ilTorinese

Partiti politici: il niente di oggi e il qualcosa di ieri

Fine anni 70, studente universitario a Palazzo Nuovo. Iscritto a lettere, indirizzo storico. Vagavo tra le diverse facoltà, componendo un piano di studi fai da te. Allora si poteva fare. Gian Mario Bravo,  figlio dell’ortodossia comunista insegnava Storia delle Dottrine politiche.

Passare sotto le sue forche caudine non era cosa da poco. La fortuna ci assistette e ci commissionò una ricerca: leggi politiche che sovraintendono il rapporto di forza tra Roma e Torino nella Dc e nel PCI. Principalmente le diverse idee di vedute si concretizzavano nella scelta dei candidati alle elezioni. Sintesi: nel pci vinceva sempre Roma e nella Dc , viceversa, si imponeva sempre la periferia, che poi era Torino. Culture diverse. Centralismo democratico e disciplina nel PCI. Nella Dc importantissimo era il territorio. Come ad esempio le parrocchie. Memorabili le battaglie di Carlo Donat-Cattin che si sono concluse con il suo diventare Ministro. Addirittura fondatore e grande capo politico di Forze Nuove, corrente di sinistra.
Diego Novelli capolista alle comunali,  in caso di vittoria , papabile ad essere sindaco a Torino. Quando fu eletto,  sia per congratularsi,  sia per dire che Roma era d’accordo,  c’era Giancarlo Pajetta. Pajetta che veniva,  ininterrottamente dal 1948 , eletto a Torino. Sullo sfondo comunque una Torino che contava a livello nazionale,  sia come Città,  che come partiti. Tanta acqua è passata sotto i ponti. Molte cose sono cambiate.  Direi  quasi tutte. Qualcosa è cambiato nelle dinamiche a Sinistra. Livia Turco,  ad esempio,  sicuramente proposta da Massimo D’Alema,  ma non imposta. Anzi il Ds Piemonte fu molto contento. Livia Turco era di Torino e parlamentare di Collegno. Storicamente zona Rossa. Inoltre la corsa era in salita. Tutti i sondaggi la davano sotto. Infatti vinse per la seconda volta Enzo Ghigo. In quella tornata amministrativa venne eletto Pietro Mercenaro. Ex segretario regionale della Cgil divenne consigliere regionale capogruppo e segretario regionale Ds. Alla segreteria regionale sostituiva Luciano Marengo. Anche lui ex sindacalista e consigliere regionale nonché capogruppo. Si ritirava dalla vita politica andando a lavorare per  i privati nel settore delle autostrade. Grande amico (almeno lui si è sempre venduto in questo modo) di Massimo D’Alema. Due anni prima aveva tentato di sostituire Mercedes Bresso come candidatura alle Provinciali. Per sbararrare la strada alla Zarina  (al secondo mandato) riunione romana per la sua investitura. Tra i convocati Alberto Nigra segretario provinciale. Allora (si fa fatica nel crederlo,  oggi) i partiti contavano ancora. Non erano  sicuramente  i tempi del mitico e granitico PCI,  ma pds prima e Ds poi,  degnamente rappresentavano quel passato. Alberto Nigra  era per la riconferma di Mercedes Bresso,  che non ha mai avuto grandi sponsor all’interno dei partiti di sinistra. A Roma fece presente le sue perplessità,  poi tornato a Torino convocò gli organi direttivi e Mercedes Bresso vinse in Provincia al primo turno. Erano i tempi di quando le periferie operaie votano compatte a sinistra. Dopo 5 anni Pietro Marcenaro pronto a fare il candidato. Ma non aveva fatto i conti con l’oste che in questo caso era proprio Mercedes Bresso. Localmente la Zarina non aveva appoggi. Solo gli ex repubblicani come Franco Ferrara desideravano la sua candidatura.
Si arrivò alla segreteria regionale che doveva e voleva scegliere Piero Mercenaro. Tutti per lui,  tranne Maria Grazia Arnaldo che , viceversa proponeva La Bresso. La discussione si protrasse per alcune ore e poi l’Arnaldo ebbe il colpo di genio : perché non telefoniamo a Massimo D’Alema (allora segretario) per sapere cosa ne pensa? In viva voce D’Alema sentenzia con i sondaggi in mano: se presentate Mercenaro  perdete, se presentate Bresso vincete. Fate voi. Bresso vinse su Ghigo. Dettaglio: Marcenaro era molto legato a Vertroni che non è mai andato d accordo il leader Maximo. Altro dettaglio: tutti coloro che appoggiarono la Zarina della prima ora furono da lei, successivamente,  emarginati.  Ma si sa che in politica la riconoscenza è merce rara. Dopo 5 anni anni fu battuta dal modesto Cota leghista della prima ora. E oggi? Pd nel marasma più totale tra primarie on-line ed un partito inesistente. Ma un punto di rottura c’è. Il niente di oggi con il qualcosa di ieri.

Patrizio Tosetto

Come rimodulare i trasporti pubblici

Come intende rispondere la Regione alle problematiche di mobilità che i cittadini piemontesi stanno riscontrando e qual è la strategia alla base degli attuali tagli al trasporto pubblico locale?

Queste in sintesi le domande rivolte da Sean Sacco, capogruppo di M5s in Regione all’assessore ai Trasporti, Marco Gabusi, in un’interrogazione discussa nell’aula di Palazzo Lascaris riunita in videoconferenza. Sacco ha lamentato una riduzione del 40% delle corse nella provincia di Alessandria, in base a quanto denunciato da alcune sigle sindacali, ma con criticità estendibili anche ad altre aree del Piemonte. Tutto ciò nonostante le aziende di trasporto ricevano totalmente i compensi previsti dal contratto di servizio e il Governo nazionale abbia previsto dei ristori per compensare la riduzione delle entrate di queste aziende dovute alla mancata bigliettazione durante il lockdown.

L’assessore, precisando che i ristori previsti dal Governo per le aziende di trasporto pubblico locale sono ben lungi dal compensare appieno i mancati guadagni, ha spiegato come la Regione intende gestire il problema della mobilità. “L’obiettivo è quello di aggiungere servizi dove serve senza sprecare, monitorando la domanda. Da febbraio 2020 si è ridotto il numero delle corse per poi reintrodurle gradualmente in base all’utenza e così stiamo continuando a fare, confrontandoci anche con le sigle sindacali e le aziende di trasporto, inserendole laddove ci sia necessità”, dichiara Gabusi. “Tuttavia, siamo ancora ben lontani dalla situazione prepandemica per cui è possibile che qualche corsa con una domanda debolissima rimanga scoperta. Questa settimana siamo invece partiti bene con la ripresa del trasporto scolastico: tanti stanno guardando a noi, incluso il Ministero, per fare un caso studio di quale potrebbe essere il riverbero sui fondi nazionali. Le risorse del Ministero sono disponibili e il piano di intensificazione del servizio sta funzionando, anche grazie al lavoro svolto insieme con le aziende di trasporto e le prefetture”.

Sarno: “Master Plan Stupinigi: il protocollo sia cabina di regia con la Regione”

 Si è svolto nei giorni scorsi  alla presenza del Presidente e dell’assessora alla cultura della Regione Piemonte un incontro con i Sindaci aderenti al Protocollo d’intesa dei Comuni per la valorizzazione di Stupingi per la presentazione del “Master plan – distretto Stupinigi” per lo sviluppo dei poderi e dell’area circostante la Palazzina di Caccia di Stupingi.

“La conferma da parte del Presidente della Regione della volontà di rendere Stupinigi polo nevralgico delle politiche culturali della Regione Piemonte è un’ottima notizia per i cittadini dell’area Sud di Torino” commenta il Consigliere regionale Diego Sarno “La sfida però, oggi, si svolge nel campo dei finanziamenti del Recovery Fund e più in generale dei fondi europei: questo sarà il vero banco di prova di questa amministrazione regionale”.

Tra i progetti presentati dalla Regione Piemonte al Governo, per l’utilizzo dei fondi europei, figura anche un cospicuo investimento per la valorizzazione della Palazzina e del concentrico.
“Se si vuole mettere in campo una progettualità veramente efficace come quella attuata negli anni passati alla Reggia di Venaria sarà indispensabile garantire una regia attenta, efficace e puntuale. La Regione, insieme alla Città di Nichelino, siano attraverso il “Protocollo dei comuni” capofila e regia nelle scelte operative per avviare il Masterplan e la valorizzazione di Stupinigi, perché loro prioritariamente conoscono realmente le necessità e le potenzialità dell’area” conclude Sarno “E il Next Generation EU è un treno che Stupinigi non può lasciarsi sfuggire. Dobbiamo farci trovare pronti”.

La Juve va: anche in Coppa Italia

Quarti di finale
Juventus-Spal 4-0
Morata Frabotta Chiesa Kulusevsky

A Torino,sponda bianconera,l’unica cosa che conta è vincere.La Juventus si guadagna l’accesso alle semifinali di Coppa Italia; all’Allianz Stadium i bianconeri hanno battuto nettamente la SPAL per 4-0 con due gol per tempo. Dopo le reti di Morata e Frabotta nellas prima frazione, nella ripresa il terzo gol è stato siglato da Kulusevski, che ha approfittato di un errore di Tomovic, mentre il quarto gol è stato siglato da Chiesa nel recupero. In semifinale la squadra di Pirlo affronterà l’Inter.
La Juve dei giovani,Dragusin,Frabotta,Di Pardo,Fagioli ed il 43enne Buffon in porta.Passato,presente e futuro:la Juve c’è sempre,in tutte le competizioni.

Vincenzo Grassano

A Giovedì Scienza Di Perri spiega il Covid e non solo

Giovedì 28 gennaio 2021 ore 17.45

Su www.giovediscienza.it

Con Giovanni Di Perri Direttore dipartimento Clinico di Malattie Infettive Università di Torino,

Valeria Cagno Ricercatrice Università di Ginevra,

Roberta Villa Medico e giornalista scientifica

 

L’informazione sul Covid-19 è stata così pervasiva che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha coniato la parola “infodemia”.

Ma, travolti dai dati quotidiani, è stata carente l’informazione scientifica di fondo fornita al grande pubblico. In questo mondo globalizzato le infezioni viaggiano rapidamente, ma altrettanto fa la conoscenza. Che cosa distingue il Covid-19 dalle altre infezioni virali? Come cambiano infezioni, vaccini e terapie in un mondo globalizzato? Il dopo – Covid sarà una convivenza senza fine? È attorno a queste e molte altre domande che si dialogherà con i virologi Giovanni Di Perri e Valeria Cagno e con la giornalista scientifica Roberta Villa nel prossimo incontro di GiovedìScienza in programma il 28 gennaio live streaming su www.giovediscienza.it

 

I RELATORI:

Giovanni Di Perri

52 anni, laurea all’Università di Siena, ricercatore alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, specializzato in micobatteriologia all’Istituto Pasteur di Parigi e in malattie infettive all’Università di Pavia, consulente dell’OMS per la malaria in Thailandia, è professore ordinario all’Università di Torino e virologo dell’Ospedale Amedeo di Savoia. Autore di 200 pubblicazioni scientifiche, ha fatto ricerca anche sulla tubercolosi e sull’HIV. Durante la prima e la seconda fase del Covid-19 si è distinto in numerosi interventi televisivi per le sue capacità di comunicazione chiara e sintetica.

Roberta Villa

Giornalista sui temi di salute e medicina, Roberta Villa ha scritto per oltre vent’anni per le pagine di Salute del Corriere della Sera e per molte altre testate cartacee e online. Attualmente collabora per l’Università Ca’ Foscari al progetto europeo QUEST per la comunicazione della scienza in Europa. Tiene un corso sulla Comunicazione delle epidemie al Master di comunicazione della scienza della SISSA a Trieste, oltre a lezioni, talk e interventi in molti altri contesti. È molto attiva sui social network, dove sperimenta un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione scientifica.

Valeria Cagno

Virologa e ricercatrice all’Università di Ginevra, ha ottenuto il dottorato all’Università di Torino. La sua attività di ricerca è dedicata ai virus e all’identificazione di strategie antivirali. È autrice di 35 pubblicazioni su riviste internazionali e 5 brevetti. Si è sempre occupata di divulgazione, e negli ultimi anni soprattutto di podcasting. Dal 2015 fa parte del team di Scientificast, il podcast scientifico più longevo e ascoltato d’Italia, e da febbraio 2020 conduce con Lorenzo Paletti, Paziente Zero, un podcast interamente dedicato a SARS-CoV2 e al COVID-19.

Piazza San Carlo, le responsabilità

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Sono stato tra i primi a scrivere nella notte del 3 giugno 2017 delle responsabilità della signora Appendino per il disastro in piazza San Carlo, ancor prima di sapere degli spray urticanti che hanno creato panico. Ero in zona ed ho visto con i miei occhi.  E non parlo solo della Appendino, sindaco con la delega al turismo, ,ma di tutto lo staff dei suoi collaboratori, dal capo di Gabinetto all’ineffabile portavoce, campioni di cattiva amministrazione anche successivamente e cacciati forzatamente con ignominia dai loro uffici per altri motivi
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Una equa  e forse troppo mite condanna a 18 mesi, meno di quanto richiesto dal PM, per tutti questi signori, compreso il questore pro tempore di allora, dimostra che c’è un giudice equilibrato non solo a Berlino. La Magistratura si è mossa con cautela, in silenzio, senza passi avventati in termini mediatici, ma alla fine le responsabilità sono apparse nettissime. Un Sindaco non può lavarsene le mani, andando a vedere la partita in Inghilterra, disinteressandosi dell’evento torinese. Chi organizza deve prevedere l’imprevedibile, altrimenti si deve  mettere  a fare un altro mestiere. Le vie di fuga dalla piazza erano insufficienti, le persone lasciate affluire erano in numero non ragionevole, la vendita di bibite in bottiglie di vetro che  erano una minaccia grave alla incolumità delle persone non è stata interdetta. Ci sono due persone morte e un numero altissimo di feriti .Qualcuno doveva rispondere e la difesa degli avvocati è  apparsa davvero quella di chi non sa dove appigliarsi. Non avevano neppure bloccato il garage sotterraneo di piazza San Carlo, pensando alla possibilità di un attentato dinamitardo che la signora Appendino e i suoi solerti collaboratori non hanno neppure ipotizzato in tempi di terrorismo. Questa è la macchia più vistosa del grillismo in assoluto, ma anche un segno della inefficienza degli apparati statali e comunali.
Una persona seria avrebbe dovuto dare subito le dimissioni. Il questore, ad esempio, venne subito rimosso. La leggerezza dimostrata non ha scusanti e rivela incompetenza assoluta  anche nella scelta dei collaboratori. In questa Italia dilaniata dal Covid e distrutta dalla crisi economica non ci può essere spazio per i piagnistei del sindaco via social.  Occorrono scuse e occorre silenzio contrito, senza giutificazionismi ridicoli. Gli unici titolati a parlare sono i cittadini, le vittime, i loro parenti. E i primi doversi rammaricare sono quegli elettori di destra che da veri stupidi autolesionisti votarono al ballottaggio Appendino ,senza neppure porsi il problema che una grande città non va affidata in mani insicure di persone del tutto impreparate ad esercitare un ruolo pubblico di quel genere. Non tirino fuori gli spray per difendersi, perché tutta la manifestazione in piazza San Carlo era una minaccia foriera di disastri e di morte ,come poi si è tristemente rivelata. La Appendino non aspetti la fine del mandato: se ha ancora un po’ di dignità, torni a casa sua. Quanta gente dovrebbe tornare a casa!  I Torinesi vi sono reclusi senza aver fatto nulla per creare il disastro di piazza San Carlo.
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scrivere a quaglieni@gmail.com

Coronavirus, il bollettino di mercoledì 27 gennaio

CORONAVIRUS PIEMONTE: IL BOLLETTINO DELLE ORE 17.00

 LA SITUAZIONE DEI CONTAGI

Oggi l’Unità di Crisi della Regione Piemonte ha comunicato 821 nuovi casi di persone risultate positive al Covid-19 (di cui 170 dopo test antigenico), pari al 4% dei 20.654tamponi eseguiti, di cui 12.981 antigenici. Degli821 nuovi casi, gli asintomatici sono 363 (44,2%).

I casi sono così ripartiti: 213 screening, 399 contatti di caso, 209 con indagine in corso; per ambito: 45 RSA/Strutture Socio-Assistenziali, 73 scolastico, 703 popolazione generale.

Il totale dei casi positivi diventa quindi 223.854 così suddivisi su base provinciale: 20.072 Alessandria, 11.643 Asti, 7.705 Biella, 30.853 Cuneo, 17.562 Novara, 116.717 Torino, 8.351 Vercelli, 8.020 Verbano-Cusio-Ossola, oltre 1.146 a residenti fuori regione ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. I restanti 1.785 sono in fase di elaborazione e attribuzione territoriale.

I ricoverati in terapia intensiva sono 163 (+ 0 rispetto a ieri).

I ricoverati non in terapia intensiva sono 2280 (- 27 rispetto a ieri).

Le persone in isolamento domiciliare sono 9.941

I tamponi diagnostici finora processati sono 2.420.788 (+ 20.654 rispetto a ieri), di cui 1.010.433 risultati negativi.

I DECESSI DIVENTANO 8693

Sono 51 i decessi di persone positive al test del Covid-19 comunicati dall’Unità di Crisi della Regione Piemonte, di cui 2 verificatosi oggi (si ricorda che il dato di aggiornamento cumulativo comunicato giornalmente comprende anche decessi avvenuti nei giorni precedenti e solo successivamente accertati come decessi Covid).

Il totale è ora di  risultati positivi al virus, così suddivisi per provincia: 1320 Alessandria, 569 Asti, 368 Biella, 1.017 Cuneo, 722 Novara, 3.935 Torino, 400 Vercelli, 281 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 81 residenti fuori regione, ma deceduti in Piemonte.

202.777 PAZIENTI GUARITI

I pazienti guariti sono complessivamente 202.777(+ 1.103 rispetto a ieri) così suddivisi su base provinciale: 17.730 Alessandria, 10.357 Asti, 6991 Biella, 28.359 Cuneo, 15.882 Novara, 105.971 Torino, 7.622 Vercelli, 7.200 Verbano-Cusio-Ossola, oltre a 1043 extraregione e 1622 in fase di definizione.

Piazza San Carlo, la sindaca Appendino condannata a un anno e sei mesi

La sindaca Chiara Appendino è stata condannata dal tribunale di Torino a un anno e sei mesi per la drammatica serata di Champions  del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo

Sono stati giudicati  colpevoli inoltre  l’ex questore Angelo Sanna, l’ex capo di gabinetto Paolo Giordana, il dirigente di Turismo Torino Maurizio Montagnese.
Condannato anche il professionista Enrico Bertoletti. Stessa pena per tutti gli imputati, accusati di disastro, omicidio e lesioni colpose.
A seguito del panico creatosi in piazza morirono due  donne e 1500 persone rimasero ferite.
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IL COMMENTO DELLA SINDACA DOPO LA SENTENZA

Come sapete, ho sempre cercato di comunicare con tutti voi in modo diretto e sincero. E così vorrei fare anche in questo giorno difficile.

Il 3 giugno del 2017, durante la proiezione della finale Juventus-Real Madrid, una banda di quattro rapinatori, armati di spray urticante, si introdusse in mezzo alla folla e lo spruzzò per rubare collane e orologi preziosi. Questo gesto scellerato scatenò il caos che portò a molti feriti e alla morte di due persone. I quattro sono già stati condannati a 10 anni per omicidio preterintenzionale, anche in appello.

Oggi, in un altro processo, la stessa Giudice ha condannato me (insieme ad altre 4 persone) a 1 anno e 6 mesi per una serie di reati colposi legati a quei fatti. È una decisione che accetto e rispetto, anche per il ruolo che rivesto.

La tesi dell’accusa, oggi validata in primo grado dalla Giudice, è che avrei dovuto prevedere quanto poi accaduto e, di conseguenza, annullare la proiezione della partita in piazza.
È una tesi dalla quale mi sono difesa in primo grado e che, dopo aver letto le motivazioni della sentenza con i miei legali, cercherò di ribaltare in Appello perchè è evidente che, se avessi avuto gli elementi necessari per prevedere ciò che sarebbe successo, l’avrei fatto. Ma così non fu e, purtroppo, il resto è cronaca.

Non ve lo nascondo, questa tragica vicenda mi ha segnato profondamente. Quei giorni e i mesi che sono seguiti, sono stati i più difficili sia del mio mandato da sindaca sia della mia sfera privata, personale. E il dolore per quanto accaduto quella notte è ancora vivo e lo porterò sempre con me.

Con la stessa sincerità vorrei aggiungere ancora una cosa: a questi sentimenti, oggi, si somma anche una sensazione di amarezza.
Perchè se è vero che la carica istituzionale che ricopro comporta indubbiamente delle responsabilità, alle quali non ho alcuna intenzione di sottrarmi, è altrettanto vero che oggi devo rispondere, in quanto sindaca, di fatti scatenati da un gesto – folle – di una banda di rapinatori.
Proprio sul difficile ruolo dei sindaci, sui rischi e sulle responsabilità a cui sono esposti, forse andrebbe aperta una sana discussione.

Concludo questo messaggio con un grazie a tutte le persone che mi sono state vicine, soprattutto in questi giorni, e ai miei legali, fiduciosa di riuscire a far valere le nostre tesi nei prossimi gradi di giudizio.

(foto: il Torinese)

“Parlaconme”, in radio l’appuntamento settimanale con l’agricoltura

Ospitalità, innovazione del settore agroalimentare e turismo sono i temi al centro della puntata di giovedì  28 gennaio di PARLACONME,  trasmissione condotta su Radiovidanetworkdall’Agrifood & Organic Specialist Simona Riccio

 

Ospitalità nei territori e le modalità attraverso cui innovare il settore agroalimentare saranno i temi al centro della puntata di giovedì 28 gennaio di PARLACONME,  trasmissione in onda ogni giovedì dalle 18 alle 19 sulla radio web Radiovidanetwork, econdotta dall’Agrifood & Organic  Specialist Simona Riccio.

Ospiti della trasmissione saranno Linda Carobbi, Responsabile di management di Turismo Enogastronomico e Logistica Internazionale per Agrifood; Andrea Succi, Destination Manager di Sardegna East Land e Gianmarco Boggio, imprenditore e Dirigente nei settori TLC,  Realtà  Aumentata e Software. In qualità di special guest vi sarà collegato Andrea Cerrato, Presidente Federconsorzi Turismo Piemonte.

La puntata sarà incentrata sul tema della connessione tra la filiera agroalimentare e il turismo, che risulta una delle  basi  per lo sviluppo ecosostenibile del territorio e elemento distintivo dell’identità del nostro Paese. La targa “Italia”, infatti, risulta un importante valore aggiunto per le nostre produzionienogastronomiche.  Il binomio turismo-enogastronomia è destinato a portare benefici alle varie componenti dei sistemiterritoriali.  Le aziende agricole sono chiamate, infatti, a diventare importanti punti di riferimento nel nostro Paese, e capaci di rivestire il ruolo di “generatori sociali” della cultura del territorio, garantendo altresì l’autenticità delle produzioni locali. E le nuove forme di turismo, sempre più attente al territorio, ricercano proprio queste nuove sinergie.

La trasmissione PARLACONME  può essere ascoltata

Collegandosi al sito www.vidanetwork.it

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Nei maggiori aggregatori di Radio

Su speaker Alexa  e Google Home

Replica il giorno successivo,  il venerdì, alle 10, e il venerdì della settimana successiva alle 22.

 

Mara Martellotta

 

La giornata della memoria a 80 anni dall’Olocausto. Un monito contro il razzismo e un ricordo di chi non si piegò

La giornata della memoria che si celebra ogni anno il 27 gennaio , deve essere, secondo me, non solo il ricordo della follia omicida nazista , scatenata in particolare contro gli ebrei , ma anche il monito perché il razzismo in tutte le sue forme non diventi mai più parte di un programma politico di governo.

Quest’anno voglio parlare dei “buoni”. Di quelli che furono non solo solidali, ma coraggiosi soccorritori degli ebrei perseguitati.

E per ricordarli , mi si perdonerà se porterò una testimonianza personale, diretta , di quanti si misero in gioco dopo l’8 settembre 1943, quando farlo poteva costare molto caro.
Di quei lontani fatti, in casa mia se ne parlava: mia madre e mio padre ( non ancora sposati né conoscenti) avevano aderito entrambi alla Resistenza. Venivano da famiglie antifasciste, vere non quelle che si scoprirono tali il 26 aprile 1945, con i tedeschi in fuga e i repubblichini braccati e arrestati.

Mia madre ( Anna Rosa Gallesio ) fu una dirigente del Cln femminile torinese. Suo padre, sindacalista “bianco”, iscritto al Partito Popolare di don Sturzo, era stato duramente discriminato durante il regime fino a ridurgli la famiglia in miseria, controllato costantemente dalla polizia. Con mia madre operarono anche le mie zie.
Fu dunque “normale” che venisse “arruolata” nel campo partigiano e lo fu nella redazione del quotidiano torinese L’Italia dove lavorava . Così raccontò in un libro edito nel 2008 dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana per ricordare i giornalisti partigiani: “Ho iniziato a fare la giornalista durante la guerra nella redazione torinese dell’Italia. Ero andata a sostituire mio padre, che per tanti anni non aveva potuto lavorare, perchè era un noto antifascista. Il prof Arata ( n.d.r il direttore) lo aveva chiamato a collaborare ( n.d.r nel 1938) .Ma lui si è ammalto e io sono andata a sostituirlo”.

In queste poche righe senza retorica, ci sono già alcune notizie , la prima : il vedersi discriminati fino a perdere il lavoro era il destino di quelli che non volevano piegarsi al regime. La seconda: Mio nonno si “ammalò” di polmonite dopo una aggressione sotto casa da parte di fascisti che volevano vendicarsi del 25 luglio 1943 ( caduta del fascismo). Era inverno , restò alcune ore svenuto in strada, prese una polmonite e morì. Aveva 58 anni. La terza notizia è la risposta alla domanda: come mai un noto antifascista viene chiamato a collaborare a un giornale , dopo tanti anni di discriminazione? Questa domanda si ricollega proprio alle leggi razziali. Ma prima facciamo un po’ di storia .

Precedute dal “Manifesto degli scienziati razzisti” (14 luglio 1938), sottoscritto da 180 scienziati e redatto dallo stesso Mussolini, e sostenute da una campagna di stampa massiccia, le leggi razziali in Italia uscirono a più riprese, a partire dal 5 settembre 1938, e furono immediatamente seguite dalle ordinanze applicative. Le prime ordinanze furono, i provvedimenti per la difesa della “razza” nella scuola italiana che esclusero studenti e professori ebrei da tutte le scuole del Regno.
Bisogna dire che l’antisemitismo non era nel programma originario del fascismo, al quale , anzi , larga parte degli ebrei italiani avevano aderito. Un nome fra tutti: quello di Margherita Sarfatti, già socialista come il duce, ambiziosa ,colta e intelligente donna dell’alta borghesia milanese che era stata una fascista della prima ora, e una delle muse ispiratrici di Mussolini di cui fu l’ amante fino al 1933.

Le leggi razziali, pur precedute da un progressivo avvicinamento del duce a Hitler, piombarono così sulla comunità ebraica italiana come un fulmine a ciel sereno.
Ma anche gran parte dell’opinione pubblica italiana fu sorpresa e incredula ,influenzata dalla aperta ostilità della Chiesa Cattolica .Il papa Pio XI aveva dettato una linea precisa e le condannò anche in discorsi pubblici, come quello del 18 settembre 1938, due settimane dopo la loro emanazione in cui disse : “ L’antisemitismo è un movimento al quale noi cristiani non possiamo affatto partecipare…spiritualmente noi siamo dei semiti”. Discorsi naturalmente taciuti dalla stampa italiana , pubblicati solo sull’Osservatore romano ( spesso sequestrato nelle edicole) e sulla stampa estera. Anche alcuni alti gerarchi fascisti erano contrari , come Italo Balbo che ne parlò al Re ,in visita agli inizi del 1937 in Libia , dove Balbo era governatore: “ Io sono qui in Africa, ma mi arrivano certe notizie sugli ebrei. Non faremo certo l’imitazione dei tedeschi!…” disse a Vittorio Emanuele III . E quando fu approvato il “Patto d’acciaio” con la Germania nazista aveva detto a Mussolini e Ciano : “ finirete tutti a fare i lustrascarpe di Hitler!”.

Rispondo dunque alla terza domanda: mio nonno fu chiamato a lavorare al quotidiano cattolico l’Italia proprio dopo le leggi razziali e la sempre più stretta alleanza dell’Italia fascista con Hitler. La Chiesa cattolica, che già aveva avuto forti dissapori con il regime nel 1931( tentativo di abolizione dell’Azione cattolica) ne voleva prendere decisamente le distanze e radunava i vecchi “popolari” in vista del “dopo” Mussolini . In quei mesi ci fu infatti un complotto internazionale, noto come “Orchestra nera”, di cui il Vaticano era informato, per far fuori Hitler e di conseguenza far cadere il duce, ed evitare la guerra. Tentativo poi messo in opera il 20 luglio del 1944,ma fallito nel sangue, ad opera dell’eroico colonnello von Stauffenberg.
Ma torniamo alle leggi razziali. Nell’azione clandestina di mia madre un posto particolare ebbe il soccorso agli ebrei perseguitati, a cui fu chiamata dal Cardinale di Torino Maurilio Fossati, che aveva ricevuto precise disposizioni dal Vaticano.

Scrive ancora mia madre: “ La redazione dell’Italia era diventata un punto di incontro: non solo preparavamo il giornale antifascista clandestino che si distribuiva attraverso le parrocchie, ma aiutavamo anche gli ebrei in collaborazione con il cardinale Fossati e il suo segretario mons. Barale. La cosa più importante era procurare agli ebrei documenti falsi. A prepararli era un piccolo comune ( n.d.r Santa Margherita Ligure) che aveva i timbri giusti per falsificarli. Poi andavamo a prenderli dal vescovo di Genova”.
Così la giovane partigiana tornava a Torino, con indosso le carte false, contando sul fatto che una ragazza dall’aria innocente non venisse fermata e perquisita .
Un giorno però i tedeschi fecero irruzione in vescovado , a Torino, con prove schiaccianti e arrestarono mons. Barale. Fu tradotto in un campo di transito in Lombardia in attesa di essere inviato in un lager. Si salvò perchè si era ormai alla fine della guerra e poco dopo arrivò la liberazione.
Diretti testimoni come i miei genitori confermavano quanto scritto dallo storico del fascismo Renzo De Felice: “ la persecuzione antisemita è stata una delle tappe più significative della storia del fascismo: Con essa il regime divorziò pubblicamente dal popolo italiano, dalla sua mentalità, dalla sua storia”.

Ma allora perché fu possibile ? perché quasi tutti tacquero? Bisogna tener conto che l’Italia viveva sotto una dittatura severa, che buona parte dei dirigenti fascisti si uniformò, come i più fanatici militanti, e poi la paura delle conseguenze a partire dal posto di lavoro. Naturalmente ci furono anche i vigliacchi, i profittatori , i traditori. Furono forse tanto numerosi quanto i “buoni” più coraggiosi . Ma la stragrande maggioranza della gente non collaborò, soprattutto quando la politica del fascismo nei confronti degli ebrei subì una svolta radicale a partire dal 1943, dopo l’8 settembre e la costituzione della Repubblica di Salò: quando si passò dalla discriminazione all’eliminazione sotto la regia tedesca.
Gli ebrei residenti in Italia , italiani e stranieri, al momento delle leggi razziali (in Italia ne erano arrivati circa 10 mila negli anni Trenta in fuga soprattutto dalla Germania) erano una piccola minoranza: circa 60-70 mila.

6800 furono deportati, circa il 10% dei cittadini di “razza ebraica o parzialmente ebraica” che erano in Italia. Quasi il 90% si salvò.
Dietro a ogni ebreo catturato vi fu la delazione di italiani attratti dalla ricompensa offerta e lo zelo di fanatici repubblichini.
Ma d’altro lato gli ebrei furono aiutati da una vasta rete di solidarietà, che fu favorita in primo luogo dalla fitta rete di contatti familiari e sociali che gli ebrei italiani avevano con non-ebrei.
Privati cittadini, ma anche istituti religiosi, orfanotrofi, parrocchie aprirono le loro porte ai fuggitivi. La geografia dei luoghi di rifugio offre una immagine molto vasta delle dimensioni del fenomeno.

A conferma, cito ancora una testimonianza che mi è stata fornita da un amico valdese. In quelle valli si rifugiarono diverse famiglie ebree . Scrisse la componente di una di esse , Franca Debenedetti Loewenthal ,sulla rivista “La Beidana” di Torre Pellice: “in quel momento sulla testa di ogni ebreo c’era una taglia con una cifra consistente, che veniva data a chi
avesse denunciato la presenza di un ebreo. Molti miei correligionari subirono questo destino, proprio per la delazione di alcune persone. Invece la popolazione di Rorà si dimostrò sempre molto solidale con noi, tacque, non parlò, non ci tradì, nessun ebreo nella Val Lusema venne preso dai tedeschi né venne deportato per la delazione della popolazione.”

Paolo Girola