ARTE- Pagina 4

Vito Oliva. Disegni Padani

Il magico surrealismo dell’artista alessandrino in mostra, nel Tortonese, a Sale d’Alessandria

Dal 25 al 29 luglio

Sale (Alessandria)

Una mostra a breve, troppo breve, durata. Cinque giorni, solo, di esposizione. Siamo tuttavia certi che “Disegni Padani”, a firma di Vito Oliva, a cura dell’“Associazione Mina Pintore” e ospitata da venerdì 25 (inaugurazione, ore 17,30) a martedì 29 luglio prossimi presso l’“Atelier” di via Roma a Sale Alessandrino, non mancherà – come si spera e ne siamo  certi – di attrarre un buon numero di visitatori e di destare l’interesse  che assolutamente merita.

Vito Oliva è un “eclettico artista, testimone del territorio”. Alessandrino, laureato in Lettere presso l’Ateneo genovese, ha come primi maestri i più noti pittori alessandrini tra i quali Giovanni Rapetti, dal quale apprende i primi, ma decisivi, rudimenti del “mestiere d’artista”. Si accosta all’arte “fantastica” e “surrealista” nella sua maggior fioritura e fortuna in ambito torinese negli Anni ’70.

 

Nota critica:

“Pittore della natura e della memoria, il tratto intenso e ricco di dettagli che si riscontra nei quadri di Vito Oliva è un viaggio che rivela paesaggi e momenti di vita passata di questa terra padana. Atmosfere suggestive nelle quali compaiono elementi tipici quali alberi secolari, campi sterminati e antiche testimonianze architettoniche immerse in un’aura di mistero e nostalgia. E ancora: elementi che rappresentano una forte simbologia legata alla natura e alla memoria storica dei luoghi. E’ questo il carattere distintivo, la vera unicità delle sue opere … Artista dal tratto preciso e inequivocabile, dai contrasti netti e dalle linee marcate che esaltano in modo nitido e preciso forme e immagini dall’aspetto tridimensionale, quasi vivo, che cattura l’osservatore”.

Mostra che sicuramente merita attenzione. E un’attenta visita.

Un consiglio ai “forestieri” che arriveranno a Sale per questa o altra occasione: non mancate di “omaggiare” (in tempi, soprattutto, come quelli che stiamo vivendo di criminale follia bellica) la “grande” (in tutti i sensi) classicheggiante scultura dedicata in Parco della Rimembranza “Ai Caduti di Sale” delle prime due guerre mondiali, opera di Giovanni Taverna (1911 – 2008), allievo di Borelli e soprattutto di Bistolfi, e nativo della vicina Alluvioni Cambiò, dal 2018 Alluvioni Piovera. Uno dei vari “monumenti pubblici” realizzati dal Taverna, fra i quali il “Monumento all’Alpino” di Leynì e il “Monumento al Migrante” a Pittsbourgh.

Terra di grandi artisti, il “Monferrato Alessandrino”. Sale vi aspetta oggi con le opere di Vito Oliva.

Per info: “Atelier”, via Roma 31, Sale (Alessandria); tel. 335/6547770

Orari: dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19

Nelle foto: locandina mostra e una recente opera di Vito Oliva

Il re “galantuomo” guarda Torino dall’alto

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Vittorio Emanuele II, nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”

Situato proprio nell’intersezione tra corso Vittorio Emanuele II e corso Galileo Ferraris, la statua che vede come protagonista re Vittorio Emanuele II, si eleva sopra un’area quadrata ad angoli smussati su cui poggia il basamento rivestito da blocchi e lastroni di granito della Balma. Tale basamento si compone di due serie di gradini la cui seconda è interrotta, in corrispondenza degli angoli, da quattro blocchi prismatici su cui sono scolpite le date a ricordo delle guerre per l’Unità d’ Italia: 1848-1859-1866-1870. Questi blocchi fungono a loro volta da sostegno alle quattro aquile in bronzo sostenenti gli stemmi sabaudi.

Sopra le due serie suddette di gradini si eleva il piedistallo sul cui attico stanno,in posizione seduta, quattro grandi statue in bronzo di figure allegoriche tra cui la Pace, la Libertà, l’Indipendenza e l’ Unità (molto dubbia la quarta figura allegorica). Le quattro statue trovano a loro volta appoggio fra i vani delle quattro colonne in stile dorico di granito rosso che sostengono, superiormente, una trabeazione completa con architrave, fregio, triglifi e cornice; sopra questa trabeazione è disteso il grande tappeto in bronzo sul quale si eleva la grande statua del Re.Vittorio Emanuele II è raffigurato in piedi e a testa scoperta: lo sguardo fiero, solenne, rivolto lontano con nella mano sinistra una spada in atto di vigorosa fermezza.

 

Primogenito di Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, e di Maria Teresa d’Asburgo-Toscana, Vittorio Emanuele II di Savoia nacque a Torino (precisamente a Palazzo Carignano) il 14 marzo 1820. Va curiosamente fatto presente che alcuni storici moderni hanno dato credito all’ipotesi, data la scarsa somiglianza con i genitori e in base ad altre vicende, che Vittorio Emanuele non fosse il vero figlio della coppia reale, bensì un bimbo d’origine popolana sostituito al vero primogenito di Carlo Alberto morto, ancora in fasce, in un incendio nella residenza del nonno a Firenze. La maggior parte degli storici invece esprime dubbi sull’autenticità della vicenda e la confina nell’ambito del pettegolezzo facendo perdere qualsiasi credibilità all’ipotesi dello scambio.

Ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e primo re d’Italia (dal 1861 al 1878), fu anche Principe di Piemonte, Duca di Savoia e Duca di Genova.Dopo la sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, si iniziò a definire Vittorio Emanuele II il re galantuomo o re gentiluomo (appellativo con cui è ricordato ancora oggi), che animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle libertà costituzionali si oppose fieramente alle richieste di abolire lo Statuto albertino. Nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”.

Vittorio Emanuele II morì improvvisamente, a causa di una polmonite, il 9 gennaio del 1878 all’età di cinquantasette anni. La sua morte suscitò il profondo cordoglio sia della borghesia colta e politicizzata (che aveva partecipato all’avventura risorgimentale), sia dell’esercito di cui il “Re Galantuomo” era stato il capo pragmatico e largamente amato. Con cinque guerre combattute, ventinove anni di regno e uno stato unificato alle spalle, Vittorio Emanuele II fu il simbolo aggregante del Risorgimento italiano, in un paese ancora troppo fragile per sopportare il vuoto istituzionale venutosi a creare con la sua scomparsa.

Il monumento in suo onore fu voluto direttamente da Umberto I che, per riparare alla mancata sepoltura della salma del padre nella basilica di Superga a favore del Pantheon di Roma, comunicò, in una lettera indirizzata alla cittadinanza, l’intenzione di affidare “alla religiosa devozione” dei torinesi “i segni del valore” che il Re aveva conquistato “combattendo per l’unità e l’indipendenza della patria”. Nella stessa lettera Umberto I espresse il desiderio di erigere un monumento che eternasse la memoria del Primo Re d’Italia stanziando, per tale iniziativa, la cospicua somma di un milione di lire.

Venne subito istituita una Commissione tecnica incaricata di promuovere varie iniziative tra cui stilare il Programma di Concorso per il Monumento al “primo re”; il 28 marzo del 1879 la Commissione tecnica, incaricata di esaminare i progetti presentati al concorso, decreta vincitore lo scultore Pietro Costa. Tale decisione suscitò tuttavia, numerose polemiche che si conclusero con una petizione sottoscritta da cinquantadue firme dei maggiori rappresentanti delle Accademie di Belle Arti d’Italia che appoggiarono completamente la scelta della Commissione.

Ma se in meno di diciotto mesi si chiuse l’itinerario che aveva portato alla scelta del progetto, la fase successiva, quella della costruzione, durò circa vent’anni tra disguidi, ripicche e liti che finirono in tribunale. Il 23 novembre del 1896, a quattordici anni di distanza dalla stipula del contratto, Costa scrisse al Sindaco di Torino per giustificarsi dall’accusa “d’essere pigro e negligente” oltreché fortemente in ritardo nella consegna del monumento;nonostante ciò l’artista venne condannato al risarcimento dei danni per inadempienza contrattuale.

Il 15 gennaio del 1898, finalmente la città di Torino entrò in possesso del monumento. Ultimato per le parti bronzee dall’ Officine Costruzione d’Artiglieria di Torino e dall’ ingegnere Prinetti, il monumento venne inaugurato il 9 settembre del 1899 alla presenza dei sovrani, delle autorità cittadine dei principali comuni italiani, nonché degli esponenti della politica nazionale, dell’esercito e dei veterani del 1848. Ci furono tre giorni di festeggiamenti durante i quali Torino ritornò ad essere patriottica e risorgimentale, quasi nostalgica di essere stata (un tempo) capitale d’Italia.

Per quanto riguarda il luogo di collocazione del monumento, va fatto presente che la scelta di posizionarlo nel centro del piazzale, sull’incontro del corso consacrato a Vittorio Emanuele II e corso Siccardi (oggi corso Galileo Ferraris), è stato frutto della Commissione per un ricordo storico nazionale al re “gentiluomo”. L’area circostante il monumento era, nella seconda metà dell’ottocento, una zona in espansione a tipologia residenziale, pronta a recepire gli spunti di una volontà politica che mirava ad attirare a sé il ceto dei notabili e la piccola borghesia emergente. L’operato della Commissione rientrava nell’ambito di quella politica nazionale di costruzione del mito di Vittorio Emanuele II che, facendo ricorso ad attività di propaganda e di educazione “per fare gli italiani” (come disse D’Azeglio), intervenne anche in opere di rimaneggiamento degli spazi urbani e cambiamenti della toponomastica.

Oggi, la statua del Re, sovrasta ancora i tetti delle case dei torinesi dominando con lo sguardo tutto l’arco alpino fino alla magnifica Superga. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili stella

I segreti della Gran Madre

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo1: Torino geograficamente magica
Articolo2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo3: I segreti della Gran Madre
Articolo4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo10: Torino dei miracoli

Articolo 3: I segreti della Gran Madre

La città di Torino è tutta magica, ma ci sono dei punti più straordinari di altri, uno di questi è la chiesa della Gran Madre di Dio, o per i Torinesi, ël gasometro. La particolarità del luogo è già nel nome, è, infatti, una delle poche chiese in Italia intitolate alla Grande Madre. L’edificio, proprietà comunale della città, venne eretto per volontà dei Decurioni a scopo di rendere onore al re Vittorio Emanuele I di Savoia che il 20 maggio 1814 rientrò in Torino dal ponte della Gran Madre (la chiesa sarebbe stata edificata proprio per celebrare l’evento), fra ali di folla festante. Massimo D’Azeglio assistette all’evento in Piazza Castello. Il dominio francese era finito e tornavano gli antichi sovrani. Il passaggio del Piemonte all’impero francese aveva implicato una profonda trasformazione di Torino: il Codice napoleonico trasformò il sistema giuridico, abolì ogni distinzione e i privilegi che in precedenza avevano avvantaggiato la nobiltà, la nuova legislazione napoleonica legalizzò il divorzio, abolì la primogenitura, introdusse norme commerciali moderne, cancellò i dazi doganali. La spinta modernizzatrice avviata da Napoleone con il Codice civile fu di grande impatto e le nuove norme commerciali furono fatte rispettare dalla polizia napoleonica con un controllo sociale nella nostra città senza precedenti. Tuttavia il carattere autoritario delle riforme napoleoniche relegava i Torinesi a semplici esecutori passivi di ordini imposti dall’alto e accrebbe il malcontento di una economia in difficoltà. Quando poi terminò la dominazione francese non vi fu grande entusiasmo, né vi fu esultanza per l’arrivo degli Austriaci. L’8 maggio 1814 le truppe austriache guidate dal generale Ferdinand von Bubna-Littitz entrarono in città, e prontamente rientrò dal suo esilio in Sardegna il re Vittorio Emanuele I, il 20 maggio dello stesso anno. Il re subito volle un immediato ritorno al passato, ossia all’epoca precedente il 1789, abrogando tutte le leggi e le norme introdotte dai Francesi. Il nuovo regime eliminò d’un tratto il principio di uguaglianza davanti alla legge, il matrimonio civile e il divorzio, e reintrodusse il sistema patriarcale della famiglia, le restrizioni civili riservate a ebrei e valdesi e restituì alla Chiesa cattolica il suo ruolo centrale nella società. Il 20 maggio 1814 fu recitato un Te Deum nel Duomo di Torino per celebrare il ritorno del re, che si fermò a venerare la Sacra Sindone. L’autorità municipale festeggiò il ritorno dei Savoia costruendo una chiesa dedicata alla Vergine Maria nel punto in cui il re aveva attraversato il Po al suo rientro in città. A riprova di ciò sul timpano del pronao si legge l’epigrafe “ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS”, (“L’autorità e il popolo di Torino per l’arrivo del re”) coniata dal latinista Michele Provana del Sabbione.

La chiesa, di evidente stampo neoclassico, venne edificata nella piazza dell’antico borgo Po su progetto dell’architetto torinese Ferdinando Bonsignore; iniziato nel 1818, il Pantheon subalpino venne ultimato solo nel 1831, sotto re Carlo Alberto. L’edificio ubbidiva all’idea di una lunga fuga prospettica che doveva collegare la piazza centrale della città, Piazza Castello, alla collina. La chiesa è posta in posizione rialzata rispetto al livello stradale, e una lunga scalinata porta all’ingresso principale. Al termine della scalinata vi è un grande pronao esastilo costituito da sei colonne frontali dotate di capitelli corinzi. All’interno del pronao vi sono ai lati altre colonne, affiancate da tre pilastri addossati alle pareti. Eretta su un asse ovest-est, con ingresso a occidente e altare a oriente, essa presenta orientazioni astronomiche non casuali: a mezzogiorno del solstizio d’inverno, il sole illumina perfettamente il vertice del timpano visibile dalla scalinata d’ingresso. Il timpano, sul frontone, è scolpito con un bassorilievo in marmo risalente al 1827, eseguito da Francesco Somaini di Maroggia, (1795-1855) e raffigura la Vergine con il Bambino omaggiata dai Decurioni torinesi. Ai lati del portale d’ingresso sono visibili due nicchie, all’interno delle quali si trovano i santi San Marco Evangelista, a destra, e San Carlo Borromeo, a sinistra. Fanno parte dell’edificio due imponenti gruppi statuari, allegorie della Fede e della Religione, entrambi eseguiti dallo scultore carrarese Carlo Chelli nel 1828. Sulla sinistra si erge la Fede, rappresentata da una donna seduta, in posizione austera, con il viso serio, sulle ginocchia poggia un libro aperto che tiene con la mano destra, con l’altra, invece, innalza un calice verso il cielo. Spunta in basso alla sua destra un putto alato, che sembra rivolgersi a lei con la mano sinistra, mentre nella destra tiene stretto un bastone. Dall’altro lato si trova la Religione, raffigurata come una matrona imperturbabile e regale: stringe con la mano destra una croce latina e sta seduta mentre guarda fissa l’orizzonte, incurante del giovane che la sta invocando porgendole due tavole di pietra bianca. I capelli sono ricci, e sulla fronte, lasciata scoperta dal manto, vi è una sorta di copricapo, come una corona, su cui compare un simbolo: un triangolo dal quale si dipartono raggi. Spesso, con un occhio al centro del triangolo, il simbolismo è usato in ambito cristiano per indicare l’occhio trinitario di Dio, il cui sguardo si dirama in ogni direzione, ma anche in massoneria è un importante distintivo iniziatico. Perfettamente centrale, ai piedi della scalinata, è l’imponente statua di quasi dieci metri raffigurante Vittorio Emanuele I di Savoia. La torre campanaria, munita di orologio, venne costruita sui tetti dell’edificio che si trova a destra della chiesa nel 1830, in stile neobarocco.

Entrando nella chiesa ci si ritrova in un ampio spazio tondeggiante e sobrio, c’è un’unica navata a pianta circolare, l’altare maggiore, come già indicato, è posto a oriente, all’interno di un’abside semicircolare provvista di colonne in porfido rosso. Numerose sono le statue che qui si possono ammirare, ma su tutte spicca la figura marmorea della Gran Madre di Dio con Bambino, posta dietro l’altare maggiore, il cui misticismo è incrementato dalla presenza di raggi dorati che tutta la circondano. Nelle nicchie ai lati, in basso, vi sono alcune statue simboliche per la città e per i committenti della chiesa, cioè i Savoia. Oltre a San Giovanni Battista, il patrono della città, anch’egli con una grande croce nella mano sinistra, S. Maurizio, il santo prediletto dei Savoia, Beata Margherita di Savoia e il Beato Amedeo di Savoia. La cupola, considerata un capolavoro neoclassico piemontese, sovrasta l’edificio ed è costituita da cinque ordini di lacunari ottagonali di misura decrescente. La struttura è in calcestruzzo e termina con un oculo rotondo, da cui entra la luce, del diametro di circa tre metri. Sotto la chiesa si trova il sacrario dei Caduti della Grande Guerra, inaugurato il 25 ottobre 1932 alla presenza di Benito Mussolini. La bellezza architettonica dell’edificio nasconde dei segreti tra i suoi marmi. Secondo gli occultisti, la Gran Madre è un luogo di grande forza ancestrale, anche perché pare sorgere sulle fondamenta di un antico tempio dedicato alla dea Iside, divinità egizia legata alla fertilità, anche conosciuta con l’appellativo “Grande Madre”. Iside è l’archetipo della compagna devota, per sempre fedele a Osiride, simbolo della consapevolezza del potere femminile e del misticismo, il suo ventre veniva simboleggiato dalle campane, lo stesso simbolo di Sant’Agata. Si è detto che Torino è città magica e complessa, metà positiva e metà maligna, tutta giocata su delicati equilibri di opposti che sanno bilanciarsi, tra cui anche il binomio maschio-femmina. Questo aspetto è evidenziato anche dalla contrapposizione tra il Po e la Dora che, visti in chiave esoterica, rappresentano rispettivamente il Sole, componente maschile, e la Luna, componente femminile. I due fiumi, incrociandosi, generano uno sprigionamento di forte energia. Altri luoghi prettamente maschili sono il Valentino e il Borgo Medievale, che sorgono lungo il Po e sono anche simboli di forza; ad essi si contrappone la zona del cimitero monumentale, in prossimità della Dora, legata alla sfera notturna e femminile. L’importanza esoterica dell’edificio non termina qui, ci sono alcuni che sostengono ci sia un richiamo alle tradizioni celtiche con evidente allusione a un ordine taurino nascosto tra le parole della dedica: se leggiamo l’iscrizione a parole alterne resta infatti la dicitura: Ordo Taurinus. Ma il più grande mistero che in questa chiesa si cela è tutto contenuto nella statua della Fede. Secondo gli esoteristi, la donna scolpita in realtà sorreggerebbe non un calice qualunque ma il Santo Graal, la reliquia più ricercata della Cristianità, e con il suo sguardo indicherebbe il luogo preciso in cui esso è nascosto. Allora basta capire dove guarda la marmorea giovane -secondo alcuni la stessa Madonna – e il gioco è fatto! Sì, peccato che chi ha scolpito il viso si sia “dimenticato” di incidervi le pupille, così da rendere l’espressione della figura imperscrutabile, e il Graal introvabile. Se non per chi sa già dove si trovi.

Alessia Cagnotto

Biennale di Venezia, c’è Andreas Angelidakis di Luci d’Artista

 Luci d’Artista Torino si congratula con Andreas Angelidakis, autore dell’opera luminosa VR Man realizzata per la scorsa edizione, per la nomina a rappresentare il Padiglione della Grecia alla 61ª edizione della Biennale d’Arte di Venezia nel 2026, uno degli appuntamenti internazionali più prestigiosi dedicati all’arte contemporanea.

Il curatore di Luci d’Artista, Antonio Grulli, esprime il proprio entusiasmo per questo importante traguardo:

Sono davvero felice della partecipazione di Andreas Angelidakis nella prossima Biennale Arte di Venezia come rappresentante della Grecia. Poter esporre alla principale rassegna d’arte al mondo è la consacrazione per qualsiasi artista.

Per noi di Luci d’Artista è motivo di grande orgoglio poter vantare, tra le nostre installazioni, una sua opera destinata a illuminare Torino negli anni a venire. Collaborare con Andreas è stato non solo un piacere, ma un vero onore.”

La nomina di Andreas Angelidakis al Padiglione della Grecia alla Biennale Arte di Venezia conferma il valore delle collaborazioni sviluppate nel tempo da Luci d’Artista. A lui vanno le congratulazioni di tutto il gruppo di lavoro e i migliori auguri per questo prestigioso riconoscimento.

Luci d’Artista, ha visto Andreas Angelidakis tra i protagonisti della 27ª edizione con l’opera luminosa VR Man, installata in Piazza Vittorio Veneto a Torino.

VR Man, figura luminosa ispirata alla statuaria classica greca e romana, rappresenta uno degli esempi più emblematici della poetica dell’artista: un dialogo costante tra memoria storica e tecnologie contemporanee, tra corpi antichi e visioni digitali. Un gigante di luce, al tempo stesso atleta e pensatore, cariatide e cyborg, testimonianza della capacità dell’artista di reinterpretare l’eredità classica attraverso un’estetica radicalmente attuale. L’opera VR Man, realizzata in occasione e con il supporto di Torino 2025 FISU Games Winter e il sostegno di Audemars Piguet Contemporary, si riferisce alla pratica atletica come fondamento dei giochi olimpici ma anche come disciplina indissolubile dall’attività intellettuale e spirituale, così come era vista durante il periodo classico greco.

Luci d’Artista è progetto e patrimonio della Città di Torino, realizzato da Fondazione Torino Musei con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, Unione Industriali Torino, Torino 2025 FISU World University Games Winter Audemars Piguet Contemporary. Main sponsor: Gruppo Iren.

 

Andreas Angelidakis (Atene, 1968), vive e lavora ad Atene. Le sue opere indagano lo spazio dove arte e architettura si sovrappongono e in cui le nuove tecnologie influenzano l’architettura e il modo di vivere.  Nel suo lavoro presenta riconsiderazioni delle rovine greche spesso sotto forma di video digitale, sculture morbide e mobili, dando vita a un’interpretazione giocosa che offre un’esperienza fisica diretta al visitatore. Ha partecipato come artista a diverse mostre internazionali, tra cui: The State of the Art of Architecture alla prima Biennale di Architettura di Chicago, la 12° Triennale del Baltico al Centro d’Arte Contemporanea di Vilnius. Nel 2019 ha partecipato alla Bergen Assembly, mentre ha contribuito al Parlamento dei corpi di Paul B. Preciado per documenta 14 nel 2017, nonché alla Biennale dell’Immagine in Movimento alle OGR di Torino. Nel 2020 ha realizzato la grande installazione POST-RUIN Bentivoglio a Palazzo Bentivoglio a cura di Antonio Grulli e nel 2022 Center for the Critical Appreciation of Antiquity l’opera d’arte più ambiziosa mai realizzata, commissionata da Audemars Piguet Contemporary e presentata all’Espace Niemeyer, Parigi (11-30 ottobre 2022) a Parigi. Tra le mostre che l’artista ha curato ricordiamo The System of Objects alla Deste Foundation di Atene, Super Superstudio al PAC di Milano, Fin de Siècle allo Swiss Institute di New York, Period Rooms al Het Nieuwe Instituut di Rotterdam e OOO Object Oriented Ontology alla Kunsthalle di Basilea.

 

Per il monumento ai Cavalieri il Canonica lavorò gratis

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi

 

Ed eccoci nuovamente giunti al nostro consueto appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere. Cari amici lettori e lettrici, oggi andremo alla scoperta di uno dei monumenti presenti in una delle piazze più “frequentate” della città: sto parlando di Piazza Castello e del monumento ai Cavalieri d’Italia. (Essepiesse)

 

 

La statua è collocata in Piazza Castello sul lato destro di Palazzo Madama, rivolta verso via Lagrange. Il monumento rappresenta un soldato a cavallo su un piedistallo di granito,che poggia su un basamento a gradoni. Il cavaliere dall’aria vigile, scruta l’orizzonte volgendo lo sguardo alla sua destra mentre con il fucile in spalla, con una mano tiene le redini e con l’altra uno stendardo; la posa del destriero e del suo cavaliere è rilassata, lontana dalle immagini stereotipate di nobili cavalieri che caricano al galoppo. Di contorno al basamento vi sono una serie di alto rilievi con fregi militari.

 

Con il termine Cavalleria si è soliti indicare le unità militari montate a cavallo. Essa ebbe origini molto antiche, venne infatti da sempre impiegata per l’esplorazione dei territori, per azioni in battaglia dove venisse richiesta molta mobilità e velocità nell’attacco e fu anche strategicamente determinante in alcune battaglie. In seguito cominciò ad evidenziare i suoi limiti con il perfezionamento delle armi da fuoco e l’avvento dei treni e degli autoveicoli.

Riformata all’interno dell’Esercito Sardo sin dal 1850, la Cavalleria venne impiegata con l’esercito francese prima in Crimea ed in seguito contro gli Austriaci, ai confini della Lombardia all’inizio della II Guerra di Indipendenza. L’ Arma si conquistò così la fiducia e la stima degli alleati francesi. I Reggimenti combatterono, guadagnando numerose medaglie al Valor Militare, sia a Montebello che successivamente a Palestro e Borgo Vercelli; le battaglie più famose di questa guerra, quella di Solferino e di San Martino (alle porte del Veneto), si combattono con i francesi impegnati a Solferino e i sardo-piemontesi a S. Martino. Dopo il 1861, il Regio Esercito Sardo divenne Esercito Italiano e negli anni seguenti, tutto l’esercito venne riformato e uniformato. La Cavalleria, a partire dagli anni ’70, venne impiegata in Africa, dove furono formati Reggimenti di Cavalleria indigena, ed anche nella guerra italo-turca del 1911-1912.

In seguito il primo conflitto mondiale impose alla Cavalleria l’abbandono del cavallo in modo da adeguarsi alla guerra di posizione, in trincea, dove reticolati e mitragliatrici rendevano impossibile l’uso dell’animale. Verso la fine del conflitto però, la Cavalleria venne nuovamente rimessa in sella: nel 1917 fu impiegata a protezione delle forze che ripiegavano sul Piave, dopo la sconfitta di Caporetto. Verso la fine della Prima guerra mondiale, la II Brigata di Cavalleria coprì la ritirata della II e della III Armata, comandata dal generale Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, ed il 16 giugno 1918 fermò il nemico sul Piave. Questa data fu così importante per gli esiti del conflitto mondiale, che ancora oggi viene celebrata come festa della Cavalleria.

Per ricordare e onorare il valore dell’Arma, nel 1922 a Roma si istituì il Comitato generale per le onoranze ai Cavalieri d’Italia con l’intento di elevare un monumento equestre. Pochi giorni dopo il comitato, presieduto dal Re e dal senatore Filippo Colonna, propose alla Città di Torino di collocare l’opera in piazza Castello, dove era già ricordato il soldato dell’Esercito Sardo; questa proposta venne accolta con orgoglio ed onore dalla Giunta e dal Consiglio Comunale. La realizzazione del monumento venne affidata a Pietro Canonica che si offrì di lavorare gratuitamente, mentre il bronzo (materiale utilizzato per la costruzione dell’opera) fu offerto dal Ministero della Guerra.

Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi. Nel 2008 il monumento ai Cavalieri d’Italia è stato restaurato ed il lavoro di pulitura del bronzo ha riportato finalmente alla luce l’originaria colorazione tendente al verde, una patina data come finitura dallo stesso scultore Canonica.

 

Simona Pili Stella

“FALLO”… Sì sì, proprio in quel senso! Embé…?

Dalle maioliche del Cinquecento alle trasgressive opere “erotiche” di Carol Rama, un “fil rouge” espositivo al torinese Museo “Accorsi – Ometto”

Fino al 14 settembre

“Fallo”. Ma no, non in quel senso. Non nel senso di “Fallo” come “voce del verbo fare, imperativo presente, seconda persona singolare”. Che avete capito? “Fallo”, proprio nel senso di cui non osavate, forse, far menzione parlando di un’esposizione d’arte. Eppure, sapete bene di quanti “falli” hanno perfino abusato secoli e secoli di storia dell’arte? Allora, per i più “lenti”, ve lo spiego, che fa più fine, con le parole – vangelo della “Treccani”“In anatomia comparata (più spesso nella forma lat. scient. ‘phallus’) trattasi dell’organo copulatore, o pene, dei vertebrati e tipico dei mammiferi. Nell’embriologia di questi ultimi, si dà il nome di ‘fallo’ a una sporgenza del tubercolo genitale che, nel maschio, dà origine al pene e, nella femmina, alla clitoride”. Tutto chiaro? E nessun bigotto stupore, se proprio con tale accezione (ripeto: “fallo” uguale a “pene”), Luca Mana, direttore della “Fondazione Accorsi-Ometto”, ha inteso presentare nei giorni scorsi la rara coppa in maiolica, precoce esempio di istoriato faentino del terzo decennio del XVI secolo, acquistata dal “Museo” di via Po, in un incontro dal titolo, per l’appunto benevolmente provocatorio, di “Fallo”.

Quale il soggetto?  Al centro della maiolica è raffigurata una giovane donna seduta, intenta a maneggiare dei “falli”. In prossimità del volto e della nuca, ne appaiono altri due, sotto forma di elementi onirici e anche sulla tesa sono dipinte, con buona maestria, quattro coppie di “falli” inseriti “araldicamente” in una elegante decorazione floreale. Acquisto compiuto oggi non a caso. La “coppa”, infatti ben s’inserisce nel percorso espositivo della mostra – “CAROL RAMA. Geniale sregolatezza” – dedicata, fino a lunedì 14 settembre e sotto la curatela di Francesco Poli e Luca Motto, alla figura e all’arte trasgressiva (pienamente “consacrata” solo in tarda età) della “nostra” Carol Rama, a celebrazione proprio dei dieci anni dalla sua scomparsa (Torino, 1918– 2015). E ben sappiamo quanto alla base dell’arte di Carol fosse sempre ben presente una sorta di “macabro, masochistico erotismo” (frutto dei non pochi eventi traumatici legati, soprattutto, alla sua adolescenza) espresso, attraverso segni e colori d’impronta fortemente simbolica ed espressionista, in “serpenti” o “lingue biforcute”“falli” o “simboli fallici”“teatrini di piedi” che dire “strani” è dir poco e “scene di masturbazione femminile” così come oggetti evocativi quali macabre “dentiere” spesso associate a “corpi mutilati” costretti in letti di contenzione o su sedie a rotelle. Su questa linea, va dunque inteso l’acquisto della “coppa” faentina, a perfetta e “didattica” riflessione anche sulla retrospettiva dedicata a Carol Rama. Sottolinea infatti Luca Mana“La produzione cinquecentesca di maioliche a soggetto erotico non è così insolita e piuttosto diffusa negli ambienti colti. Lo dimostrano la riscoperta della ‘letteratura erotica classica’ e la libera circolazione di ‘sonetti’ e di ‘romanzi’ a contenuto sessuale. La recente acquisizione di questa ‘coppa’, insieme ad altri due oggetti del Cinquecento entrati a far parte delle Collezioni (una seconda ‘coppa in maiolica’ e un ‘cofanetto’ in legno, pastiglia e foglia d’oro), intende colmare un vuoto all’interno delle raccolte museali. L’obiettivo è quello di far conoscere il nostro Museo, non più solo a livello locale, ma nazionale, puntando sul Rinascimento e sul primo Novecento, due periodi cardine della storia culturale e figurativa italiana”. Dove non mancano per altro, ai tempi della “coppa” in questione, altri esempi di curiosa “arte erotica” che vanno, sottolinea ancora Mana, dalla “medaglia con il ritratto di Pietro Aretino, sul recto, e sul verso una testa disseminata di ‘falli’” alla “Testa de cazzi” (sic! la più famosa della storia) di Francesco Urbini, fino al disegno “con testa all’antica composta da falli” attribuita al manierista Francesco Salviati. Ma già, in tal senso, perfino “l’oscuro Medioevo aveva un lato giocoso e godereccio”: a darne prova lo storico Alessandro Barbero, nel suo godibilissimo “La voglia dei cazzi (sic!) e altri fabliaux medievali” (“Edizioni “Effedì”), libro in cui lo scrittore torinese propone una ventina di racconti “a tema”, tratti da poemetti francesi duecenteschi. E di Barbero dobbiamo ben fidarci!

Ciò detto, altra nota positiva, rivelata dal direttore Mana, è che nel frattempo, la retrospettiva di Carol Rama si è arricchita, per l’occasione, di altre quattro opere, provenienti da una prestigiosa Collezione privata parigina: di due acquerelli – “Teatrino n. 2” del 1937 e “Proibito” del 1944 – di un olio su tela – “Prostituta n. 6” (1947) – e di un ‘bricolage’ – “Senza titolo (1968)” – con i famosi “occhi di bambola” applicati su cartoncino nero. Opere sempre perfettamente in linea con l’innata “geniale sregolatezza” – si dice che nel ’45 la sua prima mostra a Torino sia stata sospesa per “offesa al pudore” – dell’artista con casa e studio (oggi “Museo”) in via Napione 15, a Torino. L’artista che apertamente dichiarava: “Non ho avuto maestri pittori, il senso del peccato è il mio maestro. Il peccato è una trasgressione del pensiero”.

Per info: Museo di Arti Decorative “Accorsi-Ometto”, via Po 55, Torino; tel. 011/837688 -3 o www.fondazioneaccorsiometto.it

Gianni Milani

Nelle foto: “Coppa con soggetto erotico”, Bottega faentina, maiolica, 1510 – 1520; Carol Rama “Proibito”, acquerello, tempera e matita colorata su carta, 1944; Carol Rama “Teatrino n. 2”, acquerello e matita colorata, 1937

Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, ecco il programma

Prosegue l’attività della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per il secondo semestre 2025

Dal 2000, la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, ente “art oriented” della Fondazione CRT, mette in campo azioni concrete volte a valorizzare talenti e ad arricchire il patrimonio culturale, alimentando al contempo un’estesa collezione di opere d’arte contemporanea, diventata nel tempo tra le più prestigiose a livello nazionale e internazionale.

 

Nel venticinquesimo anno dalla sua costituzione (27 dicembre 2000), la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT prosegue con impegno crescente nell’implementare le linee strategiche del proprio programma, consolidando di anno in anno la sua visione e il suo impatto grazie a singoli eventi e a progetti speciali: Spazio pubblico, scelto come luogo privilegiato per realizzare opere attraverso un processo di coinvolgimento attivo di abitanti, enti locali, associazioni, rendendo l’arte accessibile e partecipata; Internazionalizzazione: un’apertura a progetti oltre i confini della città di Torino e del Piemonte; Comunità, filo conduttore che attraversa tutti i progetti della Fondazione, intesa come destinazione dei progetti di Fondazione e come approccio diretto alla costruzione di una pluralità di gruppi, con l’obiettivo di creare connessioni e rafforzare il tessuto sociale attraverso l’arte; Professioni, quelle dell’arte contemporanea, un settore che richiede competenze specifiche che vanno incoraggiate e formate; Educazione, da sempre un pilastro dell’azione della Fondazione e strumento fondamentale per avvicinare persone di tutte le età ai linguaggi dell’arte, promuovendone la comprensione e l’apprezzamento; Collezione, il cuore dell’identità istituzionale della Fondazione, un patrimonio artistico a disposizione della collettività.

 

“La programmazione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT racconta ciò che questi 25 anni sono stati, ma anche ciò che la Fondazione CRT ha voluto e continua a volere: promuovere la cultura come bene collettivo, generare valore attraverso l’arte, rendere il patrimonio accessibile a tutta la comunità – dichiara Anna Maria Poggi, Presidente della Fondazione CRT -. Nata nel 2000 per valorizzare un nucleo di opere di Arte Povera, la Fondazione è cresciuta fino a diventare una realtà culturale di riferimento a livello internazionale, con una collezione di oltre 930 opere di 330 artisti, messa a disposizione della collettività e dei musei torinesi. Nel tempo abbiamo ampliato il nostro impegno, avvicinandoci sempre più al territorio, come con il progetto di arte pubblica Radis, e sostenendo attivamente il sistema dell’arte contemporanea piemontese. Abbiamo promosso progetti di rete nei campi della formazione e dell’educazione, come Aperto e aulArte, riconosciuti come best practice a livello nazionale. Oggi la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT continua a contribuire a rafforzare l’identità di Torino come capitale italiana dell’arte contemporanea: il ritorno in Italia del summit internazionale del CIMAM, proprio a Torino dopo oltre cinquant’anni, rappresenta un riconoscimento importante di questa visione aperta, dinamica e attenta alle nuove sfide, come quella dell’AI e della contaminazione tra arte e tecnologia, che trova una delle sue case naturali alle OGR Torino, hub di cultura e innovazione della Fondazione CRT, da dove CIMAM prenderà il via”.

 

“È per me una gioia veder riunite in questo ricco calendario le attività che vedranno la luce nei prossimi mesi, a testimonianza della continuità e dello sviluppo del programma 2024-2027 – dichiara Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT -. Le sei parole chiave, con le quali abbiamo sistematizzato la strategia dell’istituzione, rispecchiano le sue vocazioni originarie, collezionistiche ed educative e, d’altra parte, ne indirizzano gli investimenti, progettuali ed economici, verso programmi innovativi nell’ambito dell’arte nello spazio pubblico, dell’alta formazione e dell’internazionalizzazione. Intorno alla collezione, giunta all’importante traguardo dei suoi 25 anni, la Fondazione è oggi più che mai un’istituzione impegnata a favore della comunità dei pubblici dell’arte, del sistema e delle sue istituzioni. Sono certa che, dopo il successo delle prime edizioni, i programmi di arte pubblica Radis e di alta formazione Aperto confermeranno il valore strategico che rivestono per l’istituzione e il territorio. Infine, sono felice che la Fondazione CRT, insieme alla Fondazione Arte, sostenga la Conferenza annuale del CIMAM, un evento internazionale che si svolgerà a Torino nel novembre 2025 e che darà nuova visibilità e centralità alla nostra città”.

Il castello di Rivoli per i suoi 40 anni ospita la mostra ‘Inserzioni’

Protagoniste le opere di Guglielmo Castelli, Lydia Ourahmane e Oscar Murillo

Il castello di Rivoli presenta, nel solco dei festeggiamenti dei quaranta anni dell’istituzione, una nuova serie intitolata “Inserzioni”, un  nuovo formato volto a commissionare ad artisti contemporanei un’opera pensata per il castello, che saranno tutte esposte dal 26 settembre prossimo al febbraio 2026.
Gli artisti coinvolti nella prima edizione del progetto sono Guglielmo Castelli, nativo di Torino nel 1987, Lydia Ourahmane, nativa dell’Algeria nel 1992, e il colombiano Oscar Murillo, nativo della valle del Cauca nel 1986.

In  concomitanza con Inserzioni il Museo presenta anche l’opera vincitrice del Premio Collective 2025 ‘Culture Lost and Learned by Heart: Butterfly’,  del 2021 di Adiji Dieye ( Milano 1991)  e la recente acquisizione attraverso il bando PAC del Ministero  della Cultira italiano di “Mare con gabbiano” del 1967 di Piero Gilardi ( Torino 1942- 2023) e di a.C. di Roberto Cuoghi (Modena, Italia, 1973).

Ispirandosi alla formula inaugurata  dal primo direttore Rudi Fuchs per la prima mostra Ouverture del 1984, ogni artista è  invitato a creare un’opera specificatamente  concepita per una delle sale auliche del castello, quasi a collaborare con esse, attraverso il tempo storico.
Come per la prima mostra gli artisti verranno messi al centro del progetto, sottolineando il valore delle ricerche individuali di ciascuno di loro. Il Museo Intende mantenere la sua caratteristica apertura alle voci degli artisti come momento chiave nella scrittura della storia dell’arte. Questo modus operandi incorpora principi che oggi appaiono di sempre maggiore urgenza, come quello dell’inclusione, dell’apertura ad altre culture e di partecipazione sociale e culturale.
Una delle caratteristiche del castello di Rivoli è il suo carattere di luogo non finito, carattere che lo trasforma in contenitore che gli artisti possono letteralmente o metaforicamente completare inserendosi, tanto da far nascere degli allestimenti unici. Spesso le opere sono arricchite dal dialogo con le sale in cui vengono allestite e, dall’altro fronte, le sale a volte diventano più forti grazie agli interventi artistici in esse contenuti.
‘Inserzioni’ apre al pubblico da venerdì 26 settembre al febbraio 2026. Il progetto è sostenuto da Radical Comissioning Group, un gruppo ristretto di benefattori che crede, come il Museo, nella necessità di dare agli artisti carta bianca  per creare opere visionarie, dando la possibilità all’istituzione di estendere la propria voce.

Guglielmo Castelli ha lavorato a un nuovo corpo di opere da inserire nella sala affrescata dedicata ai Continenti. L’artista presenta una nuova serie scultorea, che vede alcuni personaggi che popolano i suoi dipinti sfuggire da essi per esibire in forma bidimensionale  in curiosi ambienti tridimensionali, un’idea di infanzia silenziosa e d’attesa. Realizzate su ritagli di carta, le figure umane delle opere sono coreografate attorno a piccole maquette di tavoli progettati dall’artista di un ambiente casalingo e teatrale immaginario. Alle pareti una serie di nuovi dipinti, tra cui uno monumentale di oltre tre metri, raffigurano le atmosfere fantastiche e condensate tipiche di Castelli, in cui si svolgono molteplici azioni, ripetute cadute e altrettanti fallimenti. Nella sala adiacente, lunga e sottile, sono esposte alcune opere su carta e, per la prima volta, una speciale presentazione dei materiali preparatori e dei quaderni di schizzi di Castelli, che comprendono  studi per i personaggi del suo mondo inventato, apparenti scarti che divengono ecosistema e stratificazione insieme a prove di composizione, che rivelano il processo di realizzazione delle sue opere.

Lydia Ourahmane ha realizzato la nuova commissione in collaborazione con la sorella Sarah, compositrice e musicista. Una composizione scritta per tre cantanti ipovedenti si sviluppa in tre stanze del museo. Appena visibile, ma percepibile al tatto, la partitura è incastonata nelle pareti di ogni stanza e rimane dunque permanentemente a disposizione per future esecuzioni. Ogni cantante, per leggere la partitura, si muove lungo i muri o le ringhiere del castello, seguendo con il tatto le frasi musicali.
Negoziando i limiti della composizione come linguaggio e della stessa in Braille come mezzo, la partitura viene interpretata dai cantanti mentre si muovono; il margine dell’interpretazione è  aumentato dalla coreografia spaziale perché i cantanti camminano mentre parlano. Quando si traduce una frase musicale  in Braille, la cella  a sei punti riporta uno dopo l’altro vari dati, tra cui l’altezza e il ritmo di ogni nota, oltre alla chiave e all’ottava in cui è  scritta la composizione. Le partiture si presentano come un’unica riga, con le loro note, la loro durata, l’altezza in ottave , le legature, le pause e le istruzioni comunicate in sequenza. Riducendo la quantità di ornamenti o istruzioni interpretative, ogni cantante apporta la propria logica personale ad ogni frase.  A dare forma alla partitura contribuiscono il coro di elementi composto dall’architettura, lo spazio e il corpo.
L’artista Oscar Murillo, in seguito ad una visita al Museo ha scelto la stanza 18 come ambientazione per la sua installazione site-specific,  “A See of History” del 2025, opera che riunisce 48 dipinti della serie Disrupted Frequencies di Murillo, esperendo l’opera dal basso, come un affresco caduto e sospeso nel tempo. Composta da un arazzo di tele intrecciate, provenienti dal database ‘Frequencies’ di Murillo, l’installazione esplora una tensione tra visione e vastità,  immaginando nuovi territori scolpiti in un mare di segni stratificati. Iniziata nel 2013, Frequencies prevedeva il posizionamento di tele vuote sui banchi di scuola di tutto il mondo e la cattura dei segni consci e inconsci lasciati dagli studenti. Concepite dall’artista come dispositivi di registrazione analogica, queste tele fungono da registro frammentato di una sequenza culturale e sociale globale. Su questi frammenti Murillo ha lavorato in varie tonalità di blu, applicando pennellate gestuali di pittura a olio e una miscela di pigmento iridescente che ricorda sia l’oceano sia il cielo, elementi che contemporaneamente legano e separano lo spazio geografico. In questo terreno sospeso, storia e tempo diventano fluidi, incerti, aperti alla riconfigurazione.

Mara Martellotta

Fondazione Torino Musei protagonista dell’International Training Program in Museums con l’Arabia Saudita

Sessanta giovani professionisti sauditi hanno completato un percorso formativo di quattro settimane nei musei torinesi, culminato con la realizzazione di proposte progettuali per GAM, MAO e Palazzo Madama. Tra i progetti realizzati, venerdì 11 luglio apre al pubblico “The Journey of essence. From Matter to Meaning”, la mostra curata dai partecipanti a Palazzo Madama

La Fondazione Torino Musei consolida la propria vocazione internazionale realizzando  l’International Training Program in Museums promosso e sostenuto dalla Museum Commission dell’Arabia Saudita, che vede coinvolti anche il Victoria and Albert Museum di Londra e il Grand Egyptian Museum del Cairo. L’iniziativa, che si inserisce nel quadro del Piano Strategico dell’istituzione, ha visto Fondazione Torino Musei con l’Ufficio Relazioni Esterne e Attività Internazionali coordinare il programma italiano, un’esperienza formativa d’eccellenza che ha coinvolto sessanta giovani sauditi.

Dal 16 giugno al 12 luglio 2025, studenti universitari, professionisti e operatori museali dell’Arabia Saudita hanno vissuto un’esperienza immersiva nell’ecosistema museale torinese, acquisendo competenze avanzate in educazione museale, conservazione delle collezioni ed exhibition design. Il programma, sotto la direzione scientifica di Mariachiara Guerra, ha rappresentato un modello internazionale innovativo di capacity building.

 “Questa collaborazione rappresenta un’importante conferma del ruolo della Fondazione Torino Musei quale punto di riferimento e centro di eccellenza a livello internazionale per la formazione e l’innovazione nel campo museale” – dichiara Massimo Broccio, Presidente della Fondazione Torino Musei. L’iniziativa si inserisce  nel percorso di sviluppo e nel processo di internazionalizzazione dei Musei Civici avviato con il Piano Strategico, che ha visto la creazione, nel modello organizzativo, di una apposita funzione che ha l’obiettivo di creare un network internazionale, definire e attivare una strategia unitaria di branding e comunicazione che supporti l’internazionalizzazione delle Linee Culturali, promuovere il patrimonio storico-artistico attraverso touring exhibitions e  co-progettazione di mostre. In questa occasione e nell’ambito dello sviluppo dell’offerta di servizi culturali e di cooperazione internazionale,  la Fondazione ha assunto un ruolo di regia e coordinamento – attraverso il rafforzamento della  rete di collaborazione con gli altri  musei e istituzioni culturali del territorio – dando l’opportunità ai giovani professionisti sauditi di confrontarsi, approfondire e  acquisire il know-how del sistema museale di Torino e del Piemonte.”

“Per favorire lo sviluppo strategico del settore museale in Arabia Saudita, anche attraverso questo programma stiamo investendo nel capitale umano saudita, supportando le giovani generazioni e potenziando le loro competenze” – commenta Taghreed Alsaraj, General Manager of Education & Talent Development della Museum Commission del Ministero della Cultura saudita. “Crediamo che i musei non siano solo luoghi di conservazione ed esposizione ma piattaforme essenziali per l’educazione e lo sviluppo culturale. Per i nostri trainees, l’esperienza torinese ha rappresentato la possibilità di partecipare a un programma di alta formazione, di sperimentare pratiche e stabilire connessioni internazionali, che li renderanno capaci di apportare un contributo fondamentale alla crescita dell’ecosistema museale del Regno.”

“Questo progetto, che segue pluriennali esperienze in Arabia Saudita,  dimostra quanto i musei siano capaci di costruire ponti e come la cultura e l’educazione siano strumenti strategici per la cooperazione internazionale”, commenta Mariachiara Guerra. “I partecipanti non solo hanno acquisito competenze tecniche, ma hanno anche contribuito con le loro prospettive culturali ad arricchire la nostra visione del patrimonio.”

UN PERCORSO FORMATIVO DI ECCELLENZA

Il programma si è articolato in 115 ore di attività intensive, suddivise tra:

– 60 ore di progettazione dedicate all’elaborazione di proposte innovative per la rilettura delle collezioni di GAM, MAO e Palazzo Madama, creando dialoghi inediti tra patrimonio italiano e cultura saudita

– 55 ore di attività plenarie con seminari, visite di studio e workshop che hanno coinvolto l’intero ecosistema museale cittadino e anche il progetto Luci d’Artista.

Il network di collaborazioni ha incluso istituzioni di primo piano: Archivissima, CCW – Cultural Welfare Center, Museo Egizio, Reggia di Venaria, Centro di Conservazione e Restauro di Venaria Reale, Castello del Valentino e Politecnico di Torino, Musei Reali, Gallerie d’Italia, Castello di Rivoli, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Museo del Risorgimento e PAV – Parco d’Arte Vivente.

Il programma ha inoltre beneficiato dell’intervento di personalità di spicco del settore culturale: il Prof. Alessandro Crociata, economista della Cultura e direttore della candidatura di L’Aquila Capitale della cultura 2026, ha inaugurato il percorso con la lectio magistralis “Beyond the Glass Case: Museums as Catalysts for Social Innovation and Community Wellbeing”, esplorando il ruolo dei musei come catalizzatori di innovazione sociale;  la Prof.ssa Francesca Cominelli, economista della Cultura presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, ha approfondito il tema del patrimonio immateriale con il keynote “Beyond the Object: Museums and the Power of Intangible Cultural Heritage”; Adrien Gardère, importante museografo francese, ha guidato il workshop “Weaving space, Choreographing the gaze”, accompagnando i partecipanti nell’elaborazione dei concept narrativi delle loro proposte progettuali; Fabio Viola, leader mondiale nella gamification museale, ha concluso il percorso con “Challenges and opportunities of the digital transformation”, dedicato all’innovazione digitale e alla valorizzazione delle collezioni.

La chiusura dei lavori e la presentazione dei progetti finali si è svolta alla presenza d Adrien Gardère e Taghreed Alsaraj, General Manager of Education & Talent Development della Museum Commission del Ministero della Cultura saudita, e ha suggellato un’esperienza che rappresenta un modello di diplomazia culturale attraverso i musei, replicabile a livello internazionale.

“Manuale operativo per Nave Spaziale Terra”: la 32esima edizione di Artissima

Artissima annuncia le Gallerie e i premi della sua trentaduesima edizione, che si terrà  da venerdì  31 ottobre a domenica 2 novembre prossimi all’Oval Lingotto di Torino.
L’edizione 2025 è  intitolata “Manuale operativo per Nave Spaziale Terra”, ispirato all’eclettica figura di Richard Buckminster Fuller e al suo omonimo libro del 1969 delle edizioni del Saggiatore. Per il quarto anno consecutivo Artissima trae ispirazione dal pensiero di una figura visionaria  per proporre una riflessione collettiva che, attraverso l’arte, la sua comunità e pluralità di linguaggi, intende offrire strumenti per interpretare e attraversare la complessità del presente.

“Il concetto di Manuale operativo – spiega il direttore di Artissima Luigi Fassi – invita a riflettere sulla nostra presenza sul pianeta Terra, “una nave spaziale” affidata alla responsabilità collettiva di chi la abita e che ci rende tutti suoi piloti. Come possiamo prendercene cura bilanciandone risorse e sostenibilità  per tutti i viventi?  Il destino non ci ha lasciato istruzioni, ma Fuller esorta il lettore a superare le barriere  tra discipline e cooperare con uno sguardo più  ampio e consapevole. Sono i grandi visionari come gli artisti a tracciare nuove rotte per comprendere il nostro ruolo di timonieri della nave spaziale terrà. Gli artisti pensano in modo olistico e indipendente, intuitivo e creativo. Sanno trascendere gli specialismi e il valore d’uso immediato, immaginando soluzioni oltre i confini disciplinari.
Proprio loro potranno ispirare la stesura di un Manuale operativo. Artissima, crocevia di mondi e personalità che ruotano intorno al sistema dell’arte contemporanea, invita la sua comunità di visitatori e partecipanti a riflettere su questo tema, per guidare il pianeta nel viaggio attraverso le sfide del tempo presente”.

L’edizione 2025 di Artissima vedrà accolte negli spazi della fiera le  quattro sezioni principali, Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions, e le tre sezioni curate, Present Future, Back to the future e Disegni.
Saranno 176 le Gallerie italiane e internazionali a partecipare, di cui 62 presenteranno progetti monografici.
Tra le caratteristiche della 32esima edizione spicca la capacità consolidata da parte delle gallerie di presentare progetti inediti, capaci di aderire al tema cardine di Artissima, coinvolgendo sia giovani artisti sia altri già affermati.
Oltre al calendario di talk, presentazione di progetti, libri, incontri con artisti e curatori, Artissima presenta e organizza progetti speciali all’Oval e diffusi in città, realizzati in sinergia con importanti partner e istituzioni. Si tratta di una fiera di ricerca, a partire dall’individuazione di quelli che saranno gli artisti di domani alla rilettura dei grandi maestri del passato recente, dall’esplorazione di formati nuovi e piattaforme digitali, alla sua capacità di essere un appuntamento di mercato e, al tempo stesso, curatoriale.

Le Gallerie partecipanti ad Artissima 2025 provengono da 33 Paesi e cinque continenti. Significativa è la presenza di gallerie provenienti dall’Europa dell’Est, tra cui Vilnius, Kaunas, Riga, Praga, Varsavia, Lubiana e Bucarest, e dall’America del Sud e centrale come Città del Messico, San Paolo e Buenos Aires. Sul fronte  europeo si conferma una viva partecipazione  di gallerie provenienti da Austria, Francia, Germania, Regno Unito,  Croazia, Grecia e Slovenia.

Nella sezione New Entries, dedicata alla gallerie aperte da meno di cinque anni e presenti per la prima volta in fiera, partecipano 12 gallerie provenienti da tre continenti, a partire da una galleria di Pescara, che esplora tematiche interdisciplinari contemporanee con opere di Adriano Costa, Gaëlle  Choisne, Berenice Olmedo; ArtNoble di Milano che presenta sculture di Jermay Micheal Gabriel sulla natura delle relazioni coloniali; ASNI di Riga, che promuove artisti baltici emergenti; Bliss di Varsavia, che propone l’arte spirituale di Urszula Broli; Bremond Capela di Parigi che ospita una mostra  bipersonale di Corinna Gosmaro e Madeline Peckenpaugh tra astrazione, paesaggio e memoria; Matteo Cantarella di Copenaghen che presenta un’installazione site specific di Therese Bülow e Vibe Overgaard sulle ambiguità  tra natura e industria; la brasiliana Galatea di San Paolo Salvador trasforma lo stand in un’installazione sensoriale di Carolina Cordeiro; Pipeline di Londra esplora la scultura e la fotografia di Giorgio van Meerwijk; Soup di Londra propone nuove pitture di Nina Silverberg su di uno sfondo murale dipinto a mano. Seguono le gallerie nella sezione New Entries Trotoar di Zagabria, che dedica uno stand monografico a Marko Tadić; la galleria Vohm di Seul, che cura una selezione di opere di Hana Kim e Eun Yeoung Lee su spontaneità e nostalgia. La galleria milanese Zazà presenterà l’installazione di Shaan Bevan, reinterpretazione contemporanea della pittura murale antica.

In occasione del suo venticinquesimo anniversario,  la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT incrementa per il terzo anno consecutivo, per un totale  di 300 mila euro, lo storico fondo acquisizioni a beneficio delle collezioni della Gam Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino e del Castello di Rivoli Museo di Arte contemporanea, stanziando il budget più elevato degli ultimi dodici anni. La Fondazione, nel corso degli anni, grazie anche alle acquisizioni effettuate ad Artissima, ha costituito una collezione di oltre 930 opere di arte contemporanea, tra le più prestigiose a livello nazionalé e internazionale,  con un investimento complessivo superiore a 41 milioni di euro.

Anche quest’anno Artissima presenta un articolato programma di Premi, tra cui il Premio Illy  Present Future , promosso da Illycaffé dal 2001, giunto al suo 25esimo anniversario, assegnato al progetto più interessante della sezione Present Future, dedicata alla scoperta di nuovi talenti; il Premio Diana Bracco , imprenditrici ad Arte, nato nel 2023 e promosso dalla Fondazione Bracco, dedicato a valorizzare una gallerista donna emergente quale imprenditrice attenta alla ricerca e alla qualità artistica. Seguono i premi Orlane per l’Arte, che premia lo stand con la migliore proposta espositiva  per la cura e valorizzazione degli artisti presentati, il Premio Tosetti Value per la Fotografia, che seleziona un artista che, oltre a ricevere un riconoscimento in denaro, svilupperà un progetto in dialogo con “Prospettive, l’economia delle immagini” dedicato alla fotografia contemporanea; il Premio Vanni #artistroom, promosso da Vanni Occhiali, che selezionerà un artista in fiera che disegnare una capsule collection di occhiali d’artista in edizione limitata. Infine il Premio Oelle Mediterraneo Antico, promosso dall’omonima fondazione di Catania, giunto alla sua quarta edizione, che premia un artista con la partecipazione ad una residenza artistica in Sicilia; il Premio Pista 500, nato nel 2023 in collaborazione con la Pinacoteca Agnelli, che offre all’artista selezionato l’opportunità di creare un’opera per il billboard sulla Pista 500, ex circuito del Lingotto; il Matteo Viglietta Award, riconoscimento promosso per ricordare il  grande vignettista; il Premio Ettore e Ines Fico, promosso dal Museo Ettore Fico, per premiare , attraverso un’acquisizione, il lavoro di giovani artisti a livello internazionale.
Ultimo ma non meno importante è il Premio “ad occhi chiusi”, nato nel 2021 dalla collaborazione con la Fondazione Merz, che seleziona un artista che parteciperà ad una residenza in Sicilia, i cui risultati saranno visibili presso la Fondazione Merz.

Mara Martellotta