ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 616

Tav, con i fondi via ai lavori definitivi

Al via i primi due lotti della tratta transnazionale della linea Torino-Lione, ora sono disponibili i fondi per l’inizio dei lavori definitivi in Italia e in Francia. Lo ha deciso il Cipe e ora il  progetto va avanti, dopo una sosta da parte francese per motivi di riorganizzazione.  La decisione del Cipe, ricorda Mario Virano, direttore generale di Telt, la società che ha il compito di realizzare e successivamente di gestire la linea ferroviaria, sottolinea ” l’impegno e le sinergie messe in campo a tutti i livelli, dal governo, a partire dal ministero delle Infrastrutture e a quello dell’Economia, al commissario di governo e alla Regione Piemonte”. Il parere positivo del Cipe consente la partenza delle gare e  l’inizio dei lavori  nel rispetto dei tempi stabiliti  e degli impegni transnazionali. . Nella riunione a Roma sono  stati stanziati altri 57,26 milioni di euro, portando a 100 milioni di euro i fondi già destinati  alle opere compensative per i territori interessati dai cantieri.

Scatta l’obbligo della Pec

Di Patrizia Polliotto*

 

 La PEC, novità introdotta da qualche anno, ma ancora per lo più scarsamente usata e diffusa, diventa a tutti gli effetti obbligatoria per diverse categorie di persone.

Il Decreto Legge n. 193/2016 ha stabilito che, a partire dal 1 luglio 2017 le aziende iscritte al Registro delle Imprese e i professionisti iscritti all’albo riceveranno le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate direttamente tramite l’indirizzo PEC presente sul sito dell’INI-PEC, ovvero l’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata di professionisti e imprese.Ecco, in sintesi, chi è tenuto ad adeguarsi al più presto alla prescrizione normativa: i professionisti iscritti all’albo e le aziende iscritte al Registro delle imprese. I professionisti non iscritti all’albo e le società non iscritte al registro non hanno l’obbligo di creare un indirizzo di posta elettronica certificata, anche se è altamente consigliato. Se si è un professionista, anche non iscritto all’albo, che opera con altre aziende e utilizza l’email come strumento principale di comunicazione, è fondamentale avere un indirizzo di posta elettronica certificata. In primis si avrà la certezza che il messaggio inviato ha un valore legale e potrebbe essere utilizzato in un’eventuale denuncia o causa. Indicandovi all’interno il proprio indirizzo PEC si riceveranno immediatamente le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate, come prevede il Decreto Legge n. 193/2016. Anche se la società non è presente sul Registro delle imprese è necessario avere un indirizzo PEC. I motivi per dotarsi di questo importante strumento sono infatti molteplici, e tutti ugualmente utili e vantaggiosi: le comunicazioni con le altre aziende sono più veloci rispetto a una normale raccomandata a/r e soprattutto sono molto più sicure. Infatti, le e-mail e i documenti inviati con la PEC non possono essere modificati e/o contraffatti, e per giunta possiedono anche a tutti gli effetti valore legale.

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*Avvocato, Fondatore e Presidente del Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori

UNIONE NAZIONALE CONSUMATORI
COMITATO REGIONALE DEL PIEMONTE
TEL. 011 5611800, Via Roma 366 – Torino
EMAIL: UNC.CONSUMATORITORINO@GMAIL.COM

 

 

Torino e la giornata sudista contro il Risorgimento

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Non è forse un fatto casuale che nella Torino che celebra Gramsci e Gobetti, gli autori della vulgata antirisorgimentale per eccellenza,la notizia della istituzione da parte della Regione Puglia di una giornata della memoria sudista sia passata nella totale e disinformata indifferenza. Eppure Torino fu anche la città- crogiuolo del Risorgimento dove il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia . Al Consiglio Regionale della Puglia i 5 Stelle hanno ripreso la proposta incredibile del loro padre- padrone di cui scrivemmo in altra occasione :istituire una giornata dedicata alle vittime meridionali dell’Unità nazionale ,criminalizzando l’atto fondativo della Nazione italiana e riscattando così il brigantaggio meridionale, per dirla con le parole dell’editore pugliese Alessandro Laterza che ha levato da Bari un grido di dolore che a Torino non è mai giunto e che nessuno finora ha ascoltato.Un revisionismo privo di qualsiasi significato storico,molto rancoroso quanto privo di fondamento reale.In sintesi, becero. La sindaca Appendino in marzo ,davanti al monumento torinese a Mazzini, tesse invece le lodi del Risorgimento,andando controcorrente. Fu una voce isolata.

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Che la proposta parta da Grillo non c’è motivo di stupirci,ma che quasi l’intento Consiglio Regionale – con il presidente Michele Emiliano in testa- la approvi ,crea disagio e incredulità . I voti contrari sono stati troppo pochi e questo fatto rivela la distrazione e l’ignoranza storica di consiglieri regionali a cui non doveva sfuggire l’aspetto miope,gretto,eversivo dell’iniziativa che ogni anno il 13 febbraio- data della caduta di Gaeta ,ultima trincea borbonica dopo la sconfitta al Volturno – ricordera’ i meridionali che perirono,diciamo così , a causa del Risorgimento. Il nuovo Regno nacque gracile e dovette difendersi da nemici interni ed esterni.Era un castello di sabbia che doveva essere difeso. Lo sforzo titanico di Cavour e dei suoi successori – certamente a lui non confrontabili -fu quello di creare dal nulla uno stato unitario dopo secoli di divisioni e dominazioni straniere. Per altri versi non va dimenticato che le provincie meridionali arrivarono al nuovo Regno per iniziativa di Garibaldi che ,partito con mille uomini da Quarto, giunse al Volturno con un esercito di volontari di circa 20-25 mila volontari.Il brigantaggio meridionale finanziato da Franceschiello -rifugiatosi presso il Papa a Roma- e appoggiato da una parte cospicua del clero fu una minaccia mortale a cui il nuovo Regno dovette rispondere con tutta la risolutezza necessaria. Furono gli “anni di piombo” dell’800 italiano e si dovette mobilitare l’Esercito per estirpare un cancro che avrebbe vanificato lo stesso moto risorgimentale .Ci fu sicuramente qualche eccesso,ma il quadro entro il quale agivano i briganti non era certo all’insegna di valori umanitari ad essi sconosciuti. Era gente sanguinaria e barbara che non meritava particolari pietà .

 

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La classe dirigente reagì, inviando la truppa perché l’emergenza lo richiedeva ed è storicamente insostenibile la tesi di chi la critico ‘ perché non seppe fare riforme sociali. In quel contesto emergenziale non c’era che la strada obbligata dell’uso della forza per ripristinare l’autorità dello Stato e il controllo del territorio.Il Piemonte sabaudo,se ebbe delle colpe,soprattutto ne ebbe una,quella di non aver saputo rendere più “piemontese” l’Italia,facendo superare la matrice levantina ed anche africana di parte del Mezzogiorno. Chi lo critico’ per aver piemontizzato l’Italia,non capì che il problema da risolvere era quello di portare il buongoverno subalpino nelle provincie meridionali .Dopo pochissimi anni dall’Unita’ capito’ invece il contrario ,cioè la contaminazione del sistema statale da parte di logiche perverse derivanti dal malgoverno borbonico,se non addirittura spagnolesco. La giornata della memoria pugliese destinata forse ad estendersi ad altre regioni del Sud rivela il livello in cui è caduta la classe politica e la sua totale mancanza del senso della storia e dello Stato. Può anche significare avallare i rigurgiti neo borbonici che lo storico napoletano Giuseppe Galasso ha severamente ed autorevolmente condannato. Il sostenere il fallimento del Risorgimento ,come scriveva il giovane Gobetti ,rivela una incapacità a comprendere il maggiore insegnamento che viene proprio dalla storiografia meridionale di Adolfo Omodeo e di Rosario Romeo. Omodeo  “In difesa del Risorgimento” aveva stroncato il “Risorgimento senza eroi” del giovane torinese,valutandolo come una “storiografia dei giornalisti”. Romeo aveva dimostrato con rigore storiografico che le tesi gramsciane della conquista regia e della rivoluzione fallita erano ideologiche e storicamente inconsistenti. Soprattutto anche un confronto con l’oggi dimostra in modo inoppugnabile come la scelta risorgimentale ed unitaria sia stata l’unica capace di garantire un graduale,inarrestabile miglioramento del Sud ,malgrado gli errori,le ruberie,le insufficienze delle sue classi dirigenti e la stessa presunta insensibilità dello Stato unitario verso il Mezzogiorno.

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La eliminazione delle cattedre universitarie di Storia del Risorgimento e la compressione nei programmi liceali dell’800 a favore del ‘900 voluta dal ministro Berlinguer,hanno fatto regredire non solo la ricerca,ma anche la semplice,elementare conoscenza storica. Il commissariamento dell’Istituto nazionale per la Storia del Risorgimento e’ anch’ esso un segnale allarmante ,anche se la sua lenta agonia in questi ultimi anni e’ stata umiliante .La concentrazione esclusiva sulla storia contemporanea rischia davvero di far perdere la capacità di leggere il passato senza lasciarsi influenzare dagli ignoranti e dagli improvvisatori che si dilettano di storia senza conoscere nulla. I consiglieri regionali pugliesi hanno dato retta non agli storici ,ma ad un comico portato in scena dalla consigliera grillina Antonella Laricchia con un intervento sgrammaticato che tradisce molta ignoranza. Se non si leggesse il resoconto stenografico del Consiglio regionale,si resterebbe increduli. Il magistrato -presidente Emiliano che esprime pieno assenso alla giornata ,resta un altro fatto incredibile: forse neppure Vendola avrebbe approvato che venissero aggredite la storia e la verità in modo così volgare e grossolano. Mentre a Torino i processi sommari al Risorgimento piacciono ai gramsciani nostrani che non hanno aperto bocca,la prof. Lea Durante, presidente della International Gramsci Society ,ha condannato la proposta imbastita a Bari ,anche con il supporto di citazioni gramsciane da lei considerate “improprie”, e considerata una riabilitazione di fatto del regime borbonico. Una strana eterogenesi dei fini in cui gli ignoranti ottengono effetti non voluti esattamente opposti da quelli che si erano proposti di raggiungere.

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Tav, pioggia di euro: altri 57 milioni in arrivo

Il Cipe ha stanziato altri 57,26 milioni di euro da destinare alle opere compensative per i territori interessati dai lavori della linea ferroviaria Torino-Lione. La notizia giunge attraverso un comunicato congiunto, del commissario di governo per l’infrastruttura in Valsusa, Paolo Foietta, e l’assessore ai Trasporti della Regione, Francesco Balocco. Salgono ora a 100 milioni  le risorse complessive per le misure di accompagnamento alla nuova linea Alta Velocità. Gli ulteriori  stanziamenti si aggiungono ai 9,56 milioni già approvati e ai 32,31 già inclusi nel costo certificato. Il ministero delle Infrastrutture trasmetterà al Cipe un  programma iniziale di attuazione delle misure di accompagnamento quando sarà concluso il processo di condivisione con i soggetti che partecipano all’Osservatorio sulla Torino-Lione.

Decreto vaccini, la Regione: “Il meccanismo funziona”

La comunicazione sull’applicazione del decreto sulle vaccinazioni svolta il 1° agosto in Consiglio regionale ha fornito all’assessore alla Sanità, Antonio Saitta, l’occasione per annunciare che “il meccanismo che abbiamo elaborato per poter applicare il decreto sta funzionando senza problemi: continueremo a monitorare i provvedimenti intrapresi attraverso una task force formata dai responsabili dei servizi vaccinali, che si riuniranno ogni 15 giorni per valutare i risultati del lavoro svolto ed affrontare le eventuali difficoltà”. “Come Regione Piemonte ci siamo fortemente preoccupati delle questioni organizzative legate all’entrata in vigore del decreto, per cui abbiamo lavorato con l’obiettivo di ridurre i disagi delle famiglie – ha poi sottolineato Saitta -. Oltre all’introduzione delle autocertificazioni per chi è in regola con gli obblighi e all’attivazione del numero verde 800.333.444, abbiamo stabilito che, anziché costringere i genitori a recarsi durante il mese di agosto ai servizi vaccinali, siano le stesse Asl ad avvisare le famiglie mandando la prenotazione per le sedute. L’invio delle lettere alle famiglie è già iniziato, con precedenza alla scuola dell’infanzia”. In sede di conversione del decreto, è stata posticipata dal 10 settembre al 31 ottobre la scadenza per la consegna della documentazione per quanto riguarda i bambini e i ragazzi della scuola dell’obbligo. Una variazione che per l’assessore non costituisce alcun problema: “Anzi, in questo modo le famiglie avranno più tempo a disposizione. Provvederemo in ogni caso a informarle adeguatamente e, comunque, le lettere che devono ancora essere inviate conterranno la data aggiornata. Più in generale, abbiamo un anno davanti per mettere ulteriormente a punto l’intero impianto, lavorando alla costituzione di una anagrafe vaccinale, prevedendo un maggiore coinvolgimento di tutti gli operatori, promuovendo insieme agli ordini professionali campagne di sensibilizzazione”. “Non era certo nostra intenzione fare i primi della classe – ha concluso Saitta – Il nostro modello, basato sul fatto che sono le Asl a chiamare i cittadini per prenotare la vaccinazione, e non viceversa, velocizza i tempi e altre Regioni ci hanno chiesto di conoscerlo per studiarlo. Noi crediamo in questa legge, e per ragioni non politiche ma scientifiche. La vaccinazione obbligatoria è un fatto di civiltà”. Riguardo allo spostamento della data per la scuola dell’obbligo, l’assessore ha sostenuto che “i cittadini sono informati dai media e dalle istituzioni. Quelli che hanno ricevuto la lettera con la data al 10 settembre capiranno che essa è poi slittata, mentre le lettere che partiranno in futuro conterranno la nuova data. Ci sarà un anno per mettersi in regola e monitoreremo il percorso cammin facendo. Non siamo preoccupati, il 93% dei cittadini di fatto è pro vaccini, si tratta di arrivare al 95%. Non è vero che ci sono pletore di famiglie no vaccino, è una strumentalizzazione politica”.

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GG – www.regione.piemonte.it

Parco Arafat vicino a piazza Toaff? Che errore!

Se proprio si voleva ricordare Arafat,  si poteva collegarlo con il politico israeliano Rabin che vinse insieme a lui il Premio Nobel  per la pace. Ma i premi Nobel per la pace a volte sono assegnati con criteri che ci portano a pensare che a Stoccolma perdano il senno o smarriscano la dimensione effettiva della realtà, come dimostra il Nobel preventivo ad Obama

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Un parco romano dedicato ad Arafat puo’ solo essere una proposta  grillina che la stessa Raggi ha rinviato. Neppure il sindaco Marino sarebbe mai giunto a tanto. Abbinare poi un parco intitolato ad Arafat con un piazza dedicata al rabbino capo Elio Toaff appare un vero affronto alla Comunità israelitica romana. Se proprio si voleva ricordare Arafat,  si poteva collegarlo con il politico israeliano Rabin che vinse insieme a lui il Premio Nobel  per la pace. Ma i premi Nobel per la pace a volte sono assegnati con criteri che ci portano a pensare che a Stoccolma perdano il senno o smarriscano la dimensione effettiva della realtà, come dimostra il Nobel preventivo ad Obama. Molti politici italiani , da Andreotti a Craxi,ebbero rapporti privilegiati con il mondo arabo medio orientale e con Arafat  in particolare , che trovo’ in Italia simpatia e sostegno. Ci fu chi disse che questa politica evito ‘ gravi attentati terroristici in Italia per un certo periodo.

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Forse fu anche vero e la real politik può ,a volte, imporre certe scelte, senza andare troppo per il sottile. Ma celebrare Arafat con un parco romano appare francamente una scelta sbagliata perché la storia del capo dell’OLP e’ legata indissolubilmente al terrorismo, un terrorismo che determinò stragi tra civili di grandi dimensioni. Lo stesso terrorismo islamico odierno è intrecciato storicamente con Arafat. Sicuramente fu anche un uomo ambiguo e non soltanto un fanatico. Oriana Fallaci che lo intervisto’ senza pregiudizi e animosità  molto prima dell ’11 settembre, nel 1972 , ci diede di lui  un ritratto che i grillini ideatori di quella intitolazione, avrebbero dovuto leggere. Fallaci lo definì” un signor  nessuno che con i soldi della famiglia reale saudita faceva il Mussolini della Palestina”. Certamente  la sua storia era più  molto più complessa, ma un po’ di ragione anche la Fallaci “arrabbiata” la ebbe. Tutto sommato, non fu una bella figura perché sul combattente  senza macchia prevalse il terrorista e restano anche delle  zone d’ombra  su altri aspetti della sua vita e sul suo rapporto con il denaro. Lasciamo che Arafat riposi in pace, perché chiunque si batte  a lungo per una causa che ritiene giusta, merita rispetto; evitiamo invece di onorarlo con riconoscimenti che forse non avrebbe neppure gradito e sicuramente non apprezzato.

 

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Quando è il politically correct a minare la libertà di espressione

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Paradossalmente solo nei paesi islamici  la legge dello Stato coincide con quella del Corano. Il mondo occidentale si fonda invece proprio su una netta distinzione tra etica e diritto

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Un professore sessantenne di Corsico in provincia di Milano, e’ stato sospeso dall’insegnamento  con  riduzione dello stipendio perché ha criticato nel corso di una sua lezione il ramadan islamico, definendolo assurdo. Non gli è stato neppure consentito di difendersi , presentando le sue controdeduzioni, come sancisce la legge. In più e’ stato anche  deferito dalla sua preside alla commissione regionale del Miur per verificarne l’idoneità all’insegnamento . Un provvedimento molto grave  che potrebbe far pensare a certi trattamenti a cui erano sottoposti i dissidenti in URSS, anche se il paragone appare francamente un po’ forzato, ma non del tutto infondato. Il vittimismo per il vittimismo non è mai di per sè accettabile, anche se d’istinto ho espresso subito la mia solidarietà al professore soprattutto per il silenzio che circonda il suo caso che merita tuttavia un approfondimento e una serie di riflessioni che vanno oltre il fatto specifico. Stiamo parlando di un professore di diritto e forse il docente ha debordato, dando quel giudizio. I digiuni islamici o cattolici che siano, non appartengono alla sfera delle discipline giuridiche, ma a quelle dell’etica religiosa. Due cose totalmente diverse perché il non rispettare una legge può essere un reato, il non rispettare un dettame religioso è considerato un peccato o comunque una mancanza più o meno grave sotto un profilo etico. Paradossalmente solo nei paesi islamici  la legge dello Stato coincide con quella del Corano. Il mondo occidentale si fonda invece proprio su una netta distinzione tra etica e diritto.

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 La presenza di una studentessa islamica nella classe  doveva indurre il professore al rispetto. Al rispetto e non all’opportunismo autocensorio-sia chiaro- per evitare eventuali,possibili reazioni.Da quello che si sa, il professore e’ abbastanza integralista ed è amico di Magdi Cristiano Allam ,l’islamico convertito al cattolicesimo che lo ha subito difeso e che da convertito tende sicuramente  ad estremizzare,come succede spesso ai convertiti,tutte le situazioni.Chi ritiene di essere passato dalle tenebre alla luce,dall’errore alla verità,non riesce più a cogliere la tonalità del grigio,ma solo quella del nero e del bianco. Chi scrive ha difeso la pratica natalizia  del presepio nelle scuole,ma non ha difeso la presenza del Crocifisso nelle aule perché esso è stato trasformato riprovevolmente in un segno che divide.Il presepio fa parte di una tradizione anche laica, perché il Natale viene festeggiato anche dai non credenti. Il Crocifisso(pensiamo alle Crociate o alle conquiste spagnole nel Sud America) è stato usato non sempre per fini di pace,anche se di fronte al Cristo in croce chiunque abbia  un po’ di sensibilità non può non essere colpito dalla morte orrenda di un uomo verso  cui non si può non sentire-al di là della fede – non solo un rispetto senza riserve,ma  soprattutto sentimenti che trascendono ogni visione di parte e toccano i valori più intimi del nostro essere uomini. Anche Natalia Ginzburg difese il Crocifisso con argomentazioni che dovrebbero far riflettere.E il mondo dell’arte è così permeato dalla figura di Cristo che nessun laicismo può disconoscere.

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 I laici liberali vogliono la separazione tra Stato e Chiesa e ritengono che la scuola statale debba essere di tutti, senza eccezioni. Quindi la scuola non può discriminare nessuno. E’ la libertà nella scuola di cui parlava Bobbio, diversa dalla libertà di scuola , di cui parlano i cattolici. Ma proprio questo principio non può escludere a priori nessuno, anche il vecchio professore che esprime un giudizio in una classe quinta di un istituto superiore in provincia di Milano. Cioè di fronte a dei maggiorenni. E’ un particolare che non va sottovalutato. Non si possono prendere provvedimenti punitivi contro di lui, a meno di colpire nello stesso modo i tanti docenti di storia, di filosofia, di lettere, ma anche di scienze, che manifestano sistematicamente il loro rifiuto più totale del Cristianesimo e predicano l’ateismo come scelta di vita o sottolineano costantemente la banalità del Cristianesimo , considerato come lo definiva Voltaire, ”l’infame” a cui ascrivere l’intolleranza e lo stesso arretramento della civiltà rispetto al mondo classico. L’odio anticristiano è più presente nella scuola italiana di quello che si possa pensare. La religione stessa, al di là del Cristianesimo è considerata una sorta di superstizione che opprime l’umanità  , come la consideravano Lucrezio e tanti altri. Lo stesso richiamo a Nietzsche è un riferimento al suo anticristianesimo. Anzi, la sua riscoperta è dovuta anche se non soprattutto alla sua ribellione anticristiana.

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 Molti  marxisti hanno abbracciato il laicismo come nuova fede, una sorta di surrogato della vecchia ideologia condannata dalla storia  ed ostentano un’intolleranza anticristiana  evidente, anzi spesso orgogliosa. Una sorta di superiorità intellettuale rispetto a chi crede. Persino Eugenio Scalfari si è accorto che l’ateismo porta a posizioni assolutistiche e intolleranti :si definisce infatti  non credente ,ma rifiuta di considerarsi ateo. I laici liberali  sono per una scuola che rispetti ogni religione perché la libertà ,come diceva Nicola Matteucci, trova le sue radici storiche proprio nella libertà religiosa. Ma in gioco c’è anche la libertà di espressione più in generale ,garantita dalla Costituzione. Guai se bastasse la protesta di un’allieva islamica per far sospendere un professore e soprattutto a far mettere in forse la sua idoneità all’insegnamento. Ci metteremmo in un pericoloso vicolo cieco.  Certo, va sempre rispettato  il principio della libertà di apprendimento ,ma deve valere anche quello della libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione e spessa non sufficientemente tutelata a partire dal ’68,nell’eterno ’68 italiano. Le due libertà si conciliano con il buon senso e il reciproco rispetto . L’allieva non era certo condizionata dal professore che ha avuto per cinque anni: non si  è alzata in piedi al suo ingresso, adducendo proprio il fatto di essere affaticata dal digiuno praticato durante il ramadan. L’allieva islamica non si doveva sentire offesa così come gli studenti cattolici non possono impedire agli atei di insegnare.

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La circolazione delle idee fa la buona scuola ,l’ intolleranza impedisce invece un clima didattico adeguato. Il professore di Corsico forse doveva astenersi da quella valutazione personale, ma la preside che lo ha colpito, ha sbagliato  gravemente perché non è suo compito sanzionare ,ma semmai mediare,specie in una scuola come quella che dirige. Compito del dirigente scolastico è garantire le regole di una convivenza civile, evitando, se possibile, il conflitto all’interno dell’istituzione scolastica. Essere forti con i deboli e deboli con i forti non è mai una scelta giusta. Ridurre a fatto burocratico un conflitto di idee non è mai segno di grande intelligenza.  Un giudizio-giusto o sbagliato che sia- sul ramadan non dimostra certamente l’inadeguatezza del docente, semmai la sua parzialità. Ma quanti sono stati i professori che fiancheggiarono le Br e che nessuno sanziono’ ? Quanti sono gli insegnanti che hanno intruppato ideologicamente greggi di allievi? I cattivi maestri sono loro, non il vecchio  professore di Corsico punito per un’ opinione magari fuori posto, ma che, certamente, non lede nessun diritto.

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L’ennesima occasione persa

Il 2 agosto scorso il Senato della Repubblica Italiana ha approvato definitivamente la prima, storica “Legge annuale per il mercato e la concorrenza“.


Occasione unica per il nostro Paese, come si evince dal primo comma del testo, ispirato agli ideali del più puro Liberalismo: “La presente legge reca disposizioni finalizzate a rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza“. Una sinfonia di note per le orecchie di chi crede nell’applicazione rigorosa del metodo liberale in ambito economico, produttivo e del consumo. Fatto sta che queste bellissime parole sono state non sfumate, ma irrimediabilmente corrotte da un contenuto privo delle auspicate liberalizzazioni.L’allarme era stato già dato dal Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Giovanni Pitruzzella, in occasione della presentazione in Parlamento, a marzo di quest’anno, della Relazione annuale sull’attività svolta nel 2016. Pitruzzella, senza giri di parole, aveva concluso che la prima esperienza applicativa dello strumento del “ddl concorrenza” non era apparsa “del tutto soddisfacente“. Ciò in ragione sia dei lunghi tempi dell’iter parlamentare sia del complicarsi dell’articolato, modificato e “smussato” durante i lavori nelle varie Commissioni, su “temi eterogenei di non immediata rilevanza concorrenziale“.

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Giova ricordare che l’adozione della Legge sulla concorrenza nasce con l’art. 47 della Legge n. 99/2009, contenente “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia“, al fine di normare sulla base delle segnalazioni e delle indicazioni fornite dalla stessa Antitrust, proprio per fare l’indispensabile passo in avanti in tema di liberalizzazioni, di rimozione degli ostacoli economici e delle barriere al mercato, di tutela dei consumatori. I Parlamentari avrebbero dovuto discutere del disegno di legge con uno spirito favorevole al convincimento che la concorrenza mantiene la sua centralità nella crescita economica, nell’innovazione, nella riduzione efficace delle diseguaglianze, nell’efficienza dell’economia, nel benessere e nella soddisfazione dei consumatori. In un Paese come l’Italia, dove si fa fatica a rimuovere le storiche rendite monopoliste e oligopoliste di molti settori, l’unica vera lotta al terrificante “crony capitalism” ha successo solo con una sostanziale apertura dei mercati, a regole perfettamente concorrenziali, con un controllo valido e tempestivo da parte degli organi pubblici contro le forme di illegalità. Ebbene, niente di tutto questo! Camera e Senato sono riusciti a devastare ogni buon intendimento, impiegando ben due anni nell’approvazione di una legge che di rivoluzionario ha solo il primo comma.

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La mastodontica, peraltro non propriamente legittima – come non dimenticare che i Deputati e i Senatori in carica sono stati eletti con un sistema dichiaro illegittimo dalla Corte Costituzionale? – montagna parlamentare ha prodotto un misero, scheletrico topolino, capace di rosicchiare la parte meno rilevante dei privilegi peraltro di pochi settori, come quello assicurativo, delle comunicazioni, delle poste, dell’energia, delle banche, delle farmacie, dei trasporti e degli ordini professionali.Un testo che, pertanto, assume un mero “valore simbolico“, per citare la stessa Antitrust nel comunicato emanato successivamente all’approvazione del testo, tanto da indurre a una riflessione sull’opportunità di ripetere questa drammatica esperienza. Ottimisticamente, l’AGCM auspica che in futuro vi siano “interventi più rapidi e incisivi“, non tramite leggi omnibus, ma con misure settoriali. Il problema, però, non sta nel metodo da adottare, quanto nelle intenzioni. Da subito è stato chiaro come il legislatore, al di là delle dichiarazioni di facciata, non avesse la benché minima volontà di seguire il mandato della Legge n. 99/1999, mentre l’obiettivo è stato il mantenimento dello status quo e la salvaguardia delle rendite garantite dal morbo del capitalismo clientelare di cui l’Italia soffre da sempre. E’ evidente che il nostro Parlamento non ha un numero sufficiente di delegati di ispirazione liberale. La Legge sulla Concorrenza dovrebbe far gridare di orrore i veri liberali italiani, i quali, oltre che di sdegno, dovrebbero turbare i propri sonni di preoccupazione per l’ennesima occasione persa. Mai come questa volta avremmo potuto godere di una possibile rivoluzione liberale! Probabilmente, abbiamo assistito alla prima e unica esperienza di un testo unico di liberalizzazione dei mercati. Difficile dire quando si ripeterà un altro tentativo di questa portata. Nel frattempo, il sistema clientelare politico-economico è salvo, a discapito della libertà di impresa e della difesa dei consumatori; ma nessuno sembra essersene accorto.

 

Massimiliano Giannocco

Comital conferma i licenziamenti

La Comital intende liquidare l’attività di Volpiano, ma potrebbe avere contatti con altri gruppi industriali per cedere l’attività. Questa la comunicazione dell’azienda ai sindacati nell’incontro all’Amma per la procedura  di cessazione dell’attività e il licenziamento collettivo dei 140 lavoratori. La Fiom ha chiesto il ritiro della procedura e che l’eventuale cessione preveda il riassorbimento di tutti i lavoratori, che continuano il presidio. “Chiediamo a Comital di individuare  un nuovo partner industriale, che offra garanzie di rilancio delle attività e di salvaguardia di tutti i lavoratori, coinvolgendo le istituzioni locali che hanno già espresso la propria disponibilità”, affermano i sindacati.

 

(foto: il Torinese)

In difficoltà economiche? Le banche creano il conto base

Di Patrizia Polliotto*

 

Una piacevole e utile novità per i consumatori italiani, in questo momento di crisi. Nasce il cosiddetto ‘conto base’, con un canone agevolato per cittadini economicamente svantaggiati. A sancire la novità è un decreto da parte del Cdm che recepisce le regole fissate da una direttiva Ue.  Tale nuovo conto ‘basic’ non potrà essere utilizzato per operazioni di gestione del risparmio, ma è uno strumento per operazioni semplici: quali, ad esempio, ricevere un bonifico o effettuare pagamentiIl conto potrà anche essere gratuito. Ma per questo bisognerà attendere i criteri fissati con un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza, sentita la Banca d’Italia: saranno individuate le fasce di consumatori socialmente svantaggiate a cui il conto di base deve essere offerto senza spese. I criteri, di fatto, sono però già presenti nella convenzione. Nel caso di specie, lo Stato abolisce i bolli e gli Istituti bancari garantiranno un costo zero per “i consumatori con un Isee in corso di validità inferiore a 8.000 euro” e per chi riceve “trattamenti pensionistici fino all’importo lordo annuo di 18.000 euro“. Se, invece, occorrono servizi ulteriori (o si supera il numero massimo di operazioni previsto in contratto), sarà dovuto un pagamento. I servizi base che dovranno essere compresi nel conto base consistono in movimentazione a mezzo bonifici, pagamento di utenze o tasse, compreso l’utilizzo di una carta di debito (bancomat). Per tutte le altre disposizioni, compresi gestione del risparmio e investimenti, si dovrà ricorrere esclusivamente al conto corrente di tipo classico o ordinario.

* Avvocato, Fondatore e Presidente del Comitato Regionale del Piemonte dell’Unione Nazionale Consumatori

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