ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 638

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

E’ anni che non si fanno più le benedizioni delle case dopo Pasqua, un’occasione di incontro tra parroco (o suo delegato) e singolo parrocchiano. In un parrocchia torinese è in uso distribuire una bottiglietta di acqua benedetta per una benedizione fai-da-te. In questo caso il contatto con la comunità si è perso

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Pasqua 2017

Venerdì si è svolta a Torino la processione della Via Crucis dalla “Consolata” al Duomo. Giusto evidenziare gli ultimi, come è stato fatto, ma la dimensione della festa dovrebbe riguardare tutti indistintamente. Giusto affermare anche attraverso la religione, i problemi sociali con cui dobbiamo misurarci, ma il rischio è quello di privilegiare la dimensione sociale rispetto a quella del rapporto intimo dell’uomo con Dio. E’ anni che non si fanno più le benedizioni delle case dopo Pasqua, un’occasione di incontro tra parroco (o suo delegato) e singolo parrocchiano. In un parrocchia torinese è in uso distribuire una bottiglietta di acqua benedetta per una benedizione fai-da-te. In questo caso il contatto con la comunità si è perso.

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La Grotta Gino di Moncalieri

La Grotta Gino di Moncalieri ha da poco riaperto i battenti. Non si tratta solo del celebre e storico ristorante vicino all’ospedale in piazza Amedeo Ferdinando, ma della grotta scavata tra gli anni ’50 e’ 60 dell’800 da Lorenzo Gino che il giornale satirico “Pasquino” definì<< il… precursore del Fréjus e del Sempione>>. Dall’ingresso ci si inoltra per circa 50 metri su una barca che percorre l’acqua sorgiva che Gino voleva eliminare dalla sua casa ,scavando la grotta. E’ un piacere quello di visitare la grotta dov’erano conservate 15mila bottiglie di vino e ci sono statue che raffigurano l’autore dell’opera, il re galantuomo Vittorio Emanuele II, e un putto che tiene in mano una dedica al Re. Moncalieri è la città del Castello reale ed è stata la Città del proclama di Moncalieri con cui Vittorio Emanuele sciolse la Camera riottosa ad approvare la pace con l’Austria dopo la sconfitta di Novara del 1849 nella I Guerra di indipendenza. Era una tradizione di molte famiglie torinesi andare a pranzo o a cena al ristorante della Grotta. Mio zio, il barone Fusilli,amava riunire tutta la famiglia per una cena a base di bagna cauda e fonduta con tartufi. Quando venni eletto consigliere comunale nel lontano 1970 invitai gli amici che mi avevano aiutato, a cena in quel locale. Il fatto che dopo tanti anni riapra, è un bel segno. Per molti è una bella notizia.

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Mina, un torinese all’Expo

Alberto Mina ,intellettuale torinese in ascesa e consigliere comunale di F.I., lasciò il Comune nel 2009 per dedicarsi a tempo pieno all’Expo di Milano, per la precisione al Padiglione Italia che ebbe successo a tal punto che le code chilometriche mi impedirono di visitarlo. Mina ha lavorato molto bene ed ha saputo fare delle scelte. E’ l’esempio di un torinese che ha portato lo spirito subalpino in un grande evento milanese di livello internazionale. In effetti i grandi torinesi hanno sempre saputo guardare oltre le Alpi. In politica era un cattolico piuttosto rigoroso, ma seppe sempre aprirsi alle ragioni degli altri, accettando la discussione. Chissà se tornerà a Torino ? Sarebbe un “riacquisto” molto importante per la città.

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Tagli alla cultura

Si torna a parlare di tagli alla cultura che la Giunta Comunale intende attuare. Il paradosso è che molti grandi enti che subiranno i “tagli”, non sembrano preoccuparsi e si allineano con la Sindaca. Sono i Quartieri ed i “piccoli” a lamentarsi perché ne va della loro sopravvivenza. Ho ritrovato un fax del 1999 di Luisella d’Alessandro, straordinaria animatrice del Forum per la Cultura, falciata via in modo brutale ed assurdo. La d’Alessandro era persona stimabile e capace. Venne fatta sparire. Nel fax sta scritto:<< Una volta le associazioni culturali si preoccupavano di dover spiegare d’accapo, ad ogni cambio di giunta o di assessore, che la cultura “corrente”, quella promossa quotidianamente per animare la città, costituisce strumento di educazione permanente, è un importante segno di civiltà, vera arma contro l’impoverimento intellettuale, contro i pregiudizi sociali, persino (davvero !)contro la criminalità urbana ,”micro” o no che sia. Oggi, sarà che tutti i ritmi sono accelerati, almeno per la Città di Torino,questa spiegazione si deve ripetere ad ogni inizio d’anno anche alle stesse persone>>.Allora stava finendo il mandato di uno dei pochissimi assessori capaci e non settari, quello di Ugo Perone, docente universitario di valore, prestato alla politica. Poi non fu più neppure possibile comunicare con chi venne dopo. Oggi la d’Alessandro, forse, non sarebbe nemmeno stata ricevuta dall’assessora alla cultura che non ha mai convocato una riunione delle associazioni culturali, almeno di quelle più rappresentative, per confrontarsi.

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Torino Storia

La storia torinese sembrava essersi ritirata nei fortilizi di un piemontesismo attardato nella contemplazione di un passato che andava ripercorso senza indulgenze nostalgiche. Due anni fa un coraggioso giornalista torinese Alberto Riccadonna ha creato una nuova rivista ”Torino storia” che poteva apparire un’impresa molto difficile. Invece “Torino storia “ sta avendo un grande successo di lettori, sia nella sua edizione cartacea che in quella on line. Essa ci fa ricordare o persino conoscere per la prima volta tanti aspetti della nostra storia, senza pedanterie accademiche, con linguaggio rapido ed efficace, con servizi sempre molto godibili. Vi scrive anche Paolo Verri, una lunga storia torinese che poi si è tradotta in un grande successo internazionale come “Matera capitale della cultura 2019 “. Il corredo fotografico è eccezionale, molte volte, vedendo le sue splendide fotografie, ci si rende conto della bellezza di certi angoli di città che ,magari frequentandoli tutti i giorni, non riusciamo a cogliere per quello che sono effettivamente. La rivista colma un vuoto che certe noiose riviste o certi giornali un po’ impolverati non potevano occupare. Essa ci informa anche degli eventi principali di carattere culturale della città in modo imparziale .La rivista ci fa riscoprire le nostre radici e quello che Omodeo chiamava “il senso della storia”. Conosco da anni Riccadonna, un uomo e un giornalista che ha le sue idee e certo non le nasconde, ma che sa esercitare la professione in modo onesto, trasparente, aperto. Rara avis, per davvero.

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Torino, la decrescita: quella di oggi e quella di ieri

Segnalo un bell’articolo di Andrea Doi su “Nuova società” che denuncia il nuovo “Sistema Appendino” fondato sulla “decrescita infelice” in salsa piccolo borghese che rivela “astio contro la modernità e il progresso”. Parole sante ! Doi cita un fatto incontestabile : Milano cresce in numero di abitanti con circa 300 mila cittadini in più nel 2016 rispetto all’anno precedente, mentre Torino da 890 mila passa a 880 mila. L’unico fatto però che non mi convince è che il direttore della rivista sia Diego Novelli che, da sindaco, si propose come obiettivo proprio quello di diminuire il numero di abitanti .Non fece la Metro ed optò per quella leggera ,convinto che la piccola Torino non avesse bisogno della Metropolitana. Ma è un fatto positivo che il suo giornale, che venne diretto anche da Saverio Vertone, uomo controcorrente e un po’ volubile, sia aperto anche ad altre idee: le generazioni crescono e le vecchie opinioni si rivelano sbagliate o non più accettabili.

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LETTERE (spedire a quaglieni@gmail.com)

Ho fatto la nuova carta d’identità digitale e mi hanno chiesto le impronte. Come mai non le chiedevano ai migranti ?

Ugo di Fazio

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Il fatto che non le esigessero fu un gravissimo errore. Il fatto che sulla sua carta d’identità siano contenute è un passo avanti per tutti. Io ricordo che le carte d’identità avevano lo spazio, che rimaneva vuoto, per l’impronta digitale. Ma ricordo anche una carta d’identità di mio nonno, che aveva l’impronta digitale presa premendo il dito su un tampone d’inchiostro. Poi ritennero irrilevante questo dato. Con la criminalità crescente è invece importante averle ripristinate in digitale, quindi con la sicurezza assoluta che può darci l’informatizzazione.

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Nel “referendum di Pasqua” il futuro della Turchia

FOCUS / di Filippo Re

Il futuro della Turchia è nella mani del popolo turco che domenica 16 aprile dovrà decidere se approvare o meno la riforma costituzionale che consegnerebbe super poteri al presidente Recep Tayyip Erdogan. Lui, il nuovo sultano, per sottolineare l’importanza dell’evento e per raccogliere il voto del maggior numero possibile di turchi prepara un gesto clamoroso che sa di provocazione. Nel Venerdì Santo dei cristiani vuole andare a pregare in Santa Sofia con alcuni ministri e con i capi religiosi di Istanbul alla vigilia del referendum che potrebbe trasformare il Paese della Mezzaluna in una repubblica presidenziale di stampo neo-ottomano modificando radicalmente il volto istituzionale della Turchia.

L’uomo forte di Ankara è pronto a seppellire il kemalismo laico e a proseguire sulla via dell’islamizzazione progressiva della nazione. Nella rete integralista cade dunque anche Santa Sofia. Il decreto firmato da Ataturk nel 1934 che convertiva l’ex basilica da moschea a museo non sarebbe autentico, almeno secondo alcuni storici turchi, e la firma di Kemal Ataturk sarebbe falsa. Pertanto Santa Sofia dovrebbe rimanere moschea come avvenne dopo la conquista turca di Costantinopoli nel 1453. Ma il Paese arriva al giorno del referendum in un clima teso e in un contesto difficile segnato dal calo degli investimenti esteri e dei flussi turistici. Gli attentati terroristici degli ultimi mesi e la crisi diplomatica con alcuni Paesi europei hanno creato un clima di incertezza e di paura. La repressione non accenna a diminuire. Sono già 47.000 le persone arrestate in Turchia dal fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 con l’accusa di legami con la presunta rete golpista del predicatore Fethullah Gulen, in esilio volontario negli Stati Uniti. Tra questi ci sono 10.700 poliziotti, 7600 militari (tra cui 170 generali), 2570 magistrati, 26177 civili e 208 amministratori locali. Le persone poste in stato di fermo dopo il mancato golpe sono state complessivamente 113.000. Si tratta di cifre ufficiali, aggiornate qualche giorno fa dal ministro dell’Interno, ma sono soprattutto numeri da dittatura sudamericana anni Settanta e non certo all’altezza di un Paese che è un pilastro fondamentale della Nato e che fino a poco tempo fa aspirava a entrare in Europa.

La campagna di repressione scatenata dopo il tentato golpe di luglio continua senza sosta e i numeri sono allarmanti anche a marzo: 500 arresti e 2600 persone fermate in un solo mese tra esponenti della minoranza curda e sostenitori di Gulen. E non finisce qui perchè altre centinaia di cittadini sospetti sono ricercati e con tutta probabilità finiranno quanto prima in carcere. É in questo clima minaccioso e repressivo che il Paese della Mezzaluna va al referendum presidenzialista del 16 aprile. Mentre proseguono le purghe di Erdogan la campagna referendaria si incattivisce e le autorità minacciano di tagliare i finanziamenti assegnati ai distretti che voteranno contro la riforma costituzionale. È una caccia all’uomo contro dissidenti e oppositori a cui viene imposto il silenzio mentre il presidente e i suoi ministri compaiono in modo martellante sui mezzi di informazione per far prevalere le ragioni del “sì” alla riforma, oltre 4000 minuti su tv e radio di Stato per il governo a marzo e appena pochi minuti per i curdi.

Le modifiche alla Costituzione, se approvate, segneranno una deriva autoritaria che preoccupa l’opposizione turca, la stessa società civile, l’Europa e la diplomazia internazionale. In caso di vittoria, al presidente turco andrebbero pieni poteri tali da stravolgere la Carta costituzionale attuale. Il leader turco diventerebbe anche primo ministro con il potere di nominare i ministri, sciogliere il Parlamento e dichiarare lo stato di emergenza, la cui decisione, prima della riforma, spettava al Consiglio dei ministri. In pratica il “Consiglio dei ministri” viene rimosso e sostituito dal concetto di “Presidente dello Stato” mentre il Parlamento, ridimensionato nelle sue funzioni, non potrà più porre la fiducia o la sfiducia al governo. Se un disegno di legge verrà respinto dal Parlamento, Erdogan potrà emanare ugualmente la legge senza problemi. Durante lo stato di emergenza, come quello in vigore ancora oggi dopo il fallito golpe di luglio, il presidente avrà il diritto di promulgare decreti con forza di legge. La magistratura perderà la sua indipendenza e sarà sottomessa al presidente della Repubblica mettendo fine alla separazione dei poteri che è uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto. Erdogan potrà nominare gran parte dei giudici dell’Alta Corte di Giustizia, simile alla nostra Corte Costituzionale, e indebolire l’autonomia delle Forze armate con la prevista abolizione dei tribunali e dei magistrati militari. Anche l’esercito, che per decenni ha difeso la laicità della Turchia sorvegliando strettamente i partiti di ispirazione religiosa, andrà sotto il controllo del presidente compreso lo Stato maggiore. I generali, i capi di Stato maggiore e gli ufficiali di grado più alto saranno scelti direttamente dal Leader supremo. Erdogan rimarrà anche il leader del proprio partito e sarà quasi impossibile allontanarlo dal potere.

Se la riforma passa, Erdogan potrà restare in carica fino al 2029. Il 27 marzo hanno cominciato a votare i cittadini turchi residenti all’estero, circa 3 milioni di emigrati, molti dei quali residenti in Germania mentre in Turchia le votazioni sul referendum riguardano 55 milioni di persone. La consultazione referendaria segue le aspre polemiche delle ultime settimane in cui Erdogan criticò duramente la Germania e l’Olanda per aver impedito a funzionari e ministri turchi di tenere comizi elettorali a favore della riforma voluta dal presidente. Tra sondaggi incerti e con molti elettori ancora indecisi, la battaglia referendaria vede schierati a favore della riforma l’Akp, il partito di Erdogan, promotore del referendum, alleato al partito della destra ultranazionalista Mhp che però, scegliendo il “Sì” alle modifiche costituzionali, ha subito una spaccatura interna. Sul versante opposto, per il “no” al referendum c’è il partito filo curdo Hdp il cui leader Demirtas è in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Contrari alla svolta presidenzialista e islamista del sultano sono anche i repubblicani del Chp, il principale partito laico del Paese. Erdogan d’altronde è stato molto chiaro: “coloro che sono per il “no” sono nemici della Turchia e sono legati agli organizzatori del fallito golpe del 15 luglio”. Contro il referendum si scaglia con violenza anche l’Isis che in un messaggio apparso su Rumiyah, la rivista del Califfato, minaccia di attaccare i seggi e uccidere chi vota.

Filippo Re

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

 

Le “Piccole Italie”di Enrico Borghi

Un libro che riaccende l’attenzione sulla “questione territoriale”.  S’intitola “Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale” e arriva in questi giorni nelle librerie. E’ il nuovo saggiopubblicato da Donzelli –  di Enrico Borghi, deputato e Presidente nazionale dell’Uncem. Il libro, con la prefazione di  Ermete Realacci, propone una riflessione su cosa sia la politica territoriale, dopo la fine dell’interventismo statale e la crisi del regionalismo, e su cosa possano rappresentare i territori nella sfida della modernizzazione italiana. “Se si guarda alle dinamiche territoriali che hanno interessato il nostro paese negli ultimi cinquant’anni – scrive Borghi – non si possono non considerare le profonde mutazioni di scenario che si sono succedute. Agli anni sessanta, caratterizzati dalla programmazione statale e dalla pianificazione territoriale, sono seguite le stagioni del regionalismo e del federalismo, fino ai più recenti tentativi di riassetto istituzionale, culminati nella mancata revisione costituzionale“.  Un percorso che contiene non poche omissioni, soprattutto una: l’aver poco insistito sul ruolo dei territori, e soprattutto delle comunità, al punto di relegarle in una posizione marginale. “Le statistiche e gli indicatori – insiste Borghi – parlano dell’emergere in Italia di una vera e propria ‘questione territoriale’, con una marcata polarizzazione tra territori nei quali si concentrano opportunità, risorse, servizi e investimenti e aree in cui si acuiscono l’invecchiamento, la povertà e la desertificazione. Senza assicurare certezze nel campo dei servizi essenziali quali scuole, trasporti, sanità, e senza garantire uno sviluppo che si traduca in occupazione, vengono meno i fondamentali diritti di cittadinanza, con il risultato che qualunque iniziativa è votata al fallimento“. La tesi contenuta nelle quasi duecento pagine del libro è che proprio questi siano i nodi da sciogliere e che su questi temi si disputerà la partita del riequilibrio territoriale e del ruolo delle comunità locali. “L’attuazione di politiche in grado di garantire il diritto di opzione e la libertà di scelta di vita necessita di forme politiche che siano luoghi di rielaborazione del pensiero – sottolinea ancora l’autore di “Piccole Italie” – luoghi nei quali riformulare le prospettive all’interno di una visione di bene comune. Solo così la questione territoriale diventa questione nazionale, ed è per questo che le ‘piccole Italie’ possono contribuire in maniera decisiva a salvare la grande Italia“. Un libro utile, con riflessioni che saranno senz’altro in grado di stimolare un dibattito e promuovere scelte che consentano di superare lo strabismo che ha provocato quella disattenzione verso i territori e le periferie che in molti lamentano.

Marco Travaglini

Laurea e successo

 

Di Paolo Pietro Biancone *

 

La vita, personale e professionale, è fatta di eccezioni che ci fanno riflettere e riapprezzare la regola. Nel mio campo – l’insegnamento universitario – sono quasi sempre chiamato ad accompagnare, formare, motivare, studenti con sogni e prospettive di lavoro ancora da compiersi.

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È la regola laureare chi avrà successo dopo. L’eccezione è laureare chi ha già successo, chi ha già una visibilità professionale e personale, chi ha già maturato esperienze sul campo, con soddisfazione. “Fino alla fine. Questo motto mi accompagna tutti i giorni in campo. E mi ha sostenuto in questi anni passati sui libri. Sono orgoglioso di questa laurea. Fiero di avercela fatta. Felice di aver raggiunto questo traguardo”, ha dichiarato Giorgio Chiellini, neo dottore magistrale in Business Administration presso l’Università di Torino. E come lui, tanti laureati “famosi” si registrano negli anni, solo considerando l’ambito economico aziendale all’Università di Torino, si possono citare, tra i più recenti, Luca Argentero, famoso attore, Federico Grom, fondatore della nota azienda di gelati. La laurea per i più è un mezzo, per alcuni è un fine. Perché per alcuni uomini e donne che hanno raggiunto il successo senza fregiarsi del titolo di dottore la laurea rappresenta un obiettivo postumo da conquistare? La risposta non è ovviamente univoca, ma qualche ragionamento è utile farlo. Gli studi sociologici, hanno evidenziato 3 dimensioni su cui si articola la scelta di frequentare l’università e il relativo indirizzo nell’ordinario, ossia dalla formazione al successo: il background economico e culturale della famiglia di origine, il tipo di diploma conseguito il suo voto. Ed è così che spesso l’origine sociale ipoteca il futuro delle giovani generazioni: l’opportunità di accedere agli studi, al mercato del lavoro, ad una professione appagante. Il fenomeno inverso, dal successo alla laurea, è anche in questo caso spiegabile dall’influenza famigliare. La laurea è una conquista di famiglia. Rappresenta il riscatto familiare, il successo, per alcuni, non basta: il successo familiare è aver portato a termine i propri studi, aver gratificato gli aspetti di conoscenza culturale utili per un’affermazione piena di sé nella società. La laurea completa la persona nella sua sfera professionale, personale e famigliare, ma non è garanzia di fama.

Ogni anno il periodico Forbes stila la classifica dei miliardari, un di cui è la versione più aggiornata della classifica: gli uomini più ricchi al mondo, senza laurea. Da Steve Wozniack, numero 2 di Apple a Bill Gates, fondatore di Microsoft. Da Ted Turner, fondatore della CNN, a Richard Branson, padre della Virgin. Tutti con lo stesso passato in comune. Per alcuni di loro, come Bill Gates, la laurea è arrivata honoris Causa: il fondatore della Microsoft, ex studente alla Harvard, aveva abbandonato gli studi per fondare la famosa e fortunata Microsoft. Così il consiglio accademico dell’ateneo ha deciso di conferirgli una laurea honoris causa “per il prestigio che ha reso al nome dell’università e la filantropia di cui la sua fondazione è stata protagonista nel mondo”.Tredici anni dopo aver lasciato gli studi, anche Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, torna a Harvard per ricevere una laurea honoris causa. “Poche invenzioni dei tempi moderni possono superare Facebook per l’impatto su come le persone di ogni parte del globo interagiscono tra loro”. Così il presidente di Harvard Drew Faust ha motivato la scelta. Tutti i laureati postumi illustri lo confermano nei loro discorsi: la laurea è una promessa di famiglia. E deve essere rispettata.

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*Professore di Economia Aziendale e coordinatore del corso di dottorato in Business & Management dell’università di Torino

 

I commercianti: “No a nuovi ipermercati”

La richiesta alla sindaca  Appendino è quella di “negare l’autorizzazione a nuove aperture  di ipermercati e di rivedere il contratto di servizio con Amiat”. L’appello al Comune giunge da Giancarlo Banchieri, appena rieletto Presidente di Confesercenti di Torino e provincia. In occasione dell’assemblea dell’associazione ha incontrato  l’assessore comunale al commercio Alberto Sacco e l’assessore regionale Giuseppina De Santis e Alberto Graglia.

“Il turismo è sicuramente uno dei punti forti del cambiamento e dello sviluppo della città e riteniamo che il modello dei “grandi eventi” non vada abbandonato:  sono “utili” perché Torino sia sempre più attrattiva”, ha detto il presidente.

Dal  2009 al  2016, a Torino e in  provincia, i negozi sono calati di numero del 9,6%: da 33.597 a 30.379. Segno più solo per il settore della somministrazione, che è passato da 13.190 a 14.577.

All’assemblea ha preso parte anche il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Civico, Osvaldo Napoli, che ha attaccato la Giunta municipale. “A giudicare dalle scelte irresponsabili adottate, c’è davvero da domandarsi se la Giunta Appendino abbia il contatto con la realtà economica e produttiva della città. Come ha sottolineato il presidente della Confesercenti torinese, Bancheri, non ha senso individuare le risorse per asfaltare le strade, attraverso gli oneri di urbanizzazione derivanti dalla realizzazione di nuovi ipermercati. Il Comune deve risolvere le proprie criticità di bilancio con strategie, progetti di ampio respiro e rilanciando l’occupazione. La crisi non si potrà certo superare affossando il commercio tradizionale”. 

(foto: il Torinese)

Lavoratori stagionali in agricoltura: dati e prospettive in Piemonte

Il Gruppo consiliare Partito Democratico ha organizzato un convegno per affrontare la tematica dei lavoratori stagionali nel settore dell’agricoltura, alla luce delle novità introdotte dalla L.r. 12/2016 “Disposizioni per la sistemazione temporanea dei salariati agricoli stagionali nelle aziende   agricole piemontesi. Modifica della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo)”, primo firmatario il Consigliere Paolo Allemano, e dei dati raccolti durante la stagione 2016. La legge stabilisce che “ai fini del supporto all’attività lavorativa stagionale in agricoltura, […] è data facoltà ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali di accogliere temporaneamente salariati agricoli stagionali nei periodi di raccolta della frutta e di attività correlate alla coltivazione”. “Il provvedimento – spiega Allemano – ha modificato la legge urbanistica regionale, consentendo agli imprenditori agricoli di recuperare strutture inutilizzate all’interno delle aziende agricole, fino ad un massimo di 200 metri quadri, per la sistemazione temporanea di salariati stagionali. La superficie è ricavabile da manufatti esistenti anche non residenziali, oppure, in caso di insufficienza o inesistenza degli stessi, da prefabbricati. Anche le piccole e medie aziende agricole, singole o associate, o con la mediazione delle loro categorie professionali, sono state messe in condizione di alloggiare dignitosamente i salariati agricoli stagionali, alla luce del sole e con vantaggi per tutti, senza appesantimenti burocratici. Grazie a questa legge nel caso in cui il picco di migranti stagionali, in coincidenza con la raccolta della frutta, sia superiore alla possibilità di alloggiamento presso aziende, enti pubblici o associazioni convenzionate con gli stessi, potranno essere allestiti dei campi di accoglienza fino a 2 mila metri quadri, interventi per i quali la Regione potrà concedere, a bando, contributi fino ad un massimo di 25 mila euro”.

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Martedì 18 aprile 2017, alle ore 11.00, Consiglio regionale del Piemonte – Sala Viglione – Via Alfieri 15 – TORINO

 Interverranno: 

                Giorgio Ferrero, Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte

                Giovanni Paludi, Direzione Ambiente, Governo e Tutela del territorio

                Delia Revelli, Presidente Coldiretti Piemonte, promotrice aree accoglienza lavoratori

                Mauro Calderoni, Sindaco di Saluzzo

                Luigi Gallareto, Presidente Cisa Asti-sud

                Alessandro Armando, referente progetto “Saluzzo Migrante”, Caritas Saluzzo

            Introdurrà: Paolo Allemano, Consigliere regionale, primo firmatario L. r. 12/2016.

Ha confermato la presenza il Vice Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Andrea Olivero.

La strage di Copti nel Sinai

FOCUS / di Filippo Re

Si fugge come disperati da El Arish mentre ad Al-Azhar si parla di tolleranza e di pace ma nel Sinai i cristiani, considerati “prede” da cacciare, vengono brutalmente eliminati. I copti di El Arish muoiono uno dopo l’altro, uccisi e bruciati, e se ancora vivi, costretti a scappare dalla ferocia dei miliziani del gruppo locale dello “Stato islamico”. La violenza islamista si abbatte sulla comunità cristiana con ferocia e nell’indifferenza del mondo. Anche il nord del Sinai si svuoterà di cristiani, come avviene in Siria e in Iraq, a Mosul, nella Piana di Ninive o a Raqqa ? Trascorse poche settimane dagli ultimi massacri, la fuga dei copti dal Sinai sembra non importare più a nessuno, oscurata da altre vicende e dalla volontà del regime di farla passare in secondo piano ma proprio qui, in questo minuscolo angolo del mondo, si accanisce la persecuzione contro i cristiani. E così accade che sulla stampa egiziana sono sparite velocemente le notizie sulle violenze sui copti mentre per il governo la crisi sembra superata dopo aver inviato nei luoghi degli eccidi, nel nord della penisola del Sinai, qualche convoglio di aiuti umanitari e di viveri.

Troppo poco e tutto ciò a dispetto dei tanti segnali di tolleranza e di cordialità lanciati nei giorni scorsi dal maestoso simposio internazionale organizzato dall’ Università di Al-Azhar, la massima autorità dell’Islam sunnita, sui temi della libertà religiosa e della cittadinanza, alla presenza di centinaia di personalità religiose e laiche provenienti da 50 Stati e con la partecipazione di cinque Patriarchi e decine di vescovi mediorientali. Non sono calati gli attacchi ai cristiani sotto la presidenza di Al Sisi nonostante i suoi proclami quando nel luglio 2013 il generale si presentò al mondo come un campione di liberalità verso le minoranze. Ad Al-Arish, capoluogo del Governatorato del Sinai del nord, dove si è scatenata la furia omicida dei jihadisti, i cristiani, sempre meno difesi dalle forze di sicurezza egiziane, sono quasi spariti. Come già ai tempi di Bin Laden, anche oggi l’Isis promette una nuova “pulizia religiosa” cacciando i cristiani dalla penisola. Sono almeno 300 le famiglie copte (oltre 1500 persone) fuggite a causa delle violenze che nell’ultimo mese hanno causato la morte di una decina di persone. L’improvvisa catena di attacchi ha seminato terrore e panico tra i copti che vivono nella città costiera che dista soltanto una cinquantina di chilometri da Gaza. Tre anni fa, nella penisola sul mar Rosso, l’Isis dichiarò guerra contro lo Stato egiziano prendendo di mira non solo polizia e soldati ma anche i cristiani accusati di collaborare con le autorità. I guerriglieri fanatici di Ansar al-Maqdis, gruppo jihadista locale, affiliato al Daesh, comiciarono a sparare all’impazzata contro la popolazione, senza risparmiare nessuno, compresi capi tribali e musulmani moderati come i sufi, considerati però “eretici” dagli integralisti. Già nell’estate del 2013 a El Arish ci furono gravi episodi di intolleranza e da quel periodo il Sinai è sempre sfuggito al controllo dell’esercito egiziano e molti cristiani sono stati costretti a cercare rifugio in altre città a causa della violenza estremista. Proprio a El Arish, nel giugno scorso, era stato ucciso padre Rafael Moussa, prete della chiesa di San Giorgio, e il monastero di Santa Caterina, metà tradizionale di migliaia di pellegrini è da tempo chiuso per motivi di sicurezza. Tra i fatti recenti più violenti, l’attentato suicida dell’11 dicembre scorso nella chiesa copta ortodossa di San Pietro e Paolo al Cairo, accanto alla cattedrale di San Marco, con 29 vittime. Ma era solo l’inizio della persecuzione contro gli “infedeli” e contro i musulmani moderati. I tagliagole del Califfo avevano già atrocemente colpito i copti due anni fa sgozzando sulle spiagge libiche di Sirte 21 egiziani cristiani rapiti dall’Isis che prima di morire avevano voluto perdonare i loro killer.

La comunità copta d’Egitto è da sempre nel mirino degli estremisti islamici, sia qaedisti che Fratelli musulmani e Daesh, per aver sostenuto nel 2013 la destituzione dell’ex presidente Morsi, leader della Fratellanza. Non votarono per Morsi perchè si rischiava una pericolosa deriva islamista ma per i generali vicini ad Al Sisi che poi andò al potere. E proprio dal golpe militare del 3 luglio 2013 che ha rovesciato il governo dei Fratelli musulmani, il nord del Sinai è diventato un’area molto pericolosa al confine con Israele e la Striscia di Gaza, covo di gruppi radicali jihadisti, terroristi, trafficanti di armi e migranti, dove è in atto uno scontro frontale con i reparti dell’esercito egiziano, le forze di polizia e la minoranza cristiana. Non esistono dati ufficiali ma i copti cristiani sarebbero il 10% della popolazione egiziana (90 milioni) e rappresentano una delle più antiche comunità della regione. I cristiani egiziani appartengono in gran parte alla Chiesa copta ortodossa e sostengono il regime del presidente Al Sisi nella speranza di subire meno discriminazioni nella vita quotidiana. Sono infatti svantaggiati, rispetto ai musulmani, soprattutto nel lavoro e nell’istruzione. Malgrado il presidente Abdel Fattah al-Sisi aumenti i segnali di attenzione verso i cristiani le disparità di trattamento con la maggioranza musulmana restano ampiamente presenti nel Paese. L’obiettivo dei terroristi è quello di indebolire il governo, destabilizzare l’Egitto, allontanare i turisti colpendo duramente l’economia e costringere i copti ad abbandonare il Paese nel segno di un’ostilità anti cristiana sempre più marcata. Ma la lotta jihadista minaccia anche Israele che fa finta di nulla pur vedendo che l’Isis è in grado di seminare il terrore e la morte in una città come El Arish a una trentina di chilometri dal confine con lo Stato ebraico oppure di lanciare razzi verso la città israeliana di Eilat, generalmente intercettati dall’Iron Dome, le sofisticate batterie antimissile in dotazione alle Forze armate di Gerusalemme. La situazione nel nord della penisola pare fuori controllo e neppure i 30.000 soldati egiziani schierati sul territorio sono riusciti in due anni a sconfiggere poche migliaia di guerriglieri, a mantenere l’ordine e a difendere la grande comunità copta a rischio estinzione.

Filippo Re

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

Archeologia industriale, 692 i siti in Piemonte

Sono 692 i siti di archeologia industriale in Piemonte. Dalle miniere aurifere di Ceppo Morelli e di Macugnaga ai lanifici e cotonifici del Biellese, dai vari sistemi di mulini che alimentavano gli opifici alle carbonaie legate ai sistemi di trasporto e lavorazione del legname, dalle fornaci di Mondovì alle cave di marmo di Paesana. Antichi edifici di fabbriche, centrali idroelettriche, cartiere, lanifici che nei secoli sono stati fonti di lavoro e di ricchezza per interi territori oggi rimangono vuoti e inutilizzati per mancanza di fondi per la ristrutturazione dei locali.

Si è parlato anche di questi beni da valorizzare nella seduta della Commissione Urbanistica di oggi che ha poi espresso parere negativo a maggioranza alla proposta di legge 150, presentata dal Movimento 5 Stelle, sugli “Interventi per la valorizzazione e la promozione del patrimonio di archeologia industriale.

“La bocciatura di questa proposta non esprime disinteresse per i siti di archeologia industriale – precisa Nadia Conticelli, presidente della II Commissione – ma vuole evitare di moltiplicare leggi su argomenti molto simili, preferendo invece un quadro normativo unico e ben organizzato. Stiamo lavorando per arrivare entro l’estate alla votazione del Piano paesaggistico regionale (già approvato dal Ministero) che comprende anche seicento siti di archeologia industriale censiti dall’assessorato. Il nostro scopo è valorizzare i siti industriali dismessi ed il territorio in cui sono inseriti, anche coinvolgendo investitori privati”.

La prima firmataria della proposta di legge, Francesca Frediani (M5S), si dice “disponibile a modificare il testo della pdl poichè il censimento è già stato realizzato, ma dobbiamo occuparci anche degli Ecomusei già esistenti. A noi preme restituire parti di territorio che ora sono semplicemente zone industriali abbandonate. Vogliamo valorizzare la loro storia e restituire questi immobili ai cittadini perchè li possano utilizzare per iniziative culturali”.

Alla discussione hanno partecipato anche i consiglieri del Movimento 5 Stelle, del Pd, del Movimento Democratico Progressista e di Forza Italia.

 

(foto: il Torinese)

FC – www.cr.piemonte.it

“Natura che Cura” fa tappa a Torino

Il progetto è dedicato agli studenti dagli 8 ai 13 anni e alle loro famiglie con lo scopo di sensibilizzare i giovani alla prevenzione delle malattie attraverso stili di vita salutari

 

Il progetto “Natura che Cura” per l’anno scolastico 2016/2017 coinvolgerà molte scuole su tutto il territorio nazionale in una serie di incontri tra studenti e medici. Il progetto AMIOT – Associazione Medica Italiana di Omotossicologia – con il contributo incondizionato di GUNA S.p.A, prevede l’utilizzo di un kit multimediale per aumentare la conoscenza degli studenti sul tema della prevenzione delle malattie a 360° mediante corretti stili di vita e sull’uso consapevole e appropriato delle medicine di origine biologico-naturale.

 

Lunedì 10 aprile – nelle fasce orarie 08.00-09.45 e 09.55-11.35 –

la Dr.ssa Ileana Potenza spiegherà l’importanza di adottare corretti stili di vita agli alunni

della Scuola Secondaria di Primo Grado I.C. Marconi-Antonelli di Torino (TO).

 

L’iniziativa “Natura che Cura” è dedicata agli insegnanti, agli studenti dagli 8 ai 13 anni e alle loro famiglie, coinvolgendo direttamente le scuole primarie – in particolare le classi terze, quarte e quinte – e secondarie di primo grado italiane, con lo scopo di sensibilizzare gli studenti alla prevenzione delle malattie attraverso stili di vita salutari. Aiutare i più giovani e le loro famiglie a comprendere le potenzialità dei rimedi naturali in chiave preventiva, al fine di aumentare l’indice di benessere della popolazione, significa fare in modo che anche gli adulti di oggi, oltre a quelli di domani, possano fare luce su un argomento ancora sconosciuto a molti e possano optare per una scelta responsabile a tutela della propria salute.

 

Con il supporto del kit multimediale i medici esperti di medicina naturale illustreranno agli studenti e ai loro insegnanti come le cosiddette Medicine Complementari si rivelino essere una scelta di rispetto per la salute dell’uomo, contribuendo così a sfatare i pregiudizi che ancora pesano su questi strumenti terapeutici e attribuiscono a queste cure una minore efficacia rispetto ai farmaci convenzionali. Il vero cuore della lezione a supporto didattico per il medico/docente sarà infatti una chiavetta usb che è stata strutturata attentamente da esperti pedagogisti e insegnanti – per le Scuole Primarie e Secondarie di Primo Grado – trattandosi di u-n vero e proprio percorso di conoscenza che il medico/docente ha la possibilità di approfondire, per fornire agli tudenti e agli insegnanti interessanti informazioni e generare riflessioni condivise. Per sensibilizzare anche i genitori gli alunni che assistono alla lezione porteranno a casa una documentazione informativa che brevemente, ma con efficacia, illustri la genesi, l’uso e la validità delle Medicine non Convenzionali.

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Ztl: vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili”

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Il nuovo libro di Elisabetta Chicco

E’ appena uscito, edito da Castelvecchi, il bellissimo ed assai documentato libro “Nietzsche .Psicologia di un enigma” di Elisabetta Chicco Vitzizzai, nota ed apprezzata scrittrice torinese. Laureata all’Università di Torino in Estetica e in Psicologia Clinica, è autrice di romanzi di successo, anche se nel saggio rivela doti non indifferenti di ricercatrice e di studiosa di rango che difficilmente convivono in una narratrice  di straordinaria fantasia e creatività come è Elisabetta.Il libro coniuga una riflessione sull’opera filosofica di Nietzsche  con lo studio della sua vita e della sua personalità.Particolare interesse assume il capitolo sulla fine del filosofo. L’indagine rigorosa condotta attraverso la lettura  approfondita del suo epistolario contribuisce significativamente  all’evoluzione degli studi nicciani ,una italianizzazione consentita da Umberto Eco. Il libro fa anche  implicita giustizia delle tante sciocchezze scritte su Nietzsche  da sedicenti germanisti torinesi del passato, incredibilmente presi sul serio anche  dall ‘editore Einaudi.L’autrice che si è cimentata con la narrativa,la poesia,il teatro e anche con la pittura (è figlia del notissimo ed apprezzato artista Riccardo Chicco(un pilastro della storia dell’arte novecentesca, non solo torinese)è, a sua volta, una protagonista della vita intellettuale subalpina, prima come docente nei Licei di stato ,poi come scrittrice e come conferenziera  di rara seduzione intellettuale. Remo Bodei, uno dei maggiori filosofi italiani che ha scritto una lunga prefazione al libro, ha scritto che l’opera della Chicco è “una sfida alle leggende tenacemente sopravvissute sulla vita e il pensiero di Nietzsche”. Una parte del libro è ovviamente dedicato al soggiorno torinese del filosofo a Torino.

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Alassio, il “Toscana”, ”L’Unità” 

Una domenica di quasi cinquant’anni fa andai ad Alassio con una mia compagna di liceo. Era uno dei miei primi viaggi in cui guidavo la Fulvia  che mi aveva regalato mio padre per la maturità. Era primavera e la città del Muretto era illuminata di sole. Non c’era la folla domenicale che c’è adesso. Si parcheggiava con facilità. Era la Alassio di Mario Berrino, il pittore che aveva ridato ai torinesi il piacere della vacanza al mare dopo gli anni tormentosi della guerra. Andammo a pranzare in un ristorante che non conoscevo, il “Toscana” ,che c’è anche oggi ed è sempre piacevole come allora. Entrai in quel locale  con la mazzetta dei giornali, la più visibile ,casualmente, era la testata dell’”Unità”. Un cameriere  torinese che faceva la stagione al “Toscana” – è un fatto incredibile ,ma vero –  dopo avermi portato una sogliola alla mugnaia (allora, noi torinesi, apprezzavamo ,da veri provinciali, quasi soltanto quel pesce di mare )mi sussurrò testualmente :”Compagno, dì che non è cotta, così te ne porto un’altra”. Quel giornale, in quel clima di svolte epocali di sinistra, dava un senso-diciamo così- di  fortissima appartenenza, oggi impensabile .Per fortuna dei ristoratori, ma soprattutto nostra…  Non era del tutto casuale che quel cameriere fosse torinese.

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Francesco Barone  il filosofo della libertà 

 Il torinese Francesco Barone è stato uno dei più grandi filosofi della scienza, docente all’Università e alla Scuola Normale  di Pisa dove la baronia di  Augusto Guzzo nella Facoltà filosofica torinese costrinse  il laico Barone ad emigrare. Un po’ come accadde a Mario Fubini  a causa di Giovanni Getto che era sì cattolico, ma  che con i suoi allievi ,lui rigorosissimo fino al paradosso, si rivelò molto liberale.  L’altro sabato ho parlato di Barone  a lungo  con il suo allievo prediletto Marcello Pera,  mio amico da una vita.  Era figlio di un tipografo de “La stampa” alla quale collaborò per anni con elzeviri di grande valore. Lo aveva chiamato al giornale  Carlo Casalegno. Poi lo esclusero da quella collaborazione, cui teneva moltissimo. Ci soffrì molto. Scriveva importanti  articoli  sull’Illuminismo e sui rapporti tra filosofia e scienza ,ma si occupava anche  di università e di scuola con grande  coraggio e  assoluto anticonformismo, denunciando gli errori del ’68 e i pericoli della violenza contestatrice a cui si oppose tenacemente, e inutilmente, a Pisa come preside di Facoltà. La stessa città dove D’Alema e Mussi furono protagonisti di una contestazione un po’ troppo esagitata. Pera, nel corso della nostra conversazione lo ha definito “un liberale torinese  di temperamento, prima ancora che di cultura”. Non avrebbe  potuto dire meglio. 

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I cavalieri di gran croce romani 

A Torino con Antonio Maria Marocco, Paolo Emilio Ferreri, Enzo Ghigo, SIlvio Pieri, Mario Garavelli, Carlo Callieri, Giovanni Quaglia e pochi altri  fondammo in prefettura , esattamente dieci anni fa ,l’associazione nazionale degli insigniti del cavalierato di gran croce , l’equivalente italiano della Legion d’onore francese. Poi l’associazione trasmigrò a Roma, come forse era indispensabile e sicuramente inevitabile. Tutto ciò che nasce a Torino è destinato a finire a Milano o a Roma. L‘altra sera abbiamo festeggiato la Pasqua con il presidente Raffaele  Squitieri , presidente della Corte dei Conti. Di tanti cavalieri torinesi l’unico dei fondatori presente ero io. Ma è stato bello conversare con tanti amici provenienti da ogni parte d’Italia: prefetti, ambasciatori, docenti universitari, generali. Nel mio tavolo ho conosciuto un grande medico di Bologna che scrisse il testo una canzone di Lucio Dalla. L’associazione è una grande risorsa per la Repubblica ,una riserva di uomini e di donne al servizio dello Stato. Non a caso, tra noi, c’era anche il prefetto Tronca che a Milano e  a Roma si è distinto per le sue doti e per la sua onestà.

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Tom e il cimitero Sud

Mi ha sorpreso che lo storico vicesindaco di Chiamparino, Tom Dealessandri , sia invischiato in una vicenda relativa al crac del CSEA ,il consorzio per la formazione professionale partecipato dal Comune di Torino. Mi auguro per lui che si risolva nel migliore dei modi e che la Magistratura contabile accerti la sua non responsabilità per una vicenda per cui sono stati condannati sul piano penale amministratori  del CSEA.  Non ho mai conosciuto di persona il mitico Tom del decennio chiampariniano che fu anche assessore ai cimiteri. In occasione di un funerale in quello squallido cimitero torinese costruito a misura dei casermoni di via Artom -il Cimitero Sud, p oi ribattezzato da Beppe Lodi Cimitero Parco- scoprii una raccapricciante  lapide , piuttosto vistosa. in un settore del cimitero che riportava  parole che mi parvero  irrispettose dei morti: “Salme indecomposte”. Fotografai la lapide e la mandai ai giornali. Dopo circa un mese di silenzio si fece sentire anche l’assessore che non trovò fuori posto quell’iscrizione e scrisse che ,al massimo, era questione di punti di vista e di sensibilità personale. Mi rimase in mente la risposta dell’assessore e vice sindaco di Torino. Forse avevo torto io, ma la burocrazia non può essere sempre insensibile ed aver sempre ragione, anche quando sbaglia, non rispettando la dignità delle persone.

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ZTL fino alle 19 

Molti commercianti del centro torinese hanno affisso  sulle loro vetrine  un modesto foglio  senza commenti polemici,denunciando l’idea folle che l’amministrazione comunale ha in mente: estendere la zona ZTL fino alle 19 ed estenderne anche i confini. Non vorrei che qualche zelante vigile contestasse  loro l’affissione abusiva del foglio. Soprattutto vorrei che  non passasse un’idea a danno dei negozianti e anche dei torinesi  che non potrebbero accedere al centro ,di fatto nel corso dell’intera giornata, se non  in bus o taxi. Tutto ciò che oggi può danneggiare le aziende che reggono e affrontano una  crisi che ha portato molti a chiudere, andrebbe, non foss’altro per ragioni di buon senso, osteggiato con tutti i mezzi possibili. Il timido foglietto di carta bianca non basta

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LETTERE (scrivere a quaglieni @gmail.com)

Ho letto il suo ricordo di Giovanni Sartori che mi è piaciuto, ma perché ha taciuto la sua contrarietà all’immigrazione islamica ? Non è da lei.

                                                                             Giuseppe Lomonaco

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Ho scritto di getto il ricordo di Sartori pochi minuti dopo aver appreso della sua morte. Ho citato la sua difesa di Oriana Fallaci e la sua polemica contro Gino Strada. Ho dato erroneamente per sottintesa la sua posizione critica sui rapporti con l’Islam. Andava invece citata e andava anche aggiunto che egli venne esaltato come critico di Berlusconi,ma successivamente  isolato e censurato per aver denunciato i pericoli insiti nell’islamismo. La mia preoccupazione,per altri versi, era quella di evidenziare la statura di uno studioso di straordinario valore che pochissimi politici italiani hanno letto. E ne vediamo (e ne paghiamo)le conseguenze.

pfq