CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 587

I Longobardi riconquistano Pavia

I Longobardi riconquistano la loro capitale quindici secoli dopo. Una grande mostra fa rivivere il mito e le gesta di questo popolo al Castello Visconteo di Pavia, capitale del regno longobardo. Dopo la caduta di Roma i tentativi di riunire il vecchio Impero vengono spezzati dall’arrivo dei Longobardi che provenienti dalla Pannonia, l’antica Ungheria, varcano le Alpi Giulie e conquistano, a partire dal 568, gran parte della penisola italica. Popolazione di origine scandinava, gli uomini dalle lunghe barbe, guidati da re Alboino, riuscirono a impadronirsi col ferro delle loro lunghe spade dei territori dell’Italia settentrionale, centrale e un’ampia fetta di quelli meridionali. Autari e Agilulfo, secondo marito della regina Teodolinda, posero le basi per il consolidamento politico del regno passando dalla raccolta di leggi scritte voluta da Rotari fino alla politica di integrazione tra barbari e romani portata avanti da Liutprando tra il 712 e il 740. Nelle scuderie del Castello pavese sono esposte oltre 300 opere provenienti da 80 musei italiani e stranieri. In vetrina si possono ammirare ricche collezioni museali con armi di vario tipo, spade, lance e coltelli, fibule a staffa, corredi funerari, gioielli, manoscritti antichissimi con le leggi dei Longobardi come l’Editto di re Rotari del 643, epigrafi commemorative dei sovrani, bracciali, anelli, lastre funerarie e sculture. C’è la leggendaria spada in ferro damaschinato di re Alboino di cui parla Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum”, si vedono lapidi, bronzetti con figure di militari, speroni, vasi, metalli e ceramiche da cucina. Dalla necropoli longobarda di Collegno sono giunti alcuni crani mentre dal sepolcreto di Bardonecchia e Cesana sono arrivati altri oggetti funerari di epoca franca risalenti al VI secolo. Le sepolture sono state determinanti per conoscere il mondo funerario longobardo, in pratica l’unica fonte disponibile, a parte qualche cenno contenuto nei sei volumi di Diacono. In realtà l’uso di mettere nella tomba il corredo funerario del defunto è un rito antichissimo ma con i longobardi in Italia aumenta il numero delle tombe abbellite con oggetti e monili. Non mancano il cofanetto reliquiario in osso della Novalesa e quello della cattedrale di Susa del VI-VII secolo conservati nel locale museo diocesano di arte sacra. Molti oggetti di oreficeria longobarda e ostrogota sono stati trovati nel Ticino e durante i lavori di scavo per costruire la ferrovia e l’Università di Pavia. Ma tutta la città pavese profuma di storia longobarda. Prima di vedere la mostra è consigliabile una visita alla cripta di Sant’Eusebio nel centro cittadino, la testimonianza longobarda pavese più attraente, e alla chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro eretta nel VI secolo da re Liutprando le cui spoglie riposano sotto il pavimento, vicino alle quali si trovano le reliquie di Sant’Agostino che il sovrano longobardo aveva fatto traslare dalla Sardegna perchè minacciate dalle incursioni saracene sull’isola. Il regno dei Longobardi, la cui storia è stata scritta da Paolo Diacono, un monaco benedettino longobardo, durò fino al 774 quando re Desiderio, sconfitto l’anno prima dal re dei Franchi Carlo Magno alle Chiuse di Susa, fu inseguito fino a Pavia dove fu fatto prigioniero al termine di un lungo assedio. Fu rinchiuso in un monastero francese dove morì. Con lui finì la dominazione longobarda durata due secoli, eccetto che nella “Langobardia minor”, dove il Ducato di Benevento rimarrà in vita fino alla conquista dei Normanni nella seconda metà dell’XI secolo. La mostra “I longobardi, un popolo che cambia la storia” curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi, è aperta al Castello Visconteo di Pavia fino al 3 dicembre, da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00, lunedì dalle 10.00 alle 13.00 ma solo per visite guidate autorizzate dal Museo civico. Il bookshop della mostra è fornitissimo di libri sulla storia dei longobardi. Prossime tappe della mostra, dal 15 dicembre al 25 marzo 2018 al Museo archeologico di Napoli e da aprile a giugno all’Ermitage di San Pietroburgo.

Filippo Re

Dino Pogolotti, un piemontese all’Avana

“Pogolotti oltre il Novecento”: è questo l’argomento della mostra che verrà inaugurata a Torino, nella Biblioteca della Regione Piemonte “Umberto Eco” (via Confienza 14), mercoledì 4 ottobre 2017,alle ore 17.

L’evento, curato dall’ associazione “Radici erranti” e da Irene Pittatore, con il sostegno del Consiglio regionale del Piemonte, intende dar conto della ricca vicenda familiare e della vitalità culturale del barrio Pogolotti all’Avana, il primo quartiere operaio dell’America Latina, sorto nel 1911, attraverso fotografie e documenti d’archivio, opere e scritti di Marcelo e Graziella Pogolotti, progetti e studi dedicati a questa avvincente esperienza migratoria, oggetti di famiglia e manufatti dell’artigianato tipico locale.

Si deve a Dino Pogolotti da Giaveno, investitore nel settore immobiliare giunto nell’isola caraibica come segretario del console degli Stati Uniti d’America Frank Steinhart, la progettazione del quartiere operaio nella capitale cubana, nell’ottica di dare vita ad una comunità autonoma che puntasse all’efficienza degli spazi (infatti tutte le case condividono un muro) e alla crescita dell’essere umano.

“Un piemontese brillante, innovatore, attento alle esigenze dei più deboli. Dalle sue esperienze, comprese quelle umili di cameriere e facchino negli Stati Uniti, seppe trarre ispirazione e insegnamento dimostrando la tenacia (ma al tempo stesso la sensibilità) che è caratteristica della gente di Piemonte. Qualità che seppe trasferire anche al figlio Marcelo. Questi, in viaggio verso Cuba iniziò a maturare la consapevolezza, che si sarebbe tradotta in arte nell’età matura, dellepovere condizioni degli emigranti” sottolinea il presidente del Consiglio regionale Mauro Laus nel suo intervento pubblicato nel catalogo della mostra.

Già allora, il barrio era dotato di un centro sportivo – presente ancora oggi – di una piscina (divenuta nel tempo un centro di incontro), di un sistema idrico di prim’ordine (rappresentato dal simbolo del quartiere, una cisterna), di un panificio e anche di un teatro.

In pratica, fu un chiaro esempio di edilizia sociale, ma nel contempo una vera e propria denuncia della situazione operaia.

 

La mostra sarà visitabile fino al 29 novembre 2017. Orari: dal lunedì al giovedì ore 9.00 – 12.30; 14.00 – 16.00. Il venerdì ore 9.00 – 12.30.

MB  – www.cr.piemonte.it

La lettura indipendente a Torino

“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma e ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi”, diceva Cesare Pavese.

E’ vero la lettura ha il potere di corroborare e rinsaldare i nostri pensieri, le nostre idee e le nostre considerazioni, una legittimazione a volte necessaria per dare più valore a quello che abbiamo dentro, a quello in cui crediamo. Leggere ci fa crescere, ci arricchisce, ci permette di entrare magicamente nelle storie altrui e ci regala avventure indimenticabili, inoltre è un potente antistress che ci aiuta a non essere assorbiti e inghiottiti da un mondo decisamente hi tech.

 

A Torino questa passione per la lettura si è trasformata in un progetto ambizioso che punta alla qualità e all’approfondimento e che le conferisce una connotazione poetica, romantica, d’altri tempi: è infatti nato “COLTI” , l’unione delle librerie indipendenti. Sono circa 25 le librerie dell’area torinese che associandosi nel consorzio, con la condizione fondamentale di non appartenere a nessuna catena editoriale, si sostengono reciprocamente promuovendo le loro attività: la partecipazione a fiere, la creazione di eventi e di incontri con gli autori, la vendita online dei libri, tocco di modernità al passo coi tempi che non tradisce né sostituisce il magico mondo degli scaffali, il profumo della carta e il libraio appassionato pronto ad aiutarci e guidarci all’acquisto.

 

Entrando in queste librerie si accede ad un mondo fantastico, ricco di contenuti, di storie, di poesia, di vita vissuta, di desideri possibili. Gli ambienti sono accoglienti, lontani dai format delle grandi librerie che ci imprigionano in ambienti freddi e percorsi razionali; l’accoglienza è d’obbligo, la visita è più lenta, rilassante e coinvolge spesso altri sensi oltre la vista: il tatto, attraverso il contatto più stretto con la carta, l’odore del passato rinchiuso nelle versioni dei piccoli editori e inoltre il gusto, in alcune librerie infatti è possibile sedersi e assaporare un caffè immersi nella cultura e nel sapere.

 

Oltre ad una visione lirica della lettura, la decisione di formare un consorzio possiede un vero e proprio modello di business che mira allo studio più approfondito dei cataloghi, alla scelta dei libri senza il filtro della intermediazione degli agenti, che mediamente incide del 20 per cento sul prezzo finale, quindi al contatto diretto con piccoli e medi editori. Risparmiare sui costi di acquisto permette di praticare maggiori sconti sui libri in vendita e di rendere la lettura un piacere più accessibile.

 

Luna’s Torta, Bardotto, Il Ponte sulla Dora, Il Giramondo, La Montagna, Donostia sono solo alcune delle librerie del Consorzio Librerie Torinesi Indipendenti, la Colti, un acronimo che contiene in sé il significato di sapienza e che sicuramente contribuirà sensibilmente all’avvicinamento tra le persone e la lettura grazie anche ad alcuni valori ritrovati: il contatto umano, l’accessibilità, la semplicità.

Maria La Barbera

 

Il silenzio delle cose

“Il silenzio delle cose” è il titolo della mostra antologica di Paca Ronco che s’inaugura domenica 1 ottobre – ore 16,30 – nella sede dell’associazione LaborArt a Piedimulera (Vb). La presentazione dell’evento sarà a cura di Federica Mingozzi, Carlo Tacchini e Danila Tassinari. Paca Ronco, torinese di nascita, vive e lavora a Pieve Vergonte, in Val d’Ossola,  e ha partecipato con i suoi quadri a numerose esposizioni collettive e personali in Italia e all’estero. Le tecniche usate spaziano dal carboncino alla china, dalle tempere, acquarelli e matite per finire con l’olio, la tecnica preferita. Per gli strumenti , oltre ai classici pennelli, Paca Ronco si avvale anche di spatole e spugne. La figura umana è al centro delle prime opere, poi si sono susseguiti altri argomenti, con vere e proprie mostre a tema come “Le maschere”, “L’amore”, “Tempo sospeso”, “40 varianti sull’opera di Vermeer”,”Ritratti” e le varie nature morte ( “Le tazze”, “Oggetti inchiodati”, “A metà”, “Le mele”) fino alle ultime opere, “Pavimenti e parole”. Come ha scritto Danila Tassinari, “ i quadri di Paca Ronco sono  storie che ci guardano e aspettano di essere messe in movimento”. La mostra sarà visitabile fino al 30 ottobre, dal giovedì alla domenica, dalle 16.00 alle 19.00, nello spazio espositivo di via Leponzi 27-29 a Piedimulera.

 

Marco Travaglini

Solchi nella pelle

LE POESIE DI ALESSIA SAVOINI
Allento il pugno
Respirano adesso le tracce scavate nella carne
Righe di esistenza che solcano la pelle
Suda dalla mano l’emozione che non riesco a trattenere
Impermeabile lo strato che la sfoga non la può più riassorbire.
Sotto i calli su cui ho fatto resistenza
Scorre il sangue che scalda un corpo
E impercettibili cambiano direzione
A ogni istante in cui l’eternità si scinde.

Gian Carlo Ferraris. L’aeroplano giallo

Finalborgo – Finale Ligure (Savona)

IN MOSTRA A FINALBORGO, I “PAESAGGI SENSIBILI” E GLI UNIVERSI GIOCOSI DELL’ARTISTA CANELLESE FOLGORATO DALLA PITTURA DI BURRI

Mostra intrigante e suggestiva. A partire dal titolo. Anche curioso. E perfettamente esplicativo del far pittura di Gian Carlo Ferraris, classe ’50, nato a San Marzano Oliveto, nella provincia astigiana, ma da anni residente a Canelli. A lui è dedicata l’ampia personale, curata da Anna Virando (conservatrice del Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Mombercelli) con il patrocinio dell’Unione dei Comuni del Finalese e ospitata negli spazi del Complesso Monumentale di Santa Caterina– Oratorio de’ Disciplinati della stupenda Finalborgo, l’antica Burgum Finarii, fra i “Borghi più belli d’Italia”, per secoli capitale del Marchesato dei Del Carretto nonché centro amministrativo della “balneare” Finale Ligure, nel Savonese. Il titolo, si diceva: “L’aeroplano giallo”. Oggetto ludico di più o meno remota memoria, fantasioso giocattolino dell’infanzia, “spesso ricorrente nei miei quadri”, ci ricorda l’artista, che ha indubbiamente visto bene titolandogli – proprio per questo- una personale che è, dalla prima all’ultima opera esposta, autentica “Poesia”. “Poesia pura”. “Gioco” libero e accattivante “Divertissement”. Come vuole essere, forte di un “mestiere” ormai quasi cinquantennale, la sua singolarissima pittura. L’attività artistica di Ferraris inizia infatti nel ’72 (allorquando l’allora giovin pittore sfugge – volutamente e presumibilmente senza grossi patemi – al predestinato posto fisso e sicuro, già pronto per lui nell’azienda paterna produttrice a Canelli di macchine enologiche); dal ’74 all’’84 insegna Figura Disegnata al “Primo Liceo Artistico” di Torino e fino al 2010 Discipline Pittoriche all’ “Istituto d’Arte” di Acqui Terme. In mezzo ci stanno le mostre, personali e collettive. Ma anche la continua ricerca, il lavoro quotidiano rigoroso e sofferto sul segno e sul colore. Esercizi di stile. Prove di pittura felix, che lo portano dai “Paesaggi della memoria” (quadri dal 1997 al 2007), fatti di “materia evocata, costruita come in sogno, un ricordo dai contorni indistinti” agli attuali “Paesaggi sensibili” (2007 – 2017), superando non senza sforzi il richiamo alla “memoria”, termine “equivoco che rimanda al passato, mentre le ricerche vanno rivolte sempre al futuro”. La folgorazione, racconta lo stesso artista, avviene a Città di Castello visitando il “Museo Alberto Burri”. Del grande umbro, il nostro canellese s’innamora a prima vista. Ad ammaliarlo é soprattutto “al di là delle ricerche sui sacchi e sui cellotex, l’uso dei colori principali, delle grandi campiture e dell’intensità dell’acrilico”. E da allora tutto cambia. Si inizia un nuovo cammino “che è – precisa ancora Ferraris – cammino divertente”. Ed ecco allora, proiettate su grandi tavole, le dolci colline di casa dalle ampie campiture di colore (che passa nitido e definitivo dal blu al rosso al personalissimo grigio-Ferraris) e dalle forme sinuose, “infantili o primitive”, su cui faticano a radicarsi e stanno su per miracolo, spuntando dai lati dall’alto o da sottinsù, improbabili minimaliste case e cascinali, sotto cieli altrettanto improbabili abitati da stelle e stelline, grandi soli e lune piene che sembrano fatti ad arte solo per lì, per quei luoghi e solo per quelli. “Le colline – ci ricorda Gian Carlo – sono diventate piatte quinte teatrali che si perdono una avanti all’atra facendosi ombra, mentre sul proscenio si muovono gli attori”. Finti o reali. A volte e preferibilmente sono bambini che giocano ai giochi della nonna, col cerchio, con la palla o dondolandosi contenti sull’altalena; altre volte – coprotagonisti – sono cani, uccelli e ancora aquiloni, aerei di carta, mongolfiere e gli amati aeroplani, meglio se gialli. Giocattoli e voci discrete che raccontano in sordina un piccolo grande mondo senza sconvolgerne l’intima essenza. In un quadro esposto in mostra, Ferraris si cimenta perfino in una sorta di omaggio-pop al celeberrimo “Le dèjeuner sur l’herbe” di Manet. Pezzo delizioso. “Ciò che mi interessa– conclude l’artista – è proporre dei lunghi attimi sospesi, dove quanto succede è isolato e apparentemente distante, come in uno stato di solitudine silenziosa e straniante, non triste ma giocosa”. E questo è per gli oltre ottanta quadri (tutti di grandi dimensioni, tutti acrilici su tavola) esposti in mostra accanto a sei “Totem” che sono bizzarri paesaggi-scultura fatti di lamiera colorata e pali di vigna o pezzi di vecchie porte. A chiudere la rassegna sono infine una decina di incisioni (acqueforti, acquetinte e cere molli), tecnica approfondita frequentando, negli Anni Settanta, lo studio di Mario Calandri e la stamperia di Piero Nebiolo a Torino, che ci ricordano anche l’importante attività svolta a tutt’oggi da Gian Carlo Ferraris nel campo della grafica pubblicitaria e dell’illustrazione.

Gianni Milani

***

“Gian Carlo Ferraris. L’aeroplano giallo”

Complesso Monumentale di Santa Caterina – Oratorio de’ Disciplinati, via Lancellotto, Finalborgo – Finale Ligure (Sv), tel. 019/690020; www.museoarcheofinale.it

Fino al 15 ottobre Orari: da mart. a dom. 15 – 20

***

Le immagini:

– Gian Carlo Ferraris: “La vendemmia”, acrilico su tavola, 2017

– Gian Carlo Ferraris: “Luna di città”, acrilico su tavola, 2017

– Gian Carlo Ferraris: “Allegre rincorse”, acrilico su tavola, 2017

– Gian Carlo Ferraris: “Due palloncini”, acrilico su tavola, 2017

– Gian Carlo Ferraris: “Una sera di mezza estate”, acrilico su tavola, 2016

– Gian Carlo Ferraris: “Totem 1”, tecnica mista, 2013

– Gian Carlo Ferraris: “Colazione sull’erba”, acrilico su tavola, 2015

GPL – Grandi Progetti Leggeri

La Cavallerizza Irreale di Torino il prossimo 29 Settembre alle ore 18,00 propone la nuova rassegna d’arte : GPL – Grandi Progetti Leggeri   che apre col progetto “Atli lo spadete” di Domenico Olivero.

Da alcuni giorni, un lungo nastro argentato scorre per i diversi piani della Cavallerizza Reale di Torino, percependone gli spazi, rivelando memorie, condividendo ricordi, cosa sarà mai?

E’ una originale proposta artistica fra arte e architettura per la nuova rassegna “GPL – Grandi Progetti Leggeri” che nei prossimi mesi darà corso ad affascinanti interventi nei maestosi spazi della Cavallerizza di Torino.

Questo primo progetto, opera dell’artista Domenico Olivero, dal titolo “Atli lo spadete”, con la curatela di Alessio Moitre, si sviluppa nei tre piani dell’edificio, attraversandoli in modo seducente, rielaborando la percezione e le suggestioni del luogo. Un ambiente sonoro ideato da Elettrogenica, accompagna il progetto espositivo.

Un evento eccezionale che rilegge la recente vita di questo nobile edificio, storica sede della cavalleria reale del Regno Sabaudo, ora incredibile spazio di ricerca artistica ma non solo.

Il progetto GPL inizierà alla fine di Settembre 2017; il primo intervento sarà dal 29 Settembre al 15 Ottobre; seguiranno nei prossimi mesi progetti unici e irripetibili.

Per la Giornata del Contemporaneo – organizzata dall’AMACI, il 14 Ottobre, l’artista accompagnerà i visitatori alla scoperta dell’installazione alle ore 15,45.

Testo di Alessio Moitre curatore del progetto: Atli lo spadete   (Attraverso lieve lo spazio del tempo)

La lettura delle tracce passate è una forma raffinata e particolare di chiaroveggenza, alla luce della presenza di elementi di cui non si conosce la storia.

Con il progetto “PA – RE – TE”, l’artista Domenico Olivero (1964, Cuneo), si era già trovato l’anno passato al cospetto della struttura della Cavallerizza, riportando tramite fotografie i muri e le conseguenti suggestioni sfociate nella creazione di personaggi nati nel contesto e, si potrebbe dire, per il luogo stesso. L’artista dunque come scopritore della forma originaria di un contesto.

Vi è dell’archeologico, come nella volontà dello studioso di frequentare nuovamente i siti del rinvenimento. Nulla di strano se si sente il desiderio di proseguire andando oltre, ricalcando piccole zone, creando un tracciato che colleghi i vari ambienti, con una consecuzionalità che appare come un riportare gli eventi nella modalità di un novello Arazzo di Bayeux. Da ciò prende forma non solo una sottile presa di coscienza che attraversa le varie epoche, ma mostra anche la difficile presenza della traccia e del riferimento artistico, all’interno di un unico ambiente così fortemente connotato. Riprendendo suggestioni dirette con la performance degli anni settanta, Olivero sa dare corpo a ciò che investe il raffinato pensiero di un viaggiatore curioso tra stanze, piani, dettagli appena accennati, ma così gustosi da notare, che è un vero peccato farli cadere nella più desolata indifferenza. Domenico ricostruisce presenze e gli dona un corpo tangibile nella creazione di un opera di spiccata leggerezza, fragile se abusata dal tocco di mani inconsapevoli sul lavoro appena svolto. È il rischio dello scopritore, viaggiare tra i vari stadi della comprensione, come è strano constatare come l’opera “ATLI”, apra una terza via, quella del narratore, che osserva e riporta forse peccando d’infedeltà ma continuando a descrivere ciò che l’origine del luogo e lo scopritore, gli hanno affidato.

***

– GPL – Grandi Progetti Leggeri   E’ un progetto ideato dagli artisti Anna Ippolito e Marzio Zorio, sviluppato all‘interno del gruppo Arti Visive di Cavallerizza in collaborazione con Valentina Addabbo, Viola Gesmundo, Jacopo Mandich, Tonichina, Primavera e Michele Di Erre, rivolto ad artisti e curatori nazionali ed internazionali, per dare l’opportunità di creare opere site specific, di carattere monumentale, all’interno degli spazi di Cavallerizza Reale di Torino.

– Cavallerizza Reale è un’opera architettonica di 22.000 mq iscritta dal 1997 tra i beni patrimonio UNESCO nel centro storico di Torino. Del maggio 2014 parte della struttura è stata occupata per salvaguardare il patrimonio architettonico dalla vendita a privati da parte del comune di Torino ed è cominciata un autogestione di artisti e cittadini impegnati in diverse attività. In tale contesto è venuto a crearsi il gruppo Arti Visive.

– Domenico Olivero (Cuneo, 1964) riflette sulla contemporaneità con spirito umanista. L’orizzonte operativo dell’artista è fortemente concettuale, approcciato al mondo fisico nel suo potenziale culturale. Attraverso diversi canali espressivi condivide le sue visioni, attivando processi, incontri, comunità. Le sue recenti attività artistiche stanno indagando la collettività urbana, la labilità della memoria e le nuove tecnologie informatiche.

***

Titolo rassegna: GPL – Grandi Progetti Leggeri

Titolo mostra: Atli lo spadete

Artista: Domenico Olivero

Curatore: Alessio Moitre

Ambientazione sonora a cura di Elettrogenica

Data evento: 30 Settembre – 15 Ottobre 2017

Inaugurazione: venerdì 29 Settembre ore 18,00

Orario di apertura: Sabato e Domenica 15,30 – 18,30 o su prenotazione telefonica 338 142 6301 – Ingresso libero

Indirizzo: Cavallerizza Reale Via Giuseppe Verdi, 9, 10124 Torino TO

Sito web : http://artivisive.cavallerizzareale.org/gpl.html

Domenico Olivero : https://domenicooliverocv.blogspot.it/

Il passa falso di Sofia Coppola alla ricerca del soldato John

C’è davvero da chiedersi che cosa abbia spinto Sofia Coppola a rispolverare oggi un soggetto che già all’inizio dei Settanta non fu trascinato al successo cinematografico dagli osanna di pubblico e di critica. Anzi. Già traendolo dal romanzo The Beguiled di Thomas Cullinan, pubblicato soltanto un lustro prima, Don Siegel nel 1971 offrì ad un roccioso quanto inquietante Clint Eastwood il ruolo del caporale nordista che è al centro della Notte brava del soldato Jonathan, innaffiando il tutto con una buona dose di misogenia. Oggi la prole dell’indimenticato autore del Padrino ha a disposizione per questo suo Inganno il bel faccino di Colin Farrell che inquietante per tutta la vicenda non lo è affatto, nemanco quando deve fare l’orso cattivo e sbraitare a dispetto degli ultimi istanti che gli restano da vivere, lui rinvenuto ferito sul limitare da un’anima candida che è andata canterellando in cerca di funghi: Coppola mette in obliquo rispetto a Siegel la macchina da presa e riconsidera la vicenda con occhio tutto femminile, con i sentimenti, la complicità, le decisioni e gli ardori delle donne, riunite spavaldamente in gruppo e pronte a decidere il proprio domani, libero da intrusi e spavaldo, come tante Rosselle.

Al terzo anno di una guerra di Secessione che imperversa crudele nella Virginia dei confederati – non troppo lontano da quella casa che è istituto e rifugio per ragazze s’odono i colpi dei cannoni, mentre di tanto in tanto passa un gruppo di militari con le giubbe grigie a controllare che tutto sia tranquillo, come state?, tutto bene, nessun problema? -, approda con le sue ferite il caporale John, posto al riparo e ben lontano il pensiero, per chi lo ha raccolto e ospitato, di renderlo ai suoi nemici. Se ne occupano la direttrice (Nicole Kidman, sempre più innocua statuina di porcellana cui cominciamo davvero a rimproverare d’aver conquistato un tempo un Oscar), interessata a ripulire con umidi panni il corpo del militare, un’insegnante che, mentre cerca di movimentare le giornate delle sue alunne con delle noiose lezioni dove tenta di trasmettere i rudimenti de la langue française, sospira per il medesimo nell’attesa della concretezza e le ragazze (figuriamoci!) che in scala d’età iniziano con languorose cortesie e sorrisi e bigliettini a sognare più o meno innocenti liaisons. Da buon gallo del pollaio, il militare, in via di guarigione per quanto riguarda la gamba ferita, inizia la sua battaglia amorosa ma non ha tempo a ricavarci granché se ai confini di un intermezzo amoroso inciampa in un gradino delle scale e si ritrova al piano di sotto, più mal conciato di prima. E la direttrice, senza che le parole cancrena e morte siano nemmeno ancora state pronunciate, si fa portare su dalle cantine una bella sega ed esegue. Con un arto in meno e una stampella in più, il bel Colin, che guarda con occhio poco benevolo a quella riduzione, inizia a far le bizze e a far passare l’idea alle signore che d’ora in poi là dentro si farà come vuole lui. Figuriamosi se il gentil sesso desiste: la verginella che già lo ha ritrovato deve avere la ricerca dei funghi nel suo Dna: un buon piatto del prodotto boschereccio rimetterà a posto ogni cosa. Definitivamente.

Complicità, si diceva. E un bel mucchio di desideri. Ma la vicenda finisce con l’essere inutile nella sua riproposta nata negli anni Duemila, e soprattutto si sfalda perdendo di vista il dark che è al suo interno, rischiando persino per alcuni tratti il ridicolo. Nello scordarsi il lato drammatico della vicenda – per cui ci pare altresì azzardato quel premio per la regia che una assonnata giuria di Cannes le ha conferito nel maggio scorso -, Coppola trova rifugio nei ricami e nelle bellurie che le sono offerti dalla fotografia di Philippe Le Sourd, che si spreme in paesaggi o in visioni a lume di candela durante cene o preghiere della sera, che saranno pur belli per i cuori teneri ma che non alleggeriscono per nulla il tremolio che è stato prodotto. Si salva dall’anonimato generale la prova di Kirsten Dunst, già eccellente nella Marie Antoinette dell’autrice: autrice da cui ci si sarebbe aspettato un ben diverso percorso, nero e drammatico quanto bastava, lei che ci aveva così ben abituati con titoli quali Il giardino delle vergini suicide e Somewhere.

“Con Pina Bausch”

Il Festival Torinodanza e il Circolo dei Lettori ospitano – venerdì 29 settembre 2017, alle ore 18.00, presso la Sala Gioco del Circolo (via Bogino 9) – l’incontro con la critica e giornalista Leonetta Bentivoglio che presenterà il volume CON PINA BAUSCH di Jo Ann Endicott, edito da Jaca Book. Introduce Gigi Cristoforetti.

Jo Ann Endicott era una giovane ballerina australiana di tecnica e potenza elevatissime quando Pina Bausch, capofila del Tanztheater, la conobbe a Londra e ne comprese il carisma e il talento. In questo passionale e altalenante «diario di bordo», scritto dopo la morte di Pina, avvenuta nel 2009, l’autrice narra, in un crescendo di emozioni, come la forte personalità di Pina sia stata, di fatto, suprema artefice del suo destino tutto, sulla scena e nella vita. Un profondo atto d’amore per il genio creativo di Pina.
Il «diario di bordo» passionale di una delle piu significative danzatrici-attrici di fine Novecento, per oltre trent’anni con Pina Bausch nel Tanztheater Wuppertal.

Jo Ann Endicott, nata a Sydney, in Australia, e stata la danzatrice più emblematica di Pina Bausch. La incontra nel 1973 e diventa ballerina del Tanztheater Wuppertal. Nel 1976, nella coreografia Die sieben Todsünden (I sette peccati capitali), ricopre il ruolo principale di Anna. A questo faranno seguito altri ruoli principali come in Komm tanz mit mir (1977), Kontakthof (1978), Arien (1979), Two cigarettes in the dark (1985). Ha fatto parte del Tanztheater Wuppertal per oltre 35 anni, anche come assistente di Pina e formatrice. Di recente ha intrapreso la carriera di scrittrice.

***

IL CIRCOLO DEI LETTORI (Sala Gioco) – Via Bogino 9, Torino
29 settembre 2017 – ore 18.00
Leonetta Bentivoglio
presenta il volume
CON PINA BAUSCH
Jaca Book
di Jo Ann Endicott
introduce Gigi Cristoforetti

 

“Ezio Mancino”, nuovo anno di attività

Mercoledì 27 settembre, a partire dalle ore 18.30, si terrà presso la Sala Molinari della Biblioteca civica “N. Ginzburg” (via C. Lombroso, 16) l’INAUGURAZIONE del XIV anno di attività del Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS. Dopo la lectio brevis di Chiara Lombardi (Università degli Studi di Torino) sul tema “cultura classica, conoscenza contemporanea”, verranno presentate ai partecipanti le iniziative e tutte le novità in programma

Fulcro dell’associazione resteranno i corsi di traduzione dal latino e dal greco antico, adatti anche a chi non ha mai avuto occasione di studiare le lingue classiche. I corsi sono suddivisi su tre livelli (base, intermedio e avanzato) più un livello di latino IV per i traduttori più esperti. Ricordiamo che i corsi base iniziano per il latino da ros-a, ros-ae e per il greco dall’alfabeto.

Le lezioni si svolgeranno a partire da lunedì 9 ottobre presso il Liceo Classico D’Azeglio, sede del Club di Cultura Classica, e avranno cadenza settimanale fino a fine maggio.

 

Oltre ai corsi di traduzione, mercoledì 27 settembre verrà presentata la prima edizione dei PERCORSI, corsi semestrali di approfondimento dedicati, quest’anno, al diritto greco-romano e alla storia della filosofia antica.

 

Si consolida invece l’iniziativa dei SEMINARI, cicli di appuntamenti alla scoperta del mondo antico, quest’anno dedicati alla musica, alla letteratura e al teatro:

“Orsù lira divina, tu parla, sii tu la mia voce”

Bengodi e paese di cuccagna: mai si lavora, sempre si magna

Siracusa, sulla scena nel 2018

Per partecipare ai corsi di traduzione e ai percorsi è necessario pagare una quota di iscrizione come socio frequentatore di 40 euro (50 se è il primo anno che ci si iscrive), ridotta a 10 euro per tutti gli studenti under30. Per seguire i seminari, invece, è sufficiente tesserarsi come socio sostenitore al costo di 15 euro.

 

 

Per il quinto anno consecutivo, si rinnova la collaborazione del Club di Cultura Classica con la Città di Torino, le Biblioteche Civiche Torinesi e il polo culturale Lombroso16 per l’organizzazione degli INCONTRI: otto appuntamenti, a cadenza mensile, gratuiti e aperti a tutti, per raccontare il mondo classico nel modo più eterogeneo possibile. Mito, arte, letteratura, filosofia, storia, tradizioni enogastronomiche: sono solo alcuni degli argomenti protagonisti delle conferenze che si svolgeranno presso la Biblioteca “N. Ginzburg”, a partire dalle ore 18.00, durante il corso dell’anno 2017/2018. Nonostante l’alta preparazione dei relatori, provenienti da tutto il territorio nazionale, gli appuntamenti avranno un taglio divulgativo e consentiranno, grazie alla preparazione di un’apposita bibliografia, eventuali approfondimenti da parte degli interessati. Al termine di ogni conferenza verrà sorteggiato tra i presenti il vincitore di una copia del testo di riferimento dell’incontro.

 

Per il secondo anno viene confermata la convenzione con il Liceo D’Azeglio nell’ambito del progetto di Alternanza Scuola-Lavoro.

Tra le attività fuori dai banchi, il Club di Cultura Classica realizzerà anche le consuete escursioni culturali alla scoperta di Torino: un’inedita visita di Palazzo Madama e la sempre partecipata passeggiata per Torino romana giunta alla sesta edizione. Non mancheranno l’escursione sul territorio (alla scoperta di Susa e di Aosta) e il viaggio organizzato: dopo il successo del Tour della Sicilia classica, quest’anno sono previsti 6 giorni / 5 notti alla scoperta di Pompei, Ercolanum, Paestum e la costiera amalfitana.

***

Per rimanere aggiornati su tutte le iniziative è possibile consultare il sito web clubculturaclassica.it, seguire la pagina Facebook (facebook.com/ClubCulturaClassica) e il profilo Twitter (twitter.com/ClubEzioMancino), scrivere a clubculturaclassica@gmail.com o telefonare al 3661118964 (anche WhatsApp).

 

Invitiamo anche a visitare il canale YouTube dell’associazione, dove è possibile vedere tutte le conferenze degli anni passati: uno strumento in più per ri-scoprire e amare la cultura classica.