
La mostra è ospitata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino
Al Fronte. Cineoperatori e fotografi raccontano la Grande Guerra è la mostra che fino al 3 maggio sarà ospitata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino per celebrare il centenario della Grande Guerra. All’inaugurazione le curatrici Sarah Pesenti Campagnoni e Roberta Basano, hanno illustrato il percorso che si snoderà sulla scala elicoidale e che attraverso 160 fotografie racconta una guerra invasiva e piena di contraddizioni, combattuta in trincea e documentata attraverso fotografie e documentari da cineoperatori e da soldati che hanno combattuto in prima linea. Luis Bogino, fotografo dell’Esercito Regio Italiano, è il principale autore della maggior parte di fotografie che compongono la mostra e che fanno parte del fondo fotografico del Museo Nazionale del Cinema che Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo, ha acquisito nel corso della sua vita.
Per la prima volta cinema e fotografia dialogano insieme per documentare, seppure con un linguaggio di propaganda, un evento bellico che mai prima di allora era stato registrato dai due media.Accanto alle fotografie sarà possibile visionare filmati d’epoca, grazie agli schermi dislocati lungo il percorso, e filmati di finzione che hanno avuto per oggetto la Grande Guerra. Completano il percorso le video installazioni degli artisti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi e le fotografie scattate oggi nei luoghi di guerra da Paola De Pietri per riflettere su come la natura abbia trasformato il paesaggio bellico. Oltre alla mostra, al catalogo che ripropone la maggior parte delle fotografie esposte, e ai percorsi dedicate alle scuole, nel corso delle prossime settimane saranno proiettati al cinema Massimo molti film sulla Grande Guerra, tra i quali l’ultimo restauro del Museo Nazionale del Cinema, presentato nella scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Maciste Alpino (di L.Maggi e L.Borgnetto,1917).
Cristina Colet
Il 30 aprile del 1975, quarant’anni fa, cadeva di mercoledì e con il ritiro degli americani da quel paese del Sud-est asiatico, finiva la guerra in Vietnam. Quando l’ultimo elicottero americano lasciò Saigonsi avvicinava la fine di unodei più sanguinosi conflitti del Novecento, che avrebbe lasciato sul terreno i corpi straziati di tanti innocenti e di giovani soldati mandati a morire senza un perché. Iniziata ufficialmente nel 1955, la guerra in Vietnam aveva visto intensificarsi l’intervento statunitense nel 1964, con bombardamenti a tappeto e attacchi via terra. Teatro degli scontri era stato in prevalenza il territorio del Vietnam del Sud, dove le forze insurrezionali filo-comuniste ( i Viet cong) si opponevano al regime sostenuto dagli USA.La svolta decisiva avvenne nellaprimavera del 1975, con la campagna di Ho Chi Minh (in vietnamita: Chiến dịch Hồ Chí Minh) ,nome in codice assegnato (in onore del leader storico della lotta per l’indipendenza del Vietnam) all’ultima e decisiva offensiva scatenata dall’Esercito regolare del Vietnam del Nord e dalle forze viet cong del Fronte di Liberazione Nazionale.
resto della vita. Sul piano economico le operazioni belliche costarono alle casse di Washington circa 165 miliardi di dollari. I racconti dal fronte dei soldati, scioccati dai massacri di civili e dalla violenza dei combattimenti, colpirono profondamente l’opinione pubblica americana (e non solo), alimentando un ampio movimento pacifista e di contestazione alla politica estera aggressiva degli Stati Uniti, che alla fine influì sul corso degli eventi e portò a cambiamenti epocali nella società; su tutti l’abolizione della leva obbligatoria nel 1973. Nell’ottica della “guerra fredda”, l’esito finale del conflitto sancì una sconfitta bruciante per la superpotenza americana e segnò profondamente la politica estera successiva, vincolando i poteri del Presidente di impegnare truppe su un fronte di guerra all’assenso del Congresso.
Hanoi, dove vengono curati e seguiti bambini colpiti da queste malformazioni – ha stimato che circa 3.500 bambini all’anno nascono ancora oggi in Vietnam con menomazioni ascrivibili alla contaminazione con l’agente arancio. Un’eredità pesantissima del conflitto, che si traduce anche in altre forme come il disagio psichico, la depressione,il panico come quello che – nel 1973 – aveva indotto un piccolo e suo padre a fuggire a bombe e raid, per rifugiarsi sugli alberi della giungla, vivendo da eremiti per quarant’anni. Un’incredibile storia che fece il giro del mondo ma che, insieme alle altre, ci parla ancora di questa storia tremenda che il Vietnam non potrà forse mai dimenticare.
L’intervento, realizzato all’infantile Regina Margherita, è uno dei pochi eseguiti finora al mondo


L’esperienza nel campo di concentramento lo cambiò profondamente soprattutto da un punto di vista psicologico. Dopo essere tornato a Torino ed essersi ripreso fisicamente, cominciò a dedicarsi quasi febbrilmente alla scrittura di un romanzo che testimoniasse la sua terribile esperienza ad Auschwitz; nel 1947 terminò il manoscritto e lo intitolò “Se questo è un uomo”
Nasce in Piemonte un nuovo Comitato per i diritti umani voluto dal Presidente del Consiglio regionale Laus. 