’intervistatore” delle persone. Alla luce di tutto questo, nel libro si parla di amare male ma anche di amare molto bene.
Esiste, quindi, l’amore felice che tutti cercano ma pochi trovano?
Sì esiste e va cercato. Sicuramente la fortuna ha un ruolo ma, come dicevano gli antichi, aiuta gli audaci.
Prima di venire al Salone Internazionale del Libro, hai presentato l’ultimo disco di Willie Peyote al PeyoteMes. Siete l’esempio di due torinesi che ce l’hanno fatta. Tu hai sempre detto che Torino è una città non facile in cui affermarsi perché “a Torino non si scherza un cazzo”. Questa formazione sabauda, così rigida e austera, ti ha aiutato nella tua carriera?
Penso di sì, perché Torino è come una palestra di vita dove fai un po’ più fatica rispetto a Milano e a Roma. Per questo dico che, se riesci qui, nel resto d’Italia sarà in discesa: Torino è una città difficile per gli artisti o la gente che fa il mio lavoro dal momento che non ci sono molte possibilità: qui ti fai i muscoli.
Valeria Rombolà