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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Joël Dicker “Il caso Alaska Sanders” -La nave di Teseo- euro 22,00
Sembra quasi impossibile che questo scrittore svizzero 37enne, con l’aria dolce e sorridente da ragazzino simpaticissimo, possa anche solo lontanamente concepire trame come quella del suo ultimo romanzo, dove precipitiamo affascinati in un labirinto di: omicidi efferati, menzogne, segreti, ricatti, invidie devastanti, false piste, colpi di scena continui e rutilanti che spalancano le porte su un orrore che ha dell’indicibile.
“Il caso Alaska Sanders” è l’ultima parte della trilogia con al centro Marcus Goldman, iniziata con “La verità sul caso Harry Quebert” (2013) –che ha ispirato la serie tv interpretata da Patrick Dempsey- e proseguita con “Il libro dei Baltimore” (2016).
Joël Dicker, al successo planetario – con oltre 12 milioni di copie vendute- è arrivato dopo una serie di rifiuti, che per fortuna non l’hanno fermato. Ha continuato a scrivere ed è così che è nato il best seller che l’ha catapultato nell’Olimpo degli scrittori più amati e letti.
Se avevate nostalgia della provincia americana e delle atmosfere che avevano avvolto la vicenda dello scrittore Harry Quebert, scagionato da un’accusa infamante dal giovane collega Marcus Goldman; ora “Il caso Alaska Sanders” lenisce quel vuoto e vi rimette sulle tracce di Marcus.
10 anni dopo aver raggiunto la fama con il libro in cui raccontava il caso Quebert, Marcus -in crisi di ispirazione, irrequieto e alla ricerca del suo mentore di cui ha perso le tracce- si rifugia ad Aurora, nel New Hampshire. Lì ritrova Perry Gahalowood, burbero e bravissimo poliziotto con cui aveva già collaborato.
Perry non si dà pace perché è convinto di aver commesso una serie di errori 10 anni prima, nel 1999, quando aveva indagato su un caso che aveva sconvolto la tranquilla cittadina di Mount Pleasant. L’omicidio della bellissima 22enne Alaska Sanders, vincitrice di “Miss New England”, trovata morta in riva a un lago.
Una serie di biglietti anonimi fa pensare che le indagini siano state troppo sbrigative, inoltre tanti altri dettagli non tornano e aprono voragini su ulteriori dubbi.
Gahalowood decide di riprendere in mano il “cold case”, e Marcus lo aiuta a ricostruire i fatti, rivedere le prove, capire se l’uomo finito in carcere dopo aver confessato il delitto sia il vero colpevole.
Della trama vi anticipo solo che vi afferrerà dall’inizio alla fine, con calibrati flash back che permettono di mettere a fuoco il passato difficile di alcuni personaggi le cui vite sono fuori norma. Perché conta non solo quello che i personaggi fanno, ma soprattutto perché lo mettono in atto, e Dicker ve li fa conoscere meglio, pagina dopo pagina.

Sullo sfondo c’è l’America della provincia descritta magnificamente e nei minimi particolari; Dicker la conosce bene perché per 20 anni ha trascorso le vacanze nel Maine, a casa di uno zio.
Poi dialoghi serrati, saliscendi narrativi, amore e morte che si amalgamano e finiscono per distruggere giovani vite, segreti torbidi e da nascondere a qualsiasi costo…e tantissimo altro ancora che scoprirete leggendo.
Insomma, Joël Dicker ha nuovamente fatto centro; ma mantiene saldamente i piedi per terra, non si è montato la testa, anzi, ha affermato di sentirsi ancora agli inizi della carriera.
Consapevole che il successo può sempre voltare le spalle, oggi Dicker, padre di un bambino di 3 anni, ha lanciato la sua casa editrice “Rosie & Wolfe” e “Il caso Alaska Sanders” è il primo titolo che pubblica. E c’è da credere che avrà un occhio molto attento nei confronti di giovani scrittori in cerca di fama e tutti da scoprire.

 

Eric-Emmanuel Schmitt “Paradisi perduti” -Edizioni e/o- euro 19,00

Questo prolifico scrittore francese, nato a Sainte-Foy-lès-Lyon nel 1960, membro dell’Académie Goncourt, è anche un importante autore teatrale le cui opere sono rappresentate in tutto il mondo. Da alcuni suoi romanzi sono anche stati tratti film di successo, tra cui “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” e “Piccoli crimini coniugali”.
“Paradisi perduti” è il primo dell’ambiziosa saga in 8 volumi sulla storia dell’umanità “La traversata dei tempi”, alla quale Schmitt lavora da oltre 30 anni. Un progetto titanico in cui ricostruisce in forma romanzata la vita sulla terra e ce la racconta attraverso le storie di vari personaggi a cavallo dei tempi.
Diciamo subito che ha sapientemente miscelato la sua abilità di romanziere di alto livello con una messe di conoscenze storiche, scientifiche, religiose, sociologiche, religiose, mediche, filosofiche e tecniche.
Il risultato è strabiliante per la capacità di affascinare il lettore, senza mai annoiarlo; anzi si procede pagina dopo pagina con la curiosità di sapere cosa sta per accadere. Una magia che riesce solo ai grandi scrittori.

Come si può intuire l’opera è monumentale e ogni capitolo si affaccia su un’epoca importante per la storia dell’uomo.
Il primo, “Paradisi perduti” racconta la fine del Neolitico e il diluvio che spazzerà parte dell’umanità. Il romanzo scorre per 487 pagine di immensa bellezza che ci riportano all’alba della vita terrestre, quando la Natura imperava sovrana consentendo la sopravvivenza dei più forti e più combattivi.
Protagonista è Noan, uomo del Neolitico nato 8000 anni fa in un villaggio costruito sulla riva di un grande lago. Un mondo in cui, immersi in una natura libera e rigogliosa, uomini e donne vivevano di caccia, pesca e raccolta; ospiti di passaggio, che alla Natura si inchinavano, conoscendola a fondo e rispettandola.

In riva al lago la tribù di Noan era dei Sedentari che si ritenevano superiori alla razza dei Cacciatori che razziavano ed erano disprezzati. A capo del villaggio c’era un leader che doveva agire per il bene della comunità. La morte era all’ordine del giorno, soprattutto quella infantile, e superare l’anno di vita era già un miracolo.
Gli uomini misuravano il tempo «…meno di oggi, non c’erano date di nascita né battesimi né atti di nascita né feticismo intorno ai compleanni, solo qualche ricordo condiviso…..Una mattina qualcuno nasceva e si faceva festa, una sera qualcuno moriva e si organizzava un’altra festa».

Noam era il figlio del capo Pannoam, al quale ubbidiva in tutto, anche sposando una donna che non amava; poi quando nel villaggio arriva un guaritore con l’affascinante figlia Nura, le cose si complicano. Molte cose accadranno e scopriremo che, nonostante il villaggio fosse un abbozzo di struttura sociale, anche allora al centro della convivenza e della vita c’erano i rapporti umani. Intrisi (come oggi) di amore, invidie, rivalità, bontà, generosità oppure cattiveria, vendetta, sete di potere ….

Poi nel romanzo irrompe la furia delle acque del lago e un immenso diluvio vi terrà ancorati alle pagine. Scoprirete la sorte che attende i vari personaggi, però quello che ci presenta Schmitt è la prima grande rivoluzione nella storia umana.
Quando «L’ uomo era arrivato a credersi superiore alla Natura che stava trasformando. Ormai c’erano due mondi, quello naturale e quello umano. E il secondo invadeva il primo senza vergogna». Tema oggi di stringente attualità……

Natasha Solomons “Io, Monna Lisa” -Neri Pozza- euro 18,00
E’ semplicemente geniale l’idea di dare voce al ritratto femminile più osannato della storia dell’arte mondiale; nessuno ci aveva pensato prima e ora la Solomons fa parlare la Monna Lisa di Leonardo.
E’ lei la protagonista di questo romanzo che è anche storico e frutto di una sapiente ricostruzione. Inizia nella Firenze del 1504 con Leonardo che all’epoca aveva 51anni, e da Milano era arrivato in uno studio fiorentino. Poi si avvicendano vari scenari: le corti francesi di Versailles e Fontainebleau, le rivoluzioni, le guerre del 900 per finire ai giorni nostri.
Tutto raccontato attraverso l’enigmatico sguardo di Monna Lisa, imprigionata dietro una teca di vetro, ma che ha visto e provato di tutto; e, al di là del mistero che la circonda, sente, formula giudizi, ha una sua visione del mondo.
La donna osannata e ammirata -da re, imperatori, ladri, amanti, conoscitori dell’arte e gente comune- è Lisa del Giocondo. Moglie di un mercante di stoffe (insensibile e dall’animo gretto), che commissionò il ritratto al grande artista, e non è affatto muta come sembra. Natasha Solomons le dà voce, pensieri, emozioni e sentimenti che rivela a chi la sa ascoltare.

Leonardo ne fu ossessionato, perché in quel quadro aveva infuso non solo le sue rivoluzionarie tecniche pittoriche, ma anche buona parte di se stesso, le sue idee e la sua filosofia di vita. Adorava la Gioconda, che nel romanzo di Natasha Solomons ricambiava l’affetto.
Il libro però non si limita alla vicenda privata, ha un ampio respiro storico e nelle sue pagine compaiono molti grandi personaggi con le loro dinamiche, sfide e rivalità; da Leonardo da Vinci a Macchiavelli, Michelangelo, Raffaello e il re di Francia Francesco I.

La 43enne Natasha Solomons, che ci ha fatti innamorare dei suoi precedenti romanzi (raccontando le vicende dei Goldbaum e di casa Tyneford), è da sempre abilissima nel dare voce a chi non la possiede.
Forse perché il suo vissuto di ragazzina dislessica le ha offerto una chiave di lettura in più, e ha forgiato la sua particolare sensibilità nell’immedesimarsi nei suoi personaggi.
Profonda l’empatia con cui si è avvicinata al ritratto della Gioconda, della quale ha avvertito la profonda solitudine, in cui si è in gran parte riconosciuta.

 

Claudio Visentin “Luci sul mare” -Ediciclo editore- euro 13,50

Soprattutto per chi avverte il misterioso fascino dei fari -sentinelle dei mari che guidano viandanti marinai- sarà irresistibile questo libro scritto da Claudio Visentin, docente di Storia del Turismo all’Università della Svizzera italiana e studioso dei nuovi stili di viaggio.
In 105 pagine -arricchite anche da disegni- racconta il suo peregrinare alla scoperta dei principali fari scozzesi e le loro storie in cui, mare, tempeste e naufragi hanno reso le acque che lambiscono le coste un immenso cimitero di uomini e relitti.

E’ un percorso affascinante dalla prima all’ultima pagina. Tanto per cominciare scopriamo che nel mezzo di una tempesta, c’è più possibilità di salvezza in mare aperto che non in prossimità delle coste, perché è proprio contro gli scogli che si sono schiantate centinaia di navi nel corso dei secoli. La costa della Scozia è particolarmente infida con rocce sommerse, secche e correnti improvvise. Per questo, armatori, mercanti e capitani di lungo corso chiesero con insistenza di costruire dei fari.
Nel 1786 fu fondato il Northern Lighthouse Board con il gravoso compito di trovare finanziamenti, tracciare strade per raggiungere punti strategici dove costruire i fari e altre mille complicazioni; eppure nonostante le difficoltà in un paio di anni ecco svettare le prime sentinelle.
In Scozia furono edificati oltre 200 fari nel corso degli anni; i principali sono 84, in origine erano sorvegliati da guardiani che potevano anche rischiare la vita quando onde gigantesche e infuriate si abbattevano su quelle torri facendo tremare tutto sotto l’urto di tonnellate di acqua sui muri. «Si racconta che al faro di Fair Isle North, tra le Orcadie e le Shetland, due guardiani furono portati via dal vento». C’era un preciso regolamento da rispettare; prescriveva che almeno uno dei custodi restasse sempre all’interno, persino quando vi erano naufraghi in pericolo.
Il viaggio di Visentin inizia vicino a Edimburgo e ci conduce (su traghetti, aerei vetusti che volano a vista e senza moderna strumentazione) alla scoperta dei mitici fari della costa scozzese. Da lì si spinge fino alle isole Orcadi per arrivare all’ultimo faro in punta alle isole Shetland, quello di Burrafirth affacciato sull’immensità di un orizzonte sconfinato.

I celebri fari scozzesi furono costruiti dagli Stevenson, si, proprio la famiglia del famoso scrittore Robert Louis Stevenson che entrò in rotta di collisione col padre quando scelse invece la strada della letteratura.
La loro fu una gloriosa dinastia di ingegneri geniali, grazie ai quali molte navi poterono seguire la rotta giusta, guidati dalle luci delle loro costruzioni, spesso appoggiate su speroni rocciosi.

Dei fari che visita, Visentin, racconta le storie e gli aneddoti; uno più affascinante dell’altro, epici e tragici con mille naufragi nel corso dei secoli, ma anche la salvezza di tante navi e curiosità poco note.
Come la storia di Fresnel che nel 1822 inventò la lente che era «..l’anima del faro, l’occhio del gigante. La luce è quella di una normale lampadina…..è merito della lente moltiplicarne all’infinito la potenza e concentrarla in un unico raggio attraverso un’iride di cristallo».

Dopo oltre due secoli, è nel 1998 che, a Fair Isle South, si estingue l’onorato mestiere di guardiano del faro con l’ultimo di loro che lascia la torre. Da allora una lunga fase di transizione verso l’automazione è stata gestita con cura; eppure la magia resta.

“Pietro J.” Il nuovo libro di Patrizia Valpiani medico-scrittore

Lunedì 1 agosto alle ore 17,30 nel salone delle feste di Bardonecchia il medico- scrittore Patrizia Valpiani presenterà il suo nuovo libro “Pietro J.” in parte ambientato a Torino ed edito da Readacrion . Abbiamo intervistato l’autrice.

D. Dottoressa Valpiani, Lei e’ medico scrittore e presidente di A.M.S.I.; ci dice qual è il legame
tra queste due attività cui ha dedicato la sua vita.

R. L’etica della professione medica porta a scacciare il dolore ma ben sappiamo che non bastano i farmaci, ci vuole quello che definisco il supplemento dell’anima e della verbalizzazione; i medici in genere cominciano a scrivere per questo. Attraverso l’uso sensibile della parola, che tanto rassicura, razionalità e creatività si fondono, ben vengano di conseguenza anche le parole scritte: per molti di noi parte integrante della vita. Spesso valgono anche per lenire le nostre personali inquietudini e mantenere un equilibrio, funzionano meglio di una dose massiccia di benzodiazepine. Sappiamo bene che la mente del medico è sempre all’erta. Anche la mente dello scrittore lo è. Potrei citare tantissimi esempi anche a livello internazionale e in tutti i tempi. Basti ricordare comunque che oltre all’ Associazione italiana ne esistono simili in tutto il mondo e fanno capo a U.M.E.M. ( Union Mondiale Ecrivains  Médécins).

D. Lei scrive poesia e narrativa, come spiega questa duplice scelta?

R. Non si tratta di una scelta, ma della manifestazione della natura letteraria profonda. Lo scrittore di narrativa ha bisogno di nutrirsi di parole sentimenti e vite altrui. Non basta la propria di vita! La poesia è pregna di humus: i poeti ballano nella mente senza alcun freno inibitorio, liberano eserciti di mondi interiori e danno come frutti le più varie emozioni. Quale miglior campo, quando si scrive, dove attingere storie di uomini?. La mia scelta narrativa è diretta in primis verso il genere noir. Proprio per le caratteristiche intrinseche del noir, posso affermare che cerco di scrivere le mie storie con una larga componente poetica. Innanzitutto ci vuole l’atmosfera, che fa da regina: alla Scerbanenco, intanto per portare un esempio. L’ambiente prescelto deve essere fumoso, caotico, inquietante, misterioso. Da non sottovalutare che nei miei romanzi viene fuori anche il lato oscuro della mente,  scandaglio le profondità psicologiche.

D. Ci parli dell’ultimo libro uscito, Pietro J, per Readaction editrice- Roma, 2022.

R. L’idea originaria è nata anni indietro, con altri due romanzi ( Chiaroscuro e l’Ombra cupa degli ippocastani, firmati allora con il nom de plume Tosca Brizio, perché scritti a quattro mani con Gianfranco Brini, medico legale, scomparso a gennaio 2019). Il protagonista di quest’ultima pubblicazione, in cui ho ripreso il mio nome come autrice, è sempre lui: Pietro Jackson. Si tratta di un artista italo inglese,  personaggio enigmatico e affascinante che unisce quanto di magico e misterioso c’è nel mondo dell’arte. Ci conferma come il cervello sia un organo stupefacente ed ancora misterioso in tanti suoi relais: Pietro, durante i suoi momenti di creatività o durante il sonno, percepisce suo malgrado le negatività che lo circondano, spesso con enorme sofferenza. Così si trova coinvolto in eventi drammatici e cerca di essere d’aiuto nella risoluzione. Vicino a lui troviamo personaggi ricorrenti: una madre medico di famiglia, un padre commerciante e giramondo, un medico legale, un amico giornalista, una fidanzata…

D. Insomma, si tratta di una serie. Quale il suo modo di scrivere e quanto tempo dedica a questa attività.

R. Sì, una serie, appunto. Sono già all’opera per un ulteriore romanzo con gli stessi protagonisti. Da quando, per sopravvenuti limiti di età ho allentato la professione medica, dedico molte ora allo scrivere, è una grande passione. L’idea iniziale a volte nasce improvvisa, poi i personaggi mi prendono la mano e posso cambiare direzione  strada facendo. Devo trasfondere le mie idee e renderle coerenti e verisimili con i protagonisti della storia che mi si forma nella mente. Ci vuole poi, quando il lavoro sembra finito, un lungo impegno di cesello. Bisogna avere il coraggio di tagliare qualche frase, di modificare qualche concetto. In ultimo, ma non per importanza, ci vuole rispetto: per la letteratura in genere, per i lettori, per i protagonisti delle storie e per la vita in genere.

Agatha Christie, regina del giallo

Sessantasei romanzi, svariati racconti, traduzioni in 45 lingue: Agatha Christie, al secolo Agatha Mary Clarissa Miller è stata la regina indiscussa del romanzo giallo.

La sua immaginazione e la sua penna hanno regalato al mondo personaggi indimenticabili: l’arguta e adorabile Miss Marple, il severo e acuto Hercule Poirot, gli intraprendenti Tommy e Tuppence Beresford. La “signora del mistero” morì a Wallingford nella sua casa di campagna inglese il 12 gennaio 1976, quarantasei anni fa. Aveva 86 anni “la donna che, dopo Lucrezia Borgia, è vissuta più a lungo a contatto col crimine, come la descrisse Winston Churchill. Grazie alla sua impareggiabile penna creò dei personaggi senza tempo, vendendo più di due miliardi di copie e proponendo le trame per i molteplici adattamenti cinematografici e televisivi delle sue fatiche letterarie. Cosa sarebbe stato il mondo del giallo senza Hercule Poirot e Miss Marple o senza capolavori intramontabili come Dieci piccoli indianiAssassinio sul Nilo ? Da ragazzina sognava di  diventare una cantante lirica ma (e per fortuna!), dopo aver prestato servizio come volontaria presso l’ospedale inglese di Torquay durante la prima guerra mondiale, la sua vita imboccò un’altra strada, per certi versi inaspettata. Le nozioni apprese su medicinali e veleni durante il periodo belligerante le furono di grande aiuto per la stesura di molti dei suoi romanzi. Agatha Christie ebbe due uomini nella sua vita: il primo, l’amatissimo Archie Christie, di cui mantenne il cognome anche dopo il divorzio, e l’archeologo Max Mallowan, conosciuto viaggiando in treno verso Baghdad, lo stesso che le diede l‘ispirazione per creare uno dei suoi grandi capolavori, Assassinio sull’Orient Express. Gran parte dei capitoli di quel libro Agatha Christie li scrisse nella camera 411 del Pera Palas di Istanbul, “il più vecchio hotel europeo della Turchia” che affaccia le sue camere sul Corno d’Oro, costruito nel 1892 per ospitare i passeggeri dell’Orient Express. Non va poi dimenticato che dal 1952, ininterrottamente, viene rappresentata in un teatro londinese la più famosa delle sue commedie, The Mousetrap (Trappola per topi), ispirata a un racconto della raccolta Tre topolini ciechi e altre storie. L’ultimo romanzo che ha come protagonista Hercule Poirot (Sipario) venne pubblicato poco prima della morte dell’autrice; ed è proprio in quel romanzo, scritto tempo prima, che Agatha decise di far morire il suo famoso investigatore. Addio Miss Marple venne invece pubblicato pochi mesi dopo la morte della scrittrice. Nonostante siano passati decenni sulla popolarità di Agatha Christie e sui suoi racconti non è mai calato il sipario e restano tra i più letti dagli appassionati del genere letterario del quale è stata una delle più prolifiche e geniali interpreti.

 

Marco Travaglini

 

Dalle fiabe occitane alle fiabe dei Grimm

Si terrà domenica 31 luglio alle ore 21.00 presso la Piazza del Comune di Usseaux, una conferenza a tema sul mondo delle fiabe, dal titolo: Dalle fiabe occitane alle fiabe dei Grimm.

Un viaggio magico verso le radici dell’uomo. Ospite dell’evento lo scrittore, saggista e mitologo Paolo Battistel che riprendendo il suo ultimo libro La vera origine delle fiabe. Gli ultimi frammenti di un mondo perduto (Uno Editori), prenderà in esame, analizzandole in chiave mitologica e antropologica, le più note fiabe del folklore

popolare occitano, comparandole con le principali fiabe dei fratelli Grimm come “Hänsel e Gretel” o “Cenerentola”. Verrà posta particolare attenzione alle fiabe e leggende legate al territorio di Usseaux come “La leggenda del colle della vecchia”.

 

L’evento patrocinato dal Comune di Usseaux sarà moderato dalla vicesindaco, la dottoressa Ester De Donatis.
In caso di pioggia la conferenza avrà luogo presso i locali del Punto Museo Eugenio Brunetta con sede in via Conte Eugenio Brunetta, 53, Usseaux (Torino).

 

Le fiabe, che la società moderna ha rinchiuso a forza nella stanza dei bambini, sono molto più antiche di quello che possiamo lontanamente immaginare e nascondono un volto segreto: sono ciò che rimane di antichi miti precristiani diffusi in Europa durante l’antichità e il Medioevo. Queste narrazioni sopravvissute agli stessi popoli che le avevano generate vennero censurate ed epurate dalla cultura cristiana trasformandole in seguito in racconti per l’infanzia.

Paolo Battistel, studioso di miti e leggende, metterà in luce l’antico significato delle fiabe immerso in una mitologia ormai perduta ma ancora presente dietro il primo livello di lettura di questi racconti. Sopravvissute agli stessi popoli che le avevano generate, le fiabe vennero infatti censurate ed epurate dalla cultura borghese benpensante trasformandole in “semplici” racconti per l’infanzia. Le fiabe ci incantano perché ritroviamo in esse i frammenti della nostra stessa anima, frammenti che ritenevamo perduti e che si risvegliano appena iniziamo a leggere “C’era una volta…”.

 

Paolo Battistel, laureato in filosofia con tesi in mitologia, è profondo conoscitore dei miti e delle leggende precristiane. Vanta numerose collaborazioni con testate giornalistiche e trasmissioni televisive nazionali e locali. Ha scritto una raccolta di fiabe dal titolo Lu Barban, il diavolo e le streghe e un saggio di storia dal titolo Il mistero della Roccaforte dei Rosacroce. Ha pubblicato tre saggi d’argomento mitologico Il sangue di Caino, I figli di Lucifero e Il dio cornuto. Ha scritto inoltre il saggio letterario J.R.R. Tolkien, il lungo sentiero tra ombra e luce. La vera origine delle fiabe è la sua ultima pubblicazione. Vive e lavora a Torino come scrittore, docente ed editor.

 

Ester De Donatis, dal 26/05/2019 è vicesindaco del comune di Usseaux con delega all’Istruzione, ai servizi sociali, alla cultura, all’ambiente e alla promozione del territorio.

 

 

Per informazioni:

Comune di Usseaux

E-mail: usseaux.sindaco@gmail.com

E-mail: info@comune.usseaux.to.it

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Patricia Engel “Paese infinito” -Fazi- euro 18,50
Patricia Engel è una scrittrice americana nata da genitori colombiani, un’immigrata di prima generazione sospesa tra due mondi: nata su suolo americano ma cresciuta secondo i valori della sua famiglia, spagnolo parlato in casa, inglese fuori.
La sua è una famiglia di artisti molto unita che ha dovuto lasciare il proprio paese e la casa di origine. La nonna era una matriarca con 9 figli, e affidava i suoi pensieri alle parole sciorinate in poesie, diari, racconti e romanzi che scriveva per se stessa.
Forse è da lei che Patricia Engel ha in parte ereditato la sua immensa bravura di scrittrice; tanto che oggi è una delle voci più interessanti della letteratura d’Oltreoceano, capace di mettere il dito sulla piaga della discriminazione, che c’era già prima di Trump, lui l’ha solo accentuata e gridata nei suoi proclami.

La storia che racconta nel romanzo non è autobiografica, ma riflette le traversie di molti consanguinei che sono stati separati da barriere, muri, razzismo.
Narra le vicende travagliate di una famiglia colombiana in seguito alle violenze degli anni 80 e 90, ne segue le sorti lungo una trentina di anni; a partire da quando Elena e Mauro si incontrano, s’ innamorano e hanno 3 figli. Poi decidono di emigrare negli Stati Uniti alla ricerca di una vita e un futuro migliori.

Ma il sogno americano finisce in un incubo: Mario viene deportato in Colombia perché trovato senza documenti e la famiglia si spacca in due.
Elena resta senza documenti in America insieme ai figli Karina e Nado, arrabattandosi come può: vive in tuguri, cerca di stare a galla dalla miseria più nera accettando lavori tra i più umili e sottopagati.
Invece, Mauro in Colombia viene raggiunto dall’altra figlia Talia che cresce con la nonna materna Perla (e l’accudirà con riconoscenza quando la demenza senile ne afferrerà la memoria).

Il romanzo inizia proprio con le vicissitudini della giovane Talia.
Ha alle spalle un’aggressione compiuta per vendicare un torto. Poi la via Crucis dell’arresto in Colombia, il riformatorio, la fuga dal carcere; dapprima verso Bogotà, e da lì negli Stati Uniti, per raggiungere la madre, la sorella e il fratello.
Un’Odissea in cui diventa adulta tra espedienti vari, autostop e squallidi motel; per lo più da sola e senza la protezione di adulti amorevoli. Spesso se la cava ricorrendo ai consigli sgangherati delle ex compagne di riformatorio che la vita ha addestrato con impervi sentieri di guerra.

Sullo sfondo aleggia un dubbio amletico: è peggio la violenza di tutti i giorni in Colombia, oppure la feroce discriminazione e le crudeli politiche sull’immigrazione degli Stati Uniti?
Travalicare un confine è questione di movimento, la storia dell’umanità è un continuo venire e andare, ed è su questo che il romanzo inchioda il lettore e lo spinge a interrogarsi su concetti come empatia, giusto o sbagliato,……

 

Ann Tyler “La treccia alla francese” -Guanda- euro 18,00
Ann Tyler è tra le scrittrici americane più prolifiche e importanti: ha vinto il Premio Pulitzer nel 1989 con “Lezioni di respiro”, mentre “Turista per caso” è stato finalista al Pulitzer ed ha ottenuto il Premio del National Critics Circle Award.
In questo romanzo la Tyler sonda gli animi dei membri della famiglia Garret; apparentemente un nucleo ben assemblato e in armonia, una famiglia come tante altre. E invece, no. Il tranquillo e banale tran tran di Robyn e Mercy Garret -e dei loro 3 rampolli Alice, Lily e David- nasconde sotterranei inattesi che vengono alla superficie durante la settimana vacanziera che trascorrono in una baita affittata in riva al lago nel 1959. Da un episodio particolare inizia a sgretolarsi la facciata e scopriamo le vite dei vari Garret, anche negli anni che seguono, fino alla Pandemia che ha fermato il mondo.
Leggendo scopriamo le distanze siderali tra i 5 Garret.
A partire da Mercy che si rintana sempre più a lungo nell’atelier dove dipinge, ma che lentamente finisce per diventare la sua casa, lontano dal marito. Una separazione graduale e senza strilli che si realizza in totale armonia con Robyn. All’inizio non afferra la voragine che si sta spalancando ai suoi piedi; poi invece di riconquistare la moglie si butta a capofitto nel lavoro.
Capitoli a parte sono le vite dei figli: Alice è quella che resta ancorata più saldamente al concetto di famiglia, mentre gli altri prenderanno direzioni diverse.
Lily lascia il marito B.J. senza clamore e praticamente di comune accordo; si è innamorata di un altro uomo, Morris, il quale a sua volta divorzia dalla moglie.
I Garret senior non sono certo entusiasti della scelta della figlia, che per giunta si trova a dover affrontare una gravidanza della quale avrebbe fatto a meno.
Poi c’è David che si allontana dalla famiglia sempre di più; inizia con gli studi lontano da casa e non torma indietro. Della sua vita non racconta, i genitori sanno poco-nulla, salvo vederselo arrivare con una sorpresa non da poco.

Ecco a grandi linee il quadro di questa famiglia tutt’altro che infelice, non ci sono epici scontri o fratture insanabili; semplicemente veleggia una distanza dapprima interiore e poi anche fisica tra i vari membri. Una famiglia imperfetta, come lo sono tutte, raccontata magnificamente da questa notevole scrittrice.

 

Jean Diwo “Le dame del Faubourg” -21Lettere- euro 19,00
E’ un romanzo storico, il primo di una trilogia che in Francia ha venduto milioni di copie, scritto dall’autore francese Jean Divo, nato nel Faubourg Saint -Antoine nel1914 e morto nel 2011 a 96 anni.
Protagonista è proprio il suo luogo natio, uno dei sobborghi più importanti di Parigi.
Attraverso le avventure della famiglia Cottion-Thirion -di professione falegnami- Diwo ripercorre la storia di questa operosa arteria parigina: a partire dal 1471 nella Francia di Luigi XI, tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, e conclude il primo capitolo della trilogia con la presa della Bastiglia.

Jean Cottion arriva a Parigi nel 1471, è accolto dalla famiglia di Pierre Thirion, uno dei falegnami più talentuosi che provvede ai lavori nell’ all’Abbazia di Saint Antoine, intorno alla quale si raccoglie e vive il sobborgo. Pierre intrattiene ottimi rapporti con la badessa che darà protezione e slancio agli abitanti operosi.

Se amate i grandi affreschi storici questa saga familiare promette scene di vita quotidiana, la grande storia narrata attraverso quella più piccola di una famiglia di ebanisti che -tra mecenatismo, tanto lavoro e grandi doti- renderà il mobile francese famoso in tutto il mondo e nei secoli a venire.

Quasi 800 pagine che scorrono veloci e intense raccontando scene di vita quotidiana della Francia: i rapporti non sempre facili tra politica e clero, l’importanza della abazie e delle badesse che le dirigono e diventano grandi committenti degli artigiani del luogo. Scontri e alleanze tra nobili, usi e costumi dei vari ceti sociali e le vicende private di una famiglia di artigiani di alto livello, alle prese con innamoramenti, matrimoni, nascite e lutti.

Vedrete le primitive case del Faubourg trasformarsi da umili officine a dimore eleganti, compariranno personaggi famosi -tra i quali Caterina De Medici, Voltaire, e artisti come Vasari e Pinturicchio-, ci saranno guerre, epidemie, carestie, ma anche momenti di pace e maggior benessere. Tutto raccontato intercalando le piccole storie degli uomini semplici con i continui ribaltamenti delle vicende storiche.

 

Francesco Casolo “La salita dei giganti” -Feltrinelli- euro 19,00
Questa saga familiare è la storia di una scommessa vincente, del successo di chi ha saputo guardare oltre l’ostacolo, ed è la narrazione dei Menabrea, maestri birrai partiti da un altro paese e dal nulla. Un’avventura imprenditoriale tra seconda metà dell’Ottocento e giorni nostri, tra Biella e Val d’Aosta; iniziata grazie alla geniale intuizione di Giuseppe, walser di Gressoney che commerciava oltreconfine in lana e prodotti artigianali.
Gli avi dei Menabrea discendevano dal popolo germanico che nei secoli passati aveva valicato le Alpi per arrivare nella valle del Lys. Nel loro paese di origine si beveva parecchio e in Italia la nostalgia della birra a cui erano abituati si faceva sentire: a Gressoney la compravano, ma non era la stessa cosa. Erano abili commercianti sempre in movimento a vendere stoffe come si faceva a Biella. Poi Giuseppe (in walser Joseph) nato tra le cime di Gressoney, decise di farsela da solo quella spettacolare birra e puntò tutto sulla sua produzione.
Alla sua morte il timone del comando passa al figlio Carlo: è intraprendente, innovatore, sogna in grande, ed è l’artefice della dimensione imprenditoriale e della fabbrica che avvia con successo. Compra il castello di Gaglianico dove vive con la moglie Eugenia e le tre figlie: Albertina, Genia e Maria.
Ma la salute purtroppo non lo sostiene e a soli 39 anni muore lasciando un vuoto immenso nelle donne di casa. Sono magnifiche e intense le pagine che narrano la malattia ai polmoni che lo porterà nella tomba, assistito con amore, dedizione e apprensione dalla moglie e dalle tre bambine. Genia ha solo 9 anni quando il padre viene sotterrato e quello sarà il momento che decreta la fine della sua infanzia e l’affacciarsi di una grande donna.

E’ proprio Genia la prescelta, quella che il padre portava in montagna mentre il nonno Joseph le aveva spiegato che la birra era stata inventata in Egitto, lungo il Nilo; per caso, da una donna che aveva lasciato dell’orzo in una cesta, bagnata poi dagli scrosci del temporale.
Genia, memore della frase paterna «Non avere paura», si butta a capofitto nella vita, curiosa, ribelle e fuori dagli schemi della sua epoca.
Dopo la morte di Carlo, la moglie era riuscita a stare a galla e a mantenere in piedi l’azienda; ma è con i matrimoni delle figlie e l’ingresso dei generi nella fabbrica -i mariti di Albertina ed Eugenia- che l’impresa, diventa sempre più grande ed importante.
Genia si unisce a Emilio Thedy che caratterialmente assomiglia parecchio all’amato padre Carlo; stessa irruenza ed esuberanza, sempre in viaggio per affari. Il loro sarà un amore travolgente, ma destinato ad essere troncato dalla morte prematura di lui, che la lascia giovane vedova a soli 35 anni con 5 figli maschi da crescere.
Casolo ha ricostruito la complessa storia di questa dinastia consultando archivi, documenti e tutto quello che è riuscito a trovare sui Menabrea e i banchieri Sella, con i quali Carlo aveva unito le forze per costruire la strada che avrebbe spalancato le porte del mondo e di nuovi mercati, mettendo fine all’isolamento della valle.
Una grande avventura in cui si alternano: coraggio, rischi, successi, gelosie, amori, nascite, malattie e morti, ovvero la trama di mille fili che compone la vita.

 

Il programma del San Gaudenzio Book Festival

A Ivrea a partire da oggi

venerdì 22 luglio

I Ore 10:15 Apertura e presentazione Festival, saluti istituzionali.
I Ore 10:30 – 12:00 Letture per disabili con la partecipazione di Gianpiero Perlasco e Anna Mattiello (curatrice e regista teatrale) tratte dal libro: “Gli affacendati in teatro…” edito da The Tree Factory della Cooperativa Pollicino. Il superamento del disagio e l’isolamento emotivo si possono affrontare con la gioia di entrare nella storia di un libro testimonianza. Osservando il mondo, da una prospettiva diversa da quella immediatamente visiva. Presentazione di libri tattili. (laboratorio sensitivo).
I Ore 16:00 Giovanni Cordero già docente Università “La Sapienza” di Roma – Università di Torino e critico d’arte, presenta: “Luminosa polvere d’oro”. Nel caos delle emozioni che dipingono la sua vita, il protagonista ci accompagna all’interno del riformatorio Beccaria e del manicomio di Collegno. Nel contesto sono raccontati i luoghi di clausura, i rituali assurdi, l’obbedienza cieca e la bieca disciplina.
I Ore 17:00 Dino Valle giornalista e blogger torinese presenta: “Brigate rosse. Colpirne uno per educarne 100”. Documenti, lettere e storia degli anni del terrorismo. Una ricostruzione asettica e non politica degli “anni di piombo”.
I Ore 18:00 Alfredo Bider autore e Paolo Trivero docente presso l’Università del Piemonte Orientale-Vercelli, presentano il romanzo storico vincitore del premio nazionale Images: “Aimone di Challant un Vescovo Eretico”. La fondazione del Santuario di Oropa attraversa la Città di Ivrea, il Canavese, il Biellese e la Valle d’Aosta.

I Ore 21:00 Ezia Bovo presenta: il dramma di Giuseppe Giacosa – “Una partita a scacchi” la celebre rappresentazione teatrale tratta dalla “Chanson de geste” francese. Parti di lettura verranno eseguite in abito medievale, a cura del Gruppo Storico Medievale del Canavese lj Ruset.

sabato 23 luglio
I Ore 10:45 La Libreria Garda e la Editrice Baima Ronchetti propongono il libro “Le fiabe di Guido Gozzano”. Presenta la curatrice prof. Rosanna Tappero. (Letture per ragazzi).
I Ore 15:00 Il direttore editoriale della Edizioni Pedrini, con Paolo Marengo illustratore e vignettista di satira, presentano: “Sospesi da Covid” Le storie di 22 uomini e donne sospesi dal posto di lavoro per Covid, che si raccontano, nelle proprie vicissitudini personali.
I Ore 16:00 Piero Abrate noto giornalista torinese, presenta: “Guida Piemonte: le grandi bellezze” il giornalista e scrittore torinese illustra in 15 itinerari, un Piemonte di grande bellezze: da Torino al biellese, dall’astigiano sino al Canavese. Una guida turistica aggiornata a colori e piena di fotografie, dove non mancano sorprese e luoghi “nascosti” da scoprire.
I Ore 17:00 L’autrice eporediese Marianna Giglio Tos presenta il romanzo storico “L’antica fiamma”. Misteri e complotti nascosti tra vecchie pagine e antichi affreschi, ci conducono nel primo Cinquecento, in un mondo ancora assoggettato alle credenze e alla religione.
I Ore 18:00 L’autrice Luciana Banchelli presenta: “Antologia di Salvator Gotta”. Nel libro sul grande autore canavesano del ‘900, una selezionata e ricercata serie di testi che descrivono magistralmente Ivrea e il Canavese.
I Ore 20:45 L’autrice Alessandra Ferraro, caporedattrice Tgr della Valle d’Aosta presenta: “Quel filo che ci unisce – Un padre e una figlia”. Un filo che si snoda e si riannoda, s’interseca, si ricongiunge, si rincorre lungo il cammino della vita. Un filo che neanche la morte può spezzare.

domenica 24 luglio
I Ore 10:45 Elisabetta Signetto presenta: “Storia e mito del Canavese a fumetti” con l’illustrazione delle tavole dedicate a San Gaudenzio, realizzate in collaborazione con gli studenti del Liceo Faccio di Castellamonte. (Consigliato ai ragazzi).
I Ore 17:00 Presentazione ufficiale del libro: “Ivrea e Il Castello del Conte Verde – La prima vita di un protagonista silenzioso e della sua Città” autrice: Silvia F. Battistello con la partecipazione dello storico dott. Fabrizio Dassano. Modera l’incontro il caporedattore della Sentinella del Canavese Claudio Cuccurullo. Nel contesto della presentazione sono invitati ad illustrare il progetto di recupero del Castello di Ivrea: Elisabetta Piccoli vice sindaco con delega al Patrimonio, l’Ass. ai Lavori Pubblici Michele Cafarelli, e il progettista Arch. Ezio Ravera. La presentazione verrà trasmessa in diretta streaming. Durante la presentazione sarà omaggiata la cartolina ricordo.
I Ore 18:15 Pier Franco Quaglieni direttore del Centro Studi Pannunzio di Torino, presenta il volume: “Doveri dell’Uomo” Omaggio a Giuseppe Mazzini nel 150 anniversario della sua scomparsa. Nel corso della presentazione sarà omaggiata ai presenti, la cartolina ricordo del 150 anniversario.
I Ore 20:45 Oreste Valente il noto attore piemontese presenta: “Innamoratamente O-Restando Dante – Performance casuale”. A teatro in San Gaudenzio. (tratto dal libro autobiografico, che ha ottenuto l’alto Patrocinio della “Società Dante Alighieri”.

Il mistero di Dracula tra storia e leggende

La notte del 31 ottobre tra le maschere più diffuse per festeggiare Halloween esorcizzando le paure, accanto a un infinità di streghe, zombi e mostriciattoli vari , ci sono certamente quelle dei vampiri. E tra queste spiccano quelle del Principe delle Tenebre, figura che ha le sue radici nella realtà storica e personaggio reso leggendario grazie a opere letterarie e cinematografiche dal Nosferatu di Murnau a Francis Ford Coppola.

Il famigerato e crudele conte vampiro della Transilvania  conobbe il primo, grande successo di pubblico nel maggio del 1897 quando, a Londra,  venne pubblicato il più famoso dei libri dell’irlandese Bram Stoker. Si trattava di “Dracula”, un romanzo dalle atmosfere gotiche. In verità l’idea venne concepita da Stoker qualche anno prima, esattamente 131 anni fa, tra il luglio e l’agosto del 1890. “La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore”. Una descrizione che non lascia dubbi sull’identità del personaggio e sulla sua natura sinistra, offrendo l’occasione al tema del vampirismo di acquisire, forse per la prima volta, una certa dignità letteraria.

Alle credenze popolari e alle superstizioni diffuse soprattutto nei paesi dell’Est e nei Balcani, il letterato irlandese – che nella Londra vittoriana alternava all’attività di giornalista quella di scrittore – venne introdotto dal professore ungherese Arminius Vambéry. Fu quest’ultimo a parlargli della Transilvania, raccontando la storia del principe Vlad III di Valacchia, noto con l’appellativo di Draculea (che si può tradurre come “figlio del dragone”, riferito al padre Vlad II, membro dell’Ordine del Dragone). Il principe Vlad Tepes, passato alla storia come Vlad l’Impalatore per i violenti e sadici metodi di tortura che riservava non solo agli odiati turchi ma anche ai cristiani, nell’immaginario di Stoker si sovrappose al protagonista del suo romanzo. Tra l’altro, nella lingua rumena, le parole “dragone” e “diavolo” (“drac”) sono molto simili. Così, Vlad vide trasformare il suo soprannome Draculea in Dracul il cui significato equivale a “figlio del Diavolo”. Stoker trovò anche un’altra fonte d’ispirazione in diversi articoli comparsi sui giornali dell’epoca in relazione a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1892, nella cittadina di Exter, nel New England.

La morte di una ragazza diciannovenne scatenò l’immaginazione dei suoi concittadini sia per gli strani sintomi, pallore e inappetenza, sia per il fatto che a poca distanza morirono nello stesso modo madre, sorella e fratello. Ciò che per la medicina non poteva che trattarsi di tubercolosi, per la gente era un chiaro caso di vampirismo. Sommando una suggestione dopo l’altra, mescolando abilmente storia e immaginazione, lo scrittore costruì il romanzo come una raccolta di pagine di diario scritte dai protagonisti della vicenda. Dal giovane avvocato inglese Jonathan Harker, che si reca in Transilvania per definire l’acquisto di una casa londinese da parte del Conte Dracula, alla sua fidanzata Mina Murray, oggetto del desiderio del vampiro che in lei rivede la moglie morta, fino al professore olandese Abraham Van Helsing, scienziato e filosofo che crede nell’esistenza del soprannaturale. Fatto circolare prima tra gli amici e successivamente modificato, il libro venne stampato e posto in vendita nella tarda primavera del 1897.

Da allora, il successo è stato talmente ampio da creare un vero e proprio genere, con adattamenti teatrali e cinematografici come il già citato Nosferatu il vampiro nel 1922, capolavoro del cinema muto  espressionista firmato dal tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, fino ai più recenti Dracula di Bram Stoker (tre premi Oscar nel 1993 per la pellicola di Coppola), Van Helsing (2004), i vari film d’animazione della serie Hotel Transylvania”, il Dracula 3D di Dario Argento e Dracula Untold  del 2014. Ovviamente un lungo discorso andrebbe dedicato anche a due degli interpreti storici del Conte assetato di sangue come i mitici Bela Lugosi e Christopher Lee ma c’è tutta un’altra storia che vale la pena raccontare. E qui dal racconto del libro si passa alla storia, o almeno a  qualcosa che gli assomiglia. Il voivoda Vlad III di Valacchia perse la vita in circostanze poco chiare. Si presume che Dracula morì com’era vissuto, cioè combattendo. Secondo alcuni la sua  testa, recisa dal corpo, venne portata a Costantinopoli come un trofeo e il suo corpo venne sepolto senza tante cerimonie dal suo rivale e vassallo dei Turchi, Basarab Laiota. Non si conosce l’esatta ubicazione della sua  tomba, anche se la tradizione popolare vuole che sia stato sepolto nella chiesa ortodossa dell’Assunzione, nel convento di Snagov, su un’isola nel bel mezzo di un lago situato a una quarantina di chilometri a nord di Bucarest. Alcune ricerche archeologiche risalenti agli anni ’30 del secolo scorso rinvennero in quel sepolcro solo ossa di cavallo.

Il priore di Snagov, ancora qualche tempo fa contestò questa versione, rivelando che la tomba posta di fronte alle porte dell’iconostasi è a tutti gli effetti la vera tomba di Vlad Tepes. Tuttavia, la maggior parte degli storici romeni pensa che il vero luogo di sepoltura sia invece il monastero-fortezza di Comana, fondato e costruito nel 1461 proprio da Vlad Tepes, in quello che oggi è il distretto di Giurgiu, nel sud della Romania, al confine con la Bulgaria. Durante alcuni scavi archeologici eseguiti nel 1970, si diffuse la notizia che il corpo senza testa di Vlad l’Impalatore fosse stato localizzato proprio nei sotterranei del monastero. Persino a Parigi vi è chi sostiene, ma qui siamo nel campo del puro gossip, che il Conte dimori in una cappella sconsacrata al Perè- Lachaise. Ma ecco che, al fine di rendere ancora più aggrovigliata la matassa, si è fatta strada una terza e clamorosa ipotesi: il conte Dracula non morì combattendo in Transilvania ma a Napoli, ed è stato sepolto nel cuore della città partenopea, nel chiostro di Santa Maria La Nova.

A sostenere quest’ardita tesi non sono dei fantasiosi “cacciatori di vampiri” ma alcuni studiosi dell’Università estone di Tallinn che, in collaborazione con studiosi italiani, hanno compiuto ricerche sulla principessa slava Maria Balsa, fuggita a Napoli nel 1479 a causa delle persecuzioni turche e accolta nella città all’ombra del Vesuvio da Ferdinando d’Aragona. La donna, che diventò in seguito moglie del  Conte Giacomo Alfonso Ferrillo, sarebbe la figlia del Conte Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto ai più come il Conte Dracula. E parrebbe proprio che fosse stato il padre ad accompagnarla nella città sul Golfo, cercando e ottenendo l’anonimato. La prova fornita dagli studiosi a sostegno delle loro tesi è il fatto che il blasone formatosi in seguito alla fusione degli stemmi delle famiglie Balsa e Ferrillo presenta un drago, in tutto e per tutto simile a quello della casata dei principi di Valacchia. Sarà davvero così? Il conte Dracula riposa (?!) a Napoli? La storia è affascinante, ricca di sfumature e di colpi di scena, anche se sembra più la trama di un romanzo d’avventure che una realtà storica. Infatti, almeno per il momento, manca il particolare che la renderebbe clamorosa, il colpo di scena finale: il corpo di Vlad Tepes. Ed è ciò che gli studiosi scesi in campo sperano di ottenere. Nel dubbio, come il professor Van Helsing, attendiamo notizie tenendo ben stretto in una mano un appuntito paletto di frassino e nell’altra una boccetta di acqua benedetta.

Marco Travaglini

 

Il fascino dei “Cuori selvaggi” nello sport

Disponibile, dallo scorso giovedì 7 luglio, il nono episodio del podcast “Fuoriclasse” del “Salone del Libro” di Torino

Su www.salonelibro.it – SalTo+
“Cuori selvaggi” è stato il tema e il titolo dell’ultima edizione (XXXIV) del “Salone Internazionale del Libro” tenutasi a Torino, nel maggio scorso. E a “Cuori selvaggi” nello sport è dedicato anche il nono episodio dei podcast “Fuoriclasse”, con cui il “Salone” intende aprirsi alla narrazione sportiva: una  serie di episodi, rilasciati una volta al mese, dedicati ciascuno a storie di personaggi sportivi “fuoriclasse” (perché fuori dal comune, irregolari, precursori che hanno scritto pagine di storia), oppure a momenti storici differenti, che si intrecciano, raccontati attraverso due voci, quelle di Marco Pautasso, vicedirettore del “Salone del Libro” e di Federico Vergari, giornalista, scrittore e consulente del “Salone”. Disponibile dallo scorso giovedì 7 luglio su SalTo+ e sulle principali piattaforme di streaming gratuite“Cuori selvaggi” presenta  una decina di storie, una decina di persone che nello sport e nella vita ci hanno sorpreso con il loro coraggio, la loro forza, la loro determinazione e la loro capacità di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, per confrontarsi con i propri limiti, e che “con la loro attitudine e i loro valori – sottolineano Pautasso e Vergari – ci hanno insegnato che vale sempre la pena seguire le proprie passioni, ma anche sapersi ritirare, quando è il momento, nel rispetto di se stessi e degli altri”. Protagoniste e protagonisti nella vita e nello sport. Un unicum per tutti. Dall’americana  Roberta (Bobbi) Gibb, che nel 1966, sfidando le regole che impedivano alle donne di gareggiare in una maratona, si presentò a quella di Boston, camuffandosi da uomo, e la portò a termine a Kathrine Switzer, che l’anno successivo corse anche lei a Boston, spianando così la strada alle generazioni future di donne appassionate del running. Per proseguire con il nostro DDRDaniele De Rossi, il calciatore romano di nascita e romanista di maglia (oggi assistente del ct Mancini in nazionale azzurra), che ha dedicato alla squadra della sua città una carriera intera, senza mai cedere alle tentazioni, o con Stelvio Della Casa, che dopo la Seconda guerra mondiale giocò in Serie A con il Novara, ma che disputò la sua partita di calcio più importante nell’inverno del ‘45, tra le fila del Casale contro i fascisti delle Brigate Nere. Altri “cuori selvaggi”, il ciclista Michele Scarponi, che nel maggio 2016, in fuga sul Colle dell’Agnellosa, sa farsi da parte per lasciare vincere il Giro d’Italia al capitano Nibali, via via fino a Maria Moroni, prima donna a competere nel pugilato, in un Paese in cui la box femminile esiste solo da una ventina di anni, seguita dalle campionesse Stefania Bianchini, Simona Galassi e Irma Testa. E poi, ancora, Assunta Legnante, pesista e discobola napoletana, che non si arrese alla perdita improvvisa della vista e continuò nella sua determinazione, riuscendo a ottenere diversi ori e un argento gareggiando a livello paralimpico; il velocista Manlio Gelsomini, che, catturato dai fascisti, subì torture, ma non tradì i suoi compagni, e che il 24 marzo 1944 fu ucciso con un colpo alla testa alle Fosse Ardeatine; la ginnasta americana Simon Biles, atleta del 2021 per il Times, record mondiale con il maggior numero di medaglie conquistate, che ha avuto il coraggio di raccontare al mondo il suo “disagio” e si è rifiutata di soccombere alle aspettative esterne, ritirandosi; Amèlie Mauresmo, campionessa francese di tennis che ha saputo convivere con le proprie fragilità e ha sfidato i benpensanti, rivelando pubblicamente la sua omosessualità contro tutte le insinuazioni su di lei e il quarterback  americano Colin Kaepernick, che il 26 agosto 2016 nel match tra “San Francisco 49ers” e “Green Bay Packers” non si alzò durante l’inno nazionale statunitense ( rendendo il gesto di inginocchiarsi un atto dal forte significato civile e politico diffuso in tutto il mondo ) che gli costò però la fine della carriera. Spiegano ancora Marco Pautasso e Federico Vergari: Nell’epoca dello ‘storytelling’ applicato a qualsiasi cosa, politica compresa, non si può pensare a un evento sportivo senza un adeguato racconto. Che avvenga per radio, in video, su un sito, con un libro o su un quotidiano è ormai un dato di fatto che la qualità della narrazione influirà sensibilmente sulla costruzione di un preciso ricordo sportivo. L’epica sportiva non manca ultimamente. Ci sono trasmissioni TV, case editrici e riviste che fanno dello sport una questione prima letteraria e poi sportiva. Parlare di sport significa prima di tutto parlare di uomini e donne. Ogni uomo e ogni donna si portano dietro una loro storia. Ognuno con la sua storia, ognuno con la voglia di spostare i limiti un po’ più in là”.

g.m.

Nelle foto
–       Immagine podcast “Cuori selvaggi”
–       Marco Pautasso e Federico Vergari

L’isola del libro / Speciale Joyce Maynard

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Credo valga la pena approfondire la vita e le opere di questa scrittrice e giornalista americana 68enne.

E’ nata il 5 novembre 1953 a Durham, nel New Hampshire, da Fredelle Bruser – giornalista, scrittrice ed insegnante- e Max Maynard –pittore e professore di inglese all’Università del New Hampshire- fratello del più famoso teologo Theodore Maynard.

Joyce rivela molto presto il talento nella scrittura, vincendo premi scolastici; ma la sua carriera giornalistica vera e propria inizia negli anni 70 quando collabora, tra le varie testate, anche con “The New York Times” e “Mademoiselle”.

Negli anni 80 amplia il suo orizzonte e decolla con successo sulle ali della narrativa con il libro di esordio “Baby love” (1981).

Ottiene una forte eco mediatica ed attira un’attenzione particolare nel 1998 con la pubblicazione del memoir “At home in the world”, in cui mette nero su bianco la sua relazione con il mitico e misterioso J.D. Salinger, l’autore de “Il giovane Holden” letto e amato da intere generazioni.

I fatti di cui racconta la Maynard risalgono a molti anni prima; al 1972 quando lei aveva 18 anni e studiava a Yale.

Il 23 aprile di quell’anno il “New York Magazine” aveva pubblicato un suo lungo articolo “An 18-year-old looks back on life”, scatenando orde di ammiratori, genitori infuriati, ma anche editori e fotografi che volevano conoscerla meglio.

All’epoca Salinger aveva 53 anni e le scrisse una lettera in cui, oltre a complimentarsi per la scrittura, l’avvertiva anche dei rischi e pericoli derivanti dalla celebrità; seguirà poi una serrata e fitta corrispondenza tra i due.

Le cose prendono una piega più decisa quando lei si trasferisce a casa di lui nel fortino di Cornish, nel New Hampshire, dove Salinger –divorziato dalla moglie dal 1967- si è ritirato dal mondo e trascorre le giornate tra yoga, precetti Zen ed alimentazione super controllata.

Joyce vivrà con lui per 8 mesi –da metà 1972 al marzo dell’anno seguente- poi la storia d’amore viene troncata in modo repentino, brusco e con strascichi che opprimeranno la ragazza. Si terrà tutto dentro fino al 1998 quando decide di raccontare anche le pieghe più nascoste dello scrittore, delineando un quadro poco lusinghiero.

Ad aggiungere carne sul fuoco c’è anche la voce dei detrattori della Maynard che l’additano per aver messo all’asta e venduto a caro prezzo le lettere che Salinger le aveva inviato; acquistate per più di 150.000 dollari dall’informatico Peter Norton che le restituisce allo scrittore.

L’uscita di questo libro scatena polemiche anche durissime, la Maynard è accusata di aver sfruttato l’occasione; la sua carriera è vittima degli anatemi di parte del mondo culturale americano. Una specie di peccato originale che la scrittrice si porterà addosso, rea di avere intaccato il mito di J.D. Salinger.

In successive interviste la Maynard chiarisce di essersi tenuta tutto dentro ed aver protetto la storia per troppo tempo; quando sua figlia ha compiuto 18 anni, ha capito che il momento di scriverne era arrivato.

Chiarisce anche che ha raccontato la liaison con il mito Salinger in modo scrupoloso, senza dare giudizi o interpretazioni, lasciando che fossero i lettori a concludere che lo scrittore aveva avuto un atteggiamento predatorio. E supporta la sua esperienza citando altre giovani donne che avevano intrattenuto una corrispondenza con lui; tutte fragili e accomunate dall’assenza dei padri, coni d’ombra che lo scrittore individuava subito e in quegli spazi vuoti riusciva ad infilarsi e manovrare.

Nel corso della sua carriera la Maynard ha pubblicato 17 libri e da due sono stati tratti dei film; l’ultimo nel 2013 ispirato a “Un giorno come tanti” (pubblicato nel 2009) diretto da Jason Reitman e interpretato da Kate Winslet e Josh Brolin.

 

L’albero della nostra vita” -NNEditore- euro 20,00

Il romanzo da poco pubblicato in Italia è uno dei più ambiziosi della Maynard, ed anche parecchio autobiografico.

Sono molte le analogie con la sua vita: anche lei, poco più che 20enne, con i proventi dei suoi libri si era comprata una casa a Hillsborough nel New Hampshire. Ha sposato un artista ed avuto tre figli; quando poi si è separata la sua fattoria è rimasta all’ex marito e lei si è trasferita altrove con la prole.

Però nessuno dei suoi figli è stato vittima di un incidente come quello narrato nel libro, né ha cambiato sesso.

Detto questo…il romanzo è bellissimo, profondo, a tratti struggente.

E’ la storia di una donna, Eleanor, dei suoi desideri realizzati nella famiglia che tanto voleva costruire; poi ci sono i ripetuti colpi bassi che la vita le ha inferto.

A inizio romanzo la incontriamo negli anni 70, giovane illustratrice di libri per bambini di un certo successo che le consente libertà e indipendenza. E’ abituata a cavarsela da sola, anche perché è figlia unica di due genitori che si adorano e vivono l’uno per l’altro, mentre lei si è sempre sentita un’intrusa nel loro menage.

Forse è anche per questo senso di esclusione impresso nell’ anima che Eleanor, nella sua fattoria del New Hampshire, sogna una famiglia tutta sua e su basi totalmente diverse. Quando si innamora del giovane Cam il gioco è fatto: tra i due l’intesa è perfetta, si sposano e nell’arco di poco tempo nascono tre figli.

Sono Allison, Ursula e Toby, ai quali i genitori regalano un’infanzia spensierata, piena di amore, scoperte ed avventure nella natura che circonda la casa di campagna. A tirare avanti la baracca è soprattutto Eleanor con il suo lavoro, mentre Cam fatica a trovare un’occupazione stabile e si arrabatta come può.

Poi irrompe la tragedia; un giorno Cam perde di vista Toby che viene trovato svenuto a testa in giù nel laghetto vicino casa, con le tasche appesantite dalle pietre che tanto amava raccogliere. Salvato per miracolo non sarà mai più lo stesso a causa del danno cerebrale provocato dalla carenza di ossigeno patita.

Eleanor ritiene Cam responsabile e non riesce proprio a perdonarlo. Il resto è sfacelo completo e sfilacciarsi di rapporti.

Cam si scopre innamorato dell’appena maggiorenne Coco, la babysitter dei suoi figli e la sposa. Eleanor se ne va e dapprima ottiene l’affidamento condiviso dei figli.

E le cose andranno sempre più in pezzi.

Cam sembra aver cancellato il loro passato insieme, neanche più le rivolge la parola e le crepe si apriranno anche nei rapporti con Allison, Ursula e Toby che, crescendo divisi tra due fuochi, propenderanno sempre più per il padre e la nuova moglie. La nascita di un fratellino (che non chiameranno mai fratellastro) spinge ulteriormente al distacco, con la scusa che Toby è felice di avere un bimbo con cui giocare.

Il resto è un susseguirsi di malintesi, (i figli pensano che sia stata Eleanor ad essersene andata spezzando la famiglia), rancori, incomprensioni, adolescenze complicate, rapporti umani sempre più difficili tra madre e figlie adolescenti e ……molte cose ancora cambieranno nella vita di questi personaggi. Un romanzo magnifico che racconta la vita e la complessità dei rapporti affettivi.

 

Il meglio di noi” -Nutrimenti- euro 18,00

Poco più di 400 pagine che vi afferrano per non mollarvi più, con il racconto di una fase della vita della Maynard doloroso ma anche intensissimo, che sciorina temi portanti quali l’amore, la morte, il caso e il disperato tentativo di contrastarlo.

Un memoir ad alto impatto emotivo in cui racconta come nel 2011, quando aveva 58 anni, attraverso un sito d’incontri conosce l’avvocato 59enne Jim Barringer. Dalla loro prima telefonata scatta subito un feeling raro e prezioso, che apre l’orizzonte a due persone che si intendono a meraviglia, si piacciono da tutti i punti di vista, a partire da quello fisico. L’anno dopo sono marito e moglie e lei sente di aver sposato «…il primo vero compagno che ho mai avuto». Madre di tre figli, separata e single dall’età di 36 anni, dopo una lunga serie di incontri deludenti, non aveva certo previsto una simile svolta.

Lei e Jim, sebbene diversi in molteplici cose, condividono quella rara magica alchimia in cui sono miscelati: rispetto dei reciproci spazi, profonda comprensione, amore per le semplici gioie della vita, come i viaggi, le escursioni o intime cenette. Soprattutto, Jim la fa sentire amata, capita e incoraggiata nella propria ricerca di indipendenza, gratificata per i suoi successi. Insomma l’amore e il rapporto che tutti vorrebbero avere, ma piuttosto raro.

Una gioia di vivere a due che inciampa in un destino bastardo, perché dopo 4 anni e mezzo, un calvario fatto di alti e bassi, di speranze e rese, Jim le viene portato via da un tumore al pancreas che non perdona.

La Maynard rivela la sua grandezza nel ripercorrere -senza retorica, piagnistei o cadute di stile- un sentimento che travalica anche la morte. Quello di due anime gemelle che si riconoscono e alle quali è concesso un breve tratto di strada insieme, in cui sono un tutt’uno che vale più di mille lunghissime vite.

 

L’ombra degli Havilland” -HarperCollins- euro 9,90

E’ un’altra storia coinvolgente, di quelle che ci incollano alle pagine con la suspense continua e l’attesa di vedere svelata una verità sottesa, ma che aleggia nell’aria fin quasi da subito. Potremmo definirlo il magistrale racconto di un sottile plagio, di una dipendenza emotiva ed affettiva che finisce per condizionare tutta la vicenda e relega in un angolino la capacità di giudizio della protagonista.

Helen è una giovane donna, separata e madre di un figlio piccolo che le viene portato via dalla legge, dopo che era stata fermata alla guida dell’auto con un tasso alcolico superiore a quello consentito. Dichiarata inidonea ad esercitare il ruolo genitoriale, il tribunale le toglie la custodia del piccolo Ollie e lo affida al padre, a sua volta risposato e in attesa di un figlio dalla nuova compagna.

Helen precipita in un periodo difficile e non le resta che rigare dritto, partecipare a gruppi di sostegno degli alcolisti anonimi, lottare per riavere quel figlio che tanto ama ed è il centro della sua vita. E’ in questa condizione di profonda fragilità che viene risucchiata nella tela degli Havilland, fagocitata come un insetto da un ragno micidiale.

Swift e Olivia Havilland sono una brillante coppia di ricchissimi filantropi; lei bellissima e affascinante è relegata su una carrozzina, lui è un narcisista mascherato di bontà. Insieme sono una forza della natura: dinamici, intraprendenti, protagonisti di un’ intensa vita sociale, stanno raccogliendo soldi a palate per la loro Onlus che tutela gli animali.

E’ soprattutto Ava ad insinuarsi nell’anima e nel quotidiano di Helen: la coinvolge in mille iniziative, pretende di sapere tutto della sua vita e lancia sottesi giudizi un po’ su tutto. La solitudine che prima attanagliava la giovane, viene come dissolta dall’amicizia con quella coppia che sembra perfetta e in piena sintonia.

L’idillio inizia a scricchiolare quando Helen incontra un uomo che la sommerge di attenzioni ed amore. E’ Elliot, solido e affidabile commercialista che le fa una corte serrata; ma la cosa disturba parecchio gli Havilland.

Le cose si complicano ulteriormente quando Elliot, protettivo e perspicace, fiuta qualcosa di poco chiaro negli affari della coppia. Ed è un’esplosione di screzi, incomprensioni, dubbi, e una sleale competizione degli Havilland nell’accaparrarsi l’affetto di Helen.

 

Dopo di lei” -Harlequin Mondadori- euro 16,00

Non è un vero e proprio thriller anche se le vittime ci sono; giovani donne che perdono la vita in modo sospetto.

Piuttosto è centrale la storia di due sorelle che vivono poco a nord di San Francisco, nella Contea di Marin, il loro rapporto e quello con il padre poliziotto.

Rachel non è più una bambina ma neanche ha ancora raggiunto lo status di ragazza, comunque è in quella fase da 13enne in cui si sogna ad occhi aperti e immagina una realtà virtuale in cui tutto appare possibile.

Adora la sorellina più piccola, Patty, compagna di vita ed avventure, migliore amica e complice di giochi e scorribande.

Entrambe stravedono per il padre che ammirano, anche perché fascinoso e bello come un attore hollywoodiano. Più spigoloso è invece il rapporto con la madre: depressa cronica, che si arrabatta come può e non è capace di tenersi il marito.

Rachel e Patty sono abituate a scorrazzare tra le montagne, teatro di scarpinate e scoperte continue. Poi proprio in quell’oasi della natura vengono assassinate giovani donne.

Siamo nell’estate del 1979, le indagini sono difficili, affidate al padre detective che diventa il centro dell’attenzione mediatica; cronisti e fotografi lo assediano, e nel vortice vengono risucchiate di riflesso anche le sue figlie.

Improvvisamente balzano al vertice della top ten delle ragazze più popolari, ambite come amiche e magari anche qualcosina di più.

E quando il padre sembra arenarsi in una serie di vicoli ciechi e fallimenti, ecco che Rachel decide di scendere in campo e indagare a sua volta.

Lei e Patty sguinzagliano ingegno, perspicacia e fantasia e, a modo loro, si mettono sulle tracce del “Killer del tramonto”. Un romanzo che scorre veloce, nell’alternarsi tra crime e storia familiare, fino a un epilogo inaspettato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Premio Strega edizione 2022 a Mario Desiati con il romanzo Spatriati

Al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia si è svolta la prestigiosa premiazione da poche ore conclusa

Giunto ormai alla sua settantaseiesima edizione il Premio Strega, come di consueto, viene assegnato sempre il primo giovedì del mese di luglio, serata in cui si vive questa prestigiosa premiazione con la partecipazione della RAI in diretta televisiva, nella stupenda cornice del Ninfeo di Villa Giulia, la villa rinascimentale che nella metà del 1500 fu edificata per volere di Papa Giulio III. Il premio viene annualmente assegnato  all’autore, all’autrice di un libro di narrativa tassativamente pubblicato in Italia in una data compresa tra il 1° Marzo dell’anno precedente ed il 28 Febbraio dell’anno in corso.  Vincitore di questa edizione  è il pugliese Mario Desiati con il suo romanzo “ Spatriati “, edito da Einaudi che si è assegnato il prestigioso premio con  166 voti della giuria presieduta dal vincitore della scorsa edizione, Emanuele Trevi. Il premio letterario più prestigioso d’Italia vide la luce nell’ormai lontano 1947 a Roma dalla lungimirante idea dei suoi due fondatori, l’imprenditore Guido Alberti, proprietario del marchio Strega e la scrittrice Maria Bellonci che, con un gruppo di amici, iniziarono a incontrarsi in quel difficile periodo post bellico per dissertare di poesia, d’arte, di bellezza, di rinascita culturale in un momento in cui artisti, scrittori, giornalisti, tutti vivevano la loro speranza in una ripresa fortemente compromessa dai recenti eventi.

 

Era l’Italia del dopoguerra con tutte le sue incertezze e lo strascico di timori e indecisioni, ma a dirla così, quel clima sospeso di allora non è poi tanto distante da quello che oggi sta vivendo il mondo cui apparteniamo, il nostro Paese più che mai, la nostra cultura e noi con lei. Nacque così, ben settantasei anni fa tra “ Gli amici della domenica “, come avevano scelto di chiamarsi, l’idea del premio a supporto della realtà culturale di quel momento. Da allora ogni anno una giuria composta da 400 giurati scelti tra uomini e donne di cultura, tra cui i vincitori delle edizioni passate, propone e segnala titoli tra le edizioni dell’anno precedente per i finalisti, dando vita ad una rosa di candidati da cui scaturisce il vincitore. In questi ultimi due difficili anni di chiusure e confinamenti il Premio ha continuato il suo percorso seppure non in presenza, senza la partecipazione del pubblico ma unicamente in diretta televisiva su RAI 3. L’edizione 2020 fu vinta da Sandro Veronesi con il romanzo “ Il colibrì” edizioni  La nave di Teseo,  mentre per il 2021 il prezioso riconoscimento andò a Emanuele Trevi con il romanzo “ Due vite” edito da Neri Pozza. Per la prima volta quest’anno è stata introdotta una variazione che prevede sette finalisti al posto della consueta cinquina. Ricco è l’album d’oro dei vincitori: il primo fu Ennio Flaviano con il suo romanzo del ’47 “ Tempo di uccidere “ e tra i grandi della letteratura del secondo ‘ 900 incontriamo, per citarne alcuni, Mario Soldati con “ Le lettere da Capri”, Natalia Ginzburg con il suo libro “ Lessico famigliare”, Giuseppe Dessì con ”Paese d’ombre”, Elsa Morante con “ l’isola di Arturo”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel ’59 con “ Il gattopardo”, Carlo Cassola con “ La ragazza di Bube”, Umberto Eco nel 1981 con il suo famoso “ Il nome della rosa “, e molti altri.

Fa da padrone di casa la Fondazione Bellonci ed il marchio Strega con quella sua bottiglia nota a tutti, carica di reminiscenze di casa, con il suo digestivo d’erbe nato a Benevento nel lontano 1860 in Casa Alberti e legato ai ricordi dell’Italia del ‘900. Auguri e lunga vita al Premio Strega ed alla cultura letteraria italiana.

                                                                                                Patrizia Foresto