CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 193

Coltivare fiori di parole. I trent’anni di Interlinea

 

L’ultimo numero di Microprovincia, il 56° della fortunata rivista di cultura e poesia diretta da Franco Esposito, è interamente dedicato ai trent’anni della casa editrice novarese Interlinea con il suggestivo titolo “Coltivare fiori di parole”. Proponendo una ricca e interessante raccolta di testimonianze su tre decenni di attività editoriale di Interlinea, coinvolgendo gli autori e coloro che l’hanno fatta vivere dietro alle quinte con il lavoro redazionale, la cura dei testi e la promozione di collane che si sono affermate tra i lettori (da “Nativitas” e “Lyra” a “Le rane”) la rivista che si è sempre battuta contro i conformismi della cultura ufficiale rende omaggio ad una impresa culturale di assoluta grandezza fondata da Roberto Cicala e Mario Robiglio. Giuliano Vigini, nella presentazione della rivista subito dopo l’appassionato editoriale di Esposito, ricorda che “alle origini di una casa editrice c’è innanzitutto una speciale passione per quello che gli autori, le collane, i singoli libri che si vorrebbero privilegiare come emblema e portabandiera dell’attività che si sta per avviare possono lasciare come idea di un modo di fare letteratura e insieme di interpretare, dal vivo di tante espressioni e testimonianze diverse, le realtà del mondo e le esperienze di vita degli scrittori”. Ovviamente, non bastando la bontà e l’entusiasmo delle idee, ci sono volute “anche le risorse personali o la capacità di procurarsele, la condivisione ideale e pratica di chi è coinvolto in un determinato progetto” come è stato tra Cicala e Robiglio, lavorando con la perseveranza di chi non si accontenta di ciò che di volta in volta si è raggiunto “perché, essendo il traguardo sempre più in là, bisogna continuare a cercare, a scoprire, a lasciare segni nuovi”. Ed è così che nasce e prende corpo quella che oggi può essere definita, a buon titolo, una grande voce della cultura italiana contemporanea. L’originale storia della casa editrice che ha sede in via Mattei a Novara viene narrata in 250 pagine con molti interventi tra i quali si segnalano, pur senza far torto a nessuno degli altri, Pino Boero, Eugenio Borgna, Carlo Carena, Barbara Caristia, Graziella Cerutti, Gian Luca Favetto, Gian Carlo Ferretti, Walter Fochesato, Anna Lavatelli, Dacia Maraini, Gianni Mussini, Alessandra Alva Perez, Roberto Piumini, Giovanni Tesio, Sebastiano Vassalli e Giuliano Vigini. La stessa scelta del nome della casa editrice è originale e racconta molto: l’interlinea è lo spazio bianco tra due righe scritte o stampate, apparentemente inutile ma in verità necessario alla lettura. Infatti le parole si confonderebbero sulla pagina senza questa distanza, il cui bianco fa risaltare il nero del testo illuminando così il significato di un romanzo, di uno studio, di una poesia. Dall’inizio degli anni Novanta ad oggi  sono stati riscoperti autori italiani dell’800 e ‘900, anche con inediti (da Rebora a Montale, fino a Soldati e Vassalli), aprendo la prima collana letteraria italiana legata al Natale e intitolata Nativitas con Dickens, Consolo, Rigoni Stern, Testori, Wojtyla, offrendo uno spazio importante alla critica letteraria, alla poesia, ai libri per bambini e ragazzi con la collana Le Rane. Scorrendo l’impressionante cronologia delle collane e dei libri pubblicati non si fatica a comprendere il valore del viaggio intrapreso trent’anni fa da quel “piccolo vascello di carta” che salpò da Novara e che, in tutti stesi anni, non ha chiesto altro “se non di avere lettori che sappiano leggere la verità di quelle parole vecchie e nuove nell’interlinea dell’editoria e della cultura italiana”.

Marco Travaglini

Al via la ventinovesima edizione di Antiqua

Il  22 marzo nella chiesa di San Massimo in via Mazzini

 

Prenderà il via venerdì 22 marzo, alle 21.15 dalla chiesa di San Massimo in via Mazzini 29/a, a Torino, la 29esima edizione di Antiqua, la rassegna di musica antica proposta dall’Accademia del Ricercare.

Antiqua nel corso degli anni ha saputo affermarsi come uno dei più importanti esempi di imprenditoria culturale in Piemonte , sino ad essere ammessa tra i soci del REMA, Early Music in Europe, un importante network rappresentativo della musica antica a livello europeo, che ha la legittimità di discutere di performance, creazione, patrimonio, inclusione, diversità e sostenibilità. La manifestazione non è rimasta circoscritta alla sola provincia di Torino, in cui è nata, ma si è evoluta fino a toccare una parte del Piemonte e territori extraregionali, collaborando con altre realtà stimate nell’ambito della musica classica.

Punto di forza del progetto Antiqua sono anche i corsi di perfezionamento alla prassi esecutiva della musica barocca eseguita con strumenti originali.

Nel corso degli anni il festival ha vantato docenti di fama internazionale quali Christophe

Rousset, Walter van Hauwe, Bob von Asperen, Keese Boeke e Dorothee Oberlinger.

In questa edizione Antiqua avrà l’onore di ospitare nuovamente la Oberlinger, flautista,

professore al Mozarteum di Salisburgo e, dal 2019, anche direttore del festival barocco di

Arolser, in Germania.

Venerdì 22 marzo il programma verterà sul brano del compositore Antonio Caldara (1670-1736) ”Magdalena ai piedi di Cristo”, proposto dall’Oratorio a sei voci con orchestra d’archi e B.C. dell’Accademia del Ricercare.

Durante la Settimana Santa e il periodo di Quaresima in tutta l’area cattolica era usuale l’esecuzione di oratori presso diverse istituzioni pubbliche e private che andavano dalle cappelle di corte ai palazzi aristocratici, alle chiese legate agli ordini più importanti, filippini e gesuiti. La nascita del genere dell’oratorio che, in forma musicale e teatrale, narrava le storie evangeliche, bibliche o dei santi dell’agiografia cristiana, si deve collocare nella Roma della prima metà del Seicento, con le Historiae Sacrae, in cui si faceva uso del latino, presso l’oratorio del S.S.Crocifisso, ed era la risposta curiale e ecclesiale al teatro musicale che si andava diffondendo via via in tutta Italia.

A dirigere il concerto il maestro Luigi Pagliarini

Ingresso a offerta libera a partire da 5 euro.

Per informazioni scrivere agli indirizzi segreteria@accademiadelricercare.com oppure telefonare al numero 331.1095412.

MARA MARTELLOTTA

“Scarabocchiando – un percorso nell’arte”

Il 24 marzo prossimo, alle ore 17:30, presso la casa editrice di Paola Caramella, verrà presentato il libro “Scarabocchiando – un percorso nell’arte” (Paola Caramella Editrice) insieme alle autrici Cristina Costantini, Raffaella Galli e Katia Massafra. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Mara Martellotta, protagonista inoltre della rubrica radiofonica “Una finestra sul mondo dell’arte” di Radio Sognare si può e Radio Moncalieri.

Questo libro è una raccolta di appunti, una sintesi narrativa e di rappresentazioni che nasce da contributi diversi riguardanti il mondo dell’arte, e il suo utilizzo nella didattica per i bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia.

Si tratta di un progetto dalle grandi potenzialità didattiche ed è finalizzato alla preparazione alla scrittura per sviluppare una sempre maggiore coordinazione oculo-manuale e sicurezza nel tratto, offrendo l’opportunità di percepire a tutto tondo la forma grafica sperimentando con il corpo, comprendendola ed elaborandola interiormente, ricreandola con la fantasia.

L’arte si rivela, ipotizzando un percorso verso la scrittura, una via privilegiata nel momento in cui, in modo giocoso, si avvicina ai segni non convenzionali utilizzati dai grandi pittori presi in considerazione, tra cui ricordiamo Capogrossi, Yayoi Kusama, Mondrian, Matisse, Paul Klee, Kandinsky, Giacomo Balla, Joan Miró, Picasso e Karla Gerard.

 

Gian Giacomo Della Porta

Antisemitismo ieri e oggi. Conferenza di Quaglieni al “Pannunzio”

MERCOLEDÌ 20 MARZO ALLE ORE 17.30, al Centro Pannunzio, via Maria Vittoria 35h, Pier Franco QUAGLIENI parlerà sul tema “ANTISEMITISMO STORICO DI IERI E ANTISEMITISMO DI OGGI.

Lo storico vuole prendere in esame come l’aggressione anti israeliana di Hamas e le relative reazioni abbiano fatto riparlare di un antisemitismo palestinese, e più in generale arabo, che ha accompagnato la nascita di Israele. Per la prima volta la parola Genocidio che riguardava la Shoah di sei milioni di ebrei, è stata usata per ciò che riguarda lo Stato di Israele. Una versione paradossale che indica le tensioni e l’odio di un Medio Oriente sempre più possibile focolaio di una guerra di vaste dimensioni.
“Interveniamo numerosi per reagire alla cappa di conformismo che offende il libero Pensiero”, esorta il Pannunzio.

Nell’”Edipo re” firmato da De Rosa la luce che protegge e distrugge

Applaudite le repliche torinesi e poi lunga tournée in varie sedi

La luce, innanzi tutto. La sua potenza, la sua protezione che può dare vita ma anche il suo annientamento, ai danni di quell’uomo che le si avvicini troppo. Luce in quanto verità e verità attraverso la conoscenza, quasi il viaggio dantesco di Ulisse per cui è impossibile stabilirsi nella propria isola e lascia prevalere il desiderio – il dovere – di superare altre terre, altri mari. La luce – una selva di luci abilmente inventate da Pasquale Mari a riempire il vasto palcoscenico dell’Astra predisposto da Daniele Spanò in cui Andrea De Rosa ha adattato e retto lucidamente il proprio “Edipo re”, uno dei testi più belli e “umani” di sempre, produzione importante attorno a cui ruota l’intera stagione del Teatro Piemonte Europa, ricavandolo da Sofocle nella traduzione di Fabrizio Sinisi: con le angosce, con gli interrogativi, con i dubbi sino all’ultimo ricacciati e con le tremende certezze, con la disperazione del protagonista e di quanti vengono coinvolti nella sua tragedia – contrapposta alle zone buie, dentro quei fasci luminosi o colonnine di piccole lampade o potenti riflettori che si rimandano dentro specchi (su cui si posano le palme, come in preghiera, come nel desiderio di un contatto, come nel ricordo di scene che tante volte abbiamo visto durante la pandemia non dimenticata) o colpiscono superfici d’argento e d’oro, che attraversano il palcoscenico e che ad un certo punto, nella sanguinosa soluzione della fine, vengono rivolte allo spettatore. Tutta quella luce, che è approdata alla verità nel cuore e nei sentimenti di un uomo che sin dall’inizio, del resto, s’è sentito accusare dell’uccisione di Laio (“sei tu”), del suo ignoto padre, laggiù, all’incrocio delle tre strade, tutta quella luce è l’elemento che più colpisce negli 80’ filati che compongono l’odierna edizione del dramma.

E il suono. E la parola, certo, che abbiamo sentito tante volte, la piaga della peste e la preghiera di un intervento del dio che la cancelli, gli interventi del cieco Tiresia e del dio Apollo, il dio obliquo e insidioso (due personaggi qui raccolti nell’unico Roberto Latini, da cui giungono in modo impareggiabile le più alte verità), le morti durante il regno di Creonte (qui un più che preciso Fabio Pasquini, chiuso nell’ambiguità di azioni e parole) e la vittoria sulla Sfinge, il racconto di Edipo e la propria ricerca, la sensualità di Giocasta madre e moglie pronta ad allontanare un passato sempre più disvelato, il suicidio della regina e l’accecamento di Edipo, la consapevolezza nel lungo esilio: “non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia arrivato il suo ultimo giorno”. Mentre, in scena come noi che stiamo in platea, ci si domanda se quella ricerca della conoscenza, alla fine tragica, quel raggiungere la verità possa in qualche modo metterci al riparo dagli orrori che abbiamo dovuto attraversare. Ma è quel suono a colpire, nella tessitura continua e ossessiva di alte vibrazioni che rivivono le situazioni e i momenti di un’intera città, di voci e bisbigli, di versi che s’inseguono veloci, di acuti e di suoni che stupendamente provengono dall’intimo: artefici Francesca Cutolo e Francesca Della Monica.

In una messinscena che ha piuttosto il sapore del rito, di un’antichità che ritorna prepotente, su cui si spande una fitta atmosfera di mistero, si impongono le interpretazioni di Frédérique Loliée (Giocasta), condotta con grande intensità, e di Marco Foschi (Edipo), che cresce lungo la strada che lo porta alle scene finali, che ingigantisce il proprio personaggio nella sicurezza prima e nell’annientamento poi, doloroso e straziato dalla tragedia che lo travolto.

Terminate le recite torinesi, lo spettacolo raggiungerà le sedi dei coproduttori – Teatro di Napoli Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova – e altre in via di definizione.

Le immagini dello spettacolo sono di Andrea Macchia

Da stasera, con repliche domani e giovedì, sul palcoscenico dell’Astra “The City” di Martin Crimp per la regia di Jacopo Gassmann, con Lucrezia Guidone e Christian La Rosa interpreti principali. Lei è Clair, traduttrice di professione, vorrebbe scrivere un’opera originale ma non ci riesce, lui è Christopher, lavora in una grande società informatica, non è valorizzato come al contrario spererebbe e perderà il lavoro. Entrambi, chiusi in un rapporto che si sta sgretolando, non sono più capaci di comprendersi; come non comprendono (e non vedono: ancora una commedia che rientra di diritto in quel titolo “Cecità” che è nell’odierna stagione il tema principe del TPE) i drammi che tacitamente o no il mondo sta vivendo, la paura e le violenze che serpeggiano, il vivere quotidiano contaminato. Non comprendono, in questa loro “cecità”, i danni che stanno arrecando ai loro figli, motivo prima la indifferenza che si è impossessata di loro.

Elio Rabbione

Alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani “Il contrario di me”

Sabato 23 marzo debutto 

 

Sabato 23 marzo alle 20.45 debutterà alla Casa del teatro ragazzi e giovani di Torino il CONTRARIO DI ME, il cavallo bianco e il cavallo nero, nuova produzione della fondazione TRG, ultimo capitolo della repubblica di Platone che si ispira al mito del carro e dell’auriga e alla metafora descritta nel Fedro.

Dopo aver indagato poeticamente i contorni incerti e suggestivi delle apparenze, il mito della caverna, e aver attraversato i sentieri avventurosi della responsabilità individuale, il gioco dei destini scambiati Mito di Er, lo sguardo è rivolto al grande tema della pandemia, l’educazione e formazione. La regia è di Emiliano Bronzino. In scena Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, autori come Emiliano ronzino, Maria José Revert Signes. Le scene sono di Francesco Fassone.

La visione dello spettacolo sarà anticipata giovedì 21 marzo alle 17.30 dalla lectio magistralis di Ugo morelli, studioso di scienze cognitive che cercherà di rispondere alla domanda “come e perché? A che cosa serve la filosofia? Questo appuntamento è il primo di una serie di confronti dal titolo convivio. Esperienze di crescita e di conoscenza”, un ciclo di incontri su filosofia, musica e mito.

MARA MARTELLOTTA

I “qualunque” di Fosse sotto la guida di Binasco, “con amore e per amore”

Sino a domenica 24 le repliche sul palcoscenico del Carignano

 

La semplicità di un ambiente, spoglio, freddamente essenziale. Una porta da cui s’arriva e si esce, un frigo e un divano con buttata sopra una coperta rossa entro cui coprirsi, entro cui nascondersi, una lavatrice e una macchinetta del caffè, un paio di brutte sedie e un misero tavolo attorno al quale non si siederà mai nessun componente di quella “disunita famiglia”, nessun componente di questa gente “qualunque”. Sul fondo una parete su cui a poco a poco prendono a espandersi macchie di colore, rosse blu nere, e poi la silhoutte di un giovane corpo femminile e poi la scrittura di una parola che sentiremo spesso, niente. Non si sa niente, non succede (quasi) niente, non si ama, non si perdona, non si prova affetto o comprensione, non si dice: “Non so dipingere, non ho mai dipinto un bel quadro in tutta la mia vita”, dice in un urlo Donna, impietosa nel guardare quella sua opera che s’è allargata sul muro, da sempre insicura, avvilita, frustrata, sola – ma quanto è difficile stare soli -, una vita fatta di niente appunto, di odi, di non rapporti, di solitudini, di incertezze. Di un passato che non è stato e di un presente che non è. Un ambiente semplice che è l’involucro della “Ragazza sul divano” (nella traduzione di Graziella Perin, un testo scritto già più di vent’anni fa), ancora un testo, forse il quinto o il sesto, di Jon Fosse – classe 1959, convertito al cattolicesimo, premio Nobel per la letteratura lo scorso anno, “per le sue opere innovative e la sua prosa che danno voce all’indicibile” – ad aver preso il cuore di Valerio Binasco e ad averlo spinto ancora una volta a metterlo in scena “con amore e per amore”: produce lo Stabile di Torino – Teatro Nazionale con il Teatro Biondo di Palermo, in scena al Carignano sino a domenica 24 e poi tournée a Milano, Roma, Napoli e Palermo. E poi si vedrà se sarà un titolo anche della stagione prossima.

Si vedrà se avvicinarci più dappresso e con maggiore convinzione a questo disamore, a questa vuota quotidianità cecoviana che coltiviamo ancora oggi – e forse la differenza di latitudine l’accresce ancor più -, a questa rarefazione di temi soffocati e non espressi o forse espressi, come ci invitano a considerare autore e regista, nei silenzi, nelle cose non dette, nei pensieri trattenuti in superficie, negli sguardi immediatamente allontanati e nei ricordi, nelle lontananze e nei ritorni tardivi e ormai insperati, improvvisi mentre ancora una volta una donna (Madre) sta cercando un uomo (Zio) con cui dividere, bene o male, convintamente o no, la propria vita. A una scrittura scarna, sfocata e continua, al colmo di una irrefrenabile disperazione che tende a bloccarla nella sostanza e nel modo, a tratti inafferrabile, enigmatica, esclusa alla punteggiatura, fitte pagine di dialoghi a cui Fosse ha abituato il suo pubblico: affascinandolo, ad altri facendo rimpiangere la scrittura di altri autori nordici, viene subito da pensare che drammone ne sarebbe nato, nell’occasione della “Ragazza sul divano”, se ritrovatosi nelle mani di un Ibsen o di uno Strindberg.

 

I personaggi “qualunque” sono Donna, Madre, Ragazza, Sorella, Uomo, Zio, Padre, cancellati gli articoli, in pieno anonimato, essenze di una malata umanità, buttati in scena in un susseguirsi disordinato del tempo. Si specchiano Donna e Ragazza, la donna guarda se stessa lontano negli anni, la ragazza è la giovinezza già chiusa della donna, è il suo rannicchiarsi sotto quella coperta rossa, è il rivolgere solo asprezze verso una madre che per lei madre non è e verso quello zio che continua a veder girare per casa, è il ricordo della cartolina e della bambola che il padre marinaio le ha inviato da uno dei tanti porti in cui è sbarcato, è il farsi prestare e camuffarsi soltanto per un attimo con i vestiti della sorella che ha scelto la ribellione e piace parecchio agli uomini e scende la sera a frequentare il porto, è il non voler uscire, tra la gente e tra la vita. Scrive Binasco nelle note di regia: “Amo la percezione fuori fuoco della realtà che trovo nei testi di Fosse. Ogni volta ho la sensazione di trovarmi dinnanzi a un grande affresco sull’umanità, ne percepisco fortemente il senso ma non riesco a metterlo a fuoco”. E ancora: “Le ragioni che mi spingono a insistere con un autore come Jon Fosse sono misteriose anche per me. Il suo stile ossessivo e minimale mi seduce, punto e basta.”

 

Forse, noi, nel ristretto spazio di 80’ non riusciamo neppure ad avvertire il ritmo che ancora affascina il direttore artistico del TST e regista, forse anche a chi scrive ogni cosa appare lasciata sospesa, inconclusa, non si riesce a entrare in questi spazi ristretti e senz’aria che sono i drammi di Fosse. Si pensi alla figura di Zio (un pur valido Michele Di Mauro) che finisce con l’essere piuttosto una macchietta e non una figura di una valida importanza che arriva a sostenere Madre e la sua vita segnata da un doloroso abbandono, immerso soltanto in immediati quanto pretesi siparietti amatori. Binasco – anche Uomo dimesso e arrendevole – ha raccolto attorno a sé, nella scena che abbiamo detto, dovuta a Nicolas Bovey, nei costumi di Alessio Rosati, dove tutto è logoro, vecchio, dimesso, sformato, un gruppo di valorosi quanto ben presenti (con tutta la forza di sapersi imporre sul testo, voglio dire) attori. Pamela Villoresi, disperata e solitaria Donna, Isabella Ferrari (Madre), Giulia Chiaramonte (sfacciatamente Sorella), Fabrizio Contri (padre). E la sempre più convincente Giordana Faggiano, che con estrema disinvoltura passa da un’Ifigenia ad una Figliastra a questa Ragazza, bloccata su questa isola tutta sua da cui non riuscirà mai a evadere, uno stare fatto di silenzi, di intime sofferenze, di evasioni e di cambiamenti che non riuscirà mai a soddisfare, con una encomiabile esattezza di toni, di movimenti, di sguardi. Una bellissima prova. Elio Rabbione Le immagini dello spettacolo sono di Virginia Mingolla

Alessandria preziosa. Un laboratorio internazionale al tramonto del Cinquecento

Palazzo del Monferrato ospita ad Alessandria dal 21 marzo prossimo una grande mostra

 

Dopo il successo della mostra “Alessandria Scolpita” del 2019, dedicata al contesto artistico della città tra Gotico e Rinascimento, questa esposizione, che ha sempre al centro Alessandria e il suo territorio, ne racconta la civiltà creativa tra il ‘500 e il primo ‘600, focalizzandosi in parti oltre sulle arti suntuarie, a ridosso dell’avvento del Manierismo internazionale negli anni della Controriforma cattolica. Si tratta di un progetto unico realizzato in collaborazione con la Galleria degli Uffizi, che vedrà confluire ad Alessandria prestiti della galleria fiorentina, dell’Opificio Le Pietre Dure e da alcuni dei più grandi musei italiani.

“Alessandria preziosa”, un laboratorio internazionale al tramonto del ‘500, nel palazzo del Monferrato di Alessandria, ha la curatela di Fulvio Cervini, e la progettazione organizzati a di Roberto Livraghi, direttore del palazzo del Monferrato, promossa tra gli altri dalla Camera di Commercio di Alessandria e Asti, Regione Piemonte, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Comune di Alessandria, la mostra si suddivide in sette sezioni composte da circa 80 opere, in cui ad essere protagoniste sono le sculture in metallo prezioso, evidenziando il ruolo determinante svolto dalle arti suntuarie dall’oreficeria La Toreutica, dall’arte degli armorari all’intaglio delle pietre dure. L’obiettivo della mostra è duplice, da un lato delineare l’avvento del Manierismo internazionale, foriero di un uomo senso della realtà e della forma, attraverso una selezione di oreficeria e oggetti in metallo, ma anche dipinti su tela e tavola e sculture in legno e marmo che meglio dialogano con le arti preziose. Il secondo focus del progetto è quello di dimostrare come il territorio della provincia di Alessandria fosse luogo di convergenza, forze e culture diverse, che non sfigurato al confronto con quelle di più gloriose città padane. Alessandria e il suo territorio fungeva da cerniera tra Milano e Pavia, da un lato, e Genova dall’altro. Mentre proprio alle porte della città era sorto il convento di Santa Croce a Boscomarengo, voluto da Papa Pio V, che racchiudeva il clima artistico di provenienza tosco-romana.

Tra i temi cardini della mostra emerge quello della devozione, rappresentata da un importante nucleo di oggetti di carattere ecclesiastico, molti dei quali provenienti dalla Diocesi di Alessandria, Casale e Tortona. Si ricordano gli splendidi busti di Antonio Gentili realizzati per Pio V, la stauroteca della cattedrale di Alessandria, che racchiude un antico reliquiario bizantino, le oreficerie tedesche di San Filippo Casale e San Salvatore Monferrato, il magnifico San Marziano del duomo di Tortona, opera di un argentieri genovese del primo ‘600 e un inedito stendardo ricamato a Milano alla fine del ‘500 dal museo diocesano di Tortona, restaurato per la mostra grazie al finanziamento della Consulta alessandrina. L’esposizione si focalizza sulle correlazioni tra pittura, scultura e oreficeria che, a fine ‘500, anche con il flusso di maestranze nordiche, tennero a battesimo opere straordinarie come il Calvario della Maddalena di Novi Ligure, ma anche sull’arte della guerra per la guerra, rappresentata da armature e ritratti militari. Un’intera sezione della mostra è dedicata all’isola romano-fiorentina di Boscomarengo, che vede la presenza di Giorgio Vasari. L’esposizione non termina all’interno della sale del palazzo del Monferrato, ma vuole essere itinerante, e si estende ad alcuni luoghi della provincia di Alessandria, primo fra tutti la basilica di Santa Croce, a Boscomarengo, con relativo museo, la Confraternita della Maddalena di Novi Ligure, il complesso di Torre Garofoli presso Tortona, la pinacoteca dei Cappuccini di Voltaggio e la parrocchiale di San Sebastiano Curone.

“Alessandria preziosa” vuole essere una riflessione etica sul patrimonio artistico alessandrino, che proietta la città e il suo territorio in una dimensione sovraregionale attraverso un progetto inedito e una storia raccontata attraverso le opere d’arte. ,’area alessandrina fra il ‘500 e il ‘600, dice Fulvio Cervini, prova che l’identità culturale si costruisce in maniera dinamica e non chiudendo muri, anche quando la linea culturale è dettata da un organismo all’apparenza monolitico come la chiesa della Controriforma. Sul piano figurativo questo spazio è un grande laboratorio della modernità, in cui artisti del metallo e dell’intaglio diventano ancora più prodigi di pittori e scultori.

“Dopo la fortuna esperienza di cinque anni fa della mostra “Alessandria scolpita” – aggiunge Roberto Livraghi – palazzo del Monferrato è tornato a proporsi come sede di una mostra originale dai contenuti inediti e come luogo di promozione di un territorio capace di riservare sorprese dal punto di vista culturale e artistico, riflettere su una funzione storica di cerniera interregionale di laboratorio, ove si mescolano influssi culturali diversi, e anche a un esercizio per progettare le vocazioni del territorio per il presente e il futuro”.

 

Mara Martellotta

L’isola del libro

RUBRICA A CURA DI LAURA GORIA

Judith Hermann “A casa” -Fazi Editore- euro 18,00

 

E’ splendido il romanzo della scrittrice tedesca nata nel 1970 a Berlino, cresciuta nel settore occidentale della città tedesca, poi trasferitasi negli anni Novanta nell’ex parte orientale. Una delle più importanti autrici di lingua tedesca.

A casa” è la storia della protagonista quasi 50enne (della quale il nome non compare mai) che decide di cambiare vita. Via da tutto e tutti, in una nuova casa priva di ricordi, vicina al mare sulla costa nordorientale della Germania. Andarsene altrove per riappropriarsi della sua esistenza, trovare una nuova dimensione, nuovi incontri e maturare una maggiore consapevolezza di se stessa.

Non è uno strappo radicale, più semplicemente decide di mettere parecchi chilometri di distanza dalla sua esistenza di prima. Chiude una porta e ne apre un’altra. Via dal ripetitivo e vuoto lavoro in una fabbrica di sigarette, dal marito Otis col quale l’amore è finito da tempo, ma col quale continua a comunicare via lettera. A distanza c’è anche la figlia Ann, che se n’è andata in giro per il mondo allo scoccare dei 18 anni.

La protagonista, nella casa scalcinata e isolata sul polder (che però sente solo sua), è vicina al paesino in cui il fratello Sascha, 60enne scapolo, un po’ sfaticato e indolente, gestisce un pub, ed è proprio da lui che lavorerà.

Poi un po’ di cose accadono: Sascha si innamora di una ragazzina, Nike, che ha la metà dei suoi anni ed un passato di dolore profondissimo.

Nella vita della protagonista arriva anche un’artista che vive poco lontano; quasi coetanea, si chiama Mimi ed è un’ex fiamma di Sascha. Anche lei sta tessendo una nuova trama della sua vita. E’ tornata dopo anni di lontananza dalla fattoria di famiglia e si sta riavvicinando al fratello Arild che ha preso in mano le redini dell’allevamento di maiali e vive isolato dopo essere stato lasciato dalla moglie che l’aveva allontanato da tutti.

Solitudini diverse che si intersecano per nuovi inizi; dalle nuotate della protagonista e Mimi nelle acque del mare gelido ai giri in bicicletta. Arild e Nike fanno parte del nuovo quadro, in cui centrale è il tema della casa, intesa come guscio di relazioni, affetti, sentimenti, radici e tantissimo altro. Un romanzo scritto divinamente che ci porta nelle possibili traiettorie di nuovi inizi, nuovi legami, nuove ripartenze dopo gli errori del passato.

 

 

Dido Michielsen “L’isola della memoria” -Editrice Nord- euro 19,00

Dido Michielsen (nata nei Paesi Bassi nel 1957, ma di origini giavanesi) è autrice di svariate biografie e saggi, mentre questo suo romanzo –ispirato alla vita della sua trisavola- è il primo tradotto in Italia. Per scriverlo è andata alla scoperta di Yogyakarta sull’isola di Giava, si è fatta guidare nei luoghi dei suoi antenati, ha cercato e ricostruito le atmosfere che aleggiano nel libro.

Protagonista è un personaggio femminile che colpisce il cuore con la sua difficilissima esistenza a Giava in epoca coloniale. E’ Isah, nasce nel 1850 a Yogyakarta ed ha il privilegio di crescere nella città-palazzo fortificata del sultano dove la madre lavora come tintora di batik e sarta per le signore della famiglia del sovrano. Isah gioca con le nipoti del sultano e ne subisce anche le angherie, imparando presto che c’è un reticolo inscalfibile di ranghi diversi.

Quando ha 16 anni si ribella al matrimonio combinato dalla madre, se ne va di casa e imbocca una strada perigliosa. Diventa la “Nyai” giovane fanciulla giavanese al servizio di un colono e sua amante; lui è Gey, un ufficiale dell’esercito coloniale olandese di stanza a Giava.

Vive nella sua casa dove gestisce la servitù e sogna di mettere su famiglia con lui. Lo compiace in tutto e nascono due bambine, Pauline e Louisa. Isah si illude che Gey le riconosca e la sposi. Invece lui si dimostra l’omuncolo che è, indifferente alla sorte della giovane e delle figlie, parte per l’Olanda dove l’attende la giovane destinata a diventare sua moglie.

E’ la discesa di Isah agli inferi. Sola, disonorata, senza mezzi, sa di non poter offrire un futuro alle figlie mezzosangue. E’ costretta a darle in adozione a una coppia di coloni olandesi amici di Gey che le crescerà come europee.

Pur di restare accanto alle bambine accetta di diventare la loro “babu”, la bambinaia che le cresce ma non può svelare di esserne la madre. E’ l’inizio di una vita piena di sacrifici, ingiustizia e sofferenze. Vittima impotente delle angherie e della cattiveria della padrona di casa, che la considera feccia, e si vendica delle attenzioni che il marito ha per la giovane madre

L’autrice segue l’amaro destino di Isah che verrà separata dalle figlie, le cercherà inutilmente e infine morirà in miseria e solitudine a 67 anni.

Questa è la sua storia, ma anche quella di migliaia di donne giavanesi che nei 150 anni di dominazione olandese hanno vissuto nell’ombra, senza voce né diritti, concubine, serve e madri dimenticate.

 

 

Barbara Kingsolver “Demon Copperhead” -Neri Pozza- euro 22,00

Il riferimento al “David Copperfield” scritto dal grande Charles Dickens è voluto e per niente casuale; anzi sembra sia stato in un certo senso lo spirito del grande scrittore inglese ad aver suggerito l’idea a Barbara Kingsolver. L’autrice 68enne nata nel Maryland, durante un tour in Gran Bretagna ha trascorso un week end a Bleak House, l’antica dimora di Dickens oggi trasformata in hotel; ed è tra quelle mura cariche di atmosfera, nello studio in cui lui scrisse David Copperfield, che qualcosa le ha ispirato il romanzo.

L’idea è quella di narrare la storia di uno dei tanti ragazzi che la vita mette a durissima prova ancor prima di venire al mondo. Ed ecco la genesi del grande romanzo degli Appalacchi, nel sud della Virginia, in una zona rurale e povera degli Stati Uniti, dove la Kingsolver fa nascere Demon.

Partorito in una misera mobil house da una 18enne in preda ad alcool e droghe, Demon Copperhead, ovvero “testina di rame” (chiamato così per i capelli rossi) parte già dal lato sbagliato della sorte. Il resto è un imponente romanzo di formazione che segue il ragazzo nell’affrontare le prove più dure; dalla miseria alla mancanza di un padre, dagli scontri col patrigno alla morte della madre.

Una vita complicata e in affanno, tra fughe, assistenti sociali, sogni di successo come stella del football, pillole di oppioidi e tantissimo altro. Un romanzo che trasuda humour, passione e voglia di emergere dei “Deplorables”, ovvero gli infelici e invisibili d’America alle prese con povertà ed esclusione infantile. Uno spaccato di realtà che la Kingsolver in parte conosce bene e altrettanto bene ha raccontato, tanto da vincere il Premio Pulitzer 2023…e non fatevi spaventare dalla mole di lettura.

 

 

Will Ferguson “Felicità” -Accento Edizioni- euro 18,00

Cosa succederebbe se scoprissimo il segreto della felicità? Forse sarebbe la fine del mondo che conosciamo. Niente di apocalittico, ma un’ipotesi comunque accattivante che ci prospetta Will Ferguson in questo scoppiettante romanzo.

Al centro di tutto c’è un libro di self-help (auto-aiuto) pubblicato quasi per caso. Edwin Vincent de Valu, alias Eddy, è un editor mediocre che lavora alla Panderic Books Incorporated, sempre alla ricerca del best seller da dare alle stampe. Gli viene affidato il compito di rendere pubblicabile un pesantissimo tomo di 1000 pagine destinate al macero. Si intitola “Quello che ho imparato sulla montagna” inviato alla casa editrice da uno sconosciuto Tupak Soiree.

Eddy convince l’editore di avere per le mani un capolavoro di marketing e futuro campione di vendite; così si ritrova a dover rimaneggiare e rendere più appetibile il testo.

Il manuale insegna ai lettori ad aver maggior cura di se stessi, a orientarsi verso una vita più spirituale che materiale. E’ un successo planetario che conduce le persone ad essere buone, a cambiare completamente la loro scala di valori. Ed è l’inizio della fine della società consumistica che conosciamo. Le conseguenze però sono travolgenti: la gente impara a fare a meno di un’infinità di cose e l’intera economia vacilla.

Un romanzo ironico e irriverente in cui scompaiono le aziende del tabacco, i fast-food, i negozi di alcolici e la vendita di stupefacenti…perché grazie al manuale l’umanità individua i pochi elementi semplici della felicità, incamminandosi su una vita priva di vizi e piaceri superflui….ma non finirà qui. Rinunciare a tutto per trovare pace interiore e felicità è davvero la formula vincente?