Cosa succede in città- Pagina 446

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

Di Pier Franco Quaglieni

Carlo e Nello Rosselli, due martiri un po’ dimenticati e la fine della Fondazione Rosselli di Torino Indro Montanelli ancora ghettizzato ? La guerra dei Sei giorni del 1967 vide Torino dalla parte di Israele Casa Artusi a Forlimpopoli e la Torino gastronomica di oggi: storie lontane e vicine

***

Carlo e Nello Rosselli 80 anni dopo

I fratelli Rosselli furono assassinati da sicari fascisti  francesi il 9 giugno 1937.
Sono state  due figure diverse, unite insieme dalla morte. In modo molto “torinese” l’80° della morte coincide con il passaggio dalla moribonda Fondazione Rosselli di Torino all’Archivio di Stato di Firenze delle carte Rosselli acquisite a suo tempo dalla Fondazione torinese. Un’ altra perdita  per Torino ,anche se la fiorentinità dei Rosselli  appare fuori discussione. Essi vennero sepolti  nel 1951 a Firenze nello stesso cimitero in cui furono sepolti Salvemini, Calalandrei, Ernesto Rossi, il maestro e gli amici dei due fratelli. Carlo ebbe anche rapporti con Torino e  con Piero Gobetti, ma Torino ebbe poca importanza nella sua vita. Fu un fatto quindi  eccezionale che nascesse proprio a Torino una fondazione a lui dedicata per opera di un giovane medico destinato ad una brillante carriera accademica, e non solo, in tutt’altro campo.Nello fu uno storico sospeso tra mazzinianesimo, liberalismo e socialismo che scrisse sul Risorgimento, sulle origini del movimento operaio in Italia, sulla diplomazia sabauda e sulla Destra Storica. Carlo , destinato ad oscurare involontariamente  la figura di Nello, fu un economista bocconiano( nulla a che vedere con il futuro , recente significato, politicamente  nefasto, di matrice  montiana), teorico del “Socialismo liberale”. La sua idea non trovò mai una sintesi compiuta. Fu una giustapposizione di idee :giustizia e libertà furono una dualità, non una diade ,come osservò Croce. Cioè due idee non solo distinte, ma anche distanti, anzi potenzialmente antitetiche. Morì a 38 anni senza riuscire ad elaborare pienamente un discorso politico maturo .L’azionismo torinese derivato da “GL” fu più condizionato da Gobetti che da Rosselli e sfociò, salvo alcune eccezioni, nel filocomunismo. Il torinese Aldo Garosci fu il suo maggiore biografo e fu suo compagno di lotte antifasciste ,ma anche Nicola Tranfaglia scrisse su di lui un pregevole saggio. Garosci che fu mio maestro all’Università, era rimasto un rosselliano fortemente anticomunista. Per questo fatto è stato quasi totalmente dimenticato. Era un uomo intransigente come Carlo. Gli resero la vita impossibile all’Università di Torino e dovette trasferirsi a Roma. A Meana di Susa dove nacque, è stato dimenticato e non gli è bastato essere cugino di  Giorgio Agosti a cui è stato intitolato l’Istoreto. L’impegno di Garosci ,proprio sul terreno dell’antifascismo ,fu grandissimo ed eroico, ma neppure questo è stato sufficiente  a salvarlo dall’oblìo. Craxi cercò di riprendere il messaggio di Rosselli, ma ormai era tardi. Le strade imboccate dalla sinistra erano irreversibilmente altre, quelle del dialogo con i cattolici progressisti. Resta il suo martirio eroico che merita un ricordo e suscita  un profondo rispetto. Apparteneva ad una ricca famiglia pisana e mise tutta la sua ricchezza al servizio di una nobile causa a cui dedicò tutto sé stesso.  Una figura di politico che oggi non esiste più . E’ molto triste che la Fondazione torinese a lui dedicata sia finita in molto non adeguato alla figura del martire a cui era  stata intitolata con la partecipazione di Pertini, Amato, Spadolini, Bobbio e tanti altri.

*** 

Montanelli ancora nel “ghetto” 
Finora ho partecipato ad  una ventina di presentazioni del mio nuovo libro uscito a metà gennaio. Un po’ in tutta Italia. Non mi era ancora capitato di ascoltare una critica piuttosto astiosa che mi è apparsa incredibile. La mia colpa consisterebbe  nell’aver  inserito arbitrariamente il nome di Indro Montanelli tra le trenta  “figure dell’Italia civile “ di cui ho scritto il ritratto. Montanelli incolpato di essere stato un anticomunista, ovviamente viscerale, e tanto altro. Avrei arrecato un’offesa a chi subì il carcere come Valiani, Rossi , Venturi ecc. di cui scrivo nel libro. Un errore davvero imperdonabile. Al signore indignato ho replicato rivendicando  con orgoglio il fatto  di aver inserito nel libro  Montanelli con cui ho avuto un rapporto anche personale  molto bello. Venne più volte al Centro “Pannunzio” e gli conferimmo il Premio “Pannunzio”. In quell’occasione disse che noi lo avevamo liberato dal ”ghetto in cui per dieci anni era stato  rinchiuso ,moralmente rinchiuso ,per aver detto con un po’ troppo anticipo le cose che ora dicono tutti”. Era il 1990. L’anno dopo la caduta del Muro di Berlino.  Nell’anno di grazia 2017 c’è ancora chi lo ritiene un appestato. Ritenevo che i festeggiamenti ai festival dell’”Unità” lo avessero finalmente fatto uscire, in modo definitivo, dal “ghetto”,ma non è così. Nel prossimo volume ho già in mente di inserire altre figure che susciteranno le critiche degli ultimi faziosi rimasti in circolazione a dispetto dello scorrere dei decenni. Come si usa dire oggi, dovranno farsene una ragione perché i buoni e i cattivi non si scelgono in base alle appartenenze ideologiche.

***

 

50 anni fa Israele  veniva aggredita dagli arabi
A Torino Primo Levi, cinquant’anni fa, si fece fotografare da “La stampa” mentre offriva il sangue per i bambini israeliani .La guerra dei Sei giorni nel giugno 1967 fu una vera e propria aggressione al piccolo Stato ebraico che difese  il suo diritto all’esistenza e seppe facilmente prevalere sui suoi nemici che volevano il suo annientamento. Il Pci era stato quasi subito contrario ad Israele, divenuto stretto alleato degli Americani. Il legame con Mosca non consentiva scelte diverse. Gian Carlo Paletta si espose più di ogni altro nella polemica aperta contro Israele, schierandosi dalla parte di Nasser.Israele non era l’aggredito ,ma l’aggressore espansionista, militarista, violento. Certo, la questione palestinese era aperta e  andava affrontata con coraggio dalle diplomazie internazionali all’atto della creazione del nuovo stato ebraico, cosa che non avvenne. E da allora si è trascinata come un incubo della politica mediorientale. Ma un conto era considerare il problema pur grave dei palestinesi e un conto era schierarsi nettamente contro Israele, negando il  suo stesso diritto all’esistenza. La fine della guerra il 10 giugno 1967 vide lo schiacciante  prevalere del piccolo Stato  che ebbe  il suo territorio accresciuto  di quattro volte.  La solidarietà dei torinesi nei confronti di Israele fu nettamente  prevalente ,con “La stampa” di Giulio De Benedetti schierata a favore. Eugenio Scalfari, genero di De Benedetti che dirigeva “L’Espresso”, si dichiarò  invece per gli arabi, creando una spaccatura nel mondo laico con Arrigo Benedetti che lasciò il giornale che aveva fondato. Uomini come Alberto Todros e  Tullio Benedetti, esponenti di punta del Pci piemontese ,ambedue ebrei, furono nell’occhio del ciclone. Todros era stato deportato a Mauthasen . Giorgina Arian Levi, nipote acquisita di Togliatti, che dovette emigrare in Bolivia per salvarsi dalle leggi razziali, ebbe una posizione a favore di Israele. I comunisti torinesi  si schierarono  quasi unanimi per il mondo arabo, i socialisti ,in larga misura, per Israele, come fecero i liberali e i repubblicani. Nel 1967 era avvenuta la riunificazione socialista. Nella DC  prevalse la solidarietà a favore di Israele, anche se in futuro buona parte della Dc e  dello stesso Psi di Craxi finì di  scegliere  una politica estera italiana favorevole al mondo arabo, ad Arafat  e all’OLP.Dal 1967  in poi certamente Israele commise molti errori e i “falchi” non fecero un buon servizio  alla causa israeliana. Commisero anche delle efferatezze . Va però ricordato che il terrorismo arabo minacciò e continua a minacciare quotidianamente i cittadini  dello  Stato ebraico che, nato rigorosamente laico, ha finito per “clericalizzarsi”. Vivere in Israele ha significato mettere a repentaglio la propria vita ogni giorno, anche solo uscendo in strada. Come sta accadendo con l’Isis in Europa e in Medio Oriente. Primo Levi prese in tempi successivi talmente le distanze  da Israele, schierandosi, di fatto,   a favore degli Arabi. Lo stesso mondo ebraico si divise, anche se va detto che i confini tra sionismo, antisemitismo e Stato di Israele non sono mai stati ben chiari. In molte situazioni è prevalso un antisemitismo strisciante, mascherato con ragioni politiche contigenti e diversamente motivate. Cinquant’anni  fa le ragioni degli uni e le ragioni degli altri erano invece  molto chiare. Chi scelse Nasser fece una scelta sbagliata. Chissà se oggi ci si rende conto di quell’errore? E, ovviamente, anche degli errori degli Israeliani nei decenni successivi.

***

Lettere Scrivere a quaglieni@gmail.com

.
Dei miei amici sono stati  a pranzare al ristorante Casa Artusi di Forlimpopoli. Ne hanno parlato un gran bene, ma la loro scelta è stata casuale. Sa dirmi cosa rappresenta? E c’è a Torino qualcosa di simile?                                                                             

Giusy Cirnigliaro

.

A Torino non c’è nulla che lo possa anche solo ricordare. Era celebre “Il passator cortese” prima in corso Casale e poi nella precollina di Sassi. Era un posto semplice, ma genuino in cui si respirava l’aria dell’Emilia- Romagna. L’oste decise di ritirarsi e l’esperienza ,durata parecchi anni, non ebbe seguito. Casa Artusi è un unicum in Italia che nasce nel nome di Pellegrino Artusi, il padre della cucina italiana, autore del celebre manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Era nato a Forlimpopoli nel 1820. La Casa è ricavata dalla ristrutturazione del convento dei Servi. Nelle serate estive della Festa Artusiana vengono proposti menu tratti dalle ricette dell’Artusi a prezzi più che ragionevoli. Purtroppo a Torino è già molto trovare  i piatti della nostra tradizione regionale. Giovanni Arpino che aveva un fratello che gestiva un ottimo ristorante a Bra, si rammaricava, già molti decenni fa ,dei cambiamenti che finivano per snaturare la nostra cucina. Oggi furoreggiano i locali più strani ,alla ricerca di giovani palati non troppo esigenti, ma finiscono per chiudere i vecchi locali.  Forse è fisiologico ed inevitabile  che ciò accada. Ogni generazione ha i suoi posti di ritrovo e Petrini non è confrontabile né con Artusi né con Soldati che sarebbe il gourmet che ha fatto conoscere agli italiani il cibo genuino in Tv. Canavacciuolo è diventato a sua volta un mito dopo l’astro di Vissani è tramontato. Ha chiuso l’anno scorso “La pace” uno storico locale torinese fondato dalla famiglia Ficini ,poi trasferitasi all’”Appennino Pistoiese”, trasformato da anni in pizzeria come l’altrettanto celebre “Abetone”. Adesso nei locali storici di via Galliari ha aperto un ristorante messicano gestito da un gruppo di giovani molto gentili e accoglienti. Si sta anche piuttosto bene. Ma io preferivo il vecchio  oste, a volte  un po’ scorbutico, con i suoi piatti tradizionali. Questione di gusti, anche se aveva ragione l’Artusi quando scriveva di amare “il bello e il buono ovunque si trovino”.

pfq

Il Cantiere dell’Arte si chiude: l’ospedale come lo vogliono i pazienti

Esattamente dopo cinque anni, si conclude all’ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino il primo ciclo del Cantiere dell’Arte, un progetto partecipato del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli con la Fondazione Medicina a Misura di Donna Onlus, che ha progressivamente trasformato l’ospedale in un luogo coltivato secondo i desideri di coloro che lo animano: personale, pazienti, famiglie. Con la ri-nascita degli ambienti è mutato il clima generale, relazionale ed organizzativo. Questo traguardo si raggiunge domani con il coinvolgimento del personale sordo del Gruppo UniCredit per l’annuale seminario “Se mi guardi ti sento”, un laboratorio formativo loro dedicato che è l’espressione delle politiche di inclusione del Gruppo e che quest’anno si apre anche al dialogo con i cittadini sordi e con la città tutta grazie al “Cantiere dell’arte”.

 

Noi abitiamo gli spazi ma gli spazi ci abitano.

L’esperienza individuale e collettiva è sempre riferita ai luoghi,

in altre parole è situata nei contesti fisici e relazionali.

Pertanto la qualità degli ambienti in cui viviamo è fondamentale.

A garanzia della qualità del vissuto e dell’esperienza.

 

 

17 maggio 2012. “Thinkering, put your imagination to work”. 100 manager del Gruppo UniCredit provenienti da 17 Paesi hanno concluso un percorso di apprendimento organizzativo in modo inusuale, con un community work, ovvero una esperienza di lavoro in squadra all’ospedale Sant’Anna di Torino, un invito ad agire a favore delle comunità.

 

Era la prima tappa del “Cantiere dell’Arte” del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, progetto che attinge al potenziale dell’inedita piattaforma di ricerca-azione sulla relazione virtuosa tra “Cultura e Salute”, promossa nel 2011 dalla Fondazione Medicina a Misura di Donna al Sant’Anna, con circa trenta istituzioni culturali che hanno portato le arti in ospedale, in alleanza con i medici.

 

Il Dipartimento Educazione Castello di Rivoli guidato da Anna Pironti ha concepito con il personale dell’ospedale una grande oper-azione rigenerativa, adottando la metafora del giardino che nelle varie culture rappresenta il luogo dell’origine, della vita e dell’umanità. Il Sant’Anna per definizione è uno dei luoghi più interculturali della città, dove ogni anno nascono oltre 7000 bambini da genitori provenienti da 85 nazionalità diverse.

 

Dal 2012 con la project manager Paola Zanini, le Artenaute del Dipartimento Educazione Castello di Rivoli ed innumerevoli soggetti, venti aree definite prioritarie da chi vive l’ospedale – ingressi, scale, sale d’attesa, reparti di degenza – sono state trasformate progressivamente. Enormi Wall Paintings (pittura a muro) sono stati realizzati attingendo al potenziale creativo dei grandi maestri della contemporaneità, primo tra tutti Michelangelo Pistoletto ed il suo Terzo Paradiso, ma anche Keith Haring, Matisse, Klimt, Picasso, Accardi, Mirò, Modigliani, Niki de Saint Phalle ed innumerevoli altri di cui si intravedono segni, tracce, intrecci cromatici, memorie, dettagli, realizzati a partire da studi di cromoterapia.

 

Un grande repertorio storico e concettuale per una pratica semplice ed alla portata di tutti, condotta con grande competenza dal Dipartimento Educazione Castello di Rivoli, che ha saputo coinvolgere gruppi e persone molto eterogenee (in primis il personale, pazienti e le loro famiglie, manager in formazione, studenti in alternanza scuola lavoro, club di servizio, squadre sportive), giungendo ad un risultato tecnicamente perfetto e molto gradevole alle persone che a vario titolo abitano l’ospedale sia nella dimensione professionale sia perché degenti o parenti dei degenti.

 

La Fondazione ha mobilitato per l’operazione del Cantiere dell’Arte centinaia di persone in cinque anni: in primis il personale e le pazienti con le loro famigle, club di servizio, studenti, manager di imprese in formazione, squadre sportive che, condividendo il progetto di fatto, si sono presi cura degli ambienti, contribuendo alla trasformazione dei luoghi finalizzata a migliorare le condizioni di vita delle persone.

Sono sempre di più gli studi che dimostrano come le arti visive introdotte nei luoghi di cura possano essere uno strumento importante per aumentare il ben-essere di pazienti, famiglie ed operatori sanitari. Nel mondo scientifico si parla di Evidence based Art, ben consolidata anche se poco conosciuta. Ricerche ad alto fattore d’impatto nell’ambito delle neuroscienze, dell’epigenetica e della psico-neuro-immuno-endocrinologia avvalorano il ruolo del contesto, dei luoghi e degli stili di vita, nel promuovere la salute” afferma la professoressa Chiara Benedetto, Presidente della Fondazione Medicina a Misura di Donna e Direttore della Ginecologia e Ostetricia 1 universitaria dell’ospedale Sant’Anna, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.

 

In una città che sta rispondendo entusiasticamente alla grande mostra “COLORI”, curata da Carolyn Cristov Barkagiev nei due musei che dirige, la GAM-Galleria d’Arte Moderna ed il Castello di Rivoli, accompagnata a Rivoli da un progetto di ricerca scientifica sul tema con il neuroscienziato Vittorio Gallese ed il Dipartimento Educazione, un nuovo intervento riqualificherà i corridoi degli ambulatori, aree di attesa e transito.

Nell’appuntamento del 30 maggio il personale sordo di UniCredit, in occasione dell’annuale seminario “Se mi guardi ti sento”, ha fatto tappa all’ospedale Sant’Anna per lasciare un segno permanente di bellezza, con una grande azione pittorica nei corridoi degli ambulatori del piano terra: “dettagli arborei e tracce floreali, come essenze o suggestioni, a partire dal segno di Matisse che, nelle sue ultime produzioni ostinatamente non voleva cedere alla malattia e realizzava grandi collage insieme ai suoi assistenti. Dalle sue mani prendevano forma elementi astratti simili a foglie e fiori, che poi si depositavano negli ambienti, sulle tele e sulle grandi pareti: una memoria che è anche narrazione e che nel contesto specifico, ci consente di connotare gli ambienti in sintonia con le polarità del Sant’Anna in cui vita e nuova vita convivono”, spiega Anna Pironti, Direttore del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, che dà forma agli immaginari.

 

Con questo intervento le persone “sorde” “lasceranno un segno” permanente, completando il blocco di via Ventimiglia 3 avviato dai propri colleghi europei, in un’unica avvolgente armonia, apprezzata e rispettata. Dal 2012 non ci sono stati segni di violazione nelle aree del Cantiere dell’Arte.

 

L’operazione si colloca in un percorso pluriennale con le persone sorde avviato nel 2009 dal Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli – sempre in collaborazione con Catterina Seia, Vice Presidente di Fondazione Medicina a Misura di Donna per la quale ha avviato e conduce le progettualità “Cultura & Salute” – UniCredit e l’Istituto dei Sordi di Pianezza, che ha portato alla realizzazione il primo Dizionario al mondo per l’arte contemporanea nella lingua dei segni.

 

E’ stato presentato anche il primo video in lingua dei segni della campagna internazionale di comunicazione via facebook varata dalla Fondazione Medicina a Misura di Donna onlus con F.I.G.O. Federazione Internazionale Ginecologi e Ostetrici su corretti stili di vita per la salute della Donna.

 

Il 10 e 11 giugno debutta a Torino il format Open House

Il 10 e 11 giugno debutta a Torino Open House, un format internazionale che per un solo weekend all’anno apre al pubblico spazi urbani generalmente inaccessibili. I numeri di questo debutto torinese sono promettenti: saranno aperti ben 111 luoghi tra palazzi storici, appartamenti privati, laboratori, uffici, ex fabbriche riqualificate o in attesa di nuove vocazioni, parchi e giardini, fondazioni e edifici alti. Oltre 300 volontari, che sono stati appositamente formati, assisteranno i visitatori. Sono numeri che nessun’altra prima edizione di Open House ha raggiunto.

Come funziona Open House Torino? 

Ci si può procurare una delle 15.000 mappe in distribuzione in città oppure dal sito web si può scaricare la mappa in pdf  o ancora si possono visualizzare tutti i luoghi su Googlemaps o su TimeMapper. Le informazioni su orari di apertura e eventuali prenotazioni necessarie sono sul sito alla sezione Edifici.

Che cosa visitare? 

La scelta è completamente libera. Il visitatore può decidere di concentrarsi su singoli spazi oppure costruire personali itinerari geografici, ad esempio per quartieri, ma anche tematici, concentrandosi sul verde di parchi e giardini, su innovativi spazi educativi, sui villini e appartamenti del primo Novecento o sugli interni di design, oppure girovagando tra loft e antiche fabbriche ristrutturate, per scoprire i nuovi modi dell’abitare o gli spazi di lavoro più creativi.

Come condividere?

Durante la manifestazione i visitatori sono invitati a condividere la propria esperienza attraverso l’hashtag #OpenHouseTorino.

A MIRAFIORI NASCE CO-CITY, LA NUOVA CITTÀ DEI BENI COMUNI

CASA NEL PARCO | VIA PANETTI 1 | MIRAFIORI SUD

La Città di Torino, la Casa nel Parco e la Circoscrizione 2 invitano all’incontro di presentazione del progetto Co-City Partecipazione libera e gratuita


Co-City è un progetto promosso dalla Città di Torino in collaborazione con l’Università di Torino, l’ANCI, la Fondazione Cascina Roccafranca e la Rete delle Case del Quartiere nell’ambito del programma europeo Urban Innovative Actions – UIA.

Co-City offre a cittadini attivi, gruppi informali, enti del terzo settore e soggetti privati l’opportunità di sperimenatare il Regolamento dei Beni Comuni Urbani e di stipulare patti di collaborazione con l’Amministrazione che prevedano la cura, la rigenerazione, l’uso e la gestione condivisa di aree verdi, edifici e spazi pubblici attualmente in disuso, sottoutilizzati o in condizione di incuria e degrado.

Le Case del Quartiere di Torino offrono supporto e accompagnamento a coloro che sono interessati a realizzare idee e interventi di utilizzo e fruizione collettiva dei beni comuni così come a progettare attività e servizi di welfare di comunità e innovazione sociale.

“Per saperne di più sul progetto e sulle opportunità offerte a chi desidera attivarsi sul territorio di Mirafiori sud, partecipa all’incontro di presentazione. Se non riesci a partecipare all’incontro, puoi scrivere a cocity@retecasedelquartiere.org e richiedere un contatto telefonico o un appuntamento presso La Casa nel Parco – Casa del Quartiere di Mirafiori sud. Ci farà piacere rispondere alle tue domande e raccontarti come possiamo aiutarti a realizzare la tua idea o il tuo progettoper rendere Mirafiori sud più accogliente, vivibile e piacevole per tutti”.

.

Ecco le date dei prossimi incontri di presentazione del progetto:

  • 8 giugno ore 17.30 – Barrito, via Tepice 23/c – Circoscrizione ex 9
  • 14 giugno ore 17.30 – Cascina Roccafranca, via Rubino 45 – Circoscrizione ex 2
  • 17 giugno ore 18.00 – Parco della Tesoriera, corso Francia 186/192 – Circoscrizione 4

Piazza San Carlo, colpa del panico? Anche, ma bisogna saperlo prevenire

L’OPINIONE

di Pier Franco Quaglieni

.

La Sindaca Chiara Appendino sui fatti  di piazza San Carlo del 3 giugno ha letto,  davanti al Consiglio comunale,   una relazione piuttosto concisa ed incerta  in cui non c’è spazio per l’autocritica;una relazione che non fa che recepire il resoconto del comandante dei Vigili urbani, tanto apparentemente  puntigliosa quanto giocata tutta in difesa. Appare chiaro che qualcosa non ha funzionato. O magari parecchie cose non hanno funzionato. Sarà la Magistratura a valutare e noi attendiamo che essa svolga il suo lavoro in serenità. Forse una Commissione comunale  d’inchiesta,sotto altri punti di vista doverosa e forse anche utile,potrebbe intralciare il lavoro dei magistrati. E’ meglio attendere. Sotto un profilo politico, però, il giudizio che si può dare,fatte salve le eventuali conseguenze giudiziarie,è necessariamente negativo. Da oggi sarà più difficile organizzare grandi eventi a Torino e già questo è un arretramento.Questa è la città delle Olimpiadi invernali,delle Ostensioni della Sindone,delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, degli incontri oceanici con i papi in piazza Vittorio. L’immagine della sicurezza e dell’accoglienza della città è stata gravemente vulnerata. Le piazze auliche vanno in futuro preservate :i venditori di cioccolata non possono pretendere di usare piazza San Carlo, la stessa invasione della città da parte del Salone del gusto appare discutibile. Piazza Vittorio è stata storicamente l’unica piazza che si presti per molti eventi. Piazza San Carlo e piazza Castello non sono idonee. Prevedere anche solo il semplice sfollamento ordinato  di 30mila persone da piazza San Carlo  diventa un problema,al di là dei cocci di bottiglia e dei venditori abusivi che qualcuno non ha controllato in modo adeguato,vista la vendita di un numero altissimo di bottiglie.

 

***

Il ministro Minniti ha dimostrato ancora una volta di essere all’altezza del compito,come spesso dimostrano i vecchi comunisti che hanno appreso fin da piccoli i rudimenti della politica che è anche arte di governo. Il “nuovo”  non sempre coincide con il meglio o anche solo con il buono. Mi è sembrata fuori luogo la “predica” accorata di Mons. Nosiglia che anche in questa circostanza ha voluto dire la sua,senza aggiungere una riflessione di particolare rilevanza. Il tentativo di colpire il Prefetto Saccone mi sembra piuttosto spregiudicato e, allo stato, privo di fondamenti.Saccone è uomo delle istituzioni con una grande esperienza alle spalle,sempre vigile ed attento nell’esercizio delle sue funzioni.Meglio di tanti suoi predecessori. Appare anche fuori luogo cogliere l’occasione per cercare di dare una spallata alla Giunta Appendino che però non può non assumersi le sue responsabilità. Il solo fatto che la sindaca  intenda lasciare la delega alla sicurezza evidenzia un disagio.Molto importante sarà  vedere a chi la delega verrà affidata. Nella squadra attuale pochi, pochissimi sembrano all’altezza.  La tesi secondo cui il panico è il solo responsabile non regge  perché semmai, in epoca di terrorismo,è indispensabile prevenire il panico.Non è cosa da poco,ne conveniamo,ma il futuro non può riservarci la tranquillità dell’ordinaria amministrazione. Torino ha bisogno di ben altro.

 

(foto: il Torinese)

Legambiente presenta il primo rapporto nazionale sulla green society

Tra le 101 storie del rapporto spiccano le piemontesi ZAC!, Pony Zero Emissioni, La Casa Rotta, la pista ciclabile tra Bricherasio e Bagnolo, la rinascita di Ostana

È l’Italia della green society, quella disponibile a muoversi, produrre, spostarsi, consumare in maniera più equa, sostenibile, giusta, quella fotografata da Legambiente nel primo rapporto nazionale “Alla scoperta della green society”, edito nell’ambito del tradizionale volume annuale Ambiente Italia di Edizioni Ambiente, e presentato oggi a CinemAmbiente, il Festival internazionale di cinema e cultura ambientale in corso a Torino. A presentare il lavoro dell’associazione ambientalista il curatore e membro della segreteria nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, il presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta Fabio Dovana, il direttore di CinemAmbiente Gaetano Capizzi e la giornalista Claudia Apostolo.

 

In questi anni si sta assistendo ad una crescita progressiva, lenta ma inesorabile, di tutti gli indicatori economici e sociali che attestano una crescita da parte dei cittadini di scelte e comportamenti ecosostenibili. Lo si vede nella diffusione delle energie rinnovabili -in 10 anni si è passati dal 15% al 35,5% dei consumi elettrici coperti dalle rinnovabili-, nella raccolta differenziata e nella diffusione del riuso –con la crescita costante dei comuni rifiuti free, ovvero quei comuni che, oltre a essere sopra la soglia del 65% di raccolta differenziata, producono meno di 75 chilogrammi annui per abitante di rifiuto secco indifferenziato-. E’ così in agricoltura dove cresce la produzione del biologico -dal 2010 al 2015 sono cresciute del 69% le attività di ristorazione che utilizzano prodotti biologici-, e nei consumi alimentari, dove si sta diffondendo non solo una grande attenzione per la qualità del cibo, ma anche una forte sensibilità contro gli sprechi.

 

Il rapporto di Legambiente è un vero e proprio viaggio di scoperta, un’esplorazione che cerca di individuare le coordinate, che parte dalla raccolta di 101 storie di cambiamento in corso, “di un’Italia che già esiste e che sta sfidando per esempio anche lo storico e consolidato terzo settore schiacciato tra una politica che sempre più ne disconosce il valore e la sua incapacità auto-riformatrice. Un’Italia in cerca di rappresentanza politica ma che non vuole scatole partitiche o padrini elettorali, così frammentata e variegata qual è. Un’Italia che alla delega politica preferisce la pratica civica come nuova forma di rivolta sociale. Una rivolta pacifica e silenziosa che in maniera carsica sta lavorando in profondità e che prima o poi riuscirà a emergere come fenomeno sociale” si legge nella prefazione della presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni.

 

Tra le 101 storie di green society raccontate da Legambiente diverse sono piemontesi. C’è lo ZAC!, cooperativa che ha realizzato a Ivrea un percorso di riqualificazione urbana e di trasformazione sociale per restituire alla cittadinanza gli spazi del Movicentro della stazione ferroviaria, vuoti e inutilizzati da oltre un decennio. Ci sono i Pony Zero Emissioni, società di logistica nata nel 2013 con l’obiettivo di rivoluzionare, con una logica ecosostenibile, la copertura dell’ultimo miglio urbano in bicicletta. C’è La Casa Rotta, progetto nato nel 2011 con l’obiettivo di recuperare una cascina abbandonata sulle colline di Cherasco (Cn) e di farla diventare un centro di incontro e aggregazione, un laboratorio attivo di cultura, un crocevia di scambi tra saperi diversi e prove pratiche di sostenibilità ambientale. C’è la storia dell’impegno delle comunità locali che ha reso possibile la trasformazione di una ferrovia dismessa tra Bricherasio (To) e Bagnolo (Cn) in pista ciclabile e ippovia. E c’è la storia di Ostana, piccolo comune montano cuneese che, fino a 25 anni fa, come tanti altri sull’arco alpino, sembrava destinato a un lento e inesorabile spopolamento e che invece grazie alla qualità architettonica, all’identità e al senso ritrovato di comunità, alla sostenibilità ambientale e all’offerta di un turismo pertinente e rispettoso dei luoghi è riuscito a rispondere con successo all’abbandono facendo un balzo in avanti demografico da 5 a più di 40 abitanti.

 

Storie e processi di innovazione sociale molto articolati da mettere sotto la lente di ingrandimento di una nuova riflessione, ed è quello che il libro cerca di fare. Lo fa con un’intervista collettiva a quattro donne protagoniste di questa società che cambia, che si confrontano sull’innovazione sociale in atto, e poi con 12 interventi di personalità del mondo della cultura, della ricerca, dell’ambientalismo, della politica e dell’impresa sociale che propongono chiavi di lettura e approfondimenti sugli aspetti più significativi di questa società che cambia. I contributi rappresentano una traccia per la costruzione di un pensiero collettivo, un nuovo discorso pubblico che mira a dare diritto di parola alla green society.

 

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Borghezio condannato a risarcire l’ex ministra  Kienge Nicoletta Casiraghi, una grande donna liberale Cenare tranquilli d’estate a Torino è diventato difficile Le Province dopo il referendum bisogna tornare a renderle  operative Il presidente Boeti a Bastia rende onore a Mauri Il cazzeggio salottiero nei circoli,le cattedre democratiche senza predella

***

Xenofobia
L’on. leghista rivolese Mario Borghezio è stato condannato a risarcire l’ex ministra dell’integrazione Kienge con 50mila  euro per “insulti razzisti”. La frase che avrebbe pronunciato riguarderebbe gli africani che “appartengono ad un’etnia diversa dalla nostra “ e la Kienge che ,facendo il medico,avrebbe avuto un posto in una Asl che “sarebbe stato tolto a qualche medico italiano”:Frasi molto diverse da quelle davvero offensive dell’ex ministro Calderoli che giunse a paragonare la Kienge ad un orango. Il PM sostenne che il senso complessivo delle frasi di Borghezio  avessero un fondo razzista e xenofobo.Il giudice ha riconosciuto a Borghezio le attenuanti generiche.Cécile Kienge  è persona arrogante e presuntuosa, d rei decisamente antipatica, al di là delle sue origini congolesi. E non si è rivelata un buon ministro. Questa è l’unica critica che tiene. Avvitarsi su discorsi che riguardano il colore della pelle o la religione professata è sempre sbagliato. Questa le lezione che viene dalla sentenza.Borghezio è sempre stato politicamente scorretto e spesso si è lasciato andare,lui avvocato, a giudizi e a proclami che vanno  ben oltre la legittima  propaganda e la polemica  politica. Appare comprensibile  che l’ex ministra  si sia rivolta al giudice. Ripeto,il suo operato va valutato politicamente e il giudizio nei suoi confronti non può non essere negativo.

***

Nicoletta Casiraghi 

Fu la prima donna in Italia ad essere eletta presidente di una provincia,quella di Torino, nel 1985. L’unica liberale donna che abbia avuto un riconoscimento importante. Il Pli fu sempre un partito maschilista.Un piccolo partito rissoso che nel 1993 ebbe una fine ingloriosa:un vero 8 settembre con tanto di fuga da parte dei suoi dirigenti. Zanone definiva Vittorio Emanuele III “il re fellone”,ma verso i suoi amici liberali che liquidarono con lui  il partito ,pur di tentare di riciclarsi in qualche modo,non ha mai espresso un giudizio adeguato e non ha mai formulato una riflessione sulla fine del partito  che fu di Cavour e di Giolitti e ,purtroppo, anche di tante mediocrità .  A Nicoletta ,dopo l’esperienza in Provincia, venne impedita l’elezione al Consiglio regionale. Ricordo le volgarità maschiliste  sparse in giro contro di lei  da attempati notabili liberali che rivelarono il livello infimo di una correntomachia  interna vergognosa.Il Pli era via via diventato anche un partito di clientele. Casiraghi che operò come presidente tra due presidenti socialisti ( Maccari e Ricca ), aveva saputo agire con determinazione,coraggio,limpida onestà,pur in un quadro politico traballante.  Il marito di Nicoletta,dopo la  sua morte,ebbe il coraggio di fare nomi e cognomi di coloro che furono i killer del partito liberale ,dopo aver avuto onori e prebende non trascurabili che consentirono loro di occupare alcuni vertici molto importanti. I liberali si autoaffondarono in maniera indecente anche a Torino,non solo a causa degli scandali di alcuni loro esponenti.Essi,di fronte alla candidatura di Valentino Castellani, che fu il sindaco migliore del centro-sinistra, mandarono al massacro Bepi Dondona  che capeggiava la lista liberale per favorire,non richiesti, Castellani. Nicoletta mantenne ferme le sue posizioni  liberali,facendo scelte comunque disinteressate e in linea con i suoi principi liberali. Lei rimane nella storia del liberalismo italiano come figura importante  di quello piemontese:quello di Brosio,di Badini Confalonieri,di Villabruna, di Zini Lamberti, di Jona,di Zignoli,di Alpino e di Catella. Nella rissosa Gioventù liberale dove io diciassettenne esordii pieno di entusiasmo  lei  fu l’unica persona equilibrata,onesta,non invischiata nelle beghe.Antonio Patuelli,che era stato segretario nazionale della GLI, venne a ricordarla con me  nel 2011, a pochi mesi dalla sua morte, mettendo in evidenza la sua straordinaria,sfortunata testimonianza.

***

Cene d’estate a Torino 
Era bello cenare d’estate a Torino nei molti locali che preparano all’aperto. Oggi in parte non lo è più. Musicisti improvvisati si danno il cambio e richiedono con insistenza un’offerta. La loro non è neppure una musica piacevole,anzi impedisce, se si è con amici, di parlare in tranquillità.  Per non dire delle questue e dei venditori ambulanti che insistono per ottenere qualcosa, dicendo di bambini senza pane o addirittura senza  medicine. Viviamo in una crisi devastante e nessuno può pensare ad isole felici. Ma la misura è davvero colma. Piazza Vittorio e piazza Carignano sono le più prese d’assalto. Ed anche i ristoranti si sono spesso allineati alla crisi e i loro menu sono poveri di offerte allettanti. Manca sovente  la creatività e insieme la fedeltà alla tradizione. Prevale il ronzìo della quotidianità,quello che si vorrebbe evitare andando a cena fuori casa. Com’erano diversi i tempi quando da Pavia (non ancora pizzeria), in precollina, c’era il futuro critico Angelo Mistrangelo che mi preparava gli spaghetti alla siciliana fatti alla lampada. Com’era diverso quando tanti torinesi si trovavano sulla terrazza della “Pigna d’oro “ di Pino a godere dell’ottima cucina e del fresco della collina. Alcuni miei amici ci andavano d’estate con l’amica, quando la moglie era al mare, illudendosi di passare inosservati. Oggi sarebbe impossibile perché le macchine fotografiche dei telefonini non ti lascerebbero scampo… Resta comunque  meglio scegliere l’aria condizionata e stare dentro i locali o spingersi decisamente fuori porta, non solo se si è in piacevole compagnia “non ufficiale “. Anche la collina  torinese ,così ricca di bei locali, offre poche chanches davvero meritevoli di segnalazione.   

***

Le Province non cancellate 
Tutti dicevano che esse andavano abolite, poi il referendum del 4 dicembre le ha confermate come ha rimesso in gioco il CNEL,organismo di cui nessuno ,se non i suoi componenti, sente la necessità . Con una scelta affrettata sono state costituite le città metropolitane che stentano a trovare la loro strada, anche perché i finanziamenti a loro disposizione sono molto esigui anche le se incombenze loro affidate sono evidenti a tutti. E’ chiaro  che le Province hanno un ruolo non surrogabile  e che svolgono ,o meglio, dovrebbero svolgere una funzione che appare indispensabile. L’idea di Ugo La Malfa  che già tanti anni fa voleva abolirle, si è rivelata errata. Semmai andrebbero ripensate le regioni sulle quali Malagodi scrisse delle riflessioni  critiche che andrebbero rilette. Anche le “macroregioni”  di Gianfranco Miglio ,un giurista stimato da Bobbio, andrebbero riprese almeno come spunto di riflessione. Ma soprattutto le Provincie non posso restare a bagno maria in attesa che qualcuno pensi a come farle funzionare. 

***

Il Sacrario di Mauri  e il presidente Boeti
A Bastia di Mondovì esiste un sacrario partigiano, inaugurato nel 1947 e costruito per iniziativa del comandante Enrico Martini Mauri, medaglia d’oro al V.M. per dare degna sepoltura ai mille caduti delle Divisioni Alpine Autonome. E’ un sacrario non adeguatamente ricordato persino dal sito del Comune di Bastia. Per molti gli azzurri di Mauri sono partigiani di serie B ,forse solo perché vollero definirsi volontari della Libertà, un’espressione usata ,per altri versi, anche da Piero Calalamandrei  Per anni vennero considerati tout -court dei badogliani. Il Vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte e presidente del Comitato Resistenza Costituzione della Regione è andato sabato scorso a rendere onore a quei Caduti  e ha tenuto un discorso di alto livello morale e storico, rendendo l’omaggio dovuto a Mauri  ai suoi 11 mila Volontari e ai suoi mille Caduti. Nel suo discorso tra l’altro ha detto :”Quei militari furono alla base dell’unità della Resistenza  che vide coagularsi intorno al desiderio di libertà  e di democrazia  uomini dell’esercito , contadini, artigiani, operai, medici, sacerdoti “.Il riferimento conclusivo del discorso al terrorismo  internazionale che “semina morte e terrore” ci appare molto importante: “Com’è successo con i nazisti, le nazioni civili debbono far fronte  comune contro questa follia che dev’essere sradicata, per restituire un mondo nel quale sia piacevole vivere e costruire il proprio futuro”. Era il discorso che i cittadini, i reduci e i parenti dei Caduti  attendevano ascoltare.

***

LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

.
L’ho ascoltata venerdì alla festa per i 170 del circolo degli Artisti di Torino. Ho visto il disagio dei relatori nel salire su un’alta pedana e parlare seduti senza avere la possibilità di avere vicino a sé un appoggio o la possibilità di bere un po’ d’acqua. Questa moda di togliere il tavolo nei convegni mi sembra stupida.

Maura Fossati

.

Io ormai mi sono dovuto abituare perché spesso mi trovo a parlare in queste condizioni. Certo è impossibile leggere una citazione, per non dire bere un goccio d’acqua : il tavolino era ad un metro e mezzo da dov’ero io. Sono d’accordo con lei, mi sembra una moda stupida, volta a copiare il salotto televisivo. Ma, a volte, come nel caso del 170° del Circolo degli Artisti, non ci si poteva limitare al solito “cazzeggio” , si dovevano fare discorsi di altro tipo. Ed ho notato il disagio di molti. Chi organizza un convegno o una conferenza deve fornire ai relatori, oltre ad un buon microfono, gli strumenti necessari per dare al pubblico il meglio. L’idea nata nel circolo di via Bogino sembra però aver attecchito anche altrove, per dare un’idea meno formale all’evento. Anche Luciano Violante una volta sentì il disagio di non poter appoggiare i libri che doveva citare.  E’ un po’ come quando vennero abolite le predelle sotto le cattedre che servivano per avere uno sguardo d’insieme sugli allievi a cui si tiene lezione. Una sorta di cattedra democratica in base all’assioma che allievo e professore devono essere uguali. All’Università vennero ripristinate perché il buon senso lo imponeva. Non è che quindici centimetri di pedana in meno favorissero rapporti migliori con gli studenti. Ci fu anche chi volle rapporti partitari e si fece dare del tu dagli studenti. Asinerie tardo -sessantottine prive di ogni logica. 

pfq

Dopo il 2 Giugno. Riflessioni su valori e virtù tricolori

di Pier Franco Quaglieni

Il 2 giugno è stato festeggiato a Torino con particolare solennità. Alcuni servizi giornalistici usciti oggi non colgono affatto lo spirito degli eventi. Dall’alzabandiera in piazza Castello alla cerimonia alla Scuola d’Applicazione al Palazzo dell’Arsenale, la scuola militare più antica d’Europa. Protagonista è stato il Prefetto di Torino Renato Saccone ,un gentiluomo napoletano  molto colto che ha ridato forza alla figura centrale del prefetto rispetto ai ruoli politici. Il suo discorso di altissimo profilo storico e istituzionale al Palazzo dell’Arsenale  è riuscito a sintetizzare 71 anni di storia, partendo dal giugno 1946,quando -non certo nel migliore dei modi possibili- l’Italia è diventata una Repubblica.


Era il dopoguerra ed eravamo  ad appena un anno dalla fine di  una guerra civile che aveva lasciato strascici di violenza e di sangue dopo la fine della dominazione nazi-fascista che aveva creato un clima di odio. Il prefetto Saccone è riandato a quell’Italia ridotta a  un insieme di macerie,con orfanotrofi pieni zeppi, con manicomi- lager inumani,con una mortalità infantile impressionante,a fronte di  una natalità molto alta,perché era finita la guerra l’anno prima. I miei genitori ,come tanti, si sposarono nel  maggio 1945 e fecero un brevissimo viaggio di nozze,mio padre poté riprendere a girare in macchina,cosa che nel biennio 43- 45 era diventato difficoltoso ,se non impossibile. In quel periodo molti usavano la bicicletta, non soltanto gli operai, o erano costretti a viaggiare  su treni che erano dei veri e propri carri bestiame.

***
Il referendum aveva diviso gli italiani e la Monarchia aveva ottenuto consensi che potevano sembrare impossibili. A Torino,culla della Dinastia, i monarchici furono in numero inferiore dei repubblicani, ma al Sud ,malgrado la “conquista regia” di cui parlava Gramsci,i monarchici furono le nettissima maggioranza.  La propaganda monarchica a Torino era stata resa difficile,se non ,in alcuni casi ,impossibile, per l’intolleranza dei militanti  del partito comunista e del partito socialista.
L’Italia riuscì a riprendersi per merito di uomini come De Gasperi, De Nicola, Soleri, Einaudi,gente seria e pacata, capace di decidere in modo consapevole. Non poco merito ebbe il re Umberto II che, scegliendo il 13 giugno 1946, di partire per l’esilio, pur in presenza di un esito referendario dubbio, sciogliendo l’Esercito dal giuramento prestato al Re. Fu un gesto di patriottismo di grande significato che lo storico torinese Gianni Oliva ha evidenziato in un suo bel libro uscito nel 70° della Repubblica.  Sicuramente il Re evitò il rischio di una nuova guerra civile. Il Prefetto Saccone non ha analizzato -e non avrebbe potuto e dovuto  farlo-il clima del 2 giugno 1946,ma ha giustamente affermato che, rispetto al presente tragico, in quel momento  “il futuro appariva migliore”. C’era voglia di riprendersi ,di lavorare, di voltare pagina. Guardando all’oggi, certamente c’è una parte sana, forte, ricca di potenzialità  che continua a sperare in un ‘Italia migliore. A dare credibilità a questa ripresa ,non a caso ,è stato il Prefetto che rappresenta non solo il Governo ,ma l’autorità dello Stato.

***
Giustamente egli ha concluso ,dicendo  che la giovane Repubblica  si era  posta sulle spalle di un gigante, l’Italia. Con questa metafora credo abbia voluto intendere il senso della continuità delle istituzioni e della storia complessiva del Paese che non poteva esaurirsi nella sola Resistenza, ma doveva affondare le sue radici anche e soprattutto nel Risorgimento che aveva creato il nuovo Stato unitario. Le affermazioni manichee  di un Antonicelli che scrisse che la storia d’Italia iniziava  il 25 aprile 1945,appaiono oggi in tutta la loro miseria. Eppure Franco Antonicelli era ,allora, un liberale…
Poche le autorità presenti alle manifestazioni del 2 giugno , il presidente della Regione e il Vicepresidente Boeti, molti sindaci, tra cui quella di Torino, ma i vip hanno disertato le cerimonie. Il fine settimana al mare è stato più forte. Un nota stonata in momenti in cui tutti dovrebbero dare l’esempio. Nelle prime file c’erano posti vuoti e soprattutto brillavano certe ingiustificabili  assenze. 
Nei giornali di ieri e di oggi   ho letto molte frasi di circostanza, anche se c’è stato  chi ha posto il  problema se si possa festeggiare la Repubblica, riferendosi al momento istituzionale caotico che stiamo vivendo. Un dubbio ragionevole ma che andrebbe superato perché gli interessi dell’Italia dovrebbero prevalere su tutto, anche se pochi in verità dimostrano di esserne consapevoli. La riflessione più lucida è venuta da un’autorevole docente torinese  di diritto, una donna coraggiosa e libera, la prof. Anna Maria  Poggi che ha avanzato il fondato  dubbio della validità di un articolo 1 della Costituzione che fissa come fondamento della Repubblica il lavoro e solo quello. Se pensiamo che addirittura un piccolo movimento politico si è richiamato a quell’articolo per definirsi,abbiamo chiara l’importanza dell’obiezione della prof. Poggi.

***
Certo ,quel richiamo al lavoro  significava che nella Repubblica non potevano sopravvivere privilegi di sorta  e che il cittadino poteva distinguersi solo per i suoi meriti di lavoro. Un’affermazione giusta, ma insufficiente, specie se i meriti non vengono riconosciuti e un egualitarismo giacobino vorrebbe  livellare tutti verso il basso, mentre l’ineguaglianza, come diceva Popper, è un’opportunità di crescita, è la possibilità di mettere a frutto i propri talenti. Costant  vedeva l’eguaglianza nel riconoscimento delle capacità ,a prescindere dalle origini. Altri hanno giustamente parlato di eguaglianza nei punti di partenza. La stessa Costituzione garantisce ai “capaci e meritevoli” (e non a tutti) di raggiungere i più alti gradi nel campo dell’istruzione. Quando ho ascoltato in televisione un’avvocatessa -che si autodefinisce avvocata, come fosse la Madonna- condannare in modo assoluto le diseguaglianze, ho capito che lo spirito liberale non solo non viene capito, ma viene sicuramente combattuto con una chiusura ideologica miope che fa pensare alla Rivoluzione Russa di cent’anni fa.   La Repubblica del ’46 diede a tutti l’opportunità di vedere riconosciuti i propri meriti e gli imprenditori che hanno ricostruito un Paese azzerato dalla guerra, avevano di fronte a sé non solo lo stupido giacobinismo di alcuni fanatici che lo stesso Togliatti riuscì ad imbrigliare, ma politici capaci di sostenere lo sviluppo e la crescita dell’economia.La Poggi ha  assoluta ragione nel dire che fondare la Repubblica sul lavoro non basta. Ci sono valori storici, valori che definirei “immateriali”, che costituiscono il nerbo di Nazioni come la Francia o l’Inghilterra. Solo con Ciampi abbiamo riscoperto il Tricolore e l’Inno nazionale. La bandiera alle finestre resta invece un fatto ancora legato alle partite di calcio. Molti cittadini, per altro, sono delusi, demotivati, indignati, arrabbiati.Non senza ragione. Sarebbe un discorso da riprendere, andando oltre il 2 giugno.   

 

(foto: il Torinese)

2 giugno, Festa della Repubblica: cerimonia militare in piazza castello

Venerdì 2 giugno, alle ore 10, avranno inizio in Piazza Castello le celebrazioni per il 71° anniversario della proclamazione della Repubblica. Alla manifestazione, che comincerà con la cerimonia dell’alzabandiera e che sarà accompagnata dalle note dell’Inno di Mameli eseguito della Banda musicale del Corpo di Polizia Municipale, parteciperanno le più alte cariche civili, militari e religiose della città. Nella piazza torinese saranno schierati: un reparto di formazione composto dagli Ufficiali Allievi della Scuola di Applicazione, Alpini della Brigata Taurinense, militari del 34° Gruppo Squadroni dell’Aviazione dell’Esercito“Toro”, da Carabinieri del comando Legione “Piemonte e Valle D’Aosta, Finanzieri del Comando Regionale “Piemonte”, agenti della Polizia di Stato, del Corpo della Polizia Penitenziaria e del Comando della Polizia Municipale. Durante la solennità sarà letto il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La ricorrenza avrà termine alle 18 sempre in Piazza Castello con l’ammainabandiera.

 

(foto:  il Torinese)

 

Tutti in bus alla scoperta del patrimonio artistico

Il progetto di Stalker Teatro , Metropolitan Art, è realizzato in collaborazione con il Dipartimento Educazione Castello di Rivoli per avvicinare il pubblico all’arte contemporanea, e giunge  alla sua seconda edizione. Dal 10 al 25 giugno il pubblico viene accompagnato, con i bus, attraverso sei percorsi turistico-culturali. La prima tappa è il Castello di Rivoli; la seconda il quartiere Le Vallette, nato negli anni 50 per opera di un pool di grandi architetti, per ospitare gli immigrati venuti dal sud per lavorare in fabbrica, con edifici oggi ‘storici’ simboli dell’architettura dell’epoca; la terza le Officine Caos. Qui, nel teatro di Stalker Teatro i visitatori assistono allo spettacolo ‘Reaction’. L’evento è sostenuto da Intesa Sanpaolo e Regione Piemonte.