POLITICA- Pagina 40

De Gasperi era anticomunista

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Pier Franco Quaglieni

C’è chi ha fatto notare che la segretaria del Pd avrebbe potuto anche riservare una qualche attenzione ai 70 anni dalla morte di Alcide De Gasperi oltre che dedicare la tessera 2024 ad Enrico Berlinguer  a  40 anni dalla morte. Se il Pd venne fondato nel 2007 come sintesi delle due culture politiche cristiano-democratica e  post comunista rimeditate attraverso i decenni della storia italiana, non dovrebbe sembrare così assurda un’attenzione anche a De Gasperi che “Avvenire” e “Famiglia Cristiana” hanno liberato  in questi giorni dal suo anticomunismo che lo portò già nel 1947 a scaricare dal Governo i comunisti, poi battuti il 18 aprile 1948 , data che i due giornali cattolici ignorano, parlando di De Gasperi, che viene esaltato solo per il suo antifascismo: una operazione storicamente ignobile come fu fatto anche per Giacomo Matteotti, considerato solo come martire antifascista e non anche come fermo oppositore del comunismo italiano e russo.

Quello di celebrare De Gasperi come antifascista e non come l’uomo che salvò l’Italia dal comunismo, difendendone la libertà appena riconquistata, è un’operazione strumentale che rivela anche come i cattolici nel Pd attuale siano considerati dei semplici portatori d’acqua. Infatti,  ciò’ apparirebbe oggi del tutto fuori luogo perché anche solo l’accostamento di De Gasperi a Berlinguer apparirebbe assurdo. Il giovane  Berlinguer ebbe con De Gasperi nel 1950 una dura polemica quando disse che i giovani italiani si sarebbero rifiutati di combattere contro l’Urss. Il presidente del Consiglio rispose  con durezza al pupillo di Togliatti, il quale accusò De Gasperi di “aver tradito lui la patria   consegnandola agli Americani”. Come si vede una polemica piuttosto arroventata. Deanticomunistizzare  De Gasperi appare un’operazione ardita  che forse solo il cardinale Zuppi puo’ pensare di poter fare. La battaglia anticomunista fu la punta di diamante dell’impegno politico e civile di De Gasperi, che solo certi cattolici diventati umili servitori del Pd possono pensare di poter sbianchettare.
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Quello di De Gasperi fu un impegno dedicato alla difesa della libertà e dell’Occidente ,senza cedimenti di sorta. Con Dossetti e i professorini non ebbe nulla da spartire: essi erano già allora considerati dei comunistelli di sagrestia. Anche sulla questione di Trieste, che Tito voleva annettersi, seppe avere la necessaria fermezza. Egli fu un grande italiano e uno dei pochissimi statisti dopo Cavour e Giolitti. È comprensibile che egli venga ignorato, ma non è accettabile che venga falsato nei suoi  aspetti più salienti di politico e di statista che suscitò l’ammirazione di Benedetto Croce. Riscrivere la storia nell’interesse del presente e’ un atto spesso inutile e in questo caso persino ridicolo. Cambiare il passato rivela solo la cattiva coscienza di chi vuol barare anche con la storia perché le argomentazioni politiche sono latitanti.

Ruffino (Az) “Con 1º nucleo elicotteri Carabinieri a Volpiano, maggiore sicurezza”

“Ho avuto modo di apprendere dalla Segreteria Regionale dell’USIC del Piemonte e Valle d’Aosta che il 1° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Volpiano è tornato operativo a tutti gli effetti. Il 13 agosto 2024 è giunto a Volpiano un elicottero AB412, pronto per garantire il supporto aereo di cui le Regioni Piemonte e Valle d’Aosta hanno bisogno, al servizio dei cittadini e dell’Arma territoriale. Un presidio logistico necessario, al quale avevo dedicato, proprio a motivo della sua importanza, una interrogazione al ministro della Difesa.
Ringrazio il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri che con la decisione di inviare un nuovo elicottero al N.E.C. di Volpiano ha reso il Piemonte e la Valle d’Aosta molto più sicure nell’interesse della collettività e dei militari dell’Arma a cui va il mio ringraziamento per l’eccellente lavoro che compiono ogni giorno per garantire la sicurezza di tutti i cittadini piemontesi”.
Lo dichiara in una nota la deputata di Azione Daniela Ruffino.

Carcere, solidarietà dei Radicali agli agenti

“Il carcere di Torino, come gran parte degli istituti penitenziari italiani, è una polveriera.

Lo ripetiamo da anni e lo abbiamo riscontrato in tutte le nostre visite di agosto. Pochi giorni fa siamo stati al carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino: la situazione è drammatica. Le celle sono in condizioni precarie, le strutture fatiscenti e piene di infiltrazioni, l’emergenza psichiatrica evidente. Il tentativo di linciaggio avvenuto ieri nei confronti dei componenti del consiglio di disciplina è, purtroppo, il risultato dell’incapacità del Governo di comprendere la gravità della situazione e a gire per arginare una situazione fuori controllo.

Condanniamo fermamente ogni forma di violenza. Durante la nostra visita al carcere di Torino, abbiamo chiesto ai detenuti di mantenere la calma e di portare avanti le proteste in modo pacifico.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla direttrice e agli agenti costretti ogni giorno a lavorare in un clima inaccettabile. Di fronte a questo dramma quotidiano, il Governo chiude gli occhi e prende tempo. Nulla su provvedimenti immediati, come amnistia e indulto, nulla di concreto sul medio e lungo periodo. Solo inutili e dannosi spot”.

Lo dichiara in una nota Filippo Blengino-Tesoriere Radicali Italiani

Nuova legislatura regionale, le priorità da affrontare. Intervista a Sergio Bartoli

 

Sergio Bartoli, neo consigliere regionale della Lista Cirio, è stato eletto presidente della V Commissione Ambiente dell’Assemblea regionale Piemontese. Lo abbiamo incontrato per fare il punto sulle iniziative della legislatura appena iniziata.

La nuova legislatura presenta importanti sfide per il Piemonte. Quali sono i temi principali da affrontare?

Molte sono le opportunità di sviluppo ma tante sono anche le criticità da affrontare che riguardano il territorio di una regione come la nostra alle prese con il costante invecchiamento della popolazione e con problemi che spaziano dall’occupazione al rilancio dell’economia. Sicuramente il lavoro, in particolare per i giovani dovrà essere al centro dell’attività del Consiglio e della Giunta. La sanità, che assorbe gran parte del bilancio regionale, sulla quale già la precedente giunta Cirio ha lavorato nell’ottica di ridurre le liste d’attesa e migliorare i servizi sui territori. I trasporti, visto che ci sono molte strade pericolose e nuove opere viarie da realizzare. E l’ambiente, di cui ci occuperemo in V Commissione, oggi prioritario anche perché collegato al tema del cambiamento climatico e di conseguenza alla nostra vita e al futuro del pianeta.

Lei è stato per anni sindaco di Ozegna. La Regione si impegnerà per i numerosissimi Comuni del Piemonte?
Per la mia esperienza posso dire che mi dedicherò personalmente in Consiglio regionale a valorizzare il ruolo dei Comuni nella società e nel tessuto economico piemontese. Per anni sono stato sindaco, e un sindaco – in particolare in un piccolo comune – è il primo cittadino nel vero senso della parola: deve essere primo nell’affrontare e possibilmente risolvere i problemi, primo nel prendere di petto le emergenze, primo nel capire la propria gente.

In sintesi il sindaco deve essere un uomo del fare?

Certo, infatti la comunità locale necessita di interventi che vanno al di là delle competenze ufficiali attribuite a un primo cittadino. Così il sindaco si trasforma spesso in una figura a metà tra il volontario e lo psicologo: anche la capacità di dialogo e di ascolto con le persone, saper dire una buona parola a chi è in difficoltà sono aspetti fondamentali di “valore umano aggiunto” nel rapporto tra sindaco e cittadini.

Che sensazione ha in questo suo nuovo ruolo regionale?
Mi avvicino con emozione al Consiglio regionale, istituzione prestigiosa, il Parlamento del Piemonte. Ma sono convinto che a questo prestigio istituzionale si debba accompagnare la capacità e la volontà del Consiglio e dei consiglieri (perché alla fine sono sempre le persone che fanno la differenza ) di agire nel concreto a favore della comunità piemontese.

In chiusura di intervista abbiamo chiesto a Bartoli cosa si aspettano sindaci e Comuni dalla Regione e dalle istituzioni in generale. Ecco alcuni temi da affrontare che ci ha elencato il presidente della V Commissione:

– lo spopolamento dei piccoli comuni che è un problema nazionale: sono il 70% dei comuni italiani, coprono il 56% della superficie italiana, ci abitano 10,5 milioni di persone. Il Piemonte è la seconda regione italiana per numero di Comuni: 1180. Dobbiamo attivarci anche nella nostra regione per combattere il disagio demografico ed economico, la desertificazione commerciale dei centri minori.

– Per garantire un futuro ai piccoli Comuni (in particolare quelle di aree marginali come la montagna) dobbiamo essere capaci di sfruttare pienamente le opportunità finanziarie del Pnrr. Perchè ciò avvenga non sono solo necessarie visione strategica e capacità organizzativa, ma bisogna disporre di figure essenziali come quella dei segretari comunali, dei quali oggi c’è carenza: e anche di questo tema la Regione si dovrà occupare in sinergia con il Governo.

– Dobbiamo poi puntare sulle opportunità residenziali, turistiche e agricole (patrimonio storico, paesaggio e prodotti agroalimentari), che se valorizzate, potrebbero dare nuovo futuro ai territori, recuperare le case vuote, gli edifici storici e le aree agricole.

– Inoltre vi sono problemi legati all’ assetto idrogeologico e alla messa in sicurezza del territorio sempre più fragile e a rischio. Preoccupa il cambiamento climatico che rappresenta una delle sfide più urgenti per i Comuni con le ricadute su cicli di acqua e rifiuti, risparmio energetico, rinnovabili, prevenzione del dissesto, agricoltura.

– Non dimentichiamo, infine, che i territori devono essere connessi tra loro anche dal punto di vista delle comunicazioni: bisogna quindi attivarsi per la piena copertura dei segnali TV e per la telefonia mobile.

La Regione deve quindi aiutare i Sindaci – anche grazie ad adeguate risorse finanziarie – a rendere i Comuni più forti, migliorando i servizi come la sanità e le scuole, per affrontare efficacemente la crisi ambientale e la crisi demografica, promuovere il diritto al lavoro, rendere concrete nuove prospettive di sviluppo.

De Gasperi, Togliatti e l’Italietta di oggi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’Italia dovrebbe ricordare in questi giorni i 70 anni dalla morte  di De Gasperi e i 60 anni da quella  di Togliatti. Questi anniversari, insieme a tanti altri fatti, dovrebbero anche far meditare sulla crisi politica in cui siamo precipitati. Se pensiamo che la figura di De Gasperi è  oggi affidata al ricordo di Angelino Alfano, presidente della Fondazione a lui intitolata, abbiamo il senso del disfacimento dell’Italia politica odierna e la totale mancanza di una cultura politica con una qualche dignità. Il grande statista di Trento che ha guidato 8 Governi, senza ricorrere all’artificio delle  mitizzazioni antistoriche, si rivela un gigante rispetto ai pigmei  comprendendo ovviamente tra questi ultimi anche i politici  dell’opposizione. De Gasperi ebbe un’idea alta della politica intesa a riscattare il Paese dalle conseguenze di una guerra perduta. La sua fu una  visione strategica di grandi vedute che indirizzò il futuro dell’Italia democratica. Rispetto anche ai democristiani del suo tempo e di quello successivo, malgrado una opposizione molto agguerrita, seppe fare della Dc l’architrave della democrazia, sapendo individuare come il male più insidioso sarebbe derivato dalla ingovernabilità  a cui nel 1953 cercò di porre rimedio con il premio di maggioranza, che non era una legge-truffa come diceva Pajetta.
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De Gasperi aveva colto cosa dovesse essere uno Stato liberal – democratico al di la’ dei tentativi di leggere la Costituzione in chiave progressiva da parte del fronte socialcomunista.  Questi aspetti non vengono neppure percepiti da Alfano che al Governo non è andato oltre, come tanti, dall’intento  di conservare la poltrona ministeriale. Anche l’anniversario di Togliatti, che seppe guidare il PCI su una via legalitaria, malgrado gli arsenali conservati dopo la Resistenza. Togliatti era un uomo smaliziato e anche molto fazioso come tutti i comunisti, ma era anche un uomo colto che conosceva la storia. Ci sono episodi della sua vita non giustificabili ma, ad esempio, la svolta di Salerno che impedì alle mosche cocchiere del Partito d’ Azione di sabotare il Regno del Sud impegnato seriamente  nella Guerra di Liberazione, fu un grande gesto di responsabilità nazionale che non fu una mera esecuzione degli ordini di Stalin.
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All’indomani del referendum istituzionale l’amnistia di Togliatti  fu un contributo destinato  a placare gli animi esacerbati e incattiviti da una terribile guerra civile. Togliatti, con la sua autorevolezza, trattenne gli estremisti del suo partito che avrebbero voluto fare una rivoluzione dagli esiti fallimentari per gli stessi comunisti. Per un uomo vissuto a Mosca rischiando la vita sotto il terrore sanguinario di Stalin, non era cosa da poco. Nessuno dei suoi eredi nel PCI puo’ essere confrontato con lui, a partire dal successore Luigi Longo.
Togliatti ebbe grande attenzione verso i cattolici e votò l’art . 7 della Costituzione inserendo i Patti Lateranensi nel testo della Carta. Ma egli non imbrogliò il discorso politico, dicendo esplicitamente: “Vano sarà aver scritto nella nostra Carta il diritto di tutti i cittadini al lavoro , al riposo e così via se poi la vita economica continuerà ad essere retta secondo i principi del liberalismo sulla base dei quali nessuno di questi diritti mai potrà essere garantito”.  E‘ un discorso chiaro senza ambiguità. L’eurocomunismo di Berlinguer barava al giuoco, creando confusione su scelte fondamentali di libertà e democrazia a cui dette credito solo Massimo Salvadori che vide l’approdo della storia contemporanea nell’eurocomunismo pieno zeppo di ambiguità.
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Oggi il discorso di Togliatti suscita imbarazzo e studiati silenzi nei suoi lontani eredi del Pd, se si eccettuano i  personaggi come Fratoianni che ancora ripetono le litanie musicate dal Migliore. E in effetti fu davvero il  migliore rispetto ad un esagitato come Pajetta, un violento come Secchia, un dottrinario dogmatico  come Ingrao e un ex  borghese molto snob come Amendola che architettò la strage di Via Rasella, un grossolano incolto come Longo.

Senza cattolici popolari non esiste il Centro. Lo deve sapere anche Marattin

LO SCENARIO POLITICO  di Giorgio Merlo

Luigi Marattin è uno dei quei tanti parlamentari italiani che sono stati “nominati” dal capo partito.
Nel caso specifico, dal capo di un partito personale, quello di Renzi. Ora, come a volte capita –
seppur raramente – il “nominato” ad un certo punto rinnega il capo e, di norma, viene
indirettamente, ma gentilmente invitato ad andarsene dal partito. Anche perchè, appunto, nei
partiti personali la base deve semplicemente applaudire il verbo del capo mentre chi dissente,
come si suol dire, deve andare “a cantare in un altro cortile”.
Ma, per tornare a Marattin, da tempo ci spiega che, giustamente, si deve superare la
radicalizzazione della lotta politica nel nostro paese e questo perchè l’attuale bipolarismo non è
nè utile e neanche più funzionale per dare stabilità e rappresentatività al sistema politico italiano.
Da qui, dice il Nostro, si deve lavorare per “rifare un partito liberal democratico”. E quindi dar vita
ad un partito di centro che esprima quei valori e quella progettualità che non collimano affatto con
chi concepisce la politica come un’eterna e strutturale contrapposizione tra gli opposti
schieramenti che hanno come unico ed esclusivo obiettivo quello di annientare e distruggere
definitivamente il nemico politico giurato.
Ora, senza approfondire ulteriormente il progetto di questo Marattin, almeno su due questioni è
bene richiamare l’attenzione.
Innanzitutto Marattin adesso ricorda che i “partiti personali vanno definitivamente superati”
perchè i partiti devono essere, appunto, democratici e collegiali. E sin qui tutto bene. Peccato che
Marattin scopra con un pizzico di ritardo questa profonda degenerazione della democrazia
italiana. E questo perchè il punto più squallido e meno nobile, per la qualità della democrazia, dei
partiti personali è quando vengono compilate le liste elettorali. Cioè quando il capo del partito
personale “nomina” i suoi adepti. In quelle occasioni Marattin, purtroppo, non s’è accorto di nulla
e tutto filava liscio. “Tutto va bene, madama la marchesa”.
In secondo luogo, e qui non centra più il metodo ma il merito politico, Marattin dimentica – forse
con un deficit eccessivo di memoria storica o per una disinvolta capriola politica – che il Centro, o
un luogo politico centrista o liberal democratico, non è politicamente credibile nè realisticamente
percorribile senza la presenza attiva e feconda del pensiero, della cultura e della traslazione del
cattolicesimo popolare sociale. E questo non solo per ragioni politiche e culturali storiche ma per
motivazioni che rispecchiano l’identità stessa del nostro paese e il cammino concreto della
democrazia italiana. Senza la presenza di questa cultura politica, un potenziale centro nel nostro
paese si riduce ad essere di matrice puramente tecnocratica, alto borghese ed aristocratica,
oppure è destinato a replicare piccoli – seppur significativi – esperimenti politici ed elettorali. E
cioè, per essere ancora più chiari, la riproposizione in miniatura di un piccolo partito liberale, o
repubblicano o tardo azionista.
Ecco perchè, anche per chi si accorge oggi che esistono i partiti personali e per chi pensa di voler
mettere in piedi una iniziativa politica vagamente centrista, forse è il momento decisivo per non
dimenticare tutto il passato. Sia quello più recente dell’esistenza dei partiti personali e sia quello
più antico, ma sempre moderno ed attuale, del ruolo e della presenza della cultura e della
tradizione del cattolicesimo popolare e sociale per la costruzione di un progetto politico centrista,
di governo, moderato e profondamente democratico.

I Radicali Italiani hanno visitato il carcere di Torino

“Abbiamo riscontrato una situazione drammatica” – ha dichiarato Filippo Blengino, tesoriere dei Radicali Italiani – “in particolar modo nella sezione maschile, dove sono scoppiate rivolte. Le celle sono in condizioni precarie, con strutture fatiscenti e infiltrazioni. Si avverte una situazione di grande tensione; abbiamo chiesto ai detenuti di mantenere la calma. Condividiamo la protesta, ma riteniamo sia opportuno portarla avanti in modo pacifico. Anche in questo carcere si riscontra una palese violazione dei diritti umani. Per questi motivi, denunceremo nuovamente il Ministro Nordio per tortura.”

“Abbiamo visitato anche la sezione femminile, dove le detenute ci hanno chiesto di rendere pubblica una lettera in cui si dissociano dalle proteste violente degli ultimi giorni nella sezione maschile, in quanto tali atti compromettono una corretta comunicazione delle problematiche che loro stesse stanno portando avanti in modo nonviolento. A settembre probabilmente faranno una sciopero della fame per protestare contro la condizione carceraria”

Lo dichiara in una nota Filippo Blengino, Tesoriere dei Radicali Italiani.