Dopo il giornalista cattolico Maurizio Scandurra, anche il noto studioso sottolinea il valore della Processione Eucaristica. E plaude alla missione di fede di Don Adriano Gennari
A seguito del varo nel settembre scorso del discusso documento dal titolo ‘Disposizioni disciplinari circa le cosiddette messe di guarigione’ singolarmente sentito come un’esigenza primaria (soltanto in queste due regioni, fatto a dir poco curioso) esclusivamente dalla Chiesa Piemontese e Valdostana, (porta infatti la firma, a nome della C.E.P., di Cesare Nosiglia e Franco Lovignana, rispettivamente Vescovi di Torino e Aosta), dopo il giornalista cattolico e saggista Maurizio Scandurra – in prima linea sui media locali e nazionali per aver ben chiarito anche alle Curie locali la differenza abissale che passa tra ‘preghiere di domanda e intercessione’ e ‘messe di guarigione’ – sul tema del passaggio in processione del Santissimo Sacramento tra i fedeli raccolti in composta preghiera interviene significativamente anche Alessandro Meluzzi, stimato accademico e teologo, psichiatra, sociologo, saggista e criminologo di fama. Autore altresì di una serie di significative, argomentate e complesse dichiarazioni a favore di uno dei sacerdoti più esemplari, amati e seguiti del Nord Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle D’Aosta), noto per l’esempio caritatevole giornaliero al fianco di poveri, malati e sofferenti da 40 anni a questa parte, sulla scia del carisma di San Giuseppe Benedetto Cottolengo del cui Ordine fa parte.
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“Ritengo che Don Adriano Gennari abbia con il Santissimo lo stesso rapporto di fede eucaristica profonda che aveva un grande santo, Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato D’Ars, il quale teneva nella sua parrocchia permanentemente esposto l’ostensorio con Gesù Eucaristia“, esordisce Meluzzi. Che riprende nello specifico: “E racconta che un contadino rustico e analfabeta tutti i giorni, finito il lavoro nei campi, lasciati gli attrezzi fuori dalla porta, entrava nella chiesa e si sedeva sulla prima panca davanti a Gesù Eucaristia in silenzio, senza pregare né fare niente. A un certo punto, un giorno, il Santo, incuriosito da quell’atteggiamento e dalla medesima scena, gli si para innanzi per chiedergli: “Lei cosa fa?”. Risponde lui: “Niente, io guardo Lui e lui guarda me”. E questo mistero d’incontro nell’Eucaristia e che l’Eucaristia propone è un approccio teologico, orante e mistico tipicamente cattolico“. Per poi proseguire “Io sono ortodosso, e nell’Ortodossia l’esposizione delle specie come devozione a sé stante non è stata mai introdotta nella liturgia: ma io credo che sia una carenza, e questo lo coglie bene una donna ebrea cresciuta in ambiente protestante che era Edith Stein, diventata la monaca carmelitana Teresa Benedetta delle Croce morta martire nel campo di Auschwitz e patrona d’Europa, Dottore della Chiesa e grande filosofa, femminista, allieva di Husserl formatasi in un ambiente ebreo e luterano a Tubinga. Ma quando va a Monaco ed entra in una chiesa cattolica, vede con stupore questa dimensione della presenza di Dio tangibile nell’Eucaristia esposta nel tabernacolo. E quindi comprende e fa suo quel Mistero, e sarà proprio questo che la spingerà a farsi non luterana, avendo un’indole cristiana, ma cattolica: cioè la fisicità dell’Eucaristia che irradia una fede che, evidentemente, soltanto un atteggiamento iper razionalista può negare, vuole ridurre o limitare”. E conclude: “Bene fa Don Adriano a fare la processione eucaristica, a lasciare che le persone si avvicinino al Santissimo, e credo che la Chiesa cattolica locale non dovrebbe impensierirsi per questo. Anzi, dovrebbe impensierirsi del contrario“.