ilTorinese

Una ricerca torinese scopre geni e mutazioni che causano l’autismo

Su Cell uno studio che chiarisce le basi genetiche. L’approccio multicentrico internazionale fornisce nuove prove sulle basi genetiche dell’autismo

Sono stati scoperti geni e le relative mutazioni genetiche che causano l’autismo. Si tratta di uno studio multicentrico internazionale, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Cell, che, grazie alle nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, ha permesso di identificare i meccanismi biologici responsabili e chiarire le basi genetiche dell’autismo. Tra i protagonisti di questo studio mondiale anche la Città della Salute e l’Università di Torino.

L’autismo è un frequente disturbo del neurosviluppo che esordisce nei primi anni di vita e colpisce l’1% della popolazione nelle sue varie forme di presentazione ed è caratterizzato da compromissione della qualità dell’interazione sociale, alterazione della qualità della comunicazione e modelli di comportamento ed interessi limitati, stereotipati e ripetitivi che impediscono di interagire adeguatamente con le persone e l’ambiente. Il disturbo si manifesta con una vasta gamma di presentazioni cliniche e livelli di gravità, tanto da essere definito come spettro autistico, definizione recentemente introdotta nella pratica clinica ed indubbiamente più appropriata. Questa evoluzione concettuale sottolinea che la presentazione dei disturbi dello spettro autistico è estremamente eterogenea e correlata a centinaia di specifici sottogruppi clinici al suo interno. Negli ultimi anni, grazie ai progressi tecnologici che permettono di studiare su larga scala il genoma umano, è stata dimostrata la base genetica di molte condizioni caratterizzate da manifestazioni che rientrano nei disturbi dello spettro autistico.

 

Oggi viene fatto un importante passo avanti nella comprensione di questo gruppo di malattie grazie al lavoro di un grande consorzio internazionale, l’Autism Sequencing Consortium (ASC), fondato e co-coordinato da Joseph Buxbaum (Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York), al quale hanno aderito alcuni gruppi italiani, tra i quali quelli dei professori Alfredo Brusco e Giovanni Battista Ferrero (Città della Salute ed Università di Torino) e Alessandra Renieri (Università di Siena).

 

La base dello studio è l’analisi di oltre 35.000 soggetti attraverso una tecnica di sequenziamento del DNA nota come analisi dell’esoma.

L’analisi dell’esoma è una tecnica recentemente sviluppata per lo studio delle malattie genetiche che consente di “leggere” la parte del DNA che codifica per proteine ed identificare eventuali mutazioni associate ad una malattia genetica.

 

LA RICERCA

 

Il lavoro è iniziato nel 2015, grazie alla collaborazione dei gruppi italiani con il Consorzio ASC, in particolare con la dottoressa Silvia De Rubeis della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York. Con il coinvolgimento di molti Centri clinici è iniziata la raccolta di famiglie con soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico e dei loro genitori da vari Paesi nel mondo. In particolare, in Piemonte il Progetto di Ricerca, denominato NeuroWES, è stato coordinato dai gruppi dei professori Ferrero e Brusco (Città della Salute ed Università di Torino), che hanno esteso la collaborazione ai neuropsichiatri, genetisti e pediatri di tutta la regione. “Alle famiglie è stata proposta la possibilità di essere inserite nello studio, dopo un’attenta ed approfondita rivalutazione clinica dei casi e la spiegazione dei risvolti della ricerca” riferisce il professor Ferrero del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’ospedale Regina Margherita della Città della Salute di Torino. Il DNA delle famiglie selezionate è stato inviato al consorzio, che ha provveduto all’analisi dell’esoma. La parte più complessa dell’intero processo è stato l’approfondimento dei risultati di queste analisi, dato l’elevatissimo numero di soggetti analizzati e la complessità della loro elaborazione bioinformatica.  E’ stato così possibile identificare oltre 100 geni associati ai disturbi dello spettro autistico, 30 dei quali mai descritti prima. I geni identificati sono espressi precocemente nello sviluppo del cervello, e molti hanno un ruolo nella regolazione dell’espressione genica legata proprio ai meccanismi che regolano lo sviluppo del sistema nervoso centrale, o sono coinvolti nella comunicazione tra neuroni. Questi geni sono caratterizzati dall’essere colpiti da mutazioni altamente distruttive e frequentemente de novo, cioè non ereditate dai genitori. Questo implica che almeno una parte di queste malattie sia dovuta a mutazioni casuali avvenute nelle cellule riproduttive, e spiega la scarsa ricorrenza della malattia in famiglie.

 

LE PROSPETTIVE

 

I dati ora pubblicati sono solo la punta di un iceberg: “in collaborazione con il gruppo del professor Marco Tartaglia (Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, Roma) e del dottor Tommaso Pippucci (Università di Bologna) stiamo rianalizzando i dati dei casi piemontesi” riporta il professor Alfredo Brusco “e grazie alla collaborazione con la Genetica Medica della Città della Salute di Torino, diretta dalla professoressa Barbara Pasini, stiamo riportando alle famiglie dei pazienti una diagnosi definitiva in circa il 30% dei casi analizzati. Nello stesso tempo stiamo lavorando su nuovi geni associati a disturbo dello spettro autistico che stiamo attivamente studiando presso il Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università e della Città della Salute di Torino, grazie al finanziamento come Dipartimento di Eccellenza” aggiunge il professore. Parallelamente tutte le famiglie in cui è stata identificata una mutazione nel DNA vengono richiamate sia per comunicare la diagnosi genetica che per rivalutare i dati clinici dei soggetti affetti, alla luce dei dati biologici, al fine di identificare e caratterizzare le specifiche condizioni genetiche associate a disturbi dello spettro autistico.  L’identificazione di nuovi geni associati a forme di disturbo dello spettro autistico è solo all’inizio e si prevede siano oltre 1000 i geni implicati in queste malattie eterogenee. Infatti buona parte di queste malattie sono probabilmente associate a diverse varianti in geni importanti per il neurosviluppo che diventano patologiche solo quando combinate assieme. Le sfide del prossimo futuro, che potranno essere affrontate proprio grazie alle collaborazioni internazionali come questa sono molteplici. La prima è la comprensione dei meccanismi che portano allo sviluppo della malattia. Esistono ipotesi multiple sull’origine della malattia, e nessuna esclude l’altra: tra queste, difetti della migrazione neuronale, alterazione del citoscheletro, di canali ionici, di interazioni tra sinapsi. I nuovi geni identificati suggeriscono uno sbilanciamento tra segnali eccitatori ed inibitori nella trasmissione sinaptica tra i neuroni.

Identificare nuovi geni significa quindi comprendere meglio la neurobiologia di queste malattie e fornire risposte alle famiglie con pazienti affetti da disturbo dello spettro autistico.

La collezione filatelica di Bruno Segre donata alla Città

La Sala delle Congregazioni di Palazzo Civico ha ospitato oggi pomeriggio la cerimonia per la donazione della collezione filatelica dell’Avvocato Bruno Segre all’Archivio Storico della Città di Torino

La raccolta dell’Avvocato Segre comprende francobolli nuovi, perfetti, quasi tutti illinguellati, ordinati in 67 album iniziando dalle prime emissioni del Regno d’Italia (suddivisa in due parti: una riservata ai francobolli ordinari e commemorativi, l’altra ai francobolli di servizio, posta aerea, segnatasse, espressi, pacchi postali) per arrivare alle emissioni complete della Repubblica italiana sino a quelle del 2019.

Questa collezione ha un significativo carattere storico, perché riunisce quasi tutto quanto emesso dallo Stato italiano dal 1861, e anche commerciale, perché contiene molte rarità. Nel suo complesso, essendo il frutto di molti anni di ricerche, la donazione rappresenta un’acquisizione di elevata importanza culturale per la Città.

Alla cerimonia hanno partecipato l’Avvocato Bruno Segre, la Sindaca Chiara Appendino, il Direttore della Cultura, Emilio Agagliati e la dirigente delle Attività culturali, Monica Sciajno.

L’avvocato Bruno Segre è una figura molto conosciuta a Torino e ha contribuito a fare la storia della nostra città. Ha da poco festeggiato 101 anni, essendo nato il 4 settembre 1918. Si è laureato in legge il 15 giugno 1940, ma a causa delle leggi razziali non ha potuto esercitare la professione di avvocato; in quel periodo ha vissuto dando lezioni private e scrivendo articoli per vari periodici firmandosi con lo pseudonimo “Sicor”. Coraggioso antifascista, nel 1942 venne arrestato per disfattismo politico e detenuto per alcuni mesi nel carcere Le Nuove. Nel settembre del 1944 è stato nuovamente arrestato e condotto alla caserma di Via Asti, sede dell’Ufficio politico investigativo della Guardia Nazionale Repubblicana, luogo di detenzione, tortura ed esecuzione dei prigionieri.

Una volta uscito, si è arruolato col nome di battaglia “Elio” nelle formazioni partigiane Giustizia e Libertà in Val Grana e ha partecipato alla liberazione di Caraglio.

 Dopo la Liberazione ha lavorato come cronista per «L’Opinione» e per altre testate giornalistiche. Segretario dell’Associazione torinese contro l’intolleranza e il razzismo, nel 1949 ha fondato «L’Incontro», giornale impegnato nel campo della difesa dei diritti civili, contro il razzismo e l’antisemitismo, per il disarmo e la pace nel mondo.

Negli anni seguenti si è distinto nella battaglia legale per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza; nel 1958 è stato rappresentante della provincia nel Consiglio di Amministrazione dell’Opera Pia Ospedali Psichiatrici e ha continuato a manifestare una forte spinta all’impegno nell’associazionismo laico seguendo tra le altre l’Associazione Nazionale Libero Pensiero Giordano Bruno, di cui è stato vice presidente e poi presidente dal 1996 al 2008. Si è impegnato inoltre come giornalista, militante e avvocato nella battaglia sul divorzio. Nel 1975 è stato eletto consigliere comunale di Torino nelle liste del Psi.

Bruno Segre ha dunque speso la sua vita per la difesa dei diritti umani, della pace, del laicismo combattendo ogni forma di razzismo e antisemitismo.

I rapporti con l’Archivio Storico della Città si sono andati rinsaldando in occasione della mostra “Torino sotto attacco. Dalle leggi razziali alla Liberazione”, per la quale ha accettato di rilasciare un’intervista, trasmessa nei locali della mostra, e ha prestato rari cimeli degli anni della guerra. È poi intervenuto di persona la sera del 12 aprile, in occasione della Notte degli Archivi, ospite d’onore della conferenza «Se noi taceremo, chi parlerà?» dedicata al ricordo delle persecuzioni razziali subite dagli ebrei torinesi nella seconda guerra mondiale.

Scritte antisemite a Torino, la condanna di Allasia

“Condanno con fermezza le abominevoli scritte contro il popolo ebraico comparse ieri sui muri di un palazzo in corso Casale a Torino, realizzate proprio in occasione di una ricorrenza così importante come il ‘Giorno della Memoria’

Un atto indecente che richiama uno dei periodi più atroci della storia.

Ritengo come presidente del Comitato Resistenza e Costituzione che la memoria, custodita e tramandata, sia un antidoto indispensabile contro gli orrori del passato, per scongiurare il riemergere dalle tenebre del passato di fantasmi, sentimenti, rigurgiti razzisti, predicazione dell’odio”.

“Crepa sporca ebrea”, scritta sulla casa di una torinese. La Digos indaga

Dopo il caso di Mondovì un nuovo episodio di antisemitismo, questa volta a Torino

La scritta “crepa sporca ebrea” è comparsa ieri sera sui muri di un palazzo di corso Casale, nella precollina torinese, dove vive una donna di origini ebree, figlia di una staffetta partigiana. “Una frase terribile, soprattutto nel Giorno della Memoria. Termini vecchi, passati, che però fanno ancora male”, dice all’Ansa la signora Maria, che ha presentato  denuncia in Questura. Sulla vicenda indaga la Digos.

Schiamazzi notturni fuori dalla discoteca. Nove denunciati

Dopo la serata hanno continuato a festeggiare fuori dal locale

 Molti residenti della zona hanno chiamato i carabinieri che sono intervenuti immediatamente. Nove ragazzi, tra i 18 e i 22 anni, sono stati denunciati per disturbo del riposo delle persone e sanzionati amministrativamente per ubriachezza molesta.

E accaduto ieri mattina alle cinque a Poirino davanti alla discoteca “Premier”.

Uno dei giovani ha offeso i militari con frasi ingiuriose e per tale motivo è stato denunciato.

 

 

Il “made in Italy” era cinese o indiano Sequestrati oltre 120 mila articoli falsi

Le etichette e gli imballi indicavano chiaramente l’origine italiana dei prodotti. Tutto falso, migliaia di tende e tappeti provenivano direttamente dalla Repubblica Popolare Cinese o dall’India

Questo è quello che ha scoperto la Guardia di Finanza di Torino nei giorni scorsi.

L’operazione, condotta dai Finanzieri del Gruppo Pronto Impiego Torino, ha avuto inizio nelle scorse settimane quando, in alcuni negozi del capoluogo piemontese sono stati rinvenuti in vendita sugli scaffali, centinaia di articoli di arredo per interni, tra questi, tende in organza di seta, tovaglie e tappeti in lana e cotone distribuiti da tre imprenditori di etnia cinese con i depositi a Settimo Torinese.

Tutti gli articoli riportavano, falsamente, la produzione “Made in Italy” dei tessuti, come false erano anche le indicazioni merceologiche dei prodotti. A rafforzare l’inganno verso i clienti circa l’italianità degli articoli, anche le confezioni riportanti simbologie inequivocabili, come le bandiere tricolori.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Torino, hanno portato i Finanzieri all’interno dei depositi dove sono stati sequestrati oltre 120.000 articoli falsi e pronti per essere distribuiti in vari punti vendita del nord Italia.

E’ stato inoltre accertato che, per evitare i controlli della Dogana Italiana, gli articoli venivano importati per il tramite di un distributore, sempre di etnia cinese con sede in Ungheria, il quale si occupava così di “europeizzare” il prodotto proveniente dall’Oriente in maniera tale da farlo circolare liberamente all’interno del “Vecchio continente”.

I 4 imprenditori coinvolti nell’operazione della Guardia di Finanza torinese sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per frode in commercio. Rischiano fino a 2 anni di reclusione oltre alla confisca del materiale sequestrato. La commercializzazione dei falsi articoli avrebbe garantito un profitto di oltre 1 milione e mezzo di euro.

Inoltre nel corso dell’intervento, che ha visto il coinvolgimento di un commerciante con un market a Feletto nel torinese, i Finanzieri hanno sequestrato, oltre ai prodotti tessili con false indicazioni di provenienza, ulteriori 250.000 articoli non conformi in materia di sicurezza prodotti e potenzialmente pericolosi per la salute degli acquirenti.

L’attività della Guardia di Finanza oltre a contrastare tutte quelle forme di concorrenza sleale è anche mirata alla tutela del “Distretto Industriale del Tessile”, da tempo è uno dei principali obiettivi strategici dei compiti di polizia economico finanziaria esclusivi del Corpo.

Harry, Meghan e i segreti di Buckingham Palace

A colloquio con il giornalista e scrittore Vittorio Sabadin. Intervista di Laura Goria per “Il Torinese”

I giochi sono fatti e sembra proprio che Meghan non avesse in mano l’asso pigliatutto. La Regina Elisabetta II ha vinto con la sua veloce decisione che permette ai duchi di Sussex di vivere in Canada -o dove vorranno- tranquillamente come dei commoners, senza più il titolo di Altezze Reali, né con le tasche piene di soldi dei contribuenti

In più con l’obbligo di restituire i 2 milioni e mezzo di sterline che avevano generosamente impiegato per ristrutturare il loro nido a Frogmore Cottage.

Ora cosa accadrà e come si è arrivati a questo? Vediamo di mettere alcuni punti fermi con Vittorio Sabadin, che è stato corrispondente da Londra del quotidiano torinese “La Stampa”. A Buckingham ha conosciuto la sovrana ed è l’autore di libri che raccontano personaggi come “Elisabetta, l’ultima regina”, “Diana. Vita e destino” e “Carlo. Il principe dimenticato” (tutti editi dalla Utet).

Ancora una volta la Regina ha dimostrato la sua grandezza e lungimiranza?

Si perché ha preso una decisione coraggiosa, in tempi rapidi, senza sottoporsi ad un’estenuante trattativa con i Sussex, ed ha fatto quello che i sudditi si aspettavano da lei. Con fermezza e nell’interesse della monarchia. Conosce le fragilità che Harry stesso ha dichiarato e ha sempre tutelato il suo nipote preferito. Ha fatto il possibile per accontentarlo, ma non quello che poteva compromettere la corona. Non ha privato Harry e Meghan solo del titolo di Altezze Reali, ma anche della rappresentanza del Commonwealth, ed ha tolto al nipote i titoli militari conquistati in Afghanistan, soprattutto quello di capitano dei Royal Marines, che Filippo aveva tenuto con orgoglio per tutta la vita e deciso di passare al nipote in segno di stima.

 

Quale sarà il raggio di azione consentito ai duchi?

La Regina ha stabilito che ogni loro iniziativa, soprattutto di carattere commerciale, legata al marchio Sussex Royal, dovrà essere ispirata ai “valori di Sua Maestà”. Vuol dire che dovranno fare molta attenzione nell’usare il brand, perché li terrà d’occhio. Valuterà ogni loro mossa e se lo riterrà necessario potrà toglierli anche l’ultima cosa che hanno, il titolo di duchi di Sussex. Possono ridursi addirittura allo stato di semplici signori Wales, come si chiamava Harry quando si era arruolato.

 

Di cosa vivranno?

La loro richiesta di vivere come persone comuni in autonomia finanziaria si è avverata. Se pensavano di stare tra America e Gran Bretagna, mantenendo dei ruoli nella famiglia reale e continuando a disporre dei soldi che venivano loro versati, è un piano fallito. Quel denaro non c’è più. Però hanno ancora un capitale iniziale di 40 milioni di dollari, anche se credo che dureranno poco con il loro attuale tenore di vita, senza contare la questione della scorta da risolvere. Forse Meghan si immagina quello che le hanno fatto balenare le sue amiche Serena Williams e Oprah Winfrey: partite dal nulla, hanno costruito carriere brillanti, abilissime nello sfruttare la loro popolarità a fini commerciali. In questo senso sono esemplari e Meghan vuole emularle. Ha già trasferito le sue società nel Delaware, lo stato americano più favorevole alle esenzioni fiscali. Vedremo tra 6 mesi se, come fece Wally Simpson con Edoardo, si porterà Harry al guinzaglio in America come una specie di trofeo europeo.

 

Fino ad oggi di cosa vivevano?

Erano sovvenzionati da Carlo, che però nell’incontro a Sandrigham aveva già chiarito che le sue risorse non sono infinite. Con i proventi del ducato di Cornovaglia, circa 22-23 milioni di sterline l’anno, deve retribuire 110 dipendenti e mantenere tutta la famiglia, da Camilla a quelle di William e di Harry. Non era pensabile che continuasse a finanziarli ad alti livelli, soprattutto se pensano di andare avanti e indietro tra Canada, Stati Uniti e Inghilterra con costi per la sicurezza che ora sono di 600.000 sterline, ma cresceranno superando il milione. Carlo ha detto anche che quando sarà re lascerà a carico dei contribuenti e dei possedimenti della corona solo chi è in linea diretta di successione. Gli altri dovrebbero cercarsi un lavoro e mantenersi.

 

A questo punto Meghan potrebbe anche tornare a recitare?

Non lo so, non so neanche se qualcuno la vorrà. E’ vero che adesso è un po’ più famosa, ma ha avuto una carriera di attrice modesta, iniziata con particine di 2° piano grazie al padre direttore delle luci. Poi è stata aiutata dal produttore hollywoodiano che ha frequentato per un decennio, l’ha sposato e lasciato per andare in Canada a recitare nella serie Suits. Non è Grace Kelly che ha lasciato il cinema al culmine della fama per sposare il principe Ranieri di Monaco. E’ un’attricetta che non conosceva nessuno e ha deciso di andare a Londra e chiedere alle sue amiche di farle incontrare qualcuno “famoso”. Prima c’è stato un calciatore, poi un campione di X Factor e alla fine Harry. E lei …come si dice…si è subito innamorata di lui.

 

Il comunicato ufficiale in cui Elisabetta si dice orgogliosa di come Meghan sia diventata così rapidamente parte della famiglia…come va letto?

E’ un capolavoro di diplomazia venato di sarcasmo, perché non si può dire che Meghan si sia integrata. Si è scoperto che tutti i suoi vestiti erano rimasti in Canada, in un deposito a Toronto ed ora se li è fatti mandare nella villa in cui vive. Il suo piano di andarsene era ben studiato. Elisabetta ha tenuto un atteggiamento molto soft perché teme ancora la minaccia di un’intervista esplosiva. E a Buckingham Palace prendono la cosa molto seriamente, anche perché c’è il precedente delle dichiarazioni di Diana alla BBC nel 1995 che fecero un bel danno. La verità è che avere atteggiamenti razzisti nei confronti dell’afroamericana Meghan era vietato a tutti i Windsor. Da questo punto di vista la prudenza della Regina è stata massima e senza pregiudizi.

 

Dopo l’incontro a Sandringham, Elisabetta aveva dichiarato che offriva “completo sostegno al desiderio di Harry e Meghan di avere una nuova vita da giovane famiglia”. Cosa intendeva?

Non si parlava mai di duchi di Sussex, ma solo di Harry e Meghan; come se si trattasse di una vicenda familiare e non istituzionale. Harry è 6° nella linea di successione al trono e può essere sacrificato. L’obiettivo principale della regina è sempre stato salvaguardare la monarchia; dopo, tenere unita la famiglia, che comunque per lei ha un’importanza straordinaria. Questa volta ha preso la situazione in mano. Ma in genere non è abituata a risolvere questioni che riguardano i parenti, le ha sempre delegate al marito Filippo: compresi i traumi che coinvolsero Carlo, Diana, Sarah Ferguson… E lui le ha gestite con mano ferma, anche con discorsi molto duri a Carlo ai tempi della sua relazione con Camilla. Elisabetta, un po’ per i suoi impegni quotidiani massacranti, e un po’come Carlo, è abituata ad “essere ubbidita”. Quando dice una cosa, va fatta. Nelle questioni familiari non è mai così: spesso si viene contrastati e lei non è abituata a questo genere di trattative.

 

La defezione dei Sussex che contraccolpo avrà nella Royal family?

La famiglia reale inizia ad avere problemi di personale. Negli ultimi mesi sono usciti Filippo per ragioni di età, Andrea per lo scandalo Epstein, ora Harry per seguire Meghan. Intorno a Carlo e William c’è un esercito di donne che sta fronteggiando gli oneri reali. Elisabetta di 93 anni, la figlia Anna molto attiva con oltre 550 impegni l’anno, Kate, Camilla e la moglie del quartogenito Edward, Sofia di Wessex. Il loro carico di lavoro ora aumenterà per colmare i vuoti.

 

Terrà il “matrimonio d’amore” dei Sussex?

Non so se tra qualche mese Meghan sarà ancora pazzamente innamorata di Harry, se resisterà alla perdita di titoli, soldi e una visibilità che era assicurata. Può anche darsi che Harry alla fine sarà l’autentica vittima di  tutto questo.

 

Quali sono stati i principali errori di Meghan?

Quando è arrivata a corte c’era l’aspettativa che facesse il suo dovere. Alle donne che arrivano a palazzo un segretario spiega che la loro vita cambia di colpo, e fornisce l’elenco di ciò che dovranno fare, dire, indossare… per i mesi successivi. Diana non riuscì a sopportarlo, Meghan lo stesso. Ha sottovalutato che diventare prima donna nella famiglia reale è complicato. Nell’ordine delle precedenze che la regina aggiorna annualmente in un volume, Meghan è molto indietro. Non si aspettava di dover camminare dietro la cognata e magari anche farle l’inchino. Poi ha patito il confronto su comportamento, abiti, gioielli… e soprattutto sul fisico. Kate dopo 3 gravidanze è perfetta, vestita sempre benissimo e con gioielli importanti e migliori perché può accedere al tesoro della corona. Meghan è piccola, tende a ingrassare e non sopporta questa comparazione. Era successo anche tra Diana e Sarah.

 

William ed Harry sono stati cresciuti con due pesi e due misure; con quali conseguenze?

William è l’erede e come tutti i primogeniti è stato costretto ad essere serio e responsabile, a farsi carico molto presto dei suoi doveri, e l’ha capito benissimo. Harry, come i cadetti di grandi famiglie, si è sentito sgravato da questo peso. Ha avuto un’infanzia che l’ha portato veramente sull’orlo dell’abisso in più di un’occasione. Rispetto al fratello ha risolto meno bene il trauma della morte della madre, che ancora lo affligge. Ha scelto la persona sbagliata come molti pensano a corte. William gli ricordava le parole di Diana «..quando dovrete sposarvi scegliete bene la persona a cui legarvi, prendetevi del tempo, non fate le cose in fretta». William ha impiegato 10 anni prima di sposare Kate e si sono conosciuti a fondo; Carlo e Diana si erano visti solo 12 volte, troppo poche per capire il carattere di una persona. Harry e Meghan si sono sposati in fretta, nonostante la regina e William avrebbero voluto che riflettesse di più. E’ il fratello maggiore che teneva davvero un braccio sulla spalla del più piccolo, cercando di proteggerlo. Quando gli chiese di aspettare, Harry si è molto indispettito, ed ecco il primo contrasto.

 

Quanto è forte l’ostilità tra Kate e Meghan?

E’da giugno che non si parlano. I dissidi sono iniziati quando Meghan ha criticato il vestito di Charlotte, damigella al suo matrimonio, e Kate era scoppiata a piangere. Poi si erano riappacificate. Fino a quando Meghan insultò il personale di William e Kate a casa loro, dove era ospite. Questo la cognata non gliel’ha perdonato, hanno litigato e il diverbio si è esteso anche ai mariti, nonostante il forte legame fraterno. Anche a Buckingham Palace la Markle ha fatto capricci e trattato male valletti, cameriere e altri dipendenti. Tanto che la regina l’aveva convocata spiegandole che i Windsor non si comportano così.

 

Sbaglio o alla base c’è anche la differenza culturale tra Gran Bretagna e America?

In America darebbero corda a Meghan, anche perché hanno un’idea vaga della monarchia;  invece in Gran Bretagna non è detto che non la fischierebbero qualora si presentasse. Sono tante le regole inglesi che la cultura americana non capisce. Così come Meghan non ha compreso perché i giornali si occupassero tanto della ristrutturazione di Frogmore cottage. In America se ammoderni casa e la migliori la gente si complimenta. Meghan si è trovata nella situazione in cui, se fai la stessa cosa, vieni criticato e ti chiedono se era proprio il caso di fare anche la sala yoga o la cameretta gender neutral per il bambino.

 

Qualche aneddoto del suo periodo londinese?

Quando ho lasciato l’ufficio di corrispondenza scrissi una lettera a Elisabetta per dirle che ero arrivato a Londra con grandissimi pregiudizi verso il ruolo della monarchia; però stando lì e parlando con la gente avevo capito quanto affetto e rispetto la circondavano, e quanto fosse  importante il lavoro che svolgeva così bene e da tanti anni. Ci ho tenuto a dirglielo perché sono convinto che sia lei personalmente, e non la monarchia, al centro del sentimento popolare. Quando morirà sarà tutta un’altra storia e con Carlo si instaurerà una fase discendente.

 

Le ha risposto?

L’ha fatto fare da una lady in waiting, ma credo che la vera risposta sia stata nei 2 inviti a Buckingham Palace. Il secondo, ad una cena con Filippo, Carlo, Camilla, William e Kate, in cui ero l’unico giornalista non inglese invitato. Quando stringi la mano di Elisabetta II pensi che ha fatto lo stesso con tutti i più grandi personaggi del 900. Ha iniziato a regnare con Winston Churcill e ha stretto le mani Heisenhower, degli astronauti andati sulla luna, i Beatles, Gandhi, Mandela, Marylin Monroe…e tutti si sono inchinati davanti a lei.

 

Cosa pensa degli altri commensali?

Carlo mi piace moltissimo, è intelligente, colto, ed ha visto in anticipo tanti problemi attuali come i cambiamenti climatici, l’importanza di preservare l’architettura delle città, la necessità di studiare coltivazioni biologiche, come ha fatto nelle sue tenute. Camilla è fortissima ed è stata la donna più odiata del regno. Quando Meghan si lamenta della stampa, mi viene in mente cosa scrissero quando scoppiò lo scandalo dell’amore tra Carlo e Camilla. Lei non poteva neanche uscire di casa, mandava gli amici a fare la spesa. Carlo, ad Highgrove, confessò che si vergognava davanti ai camerieri.

 

Il titolo del suo libro è “Elisabetta. L’ultima regina” perché nessuna sarà mai più  come lei?

Quale paese ha un’ambasciatrice migliore, la donna più nota al mondo. Nessuno sarà altrettanto rappresentativo della sua epoca, così ad alto livello e per tanto tempo. Lo ha fatto senza mai commettere un errore, sempre impeccabile, in pubblico e nella vita privata. E’ vero che ci è riuscita anche perché non ha mai parlato, né concesso interviste; e parlare divide, se avesse detto mezza frase sulla Brexit il paese si sarebbe scisso. Invece il suo ruolo e quello di unire e rappresentare tutti. E’ lei l’elemento unificante.

 

E Kate come si sta comportando?

E’ entrata perfettamente nella parte. I giornali hanno appena pubblicato foto di lei e William a loro agio tra la gente: sorridono, stringono mani, fanno ciò che ci si aspetta da loro. Chiudersi a palazzo e quasi nascondere il proprio bambino, sono cose terribili per il popolo inglese. Kate ha una tenacia straordinaria. Ha trovato il modo di conoscere William scientificamente, appoggiata dalla madre. Ha lasciato una prestigiosa università britannica per iscriversi a quella scozzese di St. Andrews dove studiava il principe; si è fatta notare in uno spettacolo in sottoveste, ha tenuto duro per 10 anni, anche dopo essere stata lasciata un paio di volte. Non ha mai mollato la presa e una volta a corte ha subito recuperato piccoli errori, rivelandosi una forza per la monarchia. Ha fatto 3 splendidi figli ed è subito tornata in forma. Non come Meghan che si è lamentata di tutto e sembrava la prima donna a partorire al mondo.

 

William?

E’ entrato nel ruolo di futuro erede al trono e lo sta svolgendo egregiamente. C’è stato un periodo problematico con Carlo, perché voleva fare la sua vita prima di affrontare i doveri reali. Poi il padre gli ha chiarito che la nonna stava invecchiando, aveva 500-600 impegni l’hanno, e che parte del lavoro massacrante doveva passare a lui. William gode di un alto grado di simpatia. Prima della Megxit al 1° posto nei sondaggi c’era Harry, che ora è precipitato insieme a Meghan perdendo una ventina di punti. Adesso in testa c’è William, prima ancora di Elisabetta.

 

Perché le vicende dei Windsor appassionano tanto?

Per l’esclusività: le finestre di Buckingham Palace sono chiuse e migliaia di persone quotidianamente le scrutano sperando che la regina appaia. I reali hanno vite sfarzose, vivono in regge, circondati da opere d’arte e lusso, serviti da uno stuolo di persone, hanno abiti e gioielli magnifici, sembrano avere tutto ciò vogliono e fanno la vita che noi vorremmo avere. Il mondo dorato di cui si favoleggia è parte del loro fascino. Dovranno fare attenzione William e Kate nel popolarizzare troppo la monarchia; perché se principesse e re diventano come noi, non ci interessano più. E’accaduto ai sovrani delle monarchie nordiche che si fanno la spesa da soli.

 

Ma ai reali manca qualcosa?

A loro piacerebbe essere come noi. La regina Elisabetta non ha mai potuto visitare un museo da sola e soffermarsi a lungo davanti a un’opera, perché veniva subito condotta oltre dallo staff per far fronte alla mole massacrante dei suoi impegni. Poteva essere davvero se stessa solo durante le vacanze a bordo del Britannia; o a Balmoral dove ogni estate faceva un party per pochissime persone. Filippo cucinava, lei serviva a tavola e poi lavava i piatti. Quello era il suo sogno. Come le altre 2 grandi regine britanniche, Elisabetta I e Vittoria, neanche lei era destinata al trono: ci sono salite perché chi le precedeva nella linea dinastica non poteva più farlo. Quando aveva 10 anni e lo zio Edward abdicò, la sorellina Margareth le disse che allora anche lei sarebbe diventata regina, ed esclamò “povera te”. Ecco in questa frase sta tutto il destino di Elisabetta che avrebbe sognato di vivere tranquillamente come una gentildonna di campagna. Invece ha fatto fronte ai suoi doveri e a una vita piena di impegni, ha affrontato tutte le difficoltà del regno e ha fatto una vita d’inferno…altro che privilegiata. La sua grandezza, il suo lato migliore è aver sopportato tutto senza mai lamentarsi.

 

 

Di lei cosa l’ha colpito di più ?

Il carattere fortissimo, capace di gestire tante tensioni su un lungo periodo. Ho capito che appare sempre severa, ma in realtà è una donna divertentissima, alla quale piace molto scherzare e ama Sarah Ferguson che le racconta barzellette in continuazione. La sua natura è diversa da quella che vediamo, lei sarebbe ben più disponibile, ma non gli è permesso dal suo ruolo.

 

Carlo che re sarà?

Un buon sovrano al quale la regina ha già delegato moltissime mansioni istituzionali; di fatto è già re ed impegnato da mattina a sera. Bisogna vedere se resisterà alla tentazione di intervenire sul Parlamento, cosa che tende a fare incorrendo in accuse di ingerenza. Non ha il fascino di Elisabetta, ha più di 70 anni e, anche se la moglie Camilla ha recuperato in popolarità, temo che con lu inizierà la fase discendente.

 

Previsioni per il futuro dei Windsor?

Vedremo se William e Kate porteranno avanti la loro idea che la monarchia debba essere più vicina alla gente e amichevole, trasformandola come quelle nordiche. Ricordo quando a Londra c’era il passaggio delle carrozze reali: la magnificenza, l’impatto della sfilata dei soldati a cavallo con le giubbe rosse. Uno spettacolo incredibile, più di quanto si possa immaginare. Questo con William e Kate potrebbe sfumare; i contribuenti potrebbero non voler continuare a mantenere  il grandioso apparato che fa parte del sogno. Ma quando svanirà quella magnificenza la monarchia non ci sarà più e sarebbe davvero un peccato.

 

 

 

Partiti personali al capolinea?

Torna il proporzionale, cresce la partecipazione – almeno così pare -, si riscopre addirittura la collegialità decisionale a livello politico. Manca solo un tassello, il più importate

 

E cioè, tramontano anche i cosiddetti “partiti personali”? La domanda, credo, è legittima perché la seconda repubblica è stata praticamente dominata dalla personalizzazione e dalla spettacolarizzazione della politica. Due derive che hanno prodotto, com’è naturale conseguenza, la stagione dei partiti personali, appunto.

Ovvero, luoghi politici dove tutto dipende esclusivamente dalle fortune esistenziali del capo o del guru. E’ persin ovvio dedurre che il confronto politico, l’approfondimento politico, la
crescita di una casse dirigente autorevole e responsabile in partiti del genere sono banditi alla radici. Semplicemente non esistono per la semplice ragione che tutto dipende dal capo. Dal sue
scelte, dai suoi umori e dalla fedeltà nei suoi confronti. Dalle candidature alla linea politica, dalla polemica contro gli avversari alla mediazione necessaria per arrivare ad un accordo, dalle alleanze da stipulare di volta in volta alla propaganda da condurre in televisione, sui giornali o nella rete. Insomma, un pensiero unico accompagnato dalla totale identificazione del partito, cioè del cartello elettorale, con il suo capo assoluto, riconosciuto ed osannato dai suoi fedeli.

Ora, per non illudersi anzitempo, quella stagione e’ del tutto alle nostre spalle? Ovviamente no. È appena sufficiente prendere atto, oggettivamente, che cosa sono, per restare nel campo del centro
sinistra, i partiti di Renzi e di Calenda per rendersi conto che i “partiti personali” continuano ad esistere. Per non parlare dell’eterna Forza Italia o della sempre più forte Lega di Salvini.
Ma, al di là dei singoli casi, quello che non si può non cogliere in questa specifica fase storica e’ che il clima complessivo spinge verso una dimensione della politica più partecipativa e meno solitaria, più collegiale e meno autocratica. E quando soffia il vento di una presenza più attiva dei cittadini alle vicende della cosa pubblica, prima o poi qualcosa capita. Certo, nessuno pensa – per convinzione culturale o per tentazione nostalgica – che il passato possa ritornare. Per capirci, che i partiti del passato possano di nuovo trovare un ruolo nella cittadella politica italiana. Ma un fatto è indubbio. E cioè, non può esserci una buona politica se non ci sono i partiti.

I partiti democratici, per capirci. Cioè, quegli strumenti e quei luoghi politici che hanno una classe dirigente diffusa a livello nazionale e a livello locale; partiti che hanno un saldo radicamento sociale e territoriale e, soprattutto, partiti con una cultura politica che ispira e condiziona le singole scelte politiche e i rispettivi progetti di governo. Cioè, per dirla con Ciriaco De Mita, “partiti che abbino un pensiero”. Ecco perché tutto si intreccia. Quando cresce la partecipazione, quando aumenta la domanda di politica e di buona politica, quando la collegialità non è più soltanto un optional o un banale e burocratico richiamo statutario, significa che anche l’ultimo tassello del mosaico è destinato ad arrivare. Cioè la stagione dei partiti democratici, pluralisti, di governo e non appesi alle virtù salvifiche e miracolistiche dei capi. Se così sarà, non potrà che giovarsene la qualità della democrazia e la credibilità delle stesse istituzioni democratiche.

Giorgio Merlo

Quale futuro per l’Imbarco Perosino?

Le ultime vicende legate all’Imbarco Perosino, il locale pubblico al parco del Valentino, sono state oggetto di una comunicazione in Aula chiesta dal capogruppo dei Moderati, Silvio Magliano

L’assessore all’Urbanistica, Antonino Iaria, ha riepilogato lo stato dell’arte: “La causa tra la Città e i gestori del locale è giunta in Cassazione, ma la sentenza in corte d’Appello è esecutiva e, come noto, ha dato ragione alla Città per la proprietà dell’immobile tanto che l’ufficiale giudiziario potrà intimare il rilascio del bene.


“Venerdì scorso ho incontrato i concessionari del locale: si aprono prospettive di nuove progettualità del locale, ma preliminare a ogni ipotesi futura è la conclusione della vertenza, con il riconoscimento del bene come proprietà comunale; il pagamento concordato dei debiti pregressi; il diritto di prelazione sui locali a favore del Comune, come per tutti i locali in concessione al parco del Valentino.”

 

Il dibattito in sala Rossa 

Silvio Magliano (Moderati): Nel complimentarmi per l’azione fattiva della politica, mi chiedo cosa si farà da qui fino al bando di assegnazione del locale. Il primo obiettivo di oggi è scongiurare il rischio di degrado; sarà bene lasciare al loro posto gli attuali gestori per la tutela di un locale di lunga tradizione, senza procedere con lo sfratto. Presenterò un’interpellanza per monitorare l’iter sull’assegnazione del locale.

Maria Grazia Grippo (PD): Condivido soltanto in parte la soddisfazione del capogruppo Magliano; l’azione ipotizzata dalla Giunta crea un effetto spezzatino riguardo il complesso dei locali al parco del Valentino. La politica sia sempre presente, senza guardare soltanto all’oggi e al domani.

Chiara Foglietta (PD): Bene l’interlocuzione, seppur tardiva, con i gestori. Ora la Città istituisca il prima possibile il Comitato di gestione del parco. Vigileremo sulla situazione.

Deborah Montalbano (DemA): Sono contenta per l’apertura nei confronti dei gestori del Perosino, che rappresenta una parte della storia di Torino. Monitoreremo l’iter della concertazione, che ci aspettiamo si concluda quanto prima. Servirà poi ampliare la discussione all’intero parco del Valentino.

Francesco Tresso (Lista Civica per Torino): Mi sembra si stia perseguendo la strada giusta. Occorre valorizzare l’esistente e i rapporti che la città ha con chi da anni opera lungo il fiume. Ascoltiamo le realtà esistenti, che hanno fatto la storia della città, nell’elaborare il piano di gestione.

L’assessore Iaria ha concluso il dibattito con una replica: “A differenza di altri locali al Valentino, al Perosino non ci sono abusi edilizi.  Individueremo modalità con i gestori, ma non fare un provvedimento ‘ad personam’; si tratta di verificare una nuova progettualità innovativa, per un uso del locale che non sia soltanto stagionale.
“Il comitato di gestione non è mai stato attivato, ma lo faremo perché operazione utile alla progettualità complessiva sul parco e al coinvolgimento della Soprintendenza e degli altri soggetti.”

 

Dall’ufficio stampa di Palazzo Civico

 

(Foto M. Bursuc)

Tasse su plastica e zucchero. Ecco le proposte del Piemonte

Riaprire il dialogo con il Governo con un documento comune da presentare in Conferenza Stato-Regioni

 

Obbiettivo tentare di ridurre quanto più possibile gli effetti della “plastic tax” e della “sugar tax”, che rischiano di mettere a repentaglio migliaia di posti di lavoro in Italia e in Piemonte.

L’assessore regionale al Lavoro, Elena Chiorino, ha lanciato questa proposta nel corso della riunione con i rappresentanti delle imprese del settore delle bevande, le associazioni di categoria e le parti sociali tenutasi nei giorni scorsi  nella sede dell’Assessorato, in via Magenta a Torino. Presenti tutte le più importanti realtà piemontesi, ma non solo: c’erano Gruppo San Benedetto, Acqua Sant’Anna, Pian della Mussa, Lauretana, Fonti Alta Valle Po, Pontevecchio e Coca-Cola Italia, insieme a Confindustria Piemonte e Confindustria Cuneo, Unione Industriale di Torino, Cuneo e Biella, Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

“Vorrei che dal Piemonte – ha sostenuto Chiorino – partisse un messaggio forte e chiaro: il mondo dell’industria non può essere considerato in contrapposizione alla sostenibilità ambientale. Al contrario, le imprese che operano nel campo alimentare e delle bevande hanno tutto l’interesse a investire nella sostenibilità ambientale in quanto il nostro territorio, nazionale e regionale, è noto per la grande qualità dei prodotti. L’Italia ha acqua di grande qualità, e invece di valorizzarla il Governo la penalizza.

La motivazione etica non regge: i dati dicono che l’Europa contribuisce all’inquinamento dei mari per lo 0,28%. E’ evidente che una tassazione di questo tipo, che va a demonizzare tutto il comparto plastica, non trova motivazione nella realtà. Si va a penalizzare chi investe, mettendo a rischio aziende e posti di lavoro. La Regione farà la sua parte fino in fondo, con tutti gli strumenti a disposizione: dobbiamo scongiurare nuove crisi aziendali e sostenere le imprese”.

I sindacati hanno sottolineato la necessità di tutelare l’occupazione, senza dimenticarsi del problema ambientale e individuando strumenti alternativi per ridurre l’inquinamento, come una maggiore educazione alla raccolta differenziata che oggi non è ancora entrata nella cultura dei consumatori.

La situazione

Il Piemonte, con oltre 2,8 miliardi di litri di acqua minerale imbottigliati nel 2018 e ben 27 concessioni attive, rappresenta un terzo dell’intero mercato italiano. Un settore che vale oltre 500 milioni di euro e un giro d’affari altrettanto importante per l’indotto, occupando oltre 1400 lavoratori.

Tutte le aziende presenti hanno dichiarato di aver bloccato investimenti e assunzioni e in alcuni casi i lavoratori a tempo determinato non sono stati confermati. Soltanto il gruppo San Benedetto, che fattura circa 700 milioni di euro, ha dichiarato che subirà un aumento di spesa di 105 milioni di euro.

Mineracqua ha calcolato che queste misure porteranno a una flessione del mercato del 7-8 per cento, che arriverà al 20 per cento per chi produce e imbottiglia bevande dolci. Il tutto in un mercato che è già in flessione da anni. Un contenitore di plastica è 4-5 volte più sostenibile del vetro e 5 volte più di una lattina. A differenza della plastica il vetro si produce infatti in altoforno, e impatta decisamente di più per il trasporto, visto il suo peso. E’ in corso uno studio legale per valutare l’eventuale incostituzionalità dell’imposta.

Secondo Assobibe queste tasse colpiranno dal 15 e il 20% del bilancio delle aziende, con un impatto di centinaia di milioni di euro. E’ necessario quindi un ripensamento per facilitare la crescita e l’occupazione, in quanto le due misure rendono ancora più difficile per le aziende investire e per i lavoratori trovare lavoro o mantenerlo.