ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 614

Sempre più studenti scelgono il Politecnico

Negli ultimi cinque anni i preimmatricolati sono cresciuti del 50%Più del 60% del totale dei preimmatricolati ai corsi di Ingegneria provengono da fuori Regione e dall’estero; in particolare, grande incremento per gli studenti stranieri, grazie anche ai test organizzati in Cina e Sud America

 

Sempre più studenti scelgono il Politecnico di Torino per il proprio percorso di studio, confermando un trend ormai pluriennale; per il 2017/2018 è stata superata la quota di 12.000 iscritti ai test per i corsi di Ingegneria, Architettura, Design e Pianificazione dell’Ateneo, con un incremento del +10% rispetto allo scorso anno.

 

Per quanto riguarda gli aspiranti ingegneri, il numero dei preimmatricolati provenienti da Regioni italiane diverse dal Piemonte e dall’estero continua a essere superiore rispetto a quello dei residenti in Piemonte: sono il 60% e arrivano dalle Regioni storicamente più legate all’Ateneo come Sicilia, Puglia, Lazio, Liguria, Sardegna, Campania. Il Paese straniero più rappresentato si conferma essere la Cina, dove per il secondo anno consecutivo sono state organizzate sessioni in loco del test di ammissione; un’azione mirata a incentivare la partecipazione ai test d’ingresso da parte degli studenti stranieri che risiedono in Paesi geograficamente più lontani, che per l’anno accademico 2017/2018 è stata estesa anche a Cile e Argentina con buoni risultati. Nonostante l’introduzione della soglia minima e del test obbligatorio anche per chi ha studiato all’estero, quest’anno gli studenti stranieri che intendono iscriversi al Politecnico sono in grande crescita: + 40%.Per accogliere al meglio gli studenti internazionali e anche gli italiani che non conoscono bene la città, anche quest’anno è stato allestito un punto informativo in collaborazione con il CUS Torinoall’aeroporto di Caselle, che fornirà le prime indicazioni.

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Si è registrato un forte incremento degli studenti che hanno sostenuto il test per i corsi dell’area dell’ingegneria nelle sessioni anticipate: sono  7.300 e quasi il 40% di loro ha raggiunto il 50% del punteggio complessivo del test, mentre il 23% ha conseguito il 60% del punteggio; soglie che hanno consentito a quasi 1.300 ragazzi di immatricolarsi in anticipo rispetto alla chiusura dell’ultima sessione di test di settembre e di usufruire, anche quest’anno, della riduzione delle tasse offerta dall’Ateneo come segno tangibile del riconoscimento del loro merito. Sempre in riferimento alla qualità degli studenti che aspirano ad accedere al Politecnico, è da segnalare il fatto che quasi il 25% dei preimmatricolati ha conseguito il diploma di maturità con una votazione di 100/100 o 100/100 lode.Fra i corsi di laurea dell’area dell’ingegneria che superano le 800 e in alcuni casi le 1000 preiscrizioni si evidenziano Ingegneria Biomedica, Ingegneria Informatica, Ingegneria Meccanica, Gestionale e Aerospaziale. I corsi che hanno registrato un incremento maggiore di preferenze rispetto allo scorso anno sono Electronic and Computer Engineering e Ingegneria per l’ambiente e il territorio.

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Per l’area dell’architettura, è sempre molto elevato il numero di studenti che scelgono il corso di Design e comunicazione visiva, che anche quest’anno ottiene più di 1000 preimmatricolazioni, a fronte di 250 posti disponibili.  Restano stabili i preiscritti ai corsi di laurea in Architettura e Pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistico-ambientale. Continua poi l’investimento dell’Ateneo e della Fondazione CRT sui giovani meritevoli e di talento, a partire dalla laurea triennale, con il progetto “Qualità e Impegno”, che premia con una riduzione delle tasse e un percorso formativo aggiuntivo i 200 studenti con il miglior punteggio ai test nell’area dell’ingegneria e che dal secondo anno di studi coinvolge anche gli iscritti ai corsi dell’aera dell’architettura. Più di 400 studenti hanno già formalmente espresso il proprio interesse a partecipare al progetto, ancor prima dell’uscita del bando, nonostante oltre 2.700 studenti debbano ancora sostenere il test previsto a settembre. Inoltre, quest’anno, grazie ad una convenzione tra l’Ateneo e l’Associazione Abbonamento Musei.it, tutti i nuovi immatricolati riceveranno l’abbonamento musei Torino e Piemonte per accedere a mostre e esposizioni che rientrano nel circuito; sono inoltre previste agevolazioni per l’abbonamento ai mezzi pubblici GTT per tutti gli studenti con un’ISEE inferiore a 30.500 euro. L’investimento del Politecnico per queste iniziative è pari a 2 milioni e 300 mila euro.

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“Negli ultimi cinque anni il numero degli studenti che hanno scelto di sostenere il test di accesso al nostro Ateneo è aumentato del 50 per cento”,  commenta il Rettore del Politecnico di Torino Marco Gilli, che prosegue: “E’ significativamente migliorata la qualità degli studenti italiani ed in modo ancor più marcato quella degli studenti stranieri e sono sensibilmente diminuiti gli abbandoni. L’esigenza di garantire una formazione di elevata qualità  in linea con gli standard ed i servizi offerti dalle migliori università tecniche europee, ha comportato negli anni scorsi l’introduzione del numero programmato per i corsi di ingegneria: quest’anno, a fronte di circa 9.500 domande di preimmatricolazione, potremo accogliere soltanto 4.500 studenti, quindi meno della metà di quanti hanno presentato domanda di ammissione. In un Paese che presenta una delle percentuali di laureati più bassa a livello OCSE, l’Ateneo sta compiendo uno sforzo straordinario per accogliere più studenti nei prossimi anni, con ingenti risorse destinate al personale docente (più di 800 posizioni aperte negli anni 2013-2020) e la predisposizione di un ambizioso Master Plan, che prevede circa 80 milioni di investimenti. Lo dobbiamo  ai giovani e alle loro famiglie, che nonostante il periodo di difficoltà economica dal quale il Paese sta cominciando a riemergere solo ora, hanno continuato a investire in formazione e si attendono un elevato standard di qualità, che consenta un accesso al mondo del lavoro, garantito da un percorso di studi internazionalmente riconosciuto e apprezzato dalle aziende”.  Il 30 e 31 agosto si svolgerà l’ultima sessione dei test per Ingegneria, Pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistico-ambientale e Design e Comunicazione visiva; il 7 settembre, toccherà invece agli aspiranti architetti sostenere la prova di accesso regolata dal Ministero. Come di consueto i risultati dei test saranno pubblicati sulla pagina personale degli studenti e sarà data comunicazione del risultato via sms.

 

(foto: il Torinese)

Europa e terrorismo

Le Ramblas, i famosi viali della bella Barcellona, non saranno più piacevoli e spensierati ricordi di tutti noi, appassionati turisti della Spagna del Sud, alla ricerca di quel profumo di “fiesta” tanto celebrato dai più importanti scrittori del Novecento, a partire da Hemingway, cronista dei principali quotidiani statunitensi ai tempi della guerra civile vinta da Francisco Franco e immortalata nella sua più totale drammaticità dal quadro di Pablo Picasso “Guernica” ,distrutta dal bombardamento a tappeto da parte della Luftwaffe tedesca al suo collaudo generale, in prospettiva della imminente seconda guerra mondiale.Ora inevitabilmente, ogni qualvolta ricorderemo il capoluogo della Catalogna, avremo ben in mente le immagini dei terroristi islamici e del camion sulla folla travolta, indifesa nella propria sorpresa durante un momento di svago insieme a parenti e amici in una giornata di agosto.Al telegiornale sembra purtroppo di rivedere il drammatico attentato di Nizza dell’anno scorso sulla Promenade des Anglais, percorso pedonale della Costa Azzurra, affascinante ed emozionante quanto quello oggetto del tragedia odierna.Certamente non si può rimanere che attoniti e perplessi di fronte a queste mostruosità partorite dalla mente dei terroristi, oggi islamici, dove trovano la morte centinaia di innocenti di tutte le età, le nazionalità e anche indistintamente di tutte le confessioni religiose, ma è altrettanto evidente nella ripetitività di queste sciagure una certa dicotomia rispetto a quanto successo nei cosiddetti “anni di piombo”: in primis questi islamici sono simili, più che a dei militanti politici impegnati a destabilizzare l’ordine costituito per facilitare l’ascesa di una fazione partitica per la quale protendono, piuttosto a dei “kamikaze” giapponesi, soldati della aviazione dell’Impero del Sol Levante dell’ultimo conflitto mondiale che, spinti da “un vento divino”, si immolavano contro le portaerei americane nel tentativo estremo di difendere la propria nazione.

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Sarebbe, però, estremamente superficiale classificare questi criminali islamici quali fanatici; infatti, così come si è superata da tempo l’attribuzione di questa accezione nei confronti degli aviatori nippoci sopra ricordati, sconfinare nel fanatismo significa, indirettamente, celebrare l’eroismo, visto che il confine tra i due termini è davvero sottile e oggetto di interpretazioni faziose; in fondo i trecento spartani guidati al massacro dal re Leonida alle Termopili contro i Persiani non erano tali? I santi della Chiesa Cattolica, senza il deliberato e consapevole martirio dei quali la principale religione del mondo occidentale sarebbe rimasta un culto settario mediorientale, non possono affiancarsi nello spirito di abbracciare la fede nell’accettare la propria morte a questi magrebini? Certamente no, anche perché gli spartani così come i giapponesi sceglievano di combattere, uccidere e consapevolmente di immolarsi per difendere la patria dall’invasione di un nemico belligerante; i discepoli e i loro seguaci predicavano la vita eterna, aspetto che rivoluzionò il mondo antico, a tal punto da essere perseguitati e condannati a morte dai governatori romani perché, direttamente o indirettamente, attaccati dai predicatori provenienti dalla Palestina nella loro corruzione o nella violazione dei diritti umani anti-litteram. Ma attualmente nessuno vuole convertire l’Europa alla fede di Allah.Gli stessi carbonari di fine Ottocento e gli anarchici di inizio Novecento, con le loro bombe e con le loro pistole, prendevano di mira gli imperatori di Francia e di Austria o il re d’Italia sapendo di essere arrestati e ghigliottinati o fucilati, ma anche in quella fattispecie il bersaglio politico era chiaro e comunque istituzionale.

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Attualmente si parla di ragazzi, tendenzialmente giovani, di origine magrebina, nati o cresciuti in Europa e, in molti casi, nei Paesi dove effettuano gli attentati, senza mai prendere di mira bersagli politici o istituzionali, ma sempre e comunque civili, solitamente in luoghi di svago. Dal 2001 a oggi le modalità degli attacchi sono mutate, si era partiti con le bombe sugli aerei, nella prima decade del nuovo millennio si è passati ad azioni maggiormente orientate all’uso di armi da fuoco, quali mitra e fucili di grosso calibro, da qualche anno, infine, si predilige l’uso improprio di furgoni a tutta velocità sulla folla nei principali punti di aggregazione sociale. Qualcuno potrebbe obiettare che difendono in termini reazionari i loro Paesi, quali Libia, Iraq e Afghanistan, dall’invasione anglo-franco-americana, impossibilitati dal fronteggiare eserciti regolari, nella speranza forse di creare, attraverso il disordine nei principali centri stranieri, i presupposti per il ritiro delle truppe. Ricorrere sempre poi alla classificazione di questi giovani quali disturbati mentali, o disagiati sociali o ancora ex-detenuti, sa tanto di totalitarismo dell’informazione, in cui ogni avvenimento contrario al regime, così perfetto nella sua organizzazione democratica e di rappresentanza popolare, non possa che essere espressione di squilibrati. La verità è che, dichiarata la morte di un presunto Bin Laden e di un altro presunto Califfo, il terrorismo contemporaneo sembra non vedere la propria fine con il sollievo di tutti, ma la sporadicità degli attentati, mai legati tra di loro da una forma di continuità spazio-temporale, al momento non fa emergere un quadro ben delineato di attacco all’Occidente quale forma nuova di conflitto politico-militare. Negli anni Settanta molti, dietro alle bombe esplose in Germania, in particolar modo durante l’Oktober Fest, e in Italia, con le stragi nere a Brescia e a Bologna, videro la mano lunga della CIA; oggi i quadri internazionali, rispetto a quell’epoca, sono radicalmente mutati ma il controllo della società civile da parte delle Istituzioni si è affinata in nuovi linguaggi non ancora decifrati, dove il controllo delle masse ha sempre più direzioni ondivaghe, poco chiare, tanto da aver portato i filosofi contemporanei a teorizzare la “post-verità”, in un mondo dove tutto pare, ma nulla è certo. Evidentemente, come nel mito della caverna di Platone, qualcuno non ci dice la verità fino in fondo, pensando di tenerci prigionieri con il volto fisso sulla parete della grotta dove proietta, come in uno schermo cinematografico, quanto di suo interesse.

 

 

 

“Al Andalus” dopo l’attentato di Barcellona

FOCUS  di Filippo Re

Fu davvero un’epoca di splendore, di pacifica convivenza e di tolleranza religiosa? Cosa furono “al Andalus” e la “Reconquista” al di là del mito e della propaganda ideologica? Gli storici si dividono e continuano a discuterne. Anche oggi, dopo il recente attentato a Barcellona, si riparla di al Andalus perchè il califfo dell’Isis minaccia di riprendere con la forza la penisola iberica, in passato terra musulmana per lunghi secoli. “Certo, fu una gran bella stagione storica quella, tra VIII e XV secolo, nella quale la vecchia terra di vandali e visigoti, che gli arabi chiamavano al Andalus, divenne il centro irradiante di una cultura musulmana che, salvo brevi e circoscritti periodi, lasciava liberi di esprimersi anche cristiani ed ebrei e che per due secoli, tra IX e X, dette vita al Califfato di Cordova. Poi quella magica unità si ruppe: ma, fino a quasi tutto il Quattrocento, gli emirati arabi-berberi-iberici continuarono a spargere i frutti della loro straordinaria cultura alla quale si abbeverarono gli stessi europei cristiani. A loro dobbiamo in gran parte la filosofia, la matematica, l’astronomia, la fisica, la chimica, la poesia, la musica”. Così lo storico del Medioevo Franco Cardini, descrive ciò che fu al Andalus, la Spagna islamica dal 711 sino alla fine del dominio musulmano nel 1492, lo stesso anno della scoperta dell’America e della cacciata dei mori e degli ebrei dalla penisola. Ma fu realmente così, un’epoca di grande tolleranza e convivenza tra religioni diverse, tra dominatori e sudditi “protetti”? Non ha dubbi Cardini, secondo cui, proprio la caratteristica di al Andalus, fu, non senza momenti di violenza e di tensione, la convivenza cordiale di tre religioni affini, musulmani, cristiani ed ebrei. “L’avanzata dei regni cristiani pose però fine a questo equilibrio, aggiunge, e al tono raffinato di vita che lo distingueva. Anche la florida agricoltura musulmana, fondata su un sapiente sistema d’irrigazione, fu sostituita da vaste magre praterie tenute a pascolo soprattutto per gli ovini. La Spagna cristiana, fu, nonostante l’afflusso dell’oro dalle colonie d’Oltreoceano nel Cinquecento, una società imbarbarita e impoverita. E una società dominata da un cupo sistema inquisitoriale. La Spagna dei tempi quasi felici, con molte eccezioni, del resto, fra VIII e XV secolo non esiste più; né esiste più l’Islam illuminato e tollerante di allora”. I califfi litigavano e a volte si uccidevano tra loro ma all’interno di al Andalus le minoranze religiose, ebrei e cristiani, potevano praticare pacificamente la loro fede. Non solo un’isola di tolleranza e di rispetto ma anche un regno nel quale la scienza e la cultura ebbero uno sviluppo eccezionale, come sottolinea la studiosa spagnola Maria Rosa Menocal nel suo libro “Principi, poeti e visir”, il Saggiatore. Per esempio, la biblioteca del califfo a Cordova conservava 400.000 volumi contro appena 400 di una biblioteca latina. Da sempre nel mondo musulmano c’è chi immagina e spera nella rinascita impossibile di al-Andalus come i terroristi jihadisti che esaltano i loro crimini. Nella loro propaganda “al Andalus” è terra musulmana e “noi la riprenderemo con la forza di Allah” ha sostenuto più volte il califfo al Baghdadi ricordando i 750 di dominio islamico su gran parte della penisola iberica. Con quell’epoca i terroristi musulmani che colpiscono in Europa e in tante altre parti del mondo non hanno nulla a che spartire. Sono solo dei fanatici accecati dall’odio, che nulla sanno di storia e che sicuramente si sarebbero scagliati ferocemente anche contro gli arabi conquistatori della Spagna, ritenuti troppo miti e benevoli verso le minoranze. In breve, i fatti storici. Nel 711 i berberi musulmani invadono la Spagna meridionale cacciando i visigoti e nel 750, nel Vicino Oriente, i califfi abbasidi prendono il posto dei califfi omayyadi dopo averli sterminati. Un giovane principe omayyade, Abd al Rahman, sfugge al massacro, raggiunge il Marocco e va alla conquista della Spagna e nel 755 diventa l’emiro omayyade di Cordova. Gran parte della Spagna diventa musulmana con il nome arabo di “al Andalus” (da non confondere con l’Andalusia) e come tale resiste, attraverso varie dinastie, per quasi otto secoli. Nel 929 viene fondato il Califfato di Cordova che dura fino al 1031 e incorpora la parte centro-meridionale della Penisola. La sua capitale diventa la più popolosa città europea con quasi mezzo milione di abitanti. Insieme a Palermo è la culla della cultura araba nel X secolo. Nel 1085 Alfonso VI, sovrano della Castiglia, del Leòn e del Portogallo conquista Toledo. Nel 1086-91 gli Almoravidi africani, dinastia islamista e repressiva nei confronti di cristiani ed ebrei, occupano l’intera Spagna moresca. Verranno massacrati e cacciati nel 1147 da un’altra stirpe africana, gli Almohadi che conquisteranno Siviglia, Granada e altre città, dimostrandosi altrettanto fanatici e fondamentalisti. Nel 1212 la sconfitta araba di Las Navas de Tolosa è una svolta decisiva nella Reconquista e cambia radicalmente la situazione a favore dei sovrani cristiani che nel 1236 occupano Cordova. Il potere musulmano in Spagna comincia a calare: restano solo i Nasridi nel sultanato di Granada fino alla capitolazione definitiva della città nel 1492 che segna il trionfo dei Re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Grande enfasi viene data da alcuni storici alla Reconquista cristiana della penisola che può essere considerata una lunga crociata che coinvolse le tre grandi religioni monoteiste per quasi tutto il Medioevo. Una guerra di religione infinita allora? Per Cardini in realtà vi era ben poco da riconquistare: “la Spagna pre-musulmana era stata un coacervo di staterelli romano-barbarici, vandali e soprattutto visigoti, che i conquistatori arabo-berberi dell’VIII secolo avevano spazzato via senza tuttavia mai giungere a una totale islamizzazione della penisola iberica”. Alberto Leoni ( La Croce e la Mezzaluna, edizioni Ares) evidenzia invece che “nessuno può vantare un’epopea lunga e sanguinosa come quella del popolo spagnolo. Una lotta, a tratti disperata, contro un nemico come quello di al Andalus, più numeroso, ricco e civilizzato….uno spettacolo di resistenza unico nella storia, un vivere rischioso di trincea e di frontiera nella quale si doveva essere sempre pronti a vincere o a morire”. Leoni mette in rilievo anche il fatto che la politica religiosa e fiscale dei musulmani era molto più tollerante di quella bizantina e aggiunge “ la relativa tolleranza nei confronti dei popoli del Libro contrasta con la guerra totale che il credente doveva portare contro gli idolatri”.

 

Vino italiano falso, cresce il mercato estero

L’eurodeputato Cirio: “In Ucraina e Moldavia prodotte e vendute milioni di bottiglie contraffatte di Asti Spumante e Prosecco. A rischio il mercato russo”

 

Raddoppiato in poco più di due anni: il mercato della contraffazione non risparmia nessuno dei prodotti d’eccellenza del Made in Italy, compreso il vino, che dal 2015 a oggi ha visto una crescita esponenziale del numero di bottiglie false prodotte e vendute in particolare nell’Est Europa, in Ucraina e Moldavia. A denunciarlo è l’eurodeputato Alberto Cirio, membro della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue e presidente della Commissione per l’integrazione economica di Euronest, l’Assemblea permanente che cura i rapporti tra l’UE e l’Europa Orientale.

 

«Il caso riguarda in particolare due dei vini italiani più amati e conosciuti nel mondo: l’Asti  Spumante e il Prosecco – spiega Alberto Cirio, impegnato in queste ore in Moldavia in una serie di incontri per denunciare la situazione alle autorità locali – A sollecitare l’urgenza di un intervento sono stati gli stessi Consorzi di produzione, perché il mercato della contraffazione è in forte espansione e i numeri si fanno sempre più preoccupanti. Viene copiato il nome del vino, ma anche colori e simboli delle etichette, come fa la Bulgari Wine che ha sede in Moldavia, una delle aziende più attive in questo giro di contraffazione. Ovviamente la società in questione non ha nulla a che vedere con il noto brand, ma usa un nome evocativo del Made in Italy per vendere falso vino italiano. In altri casi vengono copiati perfino i marchi privati o storpiati i nomi dei luoghi dove nascono i nostri vini, trasformando ad esempio Asti in “Astin” e Alba in “Alb”». 

 

«Nella sola Ucraina, nel giro di tre anni l’Asti falso è passato da un milione a 2,5 milioni di bottiglie – spiega Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio per la Tutela dell’Asti Docg – Il dato è stato rilevato su un campione della grande distribuzione da Nielsen, una delle società specializzate con cui monitoriamo costantemente la situazione. Ma se consideriamo tutti i supermercati e anche gli altri canali di vendita, hotel, ristoranti e bar, le cifre lievitano in fretta: parliamo di circa quattro milioni di bottiglie. Un danno enorme non solo dal punto di vista economico, ma anche per lo svilimento dell’immagine del nostro vino. Dopo aver acquistato e bevuto lo scadente Asti falso, il consumatore non può che essere confuso e perdere l’interesse verso quello autentico».

 

In molti casi le bottiglie non contengono neanche vino, ma una miscela di acqua, zucchero e gas. In Ucraina, nell’ultimo anno, su tre milioni di bottiglie con etichetta riportante il nome “Asti” solo 569 mila risultano autentiche. Le altre sono false, vendute o meglio svendute a un prezzo medio a scaffale di 2,46 euro, contro i 6,55 euro di quelle vere. A preoccupare i produttori è anche la possibilità che Ucraina e Moldavia facciano da porta di ingresso alla contraffazione sul mercato russo, uno dei più importanti per l’export di vino italiano.

 

«Prima della crisi, il mercato russo rappresentava il primo mercato mondiale dell’Asti Docg, con un volume di 15 milioni di bottiglie – spiega Giorgio Bosticco –La crescita della contraffazione ci preoccupa molto. Si sfrutta la reputazione e l’attrazione che il prodotto alimentare made in Italy ha nei confronti del consumatore internazionale e, nel nostro caso, il fenomeno trova terreno particolarmente fertile nei paesi dell’ex Unione sovietica, dove da un decennio l’Asti Docg si è posizionato in un segmento Premium, tanto da essere considerato dai russi “lo Champagne dolce”».

 

Per denunciare la situazione, dopo un primo passaggio a Bruxelles con l’ambasciatore moldavo, l’eurodeputato Cirio è entrato in contatto con l’Agenzia territoriale per la proprietà intellettuale, di cui nelle scorse ore ha incontrato i funzionari in Moldavia. La missione è stata anche l’occasione per parlare con il management della più importante cantina nazionale, azienda di proprietà statale, considerata dal Guinness dei Primati la più grande cantina al mondo.

 

«Ho approfondito con loro la possibilità di tutela dei marchi – spiega Alberto Cirio – e incontrato vari esponenti politici territoriali ad Orhei, che oltre a essere la terza città per dimensioni, è anche un distretto economico e la capitale del territorio rurale. La Moldavia, come l’Ucraina, è un paese che aspira a far parte dell’Unione europea ed io, come presidente della Commissione Economica di Euronest, ho il compito di rimarcare che senza rispetto delle regole non può esserci nessun ingresso. La Moldavia in particolare è in “accordo di associazione”, cioè percepisce anche aiuti e risorse dall’Ue, perché prossima ad entrare in Europa. Per cui non può continuare a far finta di niente. Mi è stato assicurato che la situazione verrà portata all’attenzione del Parlamento nazionale. Io farò altrettanto a Bruxelles e nella prossima riunione a Kiev di Euronest. L’unica via per trovare una soluzione in questi Paesi è istituzionale e diplomatica, perché ad oggi quella giudiziaria non ha portato da nessuna parte». 

 

«Tre anni fa abbiamo intrapreso un’azione giudiziaria con l’Autorità garante ucraina, che ad oggi non ha preso alcuna decisione al riguardo – aggiunge Giorgio Bosticco –Confidiamo in un’azione diplomatica e politica condotta dal nostro Governo ed in particolare dall’Unione europea per interrompere questo increscioso atto criminale. Come Consorzio, inoltre, stiamo valutando di organizzare delle conferenze stampa in Moldavia e Ucraina, come già avvenuto nel 2011 a Mosca e San Pietroburgo, per spiegare e sensibilizzate gli operatori e la stampa locale a distinguere il nostro vino da quello falso».

FlixBus, boom da Torino a Orio al Serio

 Estate 2017: Orio al Serio prima nella classifica delle mete preferite dai Torinesi. Grande successo per le connessioni con la Francia: Lione, Parigi e Nizza in top 5 

Aumentano i Torinesi che sposano una forma di turismo intermodale recandosi in aeroporto in autobus: è quanto emerge dalle prenotazioni FlixBus con partenza da Torino registrate tra giugno 2017 e agosto 2017*, che vedono lo scalo di Orio al Serio al primo posto tra le mete preferite di chi parte dal capoluogo per le vacanze estive a bordo degli autobus verdi. Grazie anche all’aggiunta progressiva di nuove corse giornaliere tra la città e l’aeroporto bergamasco, ora collegati fino a sette volte al giorno in circa 2 ore e 40 minuti, il numero dei Torinesi che quest’estate hanno optato per la soluzione di mobilità intermodale ed ecocompatibile proposta da FlixBus è infattiraddoppiato rispetto all’estate 2016. Un trend positivo in cui si riflette anche il sempre maggior prestigio, all’interno della rete nazionale degli autobus verdi, del capoluogo piemontese, il cui traffico passeggeri è triplicato in solo un anno. Andrea Incondi, Managing Director di FlixBus Italia, ha affermato: «L’aumento dei passeggeri che si recano in aeroporto in autobus è indicativo della grande apertura dei Torinesi a una forma di turismo intermodale in cui i mezzi collettivi si offrono come alternativa all’auto privata, con ricadute positive anche per l’ambiente».

Di seguito, la top 10 delle mete preferite di chi quest’estate è partito per le vacanze con FlixBus da Torino:

1.    Orio al Serio 6. Napoli
2.    Milano 7. Venezia
3.    Lione 8. Genova
4.    Parigi 9. Firenze
5.    Nizza 10. Roma

Come si può vedere, nella classifica si incontrano, in seconda posizione, Milano (raggiungibile fino a 15 volte al giorno in circa un’ora e 50 minuti) e, a seguire, ben tre destinazioni francesi: Lione (fino a sette corse quotidiane), Parigi (fino a cinque corse giornaliere) e Nizza (due corse al giorno) occupano infatti, rispettivamente, la terza, la quarta e la quinta posizione, mentre il resto della classifica rivela la passione dei Torinesi per le grandi città italiane. Torino si riconferma così tanto un punto di partenza ideale per riscoprire il patrimonio artistico e culturale dell’Italia quanto una porta privilegiata sull’Europa, funzioni destinate a consolidarsi progressivamente anche nei prossimi mesi con l’istituzione di nuovi collegamenti nazionali e internazionali.

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* Sono stati presi in considerazione i viaggi effettuati a giugno e luglio e le previsioni per il mese di agosto.

Appendino baby-friendly: sconti ai negozi che si dotano di fasciatoi

La sindaca racconta in un post su Facebook le difficoltà incontrate in viaggio per cambiare i pannolini alla figlia. “A Torino, con una delibera dell’assessore al Commercio, Alberto Sacco, abbiamo inserito proprio la presenza di fasciatoi come criterio di qualità per accedere a degli sconti sulle tariffe comunali per le nuove aperture dei locali di somministrazione”

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IL POST DI CHIARA APPENDINO

“Quest’anno, per la prima volta, io e Marco abbiamo affrontato con Sara un viaggio in auto un po’ più lungo del solito: da Torino fino a Roma dove martedì ho incontrato il ministro Delrio. Abbiamo diviso il percorso in più tappe, anche in Liguria e Toscana. Ci siamo fermati in tanti posti magnifici, per un caffè, una merenda, una pizza o per visitare un museo o un’attrazione e così come noi, tantissime famiglie italiane e straniere.  E, come tutte le famiglie come la nostra, ci siamo trovati quasi sempre a cambiare pannolini nelle situazioni più disparate: su un tavolino, su due sedie affiancate, su una panca o su un divanetto, sempre perché nella stragrande maggioranza dei casi i servizi non erano dotati di fasciatoio. È vero che alla fine si trova sempre un modo per arrangiarsi, ma la presenza più o meno diffusa di fasciatoi è uno degli indicatori con cui un Paese pensa alla maternità e alla cura dei più piccoli. Quindi, a rischio di essere retorica, anche al futuro. A Torino, con una delibera dell’assessore al Commercio, Alberto Sacco, abbiamo inserito proprio la presenza di fasciatoi come criterio di qualità per accedere a degli sconti sulle tariffe comunali per le nuove aperture dei locali di somministrazione. Si tratta ovviamente di un piccolo passo ma crediamo che sia un segnale importante. Sia chiaro, non solo per i turisti o per chi ha esigenze sporadiche, ma per tutti i cittadini residenti e non. L’auspicio è che i gestori ma soprattutto le Amministrazioni, a tutti i livelli, si adoperino concretamente per migliorare questa situazione che ci vede indietro rispetto a tanti altri paesi più “baby-friendly”, almeno da questo punto di vista. Chissà che Sara e tutti i suoi coetanei un giorno, nelle loro città e nel loro Paese non possano cambiare pannolini in posti più agevoli e igienici rispetto a dove sono stati cambiati loro”.

I cinesi vogliono fare shopping in Fca?

Great Wall, produttore cinese di Suv,  sarebbe interessato ad acquistare lo storico marchio Jeep da Fca. La notizia è del  sito Usa Automotive News, che  afferma di averlo appreso direttamente dal presidente della Casa automobilistica asiatica Wang Fengying attraverso un messaggio di posta elettronica – riporta l’agenzia Ansa –  in cui il magnate cinese spiega di essere in contatto con Fca. Il Lingotto ha però riferito di non voler commentare le indiscrezioni. Intanto la  Borsa sale nel settore auto e il titolo guadagna il 4.38% a 11,22 euro, ed Exor cresce dell’1,33% a 53 euro.

 

(foto: il Torinese)

Cementificazione e abusivismo a Ischia come altrove

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Ischia e’ formata da 6 comuni, ovviamente con 6 sindaci e con sei amministrazioni. Un vero e proprio assurdo. L’altra notte non c’è stato coordinamento, ma solo buona volontà tra i singoli, rileva Patrizia Asproni che era in vacanza sull’isola. Uno dei  Comuni non da ‘ informazioni comprensibili per chi non abiti sull’isola, nota per il turismo.Incredibile che pensi solo agli abitanti. I media – osserva Asproni-  amplificano il terrore e l’ansia e creano il panico anche dove non ha motivo di esserci. Le informazioni sono per lo più illazioni e “sentito dire” , come al solito. La parte colpita e’ soprattutto Casamicciola per le case obsolete,accatastate,costruite con il fai da te. Abusivismo edilizio in attesa eterna di condono, materia su cui i politici, da Bassolino a De Luca , hanno incominciato a litigare. De Luca appare migliore di quello che il suo massacro mediatico ci ha consentito di cogliere : non è solo il personaggetto creato da Crozza. Tuttavia nell’isola la situazione è rientrata e c’è soprattutto sciacallaggio mediatico. E’ grave  che ci sia perché i giornali dovrebbero avere più senso di responsabilità specie nei momenti difficili. Il terremoto a Casamicciola non è nuovo. Nel 1883 travolse l’intera famiglia di Benedetto Croce in vacanza sull’isola .Il filosofo lo descrisse in una sua celebre pagina travisata  di recente da un autore che vuole vedere  solo camorra dappertutto. Croce senti’ il rimorso di essersi salvato. Fu una grande tragedia della sua vita.  Adesso noi sentiamo i politici litigarsi sull’abusivismo edilizio per combattere il quale Bassolino non ha fatto nulla di concreto in dieci anni per superarlo, anche se e ‘ vero che  e’ stato forse condizionato  dai sei comuni dell’isola  e dagli interessi contrastanti. Una perla come Ischia meta di tanto turismo internazionale,nota per le sue terme, merita amministratori migliori,ma i giornali devono darsi una regolata e non possono pensare di produrre panna montata giornalistica  anche su una tragedia meno grave  di quanto si potesse pensare,ma pur sempre drammatica L’abusivismo e’ fenomeno grave del Mezzogiorno,ma costruire in zone sismiche e’ folle soprattutto per chi lo fa, magari con lo scopo di abitarci. La scarsa qualità dei materiali usati e’ cosa comune anche ad altre realtà italiane. Se guardassimo all’infame cementificazione della Liguria ci accorgeremmo che forse ci sono gli stessi problemi. L’avidità degli impresari ha rovinato paesi e città della Liguria, complici i sindaci e gli amministratori.La scarsa qualità dei materiali tocca anche il nostro Piemonte,anche se nessuno ne parla e ne scrive. Riflettiamo su Ischia senza scandalizzarci,ma traendo insegnamento da ciò che è accaduto.

 

quaglieni@gmail.com

Roma val bene una “massa”…

…di nuovi potenziali votanti “jusolini” cattocom

Entrata al 100% politica a gamba tesa del bomber argentino della rinata Internazionale postmarxista e conferma matematica del perché ci lasciano stare (Vaticano in testa) con gli attentati. l’Italia è da oggi ufficialmente una Teocrazia cattocomunista collusa con gli invasori africani e mediorientali. Le responsabilità di Ratzinger per l’essersi dimesso (per non aver saputo resistere al rassegnare dimissioni impostegli) lasciando spazio a Bergoglio saranno di lungo periodo epperò, probabilmente, accelereranno “provvidenzialmente” la fine della credulità popolare nella Chiesa cattolica.

https://www.google.it/amp/www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/21/ius-soli-salvini-se-papa-francesco-lo-vuole-in-vaticano-faccia-pure/3807388/amp/

Il papa e lo ius soli: accoglienza sì, ma non illimitata

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Il messaggio del Papa alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018 contiene considerazioni che, in linea di massima, sono pienamente condivisibili,come, in linea di massima, può essere accettabile il principio di uno ius soli temperato ,come  viene proposto al Parlamento italiano. La situazione italiana impone  però dei distinguo che non possono essere taciuti, pur nel massimo rispetto della funzione morale esercitata dal Papa. Una funzione morale  di cui va garantita la totale libertà,ma che non necessariamente deve essere una linea-guida per uno Stato laico. Il messaggio papale merita alcune riflessioni legate al momento italiano, anche se appare ovvio che il Papa si rivolge al mondo intero. Il primo elemento da considerare è che non ci può essere un’ accoglienza illimitata,vistosamente incompatibile con le capacità di un paese come l’Italia in crisi economica  e senza segni evidenti di ripresa. Il richiamo del Papa va temperato dalla consapevolezza  che il principio dell’accoglienza non può trovare una realizzazione totale, quando collida con il principio della ragionevolezza a cui deve attenersi uno Stato. Il Papa indica,come gli impone il suo magistero, degli obiettivi morali,ma lo Stato deve seguire logiche laiche ispirate all’etica della responsabilità e non a quella dei principi. Quando Cavour parlava di” Libera Chiesa in libero Stato”,forse metteva un “in” di troppo,perché la sfera religiosa deve essere totalmente autonoma e sovrana rispetto allo Stato. Sicuramente però ” Libera Chiesa e libero Stato” o, meglio, “Libere Chiese e libero Stato” resta un punto fermo sancito dalla stessa Costituzione repubblicana che pure recepì nell’art. 7 i Patti Lateranensi.

 

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Giolitti parlava di Stato e Chiesa come di rette parallele,dicendo che non dovevano incontrarsi mai. Forse Giolitti esagerava,ma un certo parallelismo è indispensabile. Un Stato ispirato a valori religiosi diventa uno Stato etico,mentre lo Stato,proprio per garantire la libertà religiosa, deve rimanere neutro,cioè laico.Con ciò nessuno disconosce il valore del Cristianesimo che fu proprio un filosofo laico come Croce a considerare la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità. La Giornata mondiale del migrante e del rifugiato mette insieme due realtà diverse: un conto è il migrante e un conto è il rifugiato.Dalla confusione di queste due realtà è derivato il disastro dal quale avremo estrema difficoltà ad uscire per l’irresponsabilità  e la superficialità dei nostri governi. Se uno Stato non distingue tra migranti e rifugiati ,rischia il collasso,come sta rischiando oggi l’Italia.Accogliere i  rifugiati è un dovere,accogliere i migranti non lo è. Il Papa prende posizione contro le “espulsioni arbitrarie”,una posizione  di per sè giustissima,anche se in Italia le espulsioni sono così rare ed eccezionali che è quasi  impossibile rendersi conto che esse avvengano. Su migliaia e migliaia di sbarcati giornalieri un qualche filtro sarebbe necessario da subito.Anzi sarebbe necessario già in partenza e neppure solo all’arrivo in territorio italiano. Per tanto tempo non si è proceduto neppure al riconoscimento e c’è stato chi ha ritenuto che anche solo il prendere le impronte digitali  fosse un grave atto di discriminazione. Il Papa invita a garantire a migranti e rifugiati il diritto al lavoro,anche in Italia questo diritto non è riconosciuto neppure ai cittadini italiani. In ogni caso, le accoglienze sono a carico dello Stato e solo eccezionalmente sono previsti lavori socialmente utili. C’è un anello,quelle delle cooperative sociali che andrebbe evidenziato e forse spezzato.

 

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“Accogliere,proteggere,promuovere,integrare”è l’imperativo categorico del Papa. Sui primi tre obiettivi si può sicuramente consentire,ma sul tema dell’integrazione  appare difficile ,se non impossibile, integrare persone che non accettano a priori di rispettare le leggi dello Stato che accoglie e che ritengono il loro credo religioso tale da esonerarli dal rispetto delle leggi italiane,in primis la Costituzione.  Il fatto religioso diventa un fatto determinante in relazione all’integrazione,mentre ai sensi dell’art.3 della Costituzione non dovrebbe assolutamente incidere sulla cittadinanza e sui doveri che implica,oltre ai diritti che garantisce.  Sembra strano,addirittura paradossale,  che proprio il Papa non si renda conto che l’Islam appaia una religione incompatibile con l’integrazione.Altrettanto,paradossale che molti non credenti si facciano difensori dell’identità cristiana  minacciata, quasi un nuovo “Cattolicesimo ateo” – o  l’ “ateismo devoto” che ha  riguardato il più recente passato – che torna alla luce come ai tempi del fascismo.L’aver anticipato all’agosto 2017 il messaggio per la Giornata mondiale 2018 rende legittimo un qualche sospetto circa la coincidenza del messaggio con la ripresa dell’iter parlamentare della legge  italiana sullo Ius soli. Sicuramente si tratta di una banale  coincidenza che però  genera confusione, invece di contribuire alla chiarezza. Lo ius soli è una legge che segna il futuro dell’Italia e su di essa bisogna procedere con i piedi di piombo.  Il Parlamento dovrà votare libero da condizionamenti di qualsiasi tipo.  Sulla legge proposta ci possono essere legittime perplessità,specie  se guardiamo all’incidenza sul nostro futuro di una legge che rende italiani dalla nascita.Tra vent’anni quanti saranno i nuovi italiani che potranno votare ? Questa appare una preoccupazione legittima che chi ritiene la democrazia un bene prezioso, ha il dovere di manifestare, specie se consideriamo la disaffezione irresponsabile verso il voto di troppi italiani.

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quaglieni@gmail.com

(foto: il Torinese)