Rubrica a cura di ScattoTorino
Cristina Di Bari è un’imprenditrice di successo che sa unire testa e cuore. La passione per il lavoro, trasmessa prima dal papà Nicola e poi dallo zio Giovanni Cottino, unita alla costanza e all’impegno in qualsiasi progetto la veda protagonista, sono il leit motiv della sua vita. Dopo gli studi, a 25 anni subentra al padre nella conduzione dell’azienda che operava nel settore del commercio e nel 1994 è chiamata dallo zio a creare e dirigere un’altra azienda di famiglia, la TRA.SMA Spa che si occupa di produzione di fili di rame trafilati, della quale oggi è Socio e Amministratore Unico.
Infaticabile ed entusiasta, ricopre con successo altri ruoli apicali: è infatti Vice Presidente della Fondazione Giovanni ed Annamaria Cottino, del Cottino Social Impact Campus e di Unionchimica Torino, è Membro del Comitato di indirizzo della Fondazione CRT, Consigliere di Amministrazione di Corep e Confapifidi oltre che Membro della Commissione Finanza di Confapi nazionale. Imprenditrice, donna sensibile e attenta al sociale. Cristina Di Bari agisce con etica e savoir-faire in tutti i settori e crede fermamente che il futuro si costruisca oggi.
TRA.SMA S.p.A., della quale è Amministratore Unico, opera ponendo attenzione alle politiche ambientali e sociali. In che modo?
“Io appartengo alla seconda generazione di questa azienda, che è un’eccellenza nel suo settore. È infatti una delle prime tre in Italia e una delle prime cinque in Europa. Nella gestione della società ho avuto la fortuna di poter esprimere non solo attenzione al profitto economico, essenziale per ogni impresa, ma anche alle politiche ambientali e sociali. Da 20 anni abbiamo ottenuto la certificazione ambientale e in azienda ormai è una prassi collaudata per tutti operare nel rispetto di tali norme.

Abbiamo poi installato due cogeneratori per l’autoproduzione di energia elettrica da gas metano ottenendo efficienze energetiche anche per il riscaldamento ed il raffrescamento dello stabilimento e degli uffici, ma siamo orgogliosi di poter attuare anche una significativa politica di inclusione sociale. Collaborando con il Sermig di Torino, e grazie alla sensibilità sviluppata all’interno del team, abbiamo oggi presenti in azienda lavoratori di tante etnie diverse– filippini, rumeni, africani, italiani – e abbiamo sperimentato anche l’inclusione di detenuti in semilibertà. È una bella soddisfazione offrire l’opportunità a noi e ai nostri dipendenti di convivere con persone di altre culture e diversi stati sociali”.
Ci presenta la Fondazione Cottino, della quale è Vice Presidente?
“La Fondazione nasce nel 2002 per volontà dei miei zii Annamaria Di Bari e Giovanni Cottino per realizzare l’ideale di restituzione rispondendo ai bisogni semplici del territorio in termini di assistenza ai più deboli. E’ stato poi avviato un percorso evolutivo verso la così detta filantropia strategica che, ispirandosi a modelli imprenditoriali a noi cari, mira a essere propulsore di sviluppo. Questo tipo di filantropia opera in tre diverse aree: Formazione Trasformativa, Charity e Territorio, Ricerca & Innovazione.
Rispetto alla prima area, l’iniziativa più recente e rilevante è l’istituzione del Cottino Social Impact Campus che è il primo campus in Europa dedicato ad un’offerta formativa innovativa per la creazione di worldmakers for social impact. L’area Charity & Territorio è quella che costituisce da sempre il DNA del nostro ente. Operiamo direttamente e sosteniamo organizzazioni che agiscono sul territorio a favore dei più fragili per il bene delle famiglie, dei bambini e degli anziani. È l’area di tanti interventi tra i quali quelli della ricostruzione, dopo il sisma del 2016, della scuola dell’infanzia del Comune di Loro Piceno e della costruzione, nel 2018, del nuovo oratorio Onda Giovane Salus di Torino. Innovazione e Ricerca, infine, è l’area di focus che vede la Fondazione Cottino direttamente coinvolta nel percorso di sviluppo: dall’idea all’impresa. Attraverso molteplici strumenti e forme di intervento, l’obiettivo è quello di promuovere e sostenere progetti imprenditoriali che con l’innovazione tecnologica e la ricerca siano in grado di valorizzare il capitale umano, la sostenibilità e l’impatto sociale. È l’area del fare e del fare impresa, del Premio Applico, di H4O (Hackathon for Ophthalmology) e dell’Ospedalizzazione a Domicilio (OAD)”.
Il Cottino Social Impact Campus è un progetto nuovo: di cosa si tratta?
“Sono due le anime innovative in gioco ed entrambe hanno in comune il modello di intervento di stampo imprenditoriale. Una è relativa alla costruzione del futuro Cottino Learning Center del Politecnico di Torino, un centro di quasi 4.000 mq che verrà realizzato all’interno della Cittadella politecnica con un esempio innovativo di progettazione e realizzazione condivisa pubblico-privato e l’altra è relativa alla realizzazione di un Social Impact Campus che sarà il primo centro in Europa ad occuparsi di Impact Education”.
La filosofia del Campus si basa sulla cultura trasformativa. Approfondiamo il tema?
“Si tratta di un progetto attraverso il quale generare un cambiamento sistemico attraverso la cultura. Vogliamo contribuire a formare giovani, imprenditori, manager, professionisti e organizzazioni in grado di rispondere alle sfide sociali contemporanee e immaginare nuove soluzioni. Vogliamo portare una cultura – oggi di nicchia – ad essere di massa per generare un vero cambiamento. Attraverso un percorso di apprendimento e sperimentazione unico ed altamente distintivo, il Campus Cottino formerà queste figure dotandole di nuovi strumenti, metodologie e prospettive perché sappiano produrre nei rispettivi ambiti di lavoro un impatto sociale positivo.
Vogliamo offrire una visione che coniughi la redditività economica alla sostenibilità economica, ambientale e soprattutto sociale. Non si tratta di classiche lezioni in aula, ma di reali esperienze dove la teoria si integra alla pratica con progetti concreti su cui docenti e studenti si confrontano. Grazie alle partnership strategiche con il Politecnico di Torino, l’Opera Torinese del Murialdo, Social Fare e anche con Torino Social Impact, Assifero, EVPA, ESCP Business School – realtà tutte eccezionali e di esposizione internazionale per una proposta ben oltre i confini locali – svilupperemo veri e propri Impact Leader”.
Da imprenditrice, qual è il suo ruolo nel direttivo di APID?
“Sono molti i miei impegni associativi sia a livello locale che nazionale. Per più di 8 anni sono stata Vice Presidente Vicario di Api Torino e oggi sono parte della governance a livello nazionale. Apid è il luogo dove ho mosso i primi passi associativi e dove ho sperimentato l’importanza ed il valore del dialogo, del confronto e della rete tra imprenditori condividendo le parole della past President Giovanna Boschis: “da soli siamo invisibili, insieme siamo invincibili”.
Noi donne abbiamo un’incredibile innata capacità di fare le cose bene e velocemente e più di altri abbiamo la sensibilità, il coraggio e la resilienza per affrontare i cambiamenti e gestire la rivalità. Il mio ruolo è fare squadra ed essere complementare per lo studio e la realizzazione dei progetti, ma anche fare squadra per condividere momenti di socialità e divertimento”.
Quali sono le parole chiave per la Torino di domani?
“Innovazione tecnologica e sociale, formazione, investimenti. Torino deve diventare un laboratorio di innovazione grazie ai nuovi progetti creati in sinergia sul territorio tra università, imprese e fondazioni. Abbiamo delle eccellenze rappresentate dalle Università e dal Politecnico di Torino che devono essere implementate per offrire una formazione nuova come la making school e come gli Itis professionali, perché oggi c’è bisogno di nuove figure. Occorre anche attrarre nuovi investimenti per far sì che la città possa offrire lavoro, e quindi residenza, ai tanti che popolano le nostri eccellenti università in modo che possano restare, mettere su famiglia e vivere in un contesto ottimale dal punto di vista sociale e ambientale. Come imprenditrice credo che occorra creare una Torino nuova che punti sulla cultura e sul rilancio attraverso grandi eventi che attraggano il turismo”.
Torino per lei è?
“È la mia casa. Qui c’è la mia grande famiglia. Ci sono mio marito Nicola, mio figlio Edoardo, mia mamma, i miei nipoti, i cugini e i diversi parenti. Qui ho mosso i primi passi imprenditoriali seguendo le orme di mio padre prima e di mio zio successivamente. Ho avuto modo, grazie ai miei impegni istituzionali, di vedere Torino sotto tanti aspetti: imprenditoriale, culturale, politico, sociale. Questa è una città che ha radici solide nei suoi cittadini e un potenziale di sviluppo e di crescita enorme. È sempre stata un grande incubatore di innovazione: basta pensare alle tante cose che sono nate a Torino e a quelle che ancora oggi stanno nascendo. Infine è la città ideale per vivere e per lavorare e può diventare un modello per il futuro”.
Un ricordo legato alla città?
“Ho la fortuna di abitare in una posizione dove posso godere di tre viste ogni mattina: la collina, le montagne e la città. Ognuno di questi panorami suscita in me dei ricordi passati e presenti. La bellezza delle passeggiate in bici o a piedi nel verde della collina o in riva al fiume sin da quando ero bambina, la forza che mi ispira ogni giorno il Monviso con le sue cime innevate e il cielo azzurro e la città, con i suoi palazzi storici, i suoi portici e i grattacieli e poi la bellezza delle persone, il valore degli amici in una dimensione tutt’altro che da bugia nen”.
Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Foto Cristina Di Bari e Campus – Ph: MybossWas e Nicola Gaudiomonte
Le trappole per la lotta a questo coleottero così invasivo
L’elenco è lungo e comprende singoli, appunto Silvio Berlusconi, e aziende come Ferrero, dieci milioni, la famiglia Agnelli, altri dieci, la Reale Mutua, cinque milioni, Giovanni Rana, il Gruppo Miroglio con la produzione, donata alla Regione Piemonte di 700.000 mascherine ed è stato, cosa importante, lo stimolo per altre aziende a riprendere la produzione di mascherine chirurgiche quanto mai necessarie in questo momento.
paese non è in grado, in questo momento, di gestire troppe emergenze. Tornando al tema, quanto fatto è un’azione di solidarietà in un momento drammatico per l’Italia. La solidarietà, lo sa bene chi è di sinistra, non è solo un sostantivo, ma un impegno etico-sociale in determinati momenti e situazioni. Con dieci milioni non si cancellano le leggi ad personam e tutto il resto per Silvio Berlusconi, non si cancellano le responsabilità per il crollo del ponte Morandi per il Gruppo Benetton e così via. Di queste e di altre vicende se n’è occupata e se ne occuperà la magistratura. Ora è il momento della solidarietà e della coesione a tutti i livelli e non dei distinguo e delle polemiche. In una situazione così drammatica non ce lo possiamo permettere. Arriverà il momento per ragionare sui ritardi del governo, della Protezione Civile, delle Regioni, dei singoli cittadini che non rispettano, sciaguratamente, le disposizioni, che vive lo stare in casa come un sacrificio insopportabile dimostrando la fragilità di milioni di italiani mentre tutto il sistema sanitario, medici, infermieri, paramedici e tanti altri fanno i veri sacrifici. Ogni cosa a suo tempo. Ora è il momento dell’impegno e della solidarietà e ben vengano sottoscrizioni come quella lanciata, oltre quattro milioni di euro, da Chiara Ferragni e da Fedez, o da quotidiani ed emittenti televisive. L’Italia ha bisogno che prevalga la parte migliore, ha bisogno, oltre che di solidarietà, di unità.

Hai altri progetti extra Subsonica?
E poi l’offerta arrivata dalla storica associazione Italia-Cuba di medici cubani, formatisi in Africa nella lotta all’Ebola. Dal comportamento e dall’atteggiamento di Cina e Cuba una riflessione viene spontanea, in quei paesi dove il servizio sanitario è garantito dallo stato la lotta a fenomeni come il Corona Virus sono più facili da contrastare alla faccia del liberismo e del mercato regolatore. La cosa positiva, l’ho già scritto, è la risposta della stragrande maggioranza degli italiani, al netto dei deficienti di ritorno, quelli che sono tornati al sud e nelle isole da mammà, o degli imperterriti di parchi e camminate inutili, degli operatori della sanità pubblica e dei lavoratori delle aziende che, giustamente, pretendono maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro. In attesa di vedere cosa succede nel sud Italia, potrebbe essere drammatico l’evolversi della pandemia per la carenza e la colpevole inadeguatezza delle strutture mediche, bisogna incominciare a pensare al dopo. Il comportamento e la reazione degli italiani con video, canzoni, messaggi da l’idea di un senso di paese quanto mai utile in un momento molto difficile e per certi versi drammatici per il nostro paese. Mi è tornata in mente una frase molto bella di Enrico Berlinguer: ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno. Speriamo che la lezione serva ad invertire la riduzione dei posti letto negli ospedali, dei posti di terapia intensiva, ne abbiamo molto meno di Francia e Germania e degli stessi Stati Uniti dove la sanità pubblica di fatto non esiste. Speriamo si faccia un piano sulle aziende strategiche dei vari settori del nostro paese e non solo quello medico-sanitario, si utilizzino risorse nel medio lungo periodo per modernizzare il paese e le strutture ed infrastrutture altrimenti ancora una volta avremo sprecato risorse ingenti sempre e solo in termini emergenziali.
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