Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Jeanine Cummins “Il sale della terra” -Feltrinelli- euro 18,00
Acapulco, Lydia e il figlio di 8 anni, Lucas, sono in bagno quando sentono i colpi a raffica che massacrano la loro famiglia – 16 persone- riunite in cortile per festeggiare la quinceañera di una nipote. Miracolosamente nascosti nella doccia riescono a scampare alla carneficina; ma da quel momento saranno soli al mondo e braccati dai narcotrafficanti.
Iniziano così 400 pagine a perdifiato che narrano l’allucinante corsa verso los Estados Unidos, di una giovane donna e del suo piccolo grande ometto, genio della geografia, che la tragedia ha fatto maturare di colpo. E il romanzo ci catapulta in qualcosa che per noi è inimmaginabile.
I retroscena del massacro vengono svelati strada facendo: il marito di Lydia era un giornalista integerrimo e aveva scritto un articolo sul nuovo jefe dei Jardineros. E’ Javier, criminale a capo di una pericolosa banda di narcos, con patetiche aspirazioni poetiche. Lydia l’ha conosciuto nella sua libreria e ha stabilito un rapporto fatto di intesa e confidenze. Eppure è lui che ha ordinato lo sterminio dei suoi familiari e non si fermerà finché non avrà ucciso anche lei e Luca, che per salvarsi si mimetizzano con le orde di migranti disperati.
“Il sale della terra” è la sconvolgente storia della loro fuga: su treni da prendere in corsa col rischio di essere spappolati, incontri con personaggi dall’umanità dolente, profonda e varia, alcuni pronti a fregarli, altri invece amichevoli. Come le bellissime sorelle Soledad e Rebecca violentate dalla vita e dagli uomini; o Beto, 11enne di Tijuana cresciuto nella miseria di una discarica.
A guidarli verso il Norte -tra pericoli vari, arsura e sole bruciante del deserto, notti gelide e acquazzoni torrenziali- è il coyote El Chacal che, per lavoro, da anni, con
durezza e perizia, porta i disperati verso il confine statunitense.
Un’Odissea che Jeanine Cummins -scrittrice spagnola, cresciuta nel Maryland, residente a New York- ha scritto dopo lunghe e approfondite ricerche, viaggiando da un lato all’altro del confine, per dare voce e rendere omaggio alle “migliaia di storie che non sentiremo mai”. E’ il primo dei suoi 4 romanzi tradotti in italiano e non vediamo l’ora di leggere gli altri
Franck Thilliez “Il manoscritto” -Darkside- Fazi Editore- euro 18,00
E’ un thriller mozzafiato che non ha nulla da invidiare allo strepitoso “Il silenzio degli innocenti” (di Thomas Harris, pubblicato nel 1988, che ha ispirato l’omonimo film con Anthony Hopkins e Jodie Foster).
L’ingegnere e scrittore francese Franck Thilliez ha costruito una trama mozzafiato intorno a sparizioni, torture e omicidi di ragazze scomparse nel nulla, corpi scuoiati, mutilazioni, sadismo, masochismo, necrofilia e perversioni varie e assortite. Tutto scritto con un ritmo incalzante che si presterebbe perfettamente alla trasposizione in film.
Il racconto inizia nel nord est della Francia, nei dintorni di Grenoble, con l’inseguimento di un’auto rubata la cui corsa si ferma in uno schianto. Nel bagagliaio i poliziotti scoprono l’orrore: il cadavere di una giovane il cui viso è stato scuoiato.
Intanto una famosa scrittrice di gialli arriva per assistere il marito vittima di un’aggressione e della conseguente perdita di memoria. Lei è Léane, firma i suoi libri con uno pseudonimo e la sua vita non è più la stessa da 4 anni; da quando la figlia Sarah è stata rapita ed è probabilmente la 9° vittima di un serial killer che non vuole svelare dove ha occultato il corpo. Una tragedia che ha fatto crollare il matrimonio con Jullian, ossessionato dall’idea di scoprire ad ogni costo cosa sia successo alla figlia. Leane rimette piede nell’isolata villa di famiglia sul mare nel nord della Francia e viene catapultata in un incubo senza fine.
A cura di Maggie Fergusson “Pezzi da museo” -Sellerio- euro 16,00
Dal Tenement Museum di New York al Kelvingrove di Glasgow, passando per quello acciaccato di Kabul o quello curiosissimo delle Relazioni Interrotte di Zagabria, spaziando tra Europa, America e Australia.
Sono 22 le collezioni straordinarie raccontate da altrettanti scrittori (non studiosi d’arte): dalle più famose a quelle di nicchia. Il libro nasce dall’incontro tra grandi autori (di cui trovate brevi note biografiche a fondo libro) e i musei sparsi per il mondo che li hanno affascinati. Visitatori d’eccezione capaci di raccontarci riflessioni storiche, culturali, ma soprattutto emotive ed affettive. Con sensibilità e in modo accattivante ci invitano a scoprire esposizioni uniche e particolarissime.
Spesso i racconti sono lo spunto per ripercorre le genesi delle collezioni esposte o per riannodare esperienze e gusti personali. Come l’inglese Jacqueline Wilson al Musée de la Poupée di Parigi “…è come entrare in un libro di favole d’età vittoriana” che la riporta alla sua visita di anni prima con la figlia, e all’amore della sua famiglia per le bambole.
O come la scrittrice britannica di origine sierraleonese Aminatta Forna che ha scoperto l’insolito museo dei cuori infranti. E’ stato fondato da una coppia separatasi amichevolmente che, invece di buttare via gli oggetti che avevano accompagnato il loro matrimonio, ha avuto il colpo di genio di avviare una mostra itinerante. Ha già fatto il giro del mondo raccogliendo una miriade di oggetti posseduti da cuori spezzati, traditi e disillusi che hanno deciso di condividere con i visitatori le storie racchiuse nei loro feticci d’amore.
Altri brani invece sono a suon di musica: dalle composizioni del finlandese Sibelius e la sua casa-museo fuori Helsinki alle note del museo degli Abba.
Poi ci sono autentici pezzi di Storia, come nel racconto di Roddy Doyle che, nel Lower East Side di New York, entra nelle stanze in cui tra fine 800 e inizi 900 si dipanarono le vite stentate di persone comuni che non avevano voce, “…il museo è tutto strati e ondate: strati di pittura, ondate di gente”.
O come Rory Stewart che si avventura in quello che rimane del Museo Nazionale dell’Afghanistan dopo le bombe e i picconi dell’Isis.
Sono tante le meraviglie di questo libro, da leggere tenendosi accanto computer o iPad per andare a vedere o rivedere -almeno virtualmente- quadri e sculture che magari non conoscevamo. Ma anche spunto per futuri viaggi e scoperte da fare, tra gallerie, sale, cultura e bellezza all’ennesima potenza.




Malgrado le evidenti assurdità di norme caotiche e nello stesso tempo molto costrittive, Farinetti si è dichiarato ottimista e soddisfatto dell’ operato del governo, ignorando gli errori, anche quelli più marchiani, commessi nella fase fase 1 e nella fase 2.

Inizia con un incendio e i confusi ricordi una bambina questo coinvolgente e raffinato ultimo libro del re italiano del thriller Donato Carrisi… e non vi molla più; enigmatico fino all’ultima pagina, senza delitti ma con tanto mistero.
tormentata dall’idea di aver commesso un terribile omicidio. Dalle prime sedute di ipnosi tornano a galla elementi inquietanti dal lontano passato di Hanna: come le 5 regole che la piccola “principessa” di 10 anni doveva rispettare per non essere rintracciata dal mondo. Così le hanno insegnato i genitori in continua fuga, arroccati per brevi periodi in casali fatiscenti e in aree abbandonate. Gi estranei li inseguono perché vogliono la piccola cassa con inciso il nome Ado che loro si portano dietro in ogni spostamento. Ma chi è davvero Hanna? Cosa c’è di tanto terribile nel suo passato? Quanto è pericolosa e come sconvolgerà la vita di Pietro Gerber?
E’ un piccolo capolavoro questo romanzo dello scrittore polacco Isaac Bashevis Singer (1902-1991) nato in una famiglia di rabbini, diventato cittadino americano nel 1943 e Premio Nobel per la Letteratura nel 1978.
L’intervista del Corriere mi ha fatto ricordare un comizio, si facevano ancora, per le elezioni europee del maggio del 2009, in Piazzetta Cerignola. Prima di iniziare, ero insieme all’allora Sindaco Sergio Chiamparino e mi sembra Sergio Cofferati, alcuni cittadini che mi conoscevano, essendo cresciuto in quel quartiere, con un fare accorato e già allora disilluso mi segnalarono tutti i problemi di convivenza e di abbandono.
classico della sinistra fighetta, di quella “gauche caviar” che tanti danni ha fatto e continua a fare, per la presenza dei blindati di esercito e carabinieri. Certo che non si risolve solo con quelli ma prima bisogna garantire un minimo di legalità. Gli assembramenti prima durante e dopo le limitazioni per il Covid 19 erano e sono principalmente di spacciatori e loro amici. Avere permesso certe concentrazioni senza controllo è una delle principali responsabilità. Non è un problema di ”abitabilità”, gli extracomunitari che si sono inseriti, come i meridionali immigrati allora, hanno un livello di adattamento e sopportazione superiore a chi spesso ne parla e chiedono solo di potere lavorare e vivere in pace tranquillamente nel rispetto delle regole. I primi ad essere danneggiati sono proprio loro. Alla “Barriera” ci sono affezionato e lì c’ho lasciato il cuore da quel lontano 14 luglio 1967 quando arrivai a Torino con la mia famiglia e come tanti altri andammo ad abitare in quel quartiere popolare. Così quando leggo in cronaca dei giardini di Via Padre D’Enza, dove ho frequentato la scuola media, mi scatta un moto di rabbia per l’abbandono in cui da decenni versa la “Barriera”. Senza un piano serio di investimenti in lavoro, servizi, asili e legalità la situazione non potrà che peggiorare. Mi sono soffermato a parlare del passato perché è impossibile parlare del presente in quanto l’attuale amministrazione, dopo avere fatto lì il pieno di voti, semplicemente non ha fatto nulla. Il prossimo anno ci saranno, almeno sono previste, le elezioni amministrative per eleggere il Sindaco e rinnovare il Consiglio Comunale ed i quartieri popolari faranno la differenza e se ne ritornerà a parlare. Urge un piano vero per quei quartieri. Alla sinistra è evidente che non possono bastare centro, collina e crocetta.