ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 625

Il Poli ospita la 26a International Conference on Robotics

Dall’agricoltura all’intrattenimento, fino all’aerospazio, alla medicina, all’industria: la robotica sta assumendo una centralità nei sistemi di produzione e non solo mai conosciuta in passato. Questo grazie anche a interfacce sempre piu´ autonome, intelligenti e capaci di imitare il comportamento umano.

foto: il Torinese

Dal 21 al 23 giugno, Torino diventer¨¤ capitale europea della robotica, con pi¨´ di 120 esperti e ricercatori provenienti da 30 Paesi per la 26a edizione della conferenza RAAD (International Conference on Robotics in Alpe-Adria-Danube Region), ospitata dal Politecnico di Torino e promossa dai prof. Carlo Ferraresi e Giuseppe Quaglia (Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale).

Le 24 sessioni tematiche copriranno tutti i principali settori di ricerca e di applicazione della robotica. Si va dalla sessione dedicata ai droni, con le loro applicazioni estese ormai dall¡¯agricoltura alla tutela dei beni culturali, alla sicurezza, a quella che si occuper¨¤ di esoscheletri, cio¨¨ di strutture indossabili di supporto e potenziamento delle capacit¨¤ umane. Altre sessioni, solo per citarne alcune, saranno dedicate alle applicazioni biomediche, ai robot mobili (che possono essere di supporto ad esempio in caso di calamit¨¤), oppure ai dispositivi di afferraggio: le ¡°mani¡± dei nostri futuri compagni robotici.

Tutte queste nuove applicazioni rappresentano uno straordinario stimolo verso la ricerca e lo sfruttamento di nuovi materiali, strutture, attuatori, sensori, immagazzinamento energetico, tecniche di controllo. La Robotica ¨¨ oggi quindi un campo di ricerca nel quale coesistono tante discipline differenti.

Anche il Politecnico di Torino ha recentemente rafforzato ulteriormente la propria ricerca nel settore in direzione multidisciplinare, grazie alla creazione di un nuovo Centro Interdipartimentale coordinato da Marcello Chiaberge (Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni) e dedicato in particolare alla robotica di servizioPIC4SeR, con lo scopo di accompagnare il mercato, attualmente in una fase di crescita, grazie ad un approccio alla ricerca di tipo multidisciplinare, basato sulle tecnologie e sulle applicazioni. In questo modo, sar¨¤ possibile unire e integrare soluzioni innovative legate non solo a controllo, percezione, intelligenza artificiale, sistemi di locomozione e architetture meccaniche intelligenti, ma anche agli aspetti della progettazione, dell¡¯interazione e della sicurezza, cos¨¬ come alle questioni sociali, economiche ed etiche sottese all¡¯introduzione dei robot in tanti campi della nostra vita.

 

Nocciola, via le “Langhe” dall’Olanda

L’Olanda ha comunicato formalmente la cancellazione della dicitura “Tonda Gentile delle Langhe” dal proprio registro vivaistico nazionale.
«L’Olanda ha mantenuto l’impegno preso a febbraio  – commenta l’eurodeputato Alberto Cirio, primo firmatario insieme al presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, della denuncia presentata alla Commissione Ue sull’uso improprio del nome “Langhe” – Ora resta da risolvere il problema in Italia. Il Ministero ci aveva spiegato che, una volta ottenuta la cancellazione dal registro olandese, sarebbe stato immediatamente corretto anche quello italiano. Ci aspettiamo, quindi, che non ci siano ulteriori indugi. Io la mia parte da Bruxelles l’ho fatta, ora – conclude l’on. Cirio – Roma faccia la sua».

Assemblea di Condominio in presenza di comproprietari: coniugi, eredi, multiproprietari

L’Amministratore di Condominio a chi deve notificare il verbale d’assemblea?
Chi può votare nell’assemblea del condominio?
Purtroppo il codice civile italiano non è chiaro in merito alla convocazione del comproprietario ed inoltre non viene stabilita la necessità o meno di convocare tutti i comproprietari di un alloggio. Per esempio tutti gli eredi di un consorzio ereditario non ancora diviso (per i latinisti: consortium èrcto non cìto); oppure marito e moglie e così via.
Abbiamo una giurisprudenza di Cassazione molto datata (ma tuttora valida) che indica che “affinché uno dei comproprietari pro indiviso [di un alloggio] (…) possa ritenersi ritualmente convocato a partecipare all’assemblea del condominio, (…) con riguardo ad affari di ordinaria amministrazione da altro comproprietario della stessa unità immobiliare, (…), che l’uno dei predetti comproprietari abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell’assemblea (…) (Cass. 11.11.92 n. 12119, 28.7.90 n. 7630, 25.5.84 n. 3231, 24.1.80 n. 590). Tra i comproprietari vigono le regole del mandato con rappresentanza Cass. 26.4.94 n. 3952) (Cass. 27 luglio 1999 n. 8116).
In altre parole: basta convocare uno solo dei comproprietari per rendere valida la convocazione.

L’amministratore è tenuto a convocare tutti i comproprietari
Come spesso accade in Italia, vi sono anche sentenze che indicano esattamente il contrario di quanto detto precedentemente: Cass. n. 7630 del 28 agosto 1990, nella quale si afferma che l’amministratore è tenuto a convocare tutti i comproprietari; salvo la possibilità di provare che l’avviso diretto ad uno degli interessati possa essere considerato valido per tutti (Trib. Bari 1 luglio 2012 n. 2422).

Una volta convocati i condomini-comproprietari possono partecipare secondo le regole stabilite dell’art. 67 disp. att. c.c.: “qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’articolo 1106 del codice”. Ovviamente, e senza un’indicazione normativa, sta alla sensibilità del Presidente dell’Assemblea, valutare se richiedere la prova della delega scritta da parte del legale rappresentante della comproprietà.

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http://www.amministrazionidicondominio.com/

Il Daesh (con o senza Al Baghdadi) semina terrore

FOCUS  di Filippo Re

Nonostante si avvicini la fine del “Califfato” in Siria e in Iraq, il Daesh, con o senza Al Baghdadi, forse ucciso in un raid aereo russo attorno alla città siriana di Raqqa, continua a seminare terrore e morte in altre parti dell’Asia, dall’Iran all’Afghanistan. Il duplice attacco al Parlamento e al Mausoleo di Khomeini fa crescere il livello dello scontro tra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia nel Golfo. Sono sotto choc gli iraniani colpiti a casa loro da una cellula terroristica locale, originaria del Baluchistan e affiliata all’Isis. Pensavano che l’Iran fosse l’unico Paese sicuro in quella regione del mondo sempre più esplosiva e invece la mattina del 7 giugno hanno conosciuto la dura realtà del terrorismo all’attacco di alcuni dei luoghi simboli del potere iraniano, il Parlamento e il mausoleo dove è sepolto l’Ayatollah Khomeini, il padre fondatore della Repubblica islamica dell’Iran.

Erano tornati di recente dalla Siria dove avevano combattuto per il Califfato i cinque terroristi iraniani che hanno gettato nel caos e nel terrore la capitale iraniana uccidendo 17 persone e ferendone una cinquantina. Non era mai accaduto a Teheran. Negli anni scorsi americani e israeliani volevano addirittura colpire l’Iran con i loro bombardieri per mettere fuori causa gli impianti nucleari ma non se ne fece nulla. Ora ci ha pensato l’Isis con appena cinque attentatori perchè mancava Teheran nell’elenco delle città prese di mira dai jihadisti. Dopo ripetute minacce i miliziani di Al Baghdadi sono passati all’azione per colpire il cuore del mondo sciita e persiano. L’Iran è ritenuto il nemico numero uno dei gruppi estremisti sunniti, da combattere senza tregua. Per l’ideologia salafita jihadista il culto delle tombe di imam e capi religiosi è considerato un rito pagano da distruggere con qualsiasi mezzo. In Libia, Siria e Iraq monumenti funebri e santuari sciiti e sufi sono stati rasi al suolo. Ma per il regime iraniano dietro l’assalto al centro del potere c’è la mano degli americani e dei sauditi che dopo aver rotto i rapporti diplomatici con il Qatar perchè sostiene il terrorismo ed è troppo vicino agli ayatollah, rivoluzionano le alleanze nel Golfo e puntano a destabilizzare la massima potenza sciita. Gli attentati a Teheran giungono in un momento di grande tensione nella regione cresciuta dopo il viaggio del presidente Trump a Riad dove accusò l’Iran di essere la base del terrorismo nel mondo. Secondo alcuni analisti una guerra frontale tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che già si combattono per procura, con l’appoggio di eserciti locali e milizie fedeli, in Siria, Iraq e nello Yemen è oggi molto più vicina. Lo scontro tra sciiti e sunniti e gli attriti all’interno dell’islam sunnita (wahhabiti sauditi e Fratelli musulmani qatarini) può produrre conseguenze nefaste in tutta l’area. Dall’Intifada in Europa alla conquista dell’Asia: è una guerra a tutto campo, sanguinosa sul terreno e martellante sul web, quella lanciata dal Califfo, dall’ Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, dal Golfo all’Iran.

La propaganda dello “Stato islamico” si è fatta più intensa e da alcuni mesi contagia anche l’Iran lanciando appelli alla minoranza sunnita con messaggi in lingua farsi, pubblicati sul magazine del Califfato “Rumiya”, esortandola a insorgere contro il dominio sciita. Già a marzo in un video l’Isis dichiarava di voler “conquistare l’Iran e ripristinare la nazione musulmana sunnita che c’era prima”. L’incendio si allarga ora alla nazione persiana con l’obiettivo strategico di indebolire e spezzare l’asse sciita che unisce Teheran a Baghdad e Damasco a Beirut. È la prima volta che il sedicente Califfato riesce a colpire la capitale iraniana con un attacco clamoroso e senza precedenti. Vi sono stati spesso scontri armati con formazioni jihadiste al confine con l’Iraq e l’Afghanistan ma senza mai arrivare nelle città. Teheran si scopre improvvisamente più vulnerabile. Sembrava impossibile per chiunque avvicinarsi così tanto ai punti nevralgici delle istituzioni facendo tremare i palazzi del potere politico e i simboli religiosi. Dov’erano i temuti Guardiani della Rivoluzione, i pasdaran che sorvegliano ogni movimento dei cittadini, i Basij (le milizie del popolo) e gli apparati che guidano la repressione? Tutti scavalcati da un manipolo di attentatori che si fanno beffe della sicurezza interna con invidiabili capacità tecniche e organizzative raggiungendo l’obiettivo di colpire gli odiati sciiti dentro le loro mura. Un attacco ai centri politici e simbolici della Repubblica islamica in perfetto stile militare e con le tecniche del terrore che ricorda quelle degli attentati compiuti in Europa dai gruppi jihadisti. Certamente qualcosa di molto più grave di un “problema di poco conto” come lo ha definito Ali Larijani, presidente del Majlis, il Parlamento iraniano. Un evento eccezionale che potrebbe avere serie ripercussioni in tutta la regione e nello stesso Iran. Sono le prime crepe che affiorano in un sistema impenetrabile da quasi 40 anni? Scricchiola la rigida impalcatura militare e teocratica del regno degli ayatollah? Si è trattato certamente di un attacco pianificato da settimane e forse da mesi e che ha potuto contare probabilmente sul sostegno di minoranze sunnite attive in alcune province meridionali del Paese.

C’è da chiedersi se l’attacco del 7 giugno non sia anche il segnale che un certo entusiasmo controrivoluzionario, incoraggiato dall’esterno, cominci a serpeggiare in seno alla società iraniana dove sono presenti movimenti sciiti e sunniti che osteggiano e combattono il governo. Tra questi spiccano i Mojaheddin-e Khalq (i Combattenti del popolo), la più importante formazione dell’opposizione armata iraniana, accusati dal regime di numerosi attentati e di aver assassinato, dagli anni Ottanta in avanti, leader politici e religiosi, tra cui stretti collaboratori di Khomeini e alti ufficiali delle Forze Armate. I sunniti iraniani (il 5-10% della popolazione) vivono soprattutto nelle zone curde e nel Balucistan. Nel mirino delle forze di sicurezza ci sono anche i curdi che lottano per l’autonomia della loro regione, il gruppo terroristico sunnita dei Jundullah (i soldati di Dio) nella provincia sud-orientale del Baluchistan, autore di diversi attentati, e la minoranza araba ribelle nel Khuzestan a sud-ovest, al confine con l’Iraq. Gli attentati a Teheran avvengono dopo settimane in cui la campagna anti-iraniana degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita è salita di tono e ha investito anche il piccolo Qatar sunnita che ha stretti legami economici e commerciali con l’Iran compreso lo sfruttamento comune di vasti giacimenti sottomarini di gas scoperti nel Golfo. Ma proprio la vicinanza del Qatar agli ayatollah iraniani, nonostante l’odio religioso che li divide, e il sostegno finanziario fornito dall’emiro Al Thani ai Fratelli Musulmani e ad altri gruppi jihadisti ha portato all’improvvisa rottura dei rapporti diplomatici tra l’Arabia, appoggiata dalle monarchie del Golfo e dall’Egitto, e il Qatar che ospita, ad Al Udeid, una delle più grandi basi militari americane in Medio Oriente con oltre 10.000 soldati e un centinaio di cacciabombardieri. La strategia di Trump è quella di sostenere e difendere la visione saudita della regione con l’obiettivo di isolare il Qatar, rivale di Riad, per l’egemonia nel Golfo Persico. La crisi che spacca il Consiglio di Cooperazione dei Paesi arabi del Golfo e l’isolamento del Qatar, che punta già a nuove intese con Cina e Russia, rimescolano le alleanze nella regione: l’Iran offre a Doha il proprio spazio aereo e marittimo, invia aiuti alimentari a bordo di navi e velivoli da trasporto con tonnellate di merci mentre la Turchia prepara l’invio di truppe nell’emirato “sotto assedio” in base a un accordo di mutua difesa. A questo punto la presenza militare degli Stati Uniti nell’Emirato diventa fonte di preoccupazione per la stessa diplomazia statunitense.

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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Filippo Re

 

Fca, piena occupazione nel 2018

Sergio Marchionne annuncia che  Fca raggiungerà gli obiettivi finanziari e quelli sociali. Prevede che nel 2018 negli stabilimenti italiani ci sarà  piena occupazione. Afferma: “l’ impegno per rafforzare la rete industriale continua, lo abbiamo avviato già da tempo. E’ stato sempre il nostro impegno anche se qualcuno non ci credeva”.

 

(foto: il Torinese)

Ius soli, più dubbi che certezze

L’OPINIONE 

di Pier Franco Quaglieni

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Il dibattito al Senato sulla legge dello Ius soli ha rivelato innanzi tutto che un tema tanto delicato per il futuro italiano non si può affrontare con gazzarre propagandistiche non consone all’aula di Palazzo Madama: un modo folcloristico e goliardico  di affrontare un problema molto serio da parte di chi, sovente, non ha neppure frequentato le aule universitarie. Esso ha anche  dimostrato le forti contraddizioni del movimento grillino che ha dimostrato una certa confusione interna su un tema di così decisiva importanza. Il fatto che un assessore grillino torinese della Giunta Appendino, quello delle pari opportunità,abbia espresso dissenso dalla posizione di Grillo è anch’esso il segno di una realtà destinata a riservare nuove sorprese dopo la debacle di piazza San Carlo. Lo Ius soli ,sia pure nella versione temperata,deve tuttavia suscitare dei dubbi più che raccogliere delle certezze, per dirla con Bobbio. Oggi le certezze sono state travolte dal  terrore che insanguina soprattutto il Vecchio Continente.

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E’ vero che la maggioranza degli stati ha introdotto lo Ius soli,ma è altrettanto vero che il terrorismo praticato da francesi,belgi,inglesi di terza generazione,nipoti di immigrati,non può non imporci qualche interrogativo sui modi praticati nell’integrare chi non intende affatto integrarsi,anche se è vero che gli islamisti mietono vittime anche nei paesi arabi. Questo è uno dei problemi maggiori dell’Europa decadente che gli stati nazionali non hanno saputo affrontare e tanto meno risolvere ,neppure in parte. L’Europa di Bruxelles  c’è ,ma lo spirito europeo si è totalmente appannato,per non parlare dello spirito italiano che pare essere evaporato insieme alla memoria storica. A quasi un anno dalla strage di Nizza si impone un momento di riflessione,senza cadere nei luoghi comuni e senza indulgere a tendenze razziste e xenofobe che vanno respinte con fermezza. Cambiare il diritto di cittadinanza ha un senso se prima si conduce una riflessione seria  sui temi dell’integrazione. Non va confusa,per dirla con Weber, l’etica dei principi con l’etica della responsabilità. L’etica dei principi propende per lo Ius soli,quella della responsabilità ci porta invece al pessimismo,anzi ,se vogliamo essere schietti,al realismo. Dal dibattito parlamentare non sono emerse novità rispetto a quello avvenuto nell’ottobre  del  2015 alla Camera dei Deputati, anche se questi due anni sono stati decisivi per capire il fenomeno del rifiuto dell’integrazione.

Si è detto che circa un milione di giovani diventeranno cittadini italiani. Un numero più che ragionevole.

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Non ho sentito nessuno invece riflettere su cosa potrà accadere nel corso di dieci o vent’anni. Mentre il tasso italiano  di natalità è precipitato,quello degli immigrati tende a crescere in modo piuttosto marcato.E che dire dei continui sbarchi  e del fatto che il ministro degli Interni afferma che altri 200mila immigrati sono ospitabili senza particolari problemi? Cosa accadrà tra dieci anni? Non ho letto risposte convincenti. Chi governa non può limitarsi a guardare all’oggi,ma deve guardare al domani. Quando Fini si affannava a sostenere lo Ius soli ,io obiettai che a Fini le sorti della democrazia italiana interessavano poco,non foss’altro per le sue origini genetiche che poi ha finito di cancellare.Fini non credo abbia mai avuto un particolare interesse per le sorti della democrazia italiana. Ha scritto Dino Cofrancesco, una delle menti più lucide e libere,corazzate  di senso storico:”Immaginiamo venti milioni di cittadini extracomunitari che abbiano acquisito il voto politico.(…) Se la democrazia è un principio irrinunciabile che fa corpo con l’idea stessa di libertà,preoccuparsi della composizione dell’elettorato non può essere considerato  prova di regressione tribale e nazionalistica.”. Sono parole da meditare da parte di chi ama la democrazia e intende difenderla. Diventare italiani è una scelta che implica diritti ,ma anche precisi doveri. L’italianita’ è una cosa  seria, essa implica anche identità  e cultura.
                                                                     
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Ella contro il cyberbullismo

La cantautrice Ella e la Onlus “Io sto con il Regina Margherita” contro il cyberbullismo. 

Il bullismo è un fenomeno in crescita esponenziale in questa nostra società della “visibilità a tutti i costi”. La potenza del web e la sua capacità di coinvolgere un vasto pubblico, rendono il fenomeno del bullismo in rete più devastante: la persecuzione è percepita come continua e il persecutore è protetto dall’anonimato. Il cyberbullismo rende “tutti più vulnerabili”. E’ un fenomeno multiforme che ci coglie impreparati, miete vittime e ci dà la responsabilità di creare pensieri e azioni a sostegno della vita.

 

Ma la potenza della rete serve anche per costruire con maggiore forza azioni di denuncia e contrasto. Sulla scia di questa considerazione nasce #dimmilaverità, la nuova iniziativa che unisce la cantautrice torinese Ella e l’Associazione Onlus “Io sto con il Regina Margherita”, prendendo spunto dal  brano “Cuore matto”, primo singolo estratto dal suo recente album “Dentro”.

Il video del brano, rielaborazione elettronica del celebre brano interpretato da Little Tony, mette in scena l’ assenza di un confronto reale, dove i protagonisti si sentono come “dentro ad un videogioco”. In questo non luogo, la frustrazione data dai fraintendimenti di ciò che si scambia per amore, scatena con estrema facilità una violenza percepita come irreale da chi la compie, in quanto l’altro è vissuto al di là dello schermo, come un oggetto che si può far sparire in un clic. Il tema della verità, dell’autenticità, è quindi centrale per riconnettere il virtuale al reale e l’oggetto con il soggetto.

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Guarda il video di “Cuore Matto” di Ella -> https://youtu.be/gu8JoBi78a4

 

#dimmilaverità è una campagna di crowdfunding che avrà inizio il 15 giugno 2017 e si protrarrà per 6 mesi, durante i quali Ella devolverà l’intero ricavato delle vendite digitali del suo nuovo album “Dentro” e del singolo “Cuore Matto” per  finanziare le azioni di contrasto al bullismo promosse dall’Ospedale Regina Margherita di Torino.

Per donare è possibile recarsi sulla pagina http://reginamargheritaonlus.org/ o su Itunes o Amazon e acquistare  l’album di Ella “Dentro” o il singolo “Cuore Matto”.

La campagna prevederà, nei prossimi mesi, una serie di azioni di sensibilizzazione e concerti a supporto della stessa.

Il calendario aggiornato di tali iniziative si potrà trovare:

– sul sito della Onlus “Io Sto Con il Regina Margherita”  http://reginamargheritaonlus.org/ e sulla sua pagina Facebook www.facebook.com/IoStoConIlRegina

– sulla pagina Facebook di Ella – www.facebook.com/ellaofficialpage

Oltre Olivetti. Scenari per il futuro di Ivrea

IVREA – 16 giugno 2017 – ore 10.00, Salone dei 2000 – Corso Jervis n. 11

Nel corso del convegno saranno presentate nuove proposte progettuali della Core Zone del sito della candidatura UNESCO “Ivrea città industriale del XX secolo”, coerenti tanto con i caratteri identitari dei manufatti quanto con la loro vocazione funzionale, passata e futura. Gli studenti dell’Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio del corso di Laurea magistrale in Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio del Politecnico di Torino (Dipartimento di Architettura e Design) presenteranno i progetti di riuso e valorizzazione elaborati nel corso dell’A.A. 2016/2017, con la supervisione del Prof. Rocco Curto e dell’Arch. Lisa Accurti, per ilrecupero e la rifunzionalizzazione del sistema di beni della Core Zone.L’iniziativa è stata promossa dalla Città di Ivrea e dal Politecnico di Torino con la collaborazione di Confindustria Canavese e IdeaFimit Sgr, nell’ambito del progetto europeo Erasmus + “Citylabs: Engaging Students with Sustainable Cities in Latin-America” e nell’ambito delle attività svolte per la Candidatura di “Ivrea città industriale del XX secolo” nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO.

Il 16 giugno, in occasione del convegno, verrà inoltre presentato il Sistema Informativo Territoriale “Ivrea città industriale del XX secolo”, strutturato dal Politecnico di Torino con una visione innovativa e in modo sperimentale rivolta a supportare l’esperienza didattica condotta con gli studenti dell’Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio. Il SIT è stato concepito quale modello dinamico e interoperabile in grado di mettere in relazione più di 100 edifici (residenze, edifici industriali, uffici, edifici destinati a servizi) con il loro contesto territoriale, e con l’obiettivo di supportare le politiche dell’amministrazione e la candidatura UNESCO nel processo di valorizzazione, anche economica, della Core Zone.

Le presentazioni della mattinata e la discussione della tavola rotonda finale saranno occasione per riflettere su come il patrimonio olivettiano della Core Zone di “Ivrea città industriale del XX secolo” costituisca un’eredità emblematica da valorizzare, in cui la “dimensione privata” si deve integrare con quella pubblica e costituire un unico sistema di architetture in grado di innescare processi di rigenerazione dell’intera area urbana e forme di fruizione innovative sia per la cittadinanza eporediese sia per le diverse tipologie di utenza esterna.

Al termine del convegno una commissione giudicatrice composta da riconosciuti esperti del settore e da stakeholders operanti nell’ambito della Core Zone di Ivrea valuterà i progetti migliori, ai quali verrà riconosciuto un premio da parte della Città di Ivrea.

Interverranno:

Carlo Della Pepa, Sindaco della Città di Ivrea

Rocco Curto, Coordinatore dell’iniziativa, Professore ordinario, titolare dell’“Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio” – A.A. 2016/2017,  Laurea Magistrale in “Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio “, Politecnico di Torino (Dipartimento Architettura e Design)

Lisa Accurti, Docente a contratto dell’“Atelier di Restauro e Valorizzazione del Patrimonio” – A.A. 2016/2017, Laura magistrale in “Architettura per il Restauro e la Valorizzazione del Patrimonio”, Politecnico di Torino (Dipartimento Architettura e Design)

Giovanna Codato, Assessore della Città di Ivrea: Urbanistica, Sicurezza e Difesa del suolo, Edilizia privata, Lavori pubblici, Sostenibilità Ambientale

Renato Lavarini, Coordinatore Candidatura Unesco

Regioni del Nord alleate per battere lo smog

La Giunta regionale adotta un nuovo piano  che fornisce al Piemonte un set di misure concrete per contrastare l’inquinamento, in un’ottica condivisa con le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che hanno firmato insieme al Ministero dell’Ambiente, il comune accordo di programma per il risanamento della qualità dell’aria nel bacino padano, venerdì 9 giugno a Bologna in occasione del G7 dell’ambiente.

Sono più di quaranta le misure e azioni per contrastare l’inquinamento atmosferico in tutto il territorio piemontese e rientrare nei valori-limite stabiliti dalla legge nel più breve tempo possibile, incidendo su mobilità, trasporti, energia, industria e agricoltura: sono previste dal Piano regionale per la qualità dell’aria, adottato il 5 giugno dalla Giunta della Regione Piemonte.

“Giunge così a compimento un lavoro iniziato nel 2015, – spiegano in Regione –  frutto del confronto scaturito dai tavoli tecnici gestiti dalla Direzione Ambiente, governo e tutela del territorio della Regione Piemonte, cui hanno preso parte tutte le direzioni regionali e l’Arpa Piemonte, che ha realizzato gli scenari emissivi. Un approccio allargato alla condivisione dei problemi e delle decisioni che è stato seguito anche attraverso la consultazione on-line dei cittadini piemontesi, cui è stato sottoposto, sempre nel 2015, un questionario sulla qualità dell’aria. Da questo percorso di democrazia partecipata sono scaturite le conclusioni contenute nel Piano, racchiuse nei dieci capitoli del documento di programmazione.

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Il “catino piemontese”. La base di partenza è l’analisi delle caratteristiche meteo-climatiche del Piemonte, fortemente condizionate dal posizionamento geografico e dalla conformazione topografica dell’area, inserita alla testata del bacino orografico padano e chiusa su tre lati dai rilievi alpini. Questa conformazione particolare “a catino”, contribuisce a rendere più difficile il rimescolamento e il ricambio dell’aria, in particolare nei bassi strati, influenzando direttamente ed indirettamente il trasporto, la dispersione e la deposizione al suolo di gas e aerosol presenti in atmosfera, determinando, in autunno ed in inverno, frequenti periodi di stagnazione nelle zone pianeggianti della regione.

Lo scenario al 2030. La metodologia utilizzata prevede la realizzazione di uno scenario di riferimento a legislazione corrente su cui calare uno scenario futuro al 2030, con l’inserimento delle misure che verranno prese per ridurre le emissioni in atmosfera e verificare, mediante l’uso di modelli tridimensionali di diffusione e trasporto in atmosfera degli inquinanti, la possibilità di rientrare nei limiti di legge posti a tutela della salute dei cittadini.

Le previsioni sugli inquinanti. L’applicazione del Piano prevede una consistente e diffusa riduzione delle concentrazioni degli inquinanti, che si collocano ampiamente al di sotto dei valori limite previsti dalla normativa. Fanno eccezione alcune aree dell’agglomerato di Torino, nelle quali il valore del biossido di azoto supera la soglia di attenzione. Per la situazione dello scenario di piano al 2030, si registra un generale rispetto dei valori limite per gli inquinanti particolato PM10, particolato PM2,5 e biossido di azoto (NO2) su tutti i comuni della regione.

Le misure e le azioni. Il Piano indica le azioni politiche da perseguire per quanto riguarda l’agricoltura, i trasporti, l’energia e l’industria, i comparti ad oggi enumerabili tra i maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico. Nel campo della mobilità si va dalla rimodulazione delle accise dei carburanti alla limitazione della circolazione in ambito urbano per i veicoli alimentati a gasolio, a partire da quelli più obsoleti fino a quelli più recenti, dal rinnovo dei veicoli adibiti al trasporto pubblico locale alla promozione della mobilità alternativa. Per quanto riguarda l’energia, dalla promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili alla riqualificazione ed efficientamento energetico degli edifici, dallo sviluppo del teleriscaldamento alla regolamentazione dell’utilizzo delle biomasse. Nel comparto industriale gli interventi vanno dall’applicazione delle migliori tecniche disponibili ai processi produttivi alla riduzione delle emissioni di polveri. In agricoltura le misure si concentrano sulle riduzioni di emissioni di ammoniaca in atmosfera dal comparto zootecnico e sulla limitazione della combustione dei residui colturali in campo nella stagione invernale, più problematica per l’accumulo di polveri sottili. Il piano sarà a breve consultabile sul sito della Regione nell’area tematica dedicata all’ambiente.

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www.regione.piemonte.it

 

Si può smettere di uccidere? Giancarlo Giudice: il Mostro di Torino

giancarlo-giudice-killer-modificaErano gli anni ’80, gli anni in cui tutto era lecito. Gli anni in cui il crimine passava spesso inosservato. Era una vita piena: c’era chi sguazzava nell’agio degli anni d’oro, chi tirava a campare arrangiandosi con quel che poteva. Ma erano anche gli anni in cui il boom delle droghe cominciava a mietere vittime. Tutto aveva il suo posto negli anni Ottanta. Ma nessuno, né negli anni ’80 né in qualsiasi altra epoca, meriterebbe che il suo posto sia a terra, mangiato dai i vermi, qualsiasi scelta di vita abbia mai attuato. Nove prostitute, nove donne uccise brutalmente. Un unico colpevole: Giancarlo Giudice. In libertà da otto anni. Classe 1952 e una storia di abbandono alle spalle. Spesso l’infanzia infelice, marchiata da una serie di traumi, è il background che accumuna gli adulti che decidono di uccidere. Non che questo li giustifichi, ma è giusto precisare che si diventa sempre ciò che ci hanno insegnato o privato di essere. Il piccolo Giancarlo Giudice fu spedito in collegio in tenera età, seppe della morte di sua madre solo dopo che i funerali ebbero atto. Aveva 13 anni e dopo aver ricevuto questa brutta notizia, in modo quasi naturale, decise di uccidersi. Il tentativo di suicidio, però, fallì. Il padre, alcolista, già assente per tutta l’infanzia, lo abbandonò nuovamente trasferendosi in Calabria con una nuova compagna, con la quale si sposò solo dopo due anni dalla morte della moglie.

 

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Giancarlo era rimasto solo. Lo era sempre stato in realtà. Abbandonato in più occasioni. Abbandonato dalla madre, la prima volta quando lo spedì in collegio, la seconda quando “decise” di morire. Abbandonato dal padre, che continuava a vivere la sua vita fregandosene dei bisogni del figlio. È con questi sentimenti negativi che logorano dall’interno che il nostro futuro serial killer comincia la sua vita da adulto. Una vita fatta di microcriminalità e di eccessi. Lui che ama le droghe e, non a caso quelle eccitanti, come cocaina e allucinogeni. Lui che ama la velocità, ama correre senza freni. Come ogni assassino seriale, Giancarlo è un narcisista. Il narcisista innalza il proprio ego, idealizza se stesso, nel tentativo di nascondere i sentimenti di vergogna che riserva dentro di sé. Una patologia che si sposa bene con l’atto di uccidere, di prendere la vita dell’altro. Perché il narcisista nasconde un grande vuoto e il modo migliore per colmarlo e “prendere”, “possedere” qualcosa che viene dall’esterno. È tutto un gioco di proiezioni e identificazioni. Io mi sento marcio, vuoto, proietto polizia-bnall’esterno questo mio malessere e quindi sarà l’altro a diventare marcio e vuoto. Ma allo stesso tempo ho bisogno di colmarlo quel vuoto, quindi decido di appropriarmi di ciò che credo possa essere in grado di farlo e mentre me ne approprio, per giustificare il mio gesto, lo accuso di essere malvagio, meritevole di qualsiasi azione io decida di compiere. Così funziona la psiche di un narcisista patologico. Ora cerchiamo di capire, nello specifico, come ha funzionato quella di Giancarlo. Il nostro assassino faceva il camionista. Tante ore da solo, lungo strade più o meno conosciute. I suoi compagni di viaggio erano le sue droghe.

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I colleghi dicevano di lui che fosse uno stacanovista, ma non erano a conoscenza dell’uso smodato di cocaina che assumeva e che gli permetteva di non sentire la stanchezza. Era un uomo ossessionato dal sesso. Nel suo appartamento, quello che poi si scoprì essere luogo di alcuni dei suoi omicidi, furono ritrovate migliaia di riviste porno. Il degrado in cui riversava la casa, aggiunse ulteriore squallore alla sua figura. Era un uomo ossessionato dal sesso o dall’amore? Non lo conosceva l’amore lui, non era mai stato amato, né da una mamma né da un padre. I suoi impulsi, la sua rabbia incontrollabile erano dettati dalla mancanza, nella sua vita, di persone in grado di accettarlo e amarlo. Il sesso diventava un atto necessario, un atto da cui dipendere, assieme alle altre cose, perché la scarica sessuale gli permetteva di riequilibrare la tensione interiore. Non a caso il giorno che fu arrestato, fu trovato in macchina a compiere atti autoerotici e solo quando la polizia si avvinò per dirgli di smetterla, si accorse che il sedile al fianco del guidatore era colmo di sangue fresco. Vi erano anche due pistole e un asciugamano intriso di sangue, il sangue di quella che fu la sua ultima vittima: Maria Rosa Paoli. Dirà mole-torino-2delle sue vittime che le ha uccise perché gli ricordavano la sua matrigna, donna che odiava. Le vittime erano tutte prostitute sulla quarantina. Donne oggettivamente poco attraenti, trasandate. Altra frase detta da lui stesso “erano vecchie, grasse e poco curate”. È probabile che quest’associazione inconscia lo abbia spinto ad uccidere, ma è anche probabile che esse rappresentino il rancore verso sua madre e l’odio che provava nei suoi confronti per averlo abbandonato, ma che era “molto più accettabile” per la sua labile psiche affermare che questi gesti così brutali erano compiuti a causa di una matrigna non benvoluta.

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È comune che gli assassini seriali scelgano, per le loro uccisioni, persone ai margini della società. Questo per evitare di essere scoperti in quanto è più difficile che una persona che vive nell’ombra, nei sobborghi di una città in cui ci si chiude gli occhi e tappa la bocca, venga cercata dalla polizia. Che poi, la paura di essere scoperti in realtà lotta sempre con la voglia di esserlo. Perché solo così possono raccontare la loro storia. Solo così possono essere ascoltati. Un pubblico che resti attonito, un pubblico terrorizzato che non può far a meno di distogliere l’attenzione dai loro racconti. È questo l’applauso che bramano. Inoltre il rapporto con una donna che di mestiere fa la prostituta è spesso marchiato da un pregiudizio che anche le menti non patologiche si portano dietro. Una donna che sceglie di vendersi non merita rispetto. Questo pregiudizio inserito nella mente delirante di un uomo freddo, psicopatico, che non conosce sentimenti e che non è in grado di provarne, rende lecito qualsiasi comportamento. Nove vittime. La prima Anna Pecoraro, il cui riconoscimento è avvenuto solo grazie all’arresto dell’uomo che parlando di lei alla polizia disse “Risulta scomparsa, ma non siete mai riusciti a identificarla perché vi ho fatto trovare il cadavere completamente sfigurato. Doveva essere tolta di torno, portava “un volgare reggiseno a fiori”, per farla rantolare bastava stringerla con le sue stesse calze di nailon. Ho forzato le portiere di una macchina con il tagliaunghie e ho portato il torino bncadavere in un campo. Lì ho deciso di bruciarlo. Un po’ di benzina e poi il fuoco”. Era il 1983 quando cominciò. E il 25 agosto 1986, per puro caso, fu catturato. Tre anni in cui sei donne sono state strangolate, due freddate con colpi di arma da fuoco, una sgozzata. Giancarlo Giudice fu condannato all’ergastolo in primo grado e ritenuto totalmente capace di intendere e volere.

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La pena fu poi ridotta a trenta anni e venne rivista la sua eventuale infermità conferendogli, in aggiunta alla pena, altri tre anni da passare in un ospedale psichiatrico giudiziario che abbandonò definitivamente nel 2008. Da allora Giancarlo è libero e vige di un regime di protezione che ne permette di mantenere preservata la privacy. Il titolo di quest’articolo lancia un quesito: si può smettere di uccidere? Ora che Giancarlo è di nuovo in libertà potrà nuovamente commettere questi reati? La risposta a questa domanda non è facile. È certamente più corretto rispondere di si, perché con le giuste cure, il giusto percorso terapeutico e l’accettazione dei propri limiti e dei desideri più ombrosi, il riuscire a vivere il senso di colpa e trasformarlo in forza per risollevarsi e intraprendere strade di vita più sane, anche chi si è macchiato dei delitti più atroci può salvarsi. Si può smettere di uccidere solo quando si avrà capito che quel vuoto che c’è nell’animo non potrà mai colmarsi, ma lo si accetta e lo si elabora. Che un narcisista smetta di esserlo questo è un po’ più difficile. E che gli anni di galera, seppur tanti, possano portare giovamento alle vittime, resta, però, sempre impossibile.

Teresa De Magistris