ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 612

Ied Open Day

Il 14 settembre l’Istituto Europeo di Design invita i creativi di domani in tutte le sedi Italia per scoprire l’offerta formativa 2017/18 Giovedì 14 settembre in tutte le sedi IED Italia – Milano, Roma, Torino, Venezia, Firenze, Cagliari e Como – ritorna l’evento dedicato a coloro che desiderano scoprire da vicino la realtà dell’Istituto Europeo di Design e la sua offerta formativa, interagendo direttamente con lo staff, i coordinatori dei corsi, i docenti, gli studenti e gli alumni. In occasione dell’Open Day sarà possibile informarsi su tutti i Corsi Triennali, Master, di Specializzazione e Formazione Avanzata in partenza per il nuovo anno accademico 2017/18 nelle aree del Design, Moda, Arti Visive e Comunicazione; candidarsi ad una delle 74 borse di studio Master disponibili e scoprire anche i nuovi Diplomi Accademici di I° Livello riconosciuti dal MIUR. In ciascuna delle sette sedi ci sarà un programma dedicato all’orientamento con la possibilità di partecipare a presentazioni ed esposizioni o di prendere parte a workshop e open lesson, per immedesimarsi nella quotidianità di chi già guarda con entusiasmo al mondo del design e della creatività, iniziando a delineare il proprio profilo professionale. In tutte le sedi è previsto anche un programma di orientamento in lingua inglese dedicato a tutti gli studenti stranieri che saranno presenti alla giornata.

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L’Open Day del 14 settembre si svolgerà nelle sedi IED con i seguenti orari: – IED MILANO – Via A. Sciesa, 4 e via Bezzecca, 5 – dalle 10.30 alle 22.00 – IED ROMA – Via Alcamo, 11 – dalle 10.00 alle 16.30 – IED TORINO – Via San Quintino, 39 – dalle 14.00 alle 18.00 – IED VENEZIA – Palazzo Franchetti, Campo S. Stefano, S. Marco, 2842 – dalle 14.00 alle 18.00 – IED FIRENZE – Via Bufalini 6/r – dalle 10.00 alle 18.00 – IED CAGLIARI – Villa Satta – Viale Trento, 39 – dalle 11.00 alle 18.00 – IED COMO – Accademia Aldo Galli – Via Petrarca, 9 – dalle 10.00 alle 21.00

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“Da 50 anni IED continua a mantenere quel profilo di unicità che ha contraddistinto la sua evoluzione nel mondo della formazione – dichiara Fabrizia Capriati, Responsabile Comunicazione IED Italia. IED ha mantenuto nel tempo la sua origine e vocazione interamente made in Italy, ha confermato un modello formativo in stretta e virtuosa connessione con il mondo professionale e sviluppato un’offerta formativa multiforme, attenta ai cambiamenti della società e alle richieste di profili in entrata nel mercato del lavoro. Oggi IED si misura su una dimensione di circa 10.000 studenti all’anno su cui si contano più di 100 nazionalità e dove la percentuale relativa a coloro che hanno iniziato una prima esperienza lavorativa, al termine del percorso di studi, si attesta sul 92%”. L’offerta formativa IED conta oltre 200 corsi, tra Triennali, Master e Corsi di Specializzazione e Formazione Avanzata. A partire dall’anno accademico 2017/18, alla già ampia lista di Diplomi Accademici di I° Livello riconosciuti dal MIUR, si sono aggiunti per la sede di Firenze, i corsi di Interior and Furniture Design in inglese, Comunicazione Pubblicitaria e Interior Design in italiano e Fashion Design in italiano; per le sedi di Milano, Roma e Torino, il corso di Design della Comunicazione; per le sedi di Cagliari e Firenze, il corso di Fashion Design. Per gli aspiranti studenti dei Master, IED mette a disposizione 74 borse di studio a copertura del 50% della retta di frequenza: per i Master in partenza a novembre e gennaio, la scadenza per candidarsi alle borse in palio è il 20 settembre, mentre per i Master con inizio nei mesi di febbraio e marzo 2018 la deadline è il 15 novembre. Su borsedistudio.com tutte le info e il brief sul progetto da sviluppare per il corso prescelto.

Per maggiori informazioni e per registrarsi all’Open Day: ied.it/openday

RISPARMIO GESTITO: ERAN 300 (MILIARDI), ERAN (GIOVANI E FORTI), 15 ANNI FA, E…

Per il 26mo anno consecutivo è stata pubblicata dall’Ufficio Studi di Mediobanca la più temuta, proprio perché super partes, ricerca sull’andamento del risparmio gestito in Italia: http://www.mbres.it/it/publications/dati-di-fondi-e-sicav-italiani.

La conclusione è purtroppo sempre la stessa da oltre un quarto di secolo: mediamente ed escluse dovute eccezioni che però, spesso( bisogna essere molto attenti rispetto alla continuità della “prestazione” nel tempo nel selezionare l’eventuale struttura finanziaria a cui ci si voglia comunque affidare), non riconfermano sporadiche extra-performance annuali, non conviene far gestire da terzi autorizzati( men che meno da altri strutturati in modo più naif come Catene di Sant’Antonio) i propri soldi, stante che, sempre mediamente, l’industria del risparmio gestito.  Il mancato raggiungimento( per inefficienza gestionale ma, ancor più per i costi espliciti e impliciti) anno dopo anno, sempre mediamente e escluse le dovute eccezioni di cui sopra, anche solo degli indici correnti di Mercato che chiunque potrebbe realizzare con il fai-da-te( o attraverso strumenti finanziari semplicissimi ed economici di replica dei medesimi indici come gli ETF), ha in generale depauperato di 20 miliardi i portafogli dei clienti in 10 anni( del doppio in 15) e, considerato che la Ricerca di Mediobanca “copre” solo i Fondi e le Sicav di Diritto italiano, che gestiscono 300 miliardi contro i 2000 miliardi totali affidati dagli Italiani agli industriali del Risparmio, non si può non estrapolare, anche solo per onestà intellettuale e ben consci che questo stato di cose  si è ormai reso psicologicamente ed antropologicamente ineludibile per i più, un dato terrificante che, considerando anche le gestioni estere( in genere ancora meno efficienti), porta a circa 300 miliardi il “costo” complessivo del risparmio gestito a carico dei cittadini in 15 anni( in effetti, è da tempo opinione comune che il trasferimento surrettizio non giustificato dalla qualità del servizio di ricchezza dai risparmiatori all’Industria del risparmio gestito – da cui, peraltro, i Gruppi bancari ricavano ormai da moti anni oltre metà del loro margine operativo lordo- sia di circa 20 miliardi all’anno).

 

Paolo Turati

Immigrazione e accordi politici con il Nord Africa

Si è concluso di recente il prestigioso convegno annuale organizzato dalla Ambrosetti, nota società di consulenza direzionale, e tra i temi caldi trattati c’è stato, inevitabilmente, quello dell’immigrazione che, ormai da anni, vede l’Italia come meta di centinaia di migliaia di africani, apostrofati da alcuni quali migranti, da altri semplicemente come clandestini

Pare accantonato il tema dell’accoglienza, anche a seguito dello stato di emergenza proclamato di fatto dal ministro degli Interni Minniti, in quota PD che, nel dichiarare il pericolo di una “tenuta sociale” del nostro Paese di fronte ad un fenomeno come quello attuale di spostamento stanziale di masse enormi di persone, ha completamente stravolto la logica e l’operato del suo predecessore Alfano, leader del Nuovo Centrodestra.Modificato, quindi nel suo insieme, l’orientamento del mondo politico nell’unione di intenti nel fermare gli sbarchi, ecco i soliti aruspici lasciarsi andare alle peggiori esternazioni, frutto o di una profonda ignoranza o di una demagogia spicciola, che forse non trova successo nemmeno presso un pubblico di bambini delle elementari oggi chiamate primarie (anche se fortunatamente per i pargoli non hanno nulla a che vedere con quelle politiche). Un coro unico proveniente dai principali esponenti di destra e sinistra, seduti comodamente su poltrone di “pelle umana” nella cornice di Villa d’Este in quel del “ramo di Como”, si alza unanime concordando sulla necessità di pagare un qualcuno affinché non faccia arrivare questi disgraziati, impestati di ogni malattia, chiamata superficialmente povertà.

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E poiché, in natura, secondo Hobbes nel suo Leviatano, a ogni “immaginazione” corrisponde un concetto esprimibile dall’uomo in parola, non scomodiamo supercazzole applicate come se fosse Antani, secondo un assai più modesto pensatore, ma comico di grande livello nella satira contemporanea, quale Ugo Tognazzi, per esprimere il concetto di pagare! Lor Signor non si abusino di espressioni quali finanziare ospedali, welfare, progetti di cooperazione internazionale: chiamiamole stecche, tangenti, pizzo! Quello sono e quello restano! Ma qualcuno forse sarà tentato di alzare il dito della manina nella prestigiosa disquisizione di politica internazionale, seconda solo a quella di Davos, e di ricordare come un tale, un certo Silvio Berlusconi che si autoproclamò in quella circostanza statista di caratura internazionale, a suo tempo avesse già contribuito ad un’iniziativa similea suon di miliardi di Euro, da lui definiti attraverso metodologie assai superate del marketing dei venditori degli anni Settanta in “piccoli contributi”. Ma un soggetto dotato delle medie capacità intellettive della popolazione, espressione assai cara e di moda che si legge nelle sentenze di alcuni magistrati per indicare un uomo caratterizzato da un livello di comprensione alla soglia di un minus habens , non può non rendersi conto, di fronte all’obbiezione di quanto sollevato dal precedente intervento del signore in platea tra le ultime fila che timidamente ha alzato la mano esprimendo una quanto lecita perplessità, della presenza di un vuoto spazio-tempo dal 2009 a oggi, che forse nemmeno la teoria della relatività di Einstein potrebbe colmare.Il beneficiario dei contributi stanziati dal leader per antonomasia di Forza Italia era un certo Mu’ammar Gheddafi, da egli definito come “un suo grande amico” che, come un Goto moderno, riceveva un obolo dalla versione 2.0 dell’Impero Romano, non tanto per prestigio quanto per posizione geografica, affinché si adoperasse nella prosecuzione del mito del re Teodorico a svolgere la funzione di cuscinetto e di tenere lontani i barbari più feroci dai confini della civiltà.Ma se filava così come pare tutto per il meglio che fine ha fatto il povero colonnello libico, resosi così simpatico con la trovata delle ragazze immagine ospitate nella tendopoli romana per lui allestita alle quali commentava il Corano, visto che da beduino quale era non poteva alloggiare in un hotel seppur di lusso? Evidentemente a un certo Sarkozy, che molti ricorderanno più quale marito di una certa Carlà, che per il suo trascorso di ex presidente della Repubblica francese, non garbava il fatto che i confini dell’Europa cristiana fossero difesi dai miscredenti e che, soprattutto, il militare maghrebino stringesse affari con l’Italietta, a discapito di una grande Nazione vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna.

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E fu cosi che in un bel pomeriggio del Febbraio 2011 alcuni caccia dell’aviazione francese, senza dire nulla a nessuno, si alzarono in volo per andare a bombardare la Libia così crudele da decenni, nella accondiscendenza di mezzo mondo, della violazione dei diritti umani della popolazione locale. Da quella data funesta sono passati ben sei anni e in quel deserto, così impregnato di petrolio, non solo non regna la pace, tra guerre civili in atto tra un numero non meglio precisato di tribù e Stati riconosciuti e non dall’ONU, ma sembrerebbe che prosperi anche una fiorente attività criminale organizzata, dedita al traffico di esseri umani verso la cara e vecchia Europa, così ricca e prospera e civile da poter ospitare tutti, belli e brutti. Lor Signor alla Ambrosetti dessero meno fiato alla bocca rispettando il pubblico, che consapevolmente non si reca alle urne a votarli praticando l’astinenza, piuttosto che contribuire all’elezione di soggetti oversize che, seduti quali satrapi mediorientali, fanno sfoggio di una preparazione politico-culturale che non padroneggiano. Il vero problema è che, a seguito della fine del colonialismo anglo-francese, sostituito da governi militari manipolati a piacimento dalla politica internazionale, oggi si vorrebbe “esportare la democrazia”, creando i presupposti affinché vengano eletti rappresentanti politici locali finanziati, in modo da fermare con ogni metodo, anche i più cruenti, nel silenzio della stampa internazionale, il fenomeno degenerato dell’emigrazione verso Nord da parte dei subsahariani, e, allo stesso tempo, tutelare gli interessi economici di Stati Uniti, Francia e Inghilterra, q discapito di una Italietta e di una Cina che, nel silenzio complessivo, ha comprato mezza Africa e installato enormi basi militari un po’ ovunque, al di sotto del Mediterraneo. Qualcuno diceva: “finché c’è guerra c’è speranza”, contenti loro…

Il Califfato in rotta

FOCUS di Filippo Re

Si sbriciola sempre di più il Califfato nel Siraq, come un mosaico che va in pezzi, frantumato dalle continue offensive delle truppe protette dal cielo dai jet della coalizione internazionale. Almeno tre milioni di persone sono già state sottratte alla ferocia dell’Isis, liberate da un incubo durato oltre tre anni. Resta però in piedi il progetto jihadista di esportare ideologia islamista e conquiste altrove, come già avviene, nel resto del Continente asiatico, in Africa, e in Europa dove brigate di foreign fighters sono state addestrate per colpire con ogni mezzo. Il Daesh non è morto, concordano analisti ed esperti dell’Onu, e pur avendo perso l’unità territoriale del suo Califfato rimane una concreta minaccia militare. Cacciato dalle sue “capitali”, l’Isis fa ancora paura e si rifugia nelle nuove “province”, i wilaya che i miliziani del Califfo amministrano in varie parti del Medio Oriente e anche altrove, fino al sud-est asiatico. Qui ritrovano forza e brutalità per rinascere. Dopo Mosul, in Iraq è caduta anche Tel Afar, Deir Ezzor in Siria sta per essere ripresa, la roccaforte Raqqa è prossima alla capitolazione, le enclave jihadiste al confine con il Libano sono state smantellate, la continuità geografica dell’autoproclamato Califfato è solo un brutto ricordo. Gli uomini neri del califfo sono in rotta ovunque dopo aver perduto l’80% dei territori che controllavano in Iraq e il 60% di quelli siriani. Tel Afar era l’ultima cittadina irachena della provincia di Ninive occupata dall’Isis da tre anni. Per l’esercito del premier Al Abadi si tratta di una conquista importante poiché Tel Afar, situata tra Mosul e il confine siriano, è una località strategica nella regione nord-occidentale dell’Iraq. Come era già accaduto per la conquista dell’antica Ninive, anche a Tel Afar decine di migliaia di civili sono rimasti intrappolati in città tra due fuochi incrociati e molti di loro sono stati usati dai jihadisti come scudi umani. Ora le forze armate di Baghdad appoggiate da milizie sciite filo-iraniane puntano verso la cittadina di Al Ayadieh, a una ventina di chilometri a nord di Tel Afar, verso la frontiera siriana. Giorni contati per l’Isis anche in Siria. Il lungo assedio jihadista a Deir Ezzor, sul fiume Eufrate, nell’est della Siria, è stato spezzato dall’esercito governativo e dalle milizie alleate. Per tre anni i soldati del califfo hanno assediato la città difesa da una guarnigione fedele al presidente Bashar al Assad e i civili sono sopravvissuti all’accerchiamento grazie ai viveri

 (AP Photo/Osama Sami)

e ai medicinali lanciati dagli aerei di Damasco. Nei giorni scorsi l’esercito siriano, appoggiato da truppe russe e dai raid aerei, ha guadagnato terreno e sconfitto più volte i fondamentalisti islamici nella provincia di Deir Ezzor, ricca di petrolio e gas. Anche Raqqa è sul punto di crollare davanti all’avanzata di curdi e forze speciali americane. Gran parte della città è stata riconquistata dopo sanguinosi combattimenti casa per casa. Anche nella battaglia di Raqqa i civili pagano il prezzo più alto. Molti muoiono sotto le bombe, chi tenta di fuggire viene ucciso e tanti altri vengono usati come scudi umani. Testimoni oculari di varie organizzazioni umanitarie denunciano bombardamenti indiscriminati che distruggono case e ospedali. In un rapporto di Amnesty International si legge che da quando è iniziata l’offensiva verso Raqqa centinaia di civili sono stati uccisi o feriti dai colpi dell’artiglieria e sotto i bombardamenti della coalizione a guida americana. Cecchini, esplosivi e mine hanno completato il massacro. A sud di Raqqa avanzano anche le forze lealiste siriane, sostenute dai russi, che cercano di stringere in una morsa i jihadisti del Daesh. Mentre il Califfato vive la sua lunga agonia, i cristiani rimasti nelle terre dell’Eufrate e del Tigri si contano sulla punta delle dita. “Le guerre hanno decimato le popolazioni e la presenza cristiana è ormai ridotta a numeri decimali”. Le parole di padre Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, lasciano poco spazio alla speranza. Nel suo recente intervento al Meeting di Rimini l’ex Custode francescano di Terrasanta ha chiarito una volta per tutte che il Medio Oriente è una regione completamente frammentata e in Siria “la sfida più grande è convincere le persone a tornare e a rientrare nelle loro case ma le prospettive sono incerte, le vite sono da ricostruire e nulla sarà come prima”. L’Iraq risulta tra gli Stati dove il calo del numero dei cristiani è più marcato a causa delle continue guerre che hanno distrutto la nazione. Negli anni Novanta erano oltre un milione e nel 2006 appena 300.000. Nel 2014, in seguito all’occupazione della Piana di Ninive da parte dello “Stato islamico” i cristiani fuggiti nel Kurdistan iracheno, in Giordania, Turchia e Libano, sono stati circa 140.000 mentre altri 50.000 hanno abbandonato il Paese. In Siria, dilaniata dalla guerra civile che infuria dal 2011, la popolazione cristiana è precipitata da 2,2 milioni nel 2010 a 1,1 milioni quest’anno con centinaia di migliaia di cristiani che hanno lasciato il Paese. Le radici della Chiesa siriana sono profonde e sopravvivono grazie al coraggio e alle iniziative delle parrocchie locali, dei francescani, dei gesuiti, dei salesiani. Tutto ciò è importante ma non è sufficiente per padre Pizzaballa e “molti cristiani attendono di emigrare definitivamente come testimoniato da tanti giovani iracheni sfollati con cui ho parlato”. Molti di questi giovani hanno trovato un rifugio sicuro nel Kurdistan iracheno, accolti e sfamati dai curdi che hanno svolto un ruolo di primo piano nella liberazione del Siraq dal Daesh. E per la zona autonoma curda irachena si prepara la sfida del referendum per l’indipendenza del Kurdistan che dovrebbe svolgersi il 25 settembre, giorno in cui i curdi dovranno decidere se diventare o meno indipendenti da Baghdad. Il condizionale è d’obbligo perchè si tratta di un referendum che in realtà nessuno vuole poiché stravolgerebbe i già fragili equilibri geopolitici del Medio Oriente e accenderebbe le aspirazioni all’indipendenza dei curdi che vivono nei Paesi limitrofi. Non lo vogliono la Turchia, l’Iran, il governo iracheno e gli stessi curdi sono tra loro molto divisi e anche contrari alla consultazione. Non lo vogliono neppure gli Stati Uniti che premono per il rinvio del referendum. Ma se il Califfato in Siria e in Iraq è ormai allo sbando, i combattenti di Al Baghdadi e di Al Qaeda continueranno a colpire, dal Maghreb al Sahel, dal nordAfrica all’estremo Oriente attraverso l’Afghanistan e l’Asia centrale con l’obiettivo di realizzare nuove versioni del Califfato e iniziare un’altra stagione di sangue, odio e violenza.

(Filippo Re – da “La voce e il tempo”)

Iren, 100 bambini in ufficio con mamma e papà

Tre i siti torinesi del gruppo coinvolti dall’iniziativa: la sede direzionale di corso Svizzera, la sede Ireti di via Pianezza e la sede Amiat di via Giordano Bruno

Oltre 100 bambini tra i 4 e i 14 anni nelle sedi aziendali del Gruppo Iren a Torino, hanno partecipato, rumorosi e curiosi, a “Bimbi in ufficio con mamma e papà”, iniziativa di carattere nazionale nata per far conoscere ai più piccoli l’attività professionale e i luoghi di lavoro che i propri genitori frequentano quotidianamente. Tre i siti torinesi del gruppo coinvolti dall’iniziativa: la sede direzionale di corso Svizzera, la sede Ireti di via Pianezza e la sede Amiat di via Giordano Bruno.Dopo l’accoglienza iniziale, i bambini hanno potuto trascorre un po’ di tempo con i loro genitori per conoscere gli uffici e capire che tipo di attività svolgono mamma o papà.

Successivamente per tutti è stata predisposta, con modalità diverse a seconda della fascia di età, un’attività educativa incentrata sul tema “Diventa Ecofan” attraverso l’illustrazione di buone pratiche sui temi dell’ecologia e del risparmio energetico. Questa iniziativa ha consentito ai ragazzi coinvolti di capire come non servano gesti eroici, ma piccole azioni quotidiane, per migliorare l’ambiente e favorire il risparmio energetico. Un gruppo di bambine e bambini hanno sperimentato da protagonisti una seduta del Consiglio di Amministrazione esaminando, nel ruolo di consiglieri, progetti ed idee da loro proposti per migliorare l’ambiente e la qualità della vita di domani. Alla fine della mattinata, pranzo in mensa con i genitori ed i colleghi dove per l’occasione è stato servito un menù speciale adatto a grandi e piccini.

Nosiglia: “non dobbiamo soccombere alla paura”

Nella  sua Lettera pastorale dal titolo ‘Maestro dove abiti?’ l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, scrive  ai giovani e agli educatori: “Ci sono nodi che non possono essere passati sotto silenzio, neanche nei nostri Oratori e nei gruppi giovanili. Il grande tema della paura è uno di questi. Viviamo assediati dalla possibilità di un’esplosione che potrebbe cancellarci la vita o le nostre comode certezze. Ma, se non vogliamo soccombere alla paura  dobbiamo, a partire proprio dai giovani e con loro, resi responsabili e protagonisti, affrontare le nuove sfide del futuro della nostra società, che incrociano i grandi temi della cittadinanza, dell’accoglienza e dell’integrazione, del diritto alla vita e dell’uso del territorio. Conosciamo bene i contesti difficili di oggi, li abbiamo studiati e ‘misurati’, insieme con le istituzioni e le forze sociali torinesi nelle varie sessioni dell’Agorà”.

Con il sensore nella vigna

Foto Andrea Negro / LaPresse

Vitivinicoltura e tecnologia digitale possono convivere, anzi condividere, usando un linguaggio proprio del web ? La risposta è positiva e una sua applicazione la si vedrà sul campo, meglio, sul colle, a partire da lunedì 14 agosto. Grazie ad un sensore collocato in vigna, a basso impatto ambientale ed a palloni metostatici “ancorati” a circa cento metri di altezza, con l’aiuto di un algoritmo si potranno mettere in correlazione le condizioni ambientali con le malattie del vigneto e quindi fare un’opera di prevenzione. E i dati raccolti, grazie al pallone meteostatico, potranno venire messi in rete mediante l’accesso ad un punto internet. Il progetto, nato in seno al Politecnico di Torino, vede in campo anche Senza Fili Senza Confini, associazione di promozione sociale registrata come internet service provider presso il Ministero dello Sviluppo economico e nata il 18 ottobre 2014 a Verrua Savoia (comune della Città Metropolitana di Torino ma facente parte della Valcerrina) dove ha sede presso la Fortezza. “Saranno tre i punti dove daremo corpo a questo progetto – dichiara Daniele Trinchero, presidente di Senza Fini Senza Confini e docente al Politecnico di Torino – uno a Verrua, ma il pallone verrà ancorato su territorio del Comune di Brozolo, uno ad Odalengo Piccolo e l’altro a Treville. Lo svolgimento del progetto, naturalmente, è reso possibile grazie anche alla collaborazione delle amministrazioni comunali dove verranno ancorate le stazioni e ci saranno i diversi punti di accesso alla rete, con notevole risparmio energetico.”. E sarà proprio da Treville che si incomincerà a lavorare proprio il giorno prima di ferragosto. Senza Fini Senza Confini è una realtà associativa ormai consolidata non solo nel Monferrato Casalese e la Città Metropolitana di Torino, ma anche in altri punti del Piemonte (come ad esempio il Vercellese) e d’Italia per la diffusione dei collegamenti di rete.

Massimo Iaretti

 

 

 

 

Com’erano belli gli anni del boom. In mostra fino al 30 settembre

Qualche volta presente, passato e futuro si rincorrono fino a sovrapporsi. Una regola della storia che non ha risparmiato Torino. La città della Mole, nel corso degli ultimi due secoli, in più occasione si è trovata infatti a doversi rialzare dopo aver subito un colpo del destino (il trasferimento della capitale d’Italia prima a Firenze e poi a Roma, gli effetti delle macerie economiche e sociali lasciati dalle guerre mondiali, la crisi e il declino dell’industria nell’ultima parte del Novecento) tanto forte dal sembrare di poterla mandarla definitivamente al tappeto, ma sempre, come un pugile con il Dna del campione, ha saputo rialzarsi, ripartire e crearsi un futuro nuovo, vincendo le sfide del cambiamento, della ricostruzione e dello sviluppo, come avvenuto dopo il Secondo conflitto mondiale, negli anni del “boom economico”. E’ stato un momento felice e positivo per una città che la guerra aveva ferito nel corpo e nello spirito, un periodo di rinascita economica e sociale, colmo di sogni e di aspettative che in larga parte hanno trovato risposta e portato con sé un deciso miglioramento della qualità della vita e del benessere collettivo.

 

La mostra proposta dell’Archivio Storico della Città di Torino e allestita nella sala al piano terreno di via Barbaroux 32, ricorda quel tempo e lo fa rivivere attraverso fotografie, manifesti, locandine e oggetti di uso quotidiano in quegli anni che furono, come evidenziato dal titolo dell’esposizione, “Gli anni del miracolo economico. Torino Rinasce.” 

Il ricordo degli ambienti di lavoro nella grande industria, delle grandi opere pubbliche in costruzione, dei momenti di festa e di vita sociale, degli eventi di sport e spettacolo e di altro ancora è fissato in decine fotografie in bianco e nero collocate lungo le pareti dei corridoi che portano alle sale di consultazione e lettura, mentre nello spazio destinato alle mostre temporanee sono conservati manifesti pubblicitari e oggetti che, proprio negli anni del boom, hanno trovato largo uso e diffusione in ogni famiglia torinese. 

Alla fine degli anni Sessanta erano tre su quattro i torinesi che lavoravano nel settore metalmeccanico di cui la Fiat, è ovvio dirlo, ne era azienda leader. Segno inequivocabile questo di un’espansione economica il cui principale volano era stata l’industria dell’automobile. In vent’anni, tra il 1951 e il 1971, i dipendenti nei diversi stabilimenti della casa automobilistica erano passati da 72mila a 182mila. Molti di loro venivano dal Sud del nostro Paese, emigrati da un Mezzogiorno in cui trovare occupazione per assicurare una vita dignitosa alle propria famiglia era quasi impossibile.

Tra i simboli della rinascita post-bellica ci sono, come detto, gli oggetti del “boom economico”: dalla televisione a valvole al registratore a nastro e al mangiadischi, dalla macchina fotografica alla cinepresa, dalla macchina da cucire ai fumetti, alle macchinine e ad altri giocattoli con cui sono cresciuti i bambini degli anni Cinquanta e Sessanta. 

La mostra “Gli anni del miracolo economico. Torino Rinasce” è allestita nella sede dell’Archivio Storico di via Barbaroux 32. E’ aperta fino al 30 settembre e può essere visitata dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 16. 30. L’ingresso è gratuito.

 

(mge) www.comune.torino.it

Gioco d’azzardo: il parere dei torinesi

Il fenomeno della ludopatia è cresciuto nel corso degli anni : per approfondire il tema sarà utile l’indagine nazionale, promossa dall’Istituto Superiore di Sanità, che prende il via in queste settimane e a cui il Comune di Torino  ha accordato il patrocinio. La nostra città è molto  attiva nelle iniziative per limitare l’orario di apertura delle sale gioco e ridurre il rischio di dipendenza patologica dalle slot, e di recente ha visto riconoscere dai giudici del Tar la legittimità dell’ordinanza adottata lo scorso autunno, respingendo il ricorso. 

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Area Monopoli – ha promosso il progetto “IL GIOCO D’AZZARDO IN ITALIA: RICERCA, FORMAZIONE E INFORMAZIONE” affidandone la realizzazione al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità. A tale scopo il Centro sta conducendo uno studio per acquisire conoscenze sulla dimensione del gioco d’azzardo in Italia e stimare l’impatto di questo fenomeno sulla salute pubblica (www.iss.it/ofad).

Lo studio riguarderà un campione rappresentativo di 218 comuni italiani per la raccolta delle informazioni attraverso la realizzazione di interviste, presso un campione di 12.000 residenti maggiorenni su tutto il territorio nazionale.

Nell’ambito dello studio è stato selezionato anche il Comune di Torino che  ha fornito al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, nel rispetto della normativa sulla privacy, D.Lgs n. 179 del 2016, i dati demografici per l’esclusivo uso di pubblica utilità, come è il caso della presente ricerca epidemiologica sul gioco d’azzardo.

Le interviste ad un campione di 187 residenti adulti (18 anni e più) del Comune di Torino saranno effettuate indicativamente nel periodo settembre 2017  gennaio 2018, mentre il termine della ricerca, con la predisposizione del rapporto conclusivo dello studio, è previsto per il mese di marzo 2018.

I cittadini selezionati per l’intervista, riceveranno una lettera di invito a partecipare al progetto, con sufficiente anticipo in modo da poter realizzare l’intervista al proprio domicilio da parte di personale accreditato e specificamente formato; al fine di una maggior tutela dei cittadini coinvolti nello studio, il nominativo dell’operatore deputato alla rilevazione verrà comunicato al Comando di Polizia Municipale del Comune. 

Per la partecipazione all’iniziativa, all’amministrazione comunale non è stata richiesta né concessione di contributi né di altri benefici economici, ma solo la possibilità di utilizzare lo stemma Comunale nelle lettere che saranno inviate alle famiglie e sul cartellino che identificherà i rilevatori.

 

www.comune.torino.it

E’ la fine del Califfato? L’Isis si riorganizza

FOCUS di Filippo Re

L’agonia del Califfato nel Siraq e il fragile accordo raggiunto da Trump e Putin al G20 di Amburgo per fermare i combattimenti nella regione sud-occidentale della Siria fanno ben sperare ma il terrorismo jihadista resta ancora forte, pronto a colpire dal Vicino Oriente alle Filippine, dall’Europa agli Stati Uniti. Tre anni dopo, il territorio controllato dai combattenti del Califfo si è ridotto notevolmente ma la minaccia della galassia islamista si è estesa a tutti i Continenti. Cosa accadrà dopo la liberazione di Mosul e Raqqa? Olivier Roy, studioso del mondo islamico e docente all’Istituto universitario europeo di Firenze non ha dubbi: ” la scomparsa del Daesh non calmerà le acque ed è probabile che la sua caduta porti a un confronto fra le diverse forze regionali che si batteranno per riempire il vuoto e a un’escalation del conflitto tra Arabia Saudita e Iran. I combattenti arruolati nell’Isis torneranno nelle file di Al Qaeda o daranno vita a una nuova organizzazione jihadista che farà terrorismo globale, senza un territorio da difendere”. Con la riconquista totale di Mosul il 9 luglio non finisce la guerra in Iraq contro l’Isis che si sta già riorganizzando in alcune province irachene come quella di Salahuddin e quella di al-Anbar in cui è nato “Al Qaeda in Iraq” (Aqi) che è diventato in seguito l’Isis. Dal 2014 lo “Stato Islamico” ha perso oltre il 60% delle zone occupate e gran parte dei suoi finanziamenti ma l’Isis non è ancora sconfitto. Gli osservatori concordano sul fatto che, con la presa di Mosul, siamo soltanto nella fase della vittoria militare sul Daesh. Le fasi più difficili cominciano adesso. Per quanto riguarda la seconda città irachena c’è il problema degli sfollati che vogliono tornare e poi la ricostruzione ma per tutto ciò ci vorrà molto tempo poiché mancano i servizi, acqua e luce, le case e le scuole sono state distrutte. Un passo indietro è però necessario farlo. Ci si continua a domandare come sia stato possibile tre anni fa, nel giugno 2014, occupare facilmente una città di quasi due milioni di abitanti. Nato a Mosul e residente a Torino lo scrittore iracheno Younis Tawfik si chiede ancora oggi come è potuto accadere che l’Isis si sia impossessato della città senza difficoltà e senza incontrare resistenza. “Quando sentivo mia madre e i miei fratelli, via skype, nella città occupata dall’Isis, ascoltavo cose dell’altro mondo, cose che arrivavano dall’inferno. Una città di due milioni di abitanti sotto il controllo di poche migliaia di fanatici. Come era potuto accadere? È vero che avevano a Mosul cellule dormienti ma le colonne che avevano occupato la città arrivavano dalla Siria. Hanno percorso dieci ore di strada con colonne di mezzi armati. Nessuno li ha visti transitare? Quando arrivarono a Mosul, l’ex premier iracheno Al Maliki chiamò il comandante delle truppe e gli ordinò di ritirarsi senza combattere. Così l’esercito lasciò le armi e abbandonò la città. Mia madre mi raccontò che i soldati governativi bussavano alla porta e chiedevano abiti civili per fuggire. Chi ha opposto una certa resistenza furono i peshmerga curdi ma dopo aver perso in poche ore cento uomini si sono ritirati” (dalla rivista “Il Dialogo”, n 3/2017, del Centro Federico Peirone). Ci vorrà del tempo anche per riprendere Raqqa, roccaforte siriana dell’Isis. La città è accerchiata dalle truppe curde appoggiate da milizie arabe e dalle forze speciali americane protette dagli aerei della coalizione occidentale. Il cerchio si stringe e la “capitale” siriana del Califfato è sempre più isolata, in attesa dell’attacco finale. Gli americani vogliono entrare a Raqqa prima dei siriani e dei russi per impedire che si formi un lungo “corridoio sciita”, dal Libano all’Iran. Con il possesso di Raqqa si potrà infatti controllare uno “spazio strategico” compreso tra Siria, Iraq, Iran,Turchia, Giordania e Arabia Saudita. Forse proprio attorno a Raqqa verranno decisi i futuri assetti post bellici della Terra fra i due Fiumi e tra iracheni, iraniani, turchi e curdi si aprirà presto lo scontro per il controllo del territorio. Il Daesh, secondo gli analisti militari, avrebbe perso circa 80.000 kmq di territorio, liberando 4 milioni di persone dalla prigionia degli uomini neri del Califfo, ma controllerebbe ancora 35.000 kmq compresi tra Siria e Iraq. La cacciata del Califfato da Siria e Iraq non significa la fine dell’Isis che si rifugia in alcune zone di questi due Stati e rinasce nel resto del continente asiatico. L’entusiasmo per la caduta di Mosul ha fatto dimenticare che l’Isis è ancora in grado di controllare vaste zone sia in Siria che in Iraq. A Raqqa, dove all’inizio di giugno i curdi sono entrati per la prima volta nei sobborghi della città per avanzare verso il centro cittadino, non ci sono più i capi del Daesh, fuggiti a est, nel deserto siriano, lungo l’Eufrate, in un’area compresa tra Deir ez-Zour, dove da tre anni resiste un presidio militare siriano assediato dagli islamisti, al Mayadin e il confine iracheno, per tentare di riorganizzarsi e preparare una controffensiva difficilmente realizzabile. Ma il timore ora è che la piovra, sebbene mutilata, possa ricrescere in altri luoghi. I recenti attacchi in Gran Bretagna e in Francia dimostrano che l’Isis è sempre in grado di colpire in Europa ma i suoi obiettivi di conquista territoriale si spostano in Oriente e in Africa allungando i tentacoli in aree algerine e tunisine e in Somalia dove il gruppo terroristico Boko Haram nel 2015 ha giurato fedeltà all’Isis. In Libia è stato scacciato da Sirte ma è vivo e vegeto a sud, nel deserto, tra oasi e villaggi, nel Sinai spadroneggia nella parte settentrionale della penisola attaccando l’esercito egiziano (il 7 luglio uccisi 26 militari in un assalto presso il valico di Rafah), ammazza i turisti nei resort sul Mar Rosso, massacra i cristiani e incendia le chiese. Si infiltra nella Striscia di Gaza e nello Yemen, in piena guerra civile, dove controlla una piccola fetta di di territorio in aperta sfida ad Al Qaida. E poi ci sono il Caucaso, l’Iran, l’Afghanistan e le Filippine. In Cecenia e nel Daghestan i leader dell’ “Emirato del Caucaso” combattono nel nome del Daesh mentre l’attacco del 7 giugno contro il Parlamento di Teheran da parte di un commando di iraniani affiliati all’Isis ha qualcosa di clamoroso tanto che gli apparati di sicurezza degli ayatollah hanno dovuto ammettere di aver scoperto almeno quaranta cellule jihadiste negli ultimi dodici mesi pronte a insanguinare l’Iran. Altrettanto sensazionale è il caso delle Filippine. Gli strateghi dell’Isis sono penetrati nell’isola di Mindanao assorbendo i movimenti jihadisti locali, Abu Sayyaf e Maute e mettendo a ferro e fuoco la città di Marawi (200.000 abitanti) con centinaia di cristiani in ostaggio. E c’è l’Afghanistan, la nuova fortezza del Califfato, in cui l’Isis sta spostando i suoi miliziani dal Levante mediterraneo e dove arruola con denaro e armi i pashtun, l’etnia maggioritaria di un Paese senza pace nel quale il presidente Trump si appresta a inviare altri 4000 militari per combattere i jihadisti.

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Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

Filippo Re