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La felicità si può imparare

Spopolano i corsi di psicologia positiva, qualsiasi cosa pur di essere felici.

Già da qualche tempo, soprattutto durante e dopo il periodo pandemico, si sono moltiplicati i corsi di psicologia positiva, una didattica che insegna la felicità o perlomeno propone una strada in discesa per raggiungerla utilizzando regole, suggerimenti precisi e anche la pratica. Non solo, quindi, teoria o ipotesi sul come spingersi versolo stato di grazia tanto ambito, ma una scienza vera e propria che si avvale di lezioni e compiti a casa. I numeri sono da capogiro. Un esempio? La psicologa Laurie Santos, insegnante a Yale ha 3,8 milioni di iscritti in tutto il mondo e il suo è corso più seguito in più di 300 anni di storia dell’Università; inoltre è stato creato un podcast –  “Happiness Lab”- che conta più di 65 milioni di download. Il corso “Leadership and Happiness” dell’Università di Harvard, invece, esaurisce regolarmente i 180 posti a disposizione, per coloro che non riescono a partecipare in presenza le lezioni sono garantite online.

Sembra quindi che, anche se non si è nati con il dono della letizia, sia possibile impararla, sia concepibile acquisire nozioni su come conquistarla, su come essere felici.

Ma cosa è la psicologia positiva? Di cosa si occupa?

Il benessere personale e la qualità della vita sono l’obiettivo, il centro e l’oggetto di studio della “psicologia positiva”. Secondo Martin E. P. Seligman, lo psicologo statunitense a cui è riconosciuta la paternità di questa scienza, la psicologia deve dedicarsi anche agli aspetti positivi dell’esistenza umana: emozioni gradevoli, potenzialità, virtù e capacità dell’individuo. La qualità della vita è un tema  sempre più all’attenzione della medicina, della sociologia e della psicologia in generale e gli aspetti ed avvenimenti positivi presenti nella nostra esistenza costituiscono una protezione per la salute fisica e mentale.

Sono diversi gli argomenti trattati durante questi corsi che mirano,innanzitutto, ad una inversione di tendenza, ad un deciso e consapevole cambiamento di alcune nostre abitudini e attitudini. In cima alla lista c’è la questione temporale, la nostra inclinazione a pensare troppo al futuro e fare riferimento al passato, principale produttore di sensi di colpa e rimpianti. Per perseguire la felicità e la serenità è necessario stare nel presente, collocarsi nel qui e ora, non spostare ne’ avanti ne’ indietro il nostro pensiero. Troppo spesso siamo tormentati da ciò abbiamo sbagliato, da cosa non è andato bene, dai nostri presunti fallimenti; la mente si concentra sui trascorsi, presumibilmente negativi, creando frustrazione e di certo non producendo, in tale modo, uno stato positivo. Allo stesso modo speculare sul futuro avvantaggiandosi eccessivamente sulle cose che dovremmo fare o che succederanno non ci permette di vivere pienamente la nostra vita attuale.

Un altro elemento importante  su cui si concentrano le lezioni di felicità è la gratitudine, è importante essere riconoscenti per quello che si ha, fare una lista delle cose belle della nostra vita, sentirsi fortunati contrastando un’altra inclinazione molto frequente che è quella di lamentarsi, di pensare che si potrebbe avere di più magari utilizzando uno strumento, perlopiù frustrante, come quello della comparazione. Inseguire mete impossibili, avere modelli irraggiungibili, spesso poco reali, non fa bene. E’ costruttivo cercare di migliorare la nostra vita, tuttavia, essere grati per ciò che si ha è il primo passo verso la felicità.

I pensieri negativi, invece, vanno non scacciati ma limitati. Concedere spazio alle considerazioni ostili va bene, accettarle è necessario perché reprimerle avrebbe un effetto  dannoso. Il suggerimento è quello di dedicargli un tempo fisso, anche giornaliero, per esempio 10 minuti al giorno, poi basta!

Infine ci sono gli altri, gli amici, la famiglia, le persone intorno a noi. Saper stare soli è determinante, e spesso necessario, ma la felicità va cercata anche nell’ insieme, in compagnia, socializzando, condividendo, ridendo insieme, giocando. La solitudine prolungata, l’isolamento e la non connessione con gli altri provoca tristezza e infelicità mentre l’amicizia, la vicinanza, gli altri possono procurare quella gioia che ci permette di affrontare le cose della vita con la sicurezza del supporto e, spesso, del mutuo soccorso . La cosa importante è ridurre le aspettative, non pretendere gesti o dimostrazioni, ma vivere le persone, stare semplicemente insieme a loro.

Sapere di poter essere felici, di poter migliorare il nostro stato d’animo dando spazio alla serenità è molto incoraggiante e innovativo. Scardinare quelle credenze secondo le quali si nasce con delle attitudini, con un carattere e una personalità seguendo la sola teoria dell’ineluttabilità, del non riparabile è possibile e anche doveroso, come lo è darsi la possibilità di stare bene, di superare quelle abitudini e attitudini mentali che ci fanno vivere uno stato di negatività e malcontento.

Maria La Barbera 

Juventus – Monza 2-0

La Juve vince 2-0 contro il Monza all’Allianz Stadium di Torino nell’incontro valido per la 34a giornata di Serie A. I gol di  Nico Gonzalez al 12′ e  di Kolo Muani al 33′.

Napoli – Torino 2-0

Napoli – Torino finisce 2-0. Ora con 74 punti i partenopei sono in testa al campionato di serie A: hanno tre punti di vantaggio sull’Inter e mancano quattro giornate al termine. La doppietta di McTominay ha deciso le sorti della partita contro il Toro.

Sottopasso Lingotto, dal 28 aprile riapre la semicarreggiata nord

Riapriranno al traffico nella tarda mattinata di lunedì 28 aprile la semicarreggiata nord del sottopasso Lingotto (da corso Unità d’Italia verso corso Giambone) e l’entrata di via Ventimiglia.

La parziale riapertura arriva alla conclusione dei lavori di rinforzo strutturale e di risanamento conservativo della galleria nord del sottopasso, nel tratto sottostante il parco Millefonti e corso Unità d’Italia.

In quel tratto l’infrastruttura è costituita da due gallerie separate. Gli interventi proseguiranno quindi spostandosi sulla galleria sud, ragione per cui, sempre a partire dalla mattinata di lunedì 28, verrà chiusa la semicarreggiata sud (da corso Giambone verso corso Unità d’Italia).

La fine del lavori, con la riapertura completa del sottopasso in entrambe le direzioni, è prevista per il mese di settembre 2025.

TORINO CLICK

Alla Galleria Tamagno del Teatro Regio “Behind the scenes”

Alla Galleria Tamagno del Teatro Regio di Torino, in piazza Castello, un’occasione unica per scoprire ciò che solitamente resta nascosto agli occhi del pubblico con la mostra “Behind the scenes” nell’ambito di Exposed Torino Foto Festival.

Le immagini in esposizione selezionate tra i migliori scatti realizzati al Regio negli ultimi trent’anni catturano quei formidabili momenti sospesi in cui gli artisti non sono ancora personaggi e nello stesso tempo non hanno già più  i connotati e l’identità di chi sono normalmente nella vita reale.

Igino Macagno

Cisl Torino – Canavese a congresso

“IL CORAGGIO DELLA PARTECIPAZIONE”:
Il segretario Filippone: “Invertire la rotta per guardare con ottimismo al futuro”
Si è aperto questa mattina, al Centro congressi Santo Volto, a Torino, il quarto congresso della Cisl Torino-Canavese, con lo slogan “Il coraggio della partecipazione”. Sono intervenuti, dopo la relazione introduttiva del segretario generale Giuseppe Filippone, il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo e, tra gli altri, i segretari generali di Cgil e Uil torinesi, Federico Bellono e Gianni Cortese.
Nel pomeriggio interviene anche la leader nazionale Cisl, Daniela Fumarola, che ha anticipato di un giorno la sua partecipazione al congresso della Cisl torinese per improvvisi e inderogabili impegni istituzionali nella giornata di venerdì 4 aprile. Domani tocca al segretario regionale Cisl, Luca Caretti. 

“Disagi e Disturbi Mentali: Viaggio nella Psichiatria tra Umanità e Controversie”

  
Dopo cinque anni, il Dott. Pino Luciano torna sugli scaffali con “Disagi e disturbi mentali ieri, oggi e domani” (Franco Angeli Editore), un saggio lucido e appassionato che ripercorre l’evoluzione della legislazione psichiatrica italiana e il suo impatto sulla società.
Al centro del libro, la storica Legge 180 del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi, rivoluzionando il trattamento dei disturbi mentali e ponendo l’Italia all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Un cambiamento profondo, che il Presidente della Repubblica ha definito “una svolta di civiltà”.
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Dottor Luciano, perché la Legge 180 è considerata così rivoluzionaria?

Perché ha cambiato radicalmente il nostro approccio verso le persone con disturbi mentali. Fino a quel momento, bastava un comportamento considerato “anormale” per finire in manicomio, spesso per tutta la vita. La legge ha messo fine a questa pratica, chiudendo le strutture e promuovendo cure più umane, fondate sulla prevenzione e sul reinserimento sociale. È stato un cambiamento epocale, che ha visto l’Italia tra i pionieri in questo campo.

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È stata una svolta solo italiana?
No, la questione dei diritti umani è globale, ma l’Italia è stata tra le prime a intraprendere questo percorso. Dopo la Seconda guerra mondiale, il mondo intero ha iniziato a riflettere sui diritti umani, specialmente dopo gli orrori del nazifascismo. La Legge 180 è figlia di questo risveglio culturale e civile. È stata una mossa in anticipo sui tempi, che ha portato l’Italia a un nuovo standard di civiltà, come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica nel recente anniversario della legge.
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Cosa c’era prima della Legge 180?

Gli ospedali psichiatrici erano luoghi di segregazione e degradazione, più che di cura e riabilitazione. La psichiatria somigliava più a una punizione che a un trattamento. I manicomi non erano spazi di guarigione, ma di isolamento. Le persone venivano internate, legate, private di ogni diritto. Era facile finire in una sezione chiamata “furia” solo per aver espresso disagio o rabbia.

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E la medicina, cosa faceva?
All’inizio, poco o nulla. La psichiatria veniva spesso utilizzata come una giustificazione per l’emarginazione. Si finiva internati per “pubblico scandalo”: bastava vivere sotto un portico o comportarsi in modo considerato inaccettabile. Era uno stigma sociale, non una diagnosi clinica.
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Quando si è iniziato a cambiare davvero?
I primi segnali di cambiamento sono arrivati nel 1968, con l’introduzione del ricovero volontario. Ma la vera svolta è arrivata nel 1978, con la Legge 180: da quel momento, il termine “internamento” è stato sostituito con concetti come cura, prevenzione e servizi territoriali integrati nel Sistema Sanitario Nazionale.
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Un cambiamento sanitario o anche culturale?
Profondamente culturale. La Legge 180 ha trasformato la concezione stessa di malattia mentale, spostando l’attenzione dalla “devianza” alla persona. È stato il primo passo verso una psichiatria che vede la fragilità umana e non solo la patologia. Da allora, sono nati servizi sociali, centri di salute mentale e percorsi riabilitativi che mettono al centro la persona e non la sua malattia.
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E oggi? C’è ancora qualcosa da fare?
Molto. Le malattie mentali non sono solo il risultato di fattori genetici, ma anche di fattori psicopatogeni legati alla cultura, alla società e alle relazioni familiari, scolastiche e lavorative. La prevenzione primaria dovrebbe intervenire su questi fattori sociali e culturali, ma i servizi di salute mentale attivati dalla Legge 180 fanno ancora molto poco in questo senso. Inoltre, la prevenzione secondaria, che consiste nella diagnosi e cura precoce, è insufficiente. Lo stesso vale per la prevenzione terziaria, che cerca di evitare le ricadute nei pazienti che hanno recuperato lo stato di salute mentale.

Quali sono, secondo lei, gli aspetti più critici di questa legge?
La nuova legislazione ha mantenuto alcuni aspetti segregativi della psichiatria, come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). L’imposizione forzata non è mai la soluzione ideale. È fondamentale instaurare una connessione con il paziente, piuttosto che ricorrere al trattamento coattivo, che può portare a problemi gravi, talvolta violenti. Se si riesce a mantenere un buon rapporto, il paziente si presenterà volontariamente per i controlli. Il punto cruciale è l’alleanza terapeutica: non è sempre facile, ma è essenziale per il percorso di cura. Questi pazienti non sono pericolosi, e la perdita della loro libertà è un’ingiustizia rispetto alla loro reale condizione. Inoltre, c’è una dimensione ideologica che non può essere ignorata: l’introduzione della comunità terapeutica. Spesso viene vista come un “nuovo manicomio”, ma la vera differenza sta nel fatto che nella comunità terapeutica le persone non solo ricevono supporto, ma partecipano attivamente alla gestione della struttura. Si confrontano, litigano e imparano a gestire la loro conflittualità. Quando abbiamo trasformato il nostro reparto in una comunità terapeutica, seguendo le raccomandazioni dell’ONU, non è stato facile. Ci voleva un piano d’azione concreto, con obiettivi chiari, risorse adeguate e tempi definiti. Come diceva Antoine de Saint-Exupéry, “senza un piano, gli obiettivi rimangono semplici desideri”. Il problema è che ogni regione ha interpretato la legge a modo suo, senza una visione unitaria.
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E l’aspetto positivo della legge?
Innegabilmente, la Legge 180 ha restituito la libertà a migliaia di persone che un tempo erano segregate negli ospedali psichiatrici. A Torino, negli anni ’70 e ’80, quando l’immigrazione si era fermata, molti cittadini si sono mostrati disposti ad accogliere coloro che erano stati confinati in queste strutture. È stato un segno di grande apertura sociale.
C’è stata una crescente attenzione verso la psicologia e l’analisi introspettiva.
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La salute mentale è diventata una priorità. Alla luce della sua esperienza, cosa ne pensa?
È sicuramente una cosa positiva. Tuttavia, l’introspezione fatta da soli, senza un supporto esterno, può risultare difficile. Spesso non siamo in grado di cogliere la profondità della nostra sofferenza senza una prospettiva esterna. È importante avere uno sguardo oggettivo, che non provenga solo dal digitale o dai social, ma da una figura competente come uno psicoterapeuta. L’approccio psicologico è positivo, ma bisogna capire come le persone vengano effettivamente supportate in questo processo. Spesso, ciò che sembra una “scoperta di sé” può rivelarsi l’appropriazione di un’identità falsa, quella che la società o lo stesso terapeuta ci impongono. In realtà, lo psicoterapeuta non è una guida, ma un osservatore che aiuta il paziente a intraprendere il proprio cammino.
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Esiste un modo per arrivare alla vera conoscenza di sé?
Per arrivare alla vera conoscenza di sé, è necessaria una forte motivazione. Si tratta di un cammino che, spesso, richiede di affrontare aspetti dolorosi e difficili di noi stessi. È fondamentale avere un professionista che ci aiuti a superare questi ostacoli. Ma lo psicoterapeuta non deve essere troppo direttivo; deve essere una figura con cui “contrattare” insieme, per trovare la via migliore nel processo di autoconoscenza.
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VALERIA ROMBOLA’

Francesco Faà di Bruno, il beato torinese di via San Donato 

Le celebrazioni torinesi nel bicentenario della nascita di San Francesco Faà di Bruno, nato ad Alessandria nel 1825 e morto a Torino nel 1888 in concetto di santo, ricordano l’anima squisitamente religiosa e intellettuale che seppe armonizzare in modo splendido la scienza e la fede. La sua evoluzione morale  non aveva per meta un cielo popolato di costellazioni ma un cielo ben più elevato, denso di princìpi ricchi di unità e giustizia. Francesco concluse gli studi classici a Novi Ligure nel collegio dei Padri Somaschi e a Torino completò gli studi all’Accademia militare con il grado di luogotenente di Stato maggiore, seguendo le orme del fratello Emilio capitano di vascello. Dopo la ferita subìta nella disfatta della battaglia di Novara a fianco del giovane principe Vittorio Emanuele II di Savoia, Francesco fu promosso capitano dal re Carlo Alberto. Alla Sorbona di Parigi ottenne il dottorato in scienze matematiche e astronomia e fu nominato astronomo dell’osservatorio delle longitudini. Il suo celebre maestro e religioso Cauchy della Sorbona e l’amico Don Bosco gli trasmisero non solo l’amore per i numeri ma qualcosa di più profondo e significativo, la scienza di tutte le scienze, il loro Dio.

Rientrato a Torino, Francesco diede le dimissioni dallo Stato maggiore e ottenne per acclamazione la cattedra di matematica e fisica all’Università, insegnando analisi e geometria superiore. Con grande ardore di apostolato fondò l’Opera Pia di Santa Zita al numero 31 di Borgo San Donato, la protettrice delle domestiche nel borgo dei dannati dell’epoca, rifugio e sostegno per le categorie femminili più vulnerabili e ragazze madri con scuola per allieve maestre e lavanderia a vapore con sessanta operaie, un’opera assistenziale che i torinesi conoscono molto bene. Sul terreno acquistato dieci anni prima attivò la costruzione della chiesa di Nostra Signora del Suffragio, oggi comprensiva di istituto scolastico per l’infanzia, scuola primaria e secondaria di primo grado, centro studi di ricerca scientifica, biblioteca, teatro e museo. Suo il progetto architettonico del campanile a forma di matita attiguo alla chiesa posto su 14 piani differenti raggiungibili con 300 gradini, dotato di osservatorio astronomico all’ultimo piano e di orologi con diametro di due metri e mezzo sui quattro lati, visibile dalle lavoratrici per non essere ingannate sull’orario di lavoro.

 Dopo la nomina di sacerdote, fondò a Torino e a Benevello di Alba l’Istituto San Giuseppe per l’istruzione professionale femminile, a Torino la Congregazione Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio e ad Alessandria la Confraternita di San Vincenzo de’ Paoli. Mirabile la sua affermazione in campo scientifico, pubblicando trattati sulle teorie delle funzioni variabili complesse di alta matematica e astronomia, gettando nuova luce sulla complicata sfera di studi accessibili a pochi. Fu anche pianista, organista e musicista utilizzando i testi di Alessandro Manzoni e del fratello padre scolopio Carlo Maria per completare le  partiture musicali prodotte nella sua piccola casa editrice. Compose tre mazurche per la regina Maria Adelaide di Savoia e fu molto apprezzato da Liszt. Nella chiesa del Suffragio, Francesco ripeté l’esperimento dimostrativo sulla rotazione della terra con il metodo del parigino Léon Foucault, la teoria delle forme binarie detta formula Faà di Bruno tradotta in tedesco. Fu premiato con medaglia d’argento per l’invenzione di uno scrittoio per ciechi utilizzato dalla sorella non vedente Maria Luigia, inventò una sveglia elettrica, un barometro a mercurio, un fasiscopio che rappresentava la formazione delle fasi lunari e partecipò alle Esposizioni Universali di Londra e Parigi. Fu giornalista e scrittore di opere religiose e fondò l’almanacco morale e istruttivo “Il galantuomo”, in seguito gestito da Don Bosco.
Il sacerdote Francesco era l’ultimo dei tredici figli del marchese Luigi Faà, studioso, scrittore e sindaco di Bruno, Solero, Alessandria e di Carolina Maria Teresa Sappa dè Milanesi, nipote del poeta monferrino Alessandro marito della contessa Porzia Marianna Gozzani di San Giorgio. Nella genealogia della antica e nobile casata astigiana risalente al XVI secolo troviamo la marchesa di Mombaruzzo Camilla Faà di Bruno, la bella Ardizzina sposata  rocambolescamente con il duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Gonzaga, antenato del principe Maurizio Gonzaga di Roma. Camilla era prozia del marchese Ferdinando II Faà di Bruno, sposato con la contessa Antonia Maria Gozzani di San Giorgio, zia di Porzia Marianna. Francesco, nipote del vescovo e principe della chiesa di Asti mons. Antonino Faà di Bruno, fu sepolto nel camposanto torinese e traslato nella sua chiesa di via San Donato nel centenario della nascita. Il geniale ed eclettico sacerdote, considerato uno dei santi sociali torinesi e patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito Italiano, non si accontentò di predicare esaurendo sulle labbra il fervore umanitario ma sacrificò la dedizione della sua persona nell’attività economica e spirituale in favore del prossimo. Il processo canonico per l’elevazione agli altari iniziato nel 1928 si concluse nel 1988 con la beatificazione da parte di papa Giovanni Paolo II.
Armano Luigi Gozzano