ilTorinese

“Non devi toccarlo per sentire che L’amore è ogni secondo che rubiamo”

Music Tales, la rubrica musicale 

“Non devi toccarlo per sapere che

L’amore è ovunque tu vada

Non devi toccarlo per sentire che

L’amore è ogni secondo che rubiamo

L’amore è amore non è niente senza di te

L’amore è amore è tutto ciò che fai”

Il 22 maggio scorso Pac Man ha compiuto 43 anni: era il 22 maggio del 1980 quando venne lanciato il videogioco che divenne icona del suo tempo. E che, ancora oggi, gli italiani ricordano con più nostalgia: secondo un sondaggio che Deliveroo ha condotto in collaborazione con SWG, è il videogioco a cui sono più legati, superando anche un grande classico come Super Mario. La faccina gialla e i quattro fantasmini sono i preferiti anche dei giovani nati tra il 1990 e il 2000, tra cui Pac Man raggiunge picchi di gradimento del 37%.

Ma quali sono i ricordi e le memorie degli Anni Ottanta più ricorrenti nel cuore e nelle mente degli italiani? Tra gli oggetti eletti a simbolo di una decade così capace di ispirare e di far parlare di sé ci sono il motorino, il rullino fotografico e lo zaino da scuola, specie tra chi è nato negli Anni Settanta.

Il Commodore 64. Un computer così lento che, mentre si accendeva, nel frattempo ti era passata tutta la vita davanti!

Chi ha vissuto gli Anni Ottanta non può avere dimenticato i suoi iconici film e programmi tv. Tra le pellicole che hanno segnato intere generazioni ci sono «Ritorno al futuro», la saga con Michael J. Fox e Christopher Lloyd, il romanticissimo «Il tempo delle mele», interpretato da una giovanissima Sophie Marceau e l’appassionante «Dirty Dancing», con i mitici Patrick Swayze e Jennifer Grey. Tra i programmi TV, sono rimasti nel cuore «Drive In» e «Bim Bum Bam», con l’indimenticabile pupazzo rosa Uan. ​Qualcuno ricorda con nostalgia anche i sabato sera della «Corrida» di Corrado.

Mi ricordo le Timberland, irrinunciabili per il bagaglio del paninaro perfetto assieme al giubbotto di jeans, le suddette cinture del Charro, le felpe daltoniche della Best Company e il più blasonato piumino Moncler, che ti faceva sentire un omino Michelin felicemente ridicolo e teoricamente sexy. Molto teoricamente.

Oltre 1 italiano su 4 dichiara che avrebbe voluto essere adolescente proprio in quegli anni, passati alla storia per la dinamicità, l’ottimismo, la fiducia nel futuro, ma anche per le tendenze musicali e le grandi innovazioni.

Le musicassette, i dischi in vinile, i walkman, i paninari, ma quel che a me manca di più in assoluto è quella leggerezza data non dalla mancanza di avvenimentoi brutti, ma dalla “protezione” regalata dall’assenza di internet. Mi odieranno alcuni di voi, ma io ci stavo meglio.

La bellezza di tale leggerezza era palpabile nella musica, nella moda, nei contatti umani, nel gioco…nel fatto semplice che si pensava alla vita come un dono splendido quale è.

Era il tempo del Moncler e delle sfitinzie…era il tempo in cui “noi” eravamo davvero felici e non lo sapevamo.

Cominciava un decennio, gli anni Ottanta, che per tanti versi a molti di noi sembrarono brutti, superficiali, vacui, vuoti; ma furono pur sempre l’ultimo periodo in cui l’Italia cresceva, l’economia tirava, le famiglie si arricchivano, il futuro non appariva un problema ma un’opportunità. L’ultima volta in cui siamo stati felici; anche se in modo diverso rispetto al decennio precedente.

Negli anni Ottanta io sapevo sognare e credere nei sogni e non solo perché ero bambina. Era proprio l’atmosfera ad essere diversa, prima che i decenni successivi ci disilludessero, rendendoci troppo adulti tutti, perfino i più giovani.

Gli anni ‘80 sono stati forse l’ultimo periodo in cui i ragazzi hanno avuto la speranza di poter fare qualcosa per il proprio futuro.

“La vita è gloriosa quando è felice. I giorni sono spensierati quando sono felici.”

Buon ascolto

Love Is Love (Remastered 2003)

CHIARA DE CARLO

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Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Laura Sugamele, “Corpo femminile e violenza politica”. Lo stupro tra nazionalismo e conflitto etnico

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La scrittura di questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca complesso

L’autrice

Laura Sugamele filosofa e dottoressa di ricerca. È docente in filosofia, storia e scienze umane. Si occupa di reificazione del corpo femminile, violenza sessuale come questione politica e relazioni tra patriarcato, nazionalismo e guerra, temi che l’autrice ha sviluppato nel libro “Corpo femminile e violenza politica. Lo stupro tra nazionalismo e conflitto etnico” (Stamen 2022 / Collana Studi).

Di cosa parla il suo libro?

Il libro è incentrato su una riflessione che tenta di mettere in connessione due questioni principali: il corpo femminile e lo stupro come violenza politica. La connessione tra corpo femminile e violenza politica viene esaminata, considerando quelle rappresentazioni patriarcali che, sin dalle fasi più remote della storia umana, hanno determinato una identificazione sociale e culturale della donna con il suo corpo, un corpo che, in una specifica “narrazione” maschile-patriarcale, è stato considerato in termini per lo più sessuali, riproduttivi e procreativi e proprio questo aspetto, nel libro, viene collegato alla questione dello stupro etnico in Bosnia.

Il suo libro è frutto di un lavoro di ricerca?

Si certamente. La scrittura di questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca complesso e per la sua elaborazione ho deciso di adottare un metodo multidisciplinare, nel senso che l’approccio adoperato è stato diretto ad una integrazione di diverse linee teoriche, non collocabili esclusivamente nell’ambito della teoria politica femminista, a cui nel testo, comunque, viene fatto riferimento, ma che riguardano anche l’ambito filosofico piuttosto che storico-antropologico.

Nel libro, lei parla di corpo femminile collegando il tema alla connessione tra virilità sessuale, identità nazionale e guerra. Perché?

Come ho già sottolineato nella risposta precedente, il tema del corpo femminile, della reificazione sessuale e della violenza politica è piuttosto ampio, per cui ho compreso la necessità di adottare una prospettiva di riflessione più larga. Per tale ragione, la riflessione che ho affrontato nel libro, non poteva escludere ulteriori aspetti come la connessione tra virilità sessuale, identità nazionale e guerra (quest’ultima come dimensione patriarcale), i quali, in una prospettiva storica, hanno influito sul piano di una costruzione culturale e dicotomica, oltre che su una categorizzazione sessuale uomo-donna.

Negli ultimi capitoli, soprattutto nel quinto, lei collega la questione della reificazione del corpo allo stupro come “arma” politica di guerra. Cosa intende?

Nel quinto capitolo e in parte nel sesto, mi sono occupata della questione della reificazione del corpo femminile esaminando gli stupri etnici che hanno caratterizzato la guerra in Bosnia (1992-1995). Dalle ricerche che ho svolto per la scrittura del mio libro, ho potuto notare, quanto nella dimensione conflittuale e di guerra, legata alla contrapposizione tra i gruppi etnici, il corpo delle donne sia diventato, immediatamente, il centro delle azioni militari e delle violenze che, all’epoca del conflitto, erano finalizzate ad uno scopo politico ben preciso: quello della “purificazione” etnica, alla cui base vi era anche il riferimento ad una ideologia politica e nazionale che in ex-Jugoslavia, specialmente nella fase post-titina, ha prodotto un sostanziale incardinamento del ruolo femminile sulla sfera domestica e in particolare su quella sessuale.

In che senso le violenze sono politiche?

Il riferimento che io faccio nel libro, in merito agli stupri di massa contro le donne della Bosnia, mette in evidenza la profonda connessione che vi è tra stupro e ideologia politica, nel momento in cui “coloro che commettono gli stupri” affermano, in modo tangibile, l’intenzionalità dell’atto, che è politico e ciò, dal mio punto di vista, ha sempre caratterizzato la storia umana con i suoi conflitti e le sue guerre, poiché violentare la donna determina una lesione dell’onore sessuale e sociale del gruppo, della comunità o della nazione considerata nemica e a cui lei appartiene.

L’ultimo capitolo è incentrato sulle iniziative femminili nella Bosnia post-bellica. Potrebbe spiegarsi meglio?

Nell’ultima parte del libro, rispetto alla questione dello stupro, le cui conseguenze hanno impattato sulla vita delle donne non solo sul piano fisico, bensì su quello psicologico laddove, stupro ed eventuale gravidanza sono sinonimi di stigmatizzazione sociale, mi sono focalizzata sulla possibilità dell’elaborazione del trauma e ciò è avvenuto, grazie alla mobilitazione di associazioni come “Donne in Nero” di Belgrado che, all’epoca del conflitto e in fase post-conflitto, ha dato un contributo importante per aver sostenuto le donne vittime di violenza, dando loro non solo la possibilità di un reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza, ma facendo comprendere alle stesse donne, anche la necessaria e personale rielaborazione del dolore rispetto all’esperienza e al trauma vissuto. In ambito internazionale, passi decisivi sono stati compiuti dal Tribunale delle donne di Sarajevo e, in tal senso, vanno citate anche le conferenze sui diritti umani di Vienna del 1993 e di Pechino sulle donne del 1995. Tali eventi hanno spinto infatti, in favore della protezione dei diritti, della formazione dell’empowerment femminile e della “sicurezza di genere”, tuttora, nozione cardine su cui stabilire iniziative rivolte alla sicurezza e alla tutela delle donne in situazione di confitto armato.

SU INSTAGRAM:

https://www.instagram.com/laura.sugamele_autrice/?next=%2F

 

Festa del Volontariato a Collegno

19° FESTA DEL VOLONTARIATO
dal 7 al 10 giugno P.zza Pertini – Collegno
“UN MONDO DA FAR GERMOGLIARE”
La festa del volontariato è un’occasione per le associazioni che operano nel sociale, di far conoscere i propri progetti, intrecciare rapporti con le altre realtà di volontariato creando un clima di comunità e per fare attività propria di autofinanziamento.
Ecco il programma completo.

 

Merlo: Calenda pensa ad una riedizione del PRI. Il Centro è un’altra cosa

“Diciamo a Calenda che i Popolari e i cattolici democratici sono una componente essenziale e
decisiva per dar vita ad un partito di centro. Un Centro dinamico, riformista, democratico e di
governo. Si tratta di una cultura e di una tradizione ideale che non sono marginali, o meramente
aggiuntivi, rispetto ad un progetto politico centrista e riformista. Anche perchè, e forse per
Calenda non è ancora ben chiaro, una ‘politica di centro’ in Italia non può limitarsi ad essere una
banale riedizione del partito liberale, o repubblicano o tardo azionistra. Seppur in forma
aggiornata e rivista. Quello sarebbe un partito di Centro in miniatura che configge anche con la
storia politica del nostro paese.

Giorgio Merlo, Dirigente Tempi Nuovi-Popolari uniti.

Maria Elena Romano,”Un pomeriggio per caso”: le cose accadono per un motivo

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IL ROMANZO

Elisa è una trentenne come là fuori ce ne sono tante…Piena di sogni, di energia e voglia di vivere. Ha tanti sogni e pochi cassetti in cui riporli, al punto che alcuni di essi sono stati spediti nell’angolo più remoto dell’anima, in una zona poco illuminata e fredda, posti sotto la stretta sorveglianza della Paura.


Elisa è una ragazza fragile e forte, spigliata, ma anche tanto introversa. È una di quelle persone che si perdono alla vista di un bel fiore, o un profumo sentito per caso sulla metro o sull’autobus; una di quelle persone che amano fino allo sfinimento e annaspano tra le loro paure perché in fondo temono terribilmente la sofferenza. Una sofferenza che Elisa già conosce fin troppo bene.

Non soffermarti ad osservare il mondo dalla finestra…”, le disse suo padre prima di morire. Avrebbe tanto voluto seguire il consiglio dell’uomo più importante della sua vita, ma, ora che non c’era più lui a farla sentire amata e protetta, era ancora più complicato mantenere quel monito. Si sentiva come un randagio rannicchiato sotto un’auto durante un temporale: sola e indifesa. Sarà lo zio Mario a curare le sue ferite e carezzare le sue cicatrici. Mario non è davvero lo zio di Elisa, è un amico di famiglia, ma se ne prende cura come se lo fosse. Ben presto un trovatello farà capolino nella vita di Elisa e sarà per lei un importante e “silente” compagno, un particolare buffo animaletto che le donerà un amore indescrivibile.

Attraverso i suoi pensieri, i suoi sogni e le vicende che si susseguiranno, faremo compagnia ad Elisa nel suo cammino alla ricerca di una felicità che ad oggi le appare soltanto come una mera illusione data dai media e dalla religione. Le faremo compagnia all’interno della sua soffitta, mentre passeggerà nel viale dei ricordi di una famiglia sgretolata, disciolta come un castello di sabbia colpito dalle onde inesorabili del mare. Ciò che, però, nasconde quella soffitta è ben più di ciò che la stessa Elisa si aspettava.
Non tutto passa per il libero arbitrio, spesso nella vita di tutti i giorni veniamo posti in situazioni singolari, che fanno echeggiare nella nostra mente “…E se fosse stato destino?”.

Questo romanzo ci ricorda che ci sono cose che accadono per un motivo. Il caso non esiste.

 

L’AUTRICE

Maria Elena Romano nasce a Reggio Calabria il 3 Settembre del 1986. Scrive fin da piccolissima e divora libri come fossero caramelle, spaziando di volta in volta tra diversi generi. Anche nei generi di scrittura non si è mai risparmiata, ha diverse stesure incomplete nel cassetto, ma, per adesso, gli unici scritti che hanno raggiunto la pubblicazione, oltre ad “Un pomeriggio per caso”, sono un racconto breve, “Belinda”, e una fiaba, “Le avventure di Ninni e del bruco Arturo”. Sono il risultato della vittoria conseguita in due competizioni differenti, entrambi concorsi pubblicati da Idrovolante Editore, rispettivamente “L’automobile” e “Fiabe della buonanotte”.

«Mi sono avvicinata anche al teatro nel corso degli anni. Credo che tra teatro e scrittura ci sia ben poco che li separi. L’una è il momento della creazione, dei personaggi e della storia, l’altro è il momento dell’esposizione di tutto ciò che tu o qualcun altro avete precedentemente creato. Probabilmente il ponte tra queste due passioni è il motivo per cui recitare a tutt’oggi mi manca così tanto.»

Durante i suoi anni trascorsi all’Accademia dei Bardi di Roma, ha avuto il piacere di vestire i panni di Elena nel “Sogno di una notte di mezz’estate” di W.Shakespeare. Ha anche partecipato e vinto al concorso “Comic’aria” del 2018 come miglior testo comico, da lei scritto e interpretato.

«C’è molto di me in Elisa, soprattutto quella scalpitante voglia di vivere che è rimasta per un certo periodo imprigionata tra le quattro mura di casa. “Un pomeriggio per caso” ha visto la fine della sua stesura durante i mesi di lockdown, e lì la solitudine si è avvertita parecchio. Nel libro non nomino volontariamente il covid, né faccio menzione a pandemie o simili, nonostante la storia sia ambientata in questi anni. Il motivo è uno soltanto. Scrivevo anche per evadere da tutto quello che mi accadeva intorno e, se avessi permesso al covid di contagiare anche il mio romanzo, sarebbe stata una sorta di sconfitta, considerato l’obiettivo iniziale: evadere. Ancora oggi non me ne pento.»

Attualmente l’autrice sta nel bel mezzo della stesura del suo secondo romanzo, il seguito, che si chiamerà “Un mattino per caso”, e di un altro lavoro di cui preferisce ancora mantenere un certo riserbo.

 

Il libro, edito dalla casa editrice BookSprint Edizioni, sita in Salerno, è disponibile in versione cartacea e in formato e-book e può essere acquistato su Amazon, Google Libri, Feltrinelli e altre librerie online. Può anche essere acquistato sul sito della casa editrice BookSprint al seguente indirizzo: https://www.booksprintedizioni.it/libro/romanzo/un-pomeriggio-per-caso.

 

La stagione degli asparagi

La stagione degli asparagi sta finendo. La tradizione torinese degli asparagi di Santena  e di Poirino impone tra pochi giorni di andare a fare l’asparagiata dal mitico “Andrea” che non a caso si è da tempo trasferito da Santena a Poirino  perché Santena è stata letteralmente cementificata  anche sui terreni agricoli dedicati alla coltivazione del l’asparago.
La capitale dell’asparago piemontese e’ oggi Poirino che la sindaca Angelita Mollo  ha saputo promuovere insieme alle tinche, finalmente riabilitate  .  Peccato che i ristoranti torinesi non abbiano mai pensato all’asparagiata, salvo un ristorantino in località Lingotto che offre però  un menu deludente. Anche il “Cambio” ignora  o quasi l’asparago che era nel menu con il grande commendator Parandero. Io ricordo quando mio padre mi portava da Pinin a Santena e in un ristorante di un hotel  di Cambiano purtroppo chiuso da tempo. C’era  anche il “Cigno“ oggi soprattutto pizzeria che ha perso lo smalto antico . Pinin era un personaggio di altri tempi che faceva nella settimana il rappresentante di tessuti e nel fine settimana faceva il ristoratore. Ma i suoi asparagi erano solo alla parmigiana  o alla Bismarck con le uova. Solo Andrea invento’ il menu tutto asparagi. I miei amici maestri tipografi Janni per molti anni mi portavano in omaggio gli asparagi di Santena sempre molto grandi e buoni  e mi consigliarono la trattoria della Pace a Santena  dove si mangiava un’asparagiata eccezionale. Poi la troppa frequentazione ha guastato la trattoria .Anche ad Albenga in provincia di Savona  c’è la specialità degli asparagi violetti , una squisitezza prediletta dai Reali inglesi. Solo Luciano al “Pernambucco” cucina in modo squisito i violetti. E il presidente dell’Accademia italiana della cucina , il medico – umanista Roberto Pirino ha fatto un’opera benemerita per valorizzare il violetto . Petrini penso ‘ di tutelare l’asparago ingauno  quando ormai i migliori terreni erano stati cementificati con l’approvazione del sindaco comunista Viveri . Il presidio di Slow Food si rivelò una beffa affidata ad un anziano savonese, tal  Albertazzi, accusato successivamente di essere un fascistoide. Gli asparagi erano molto amati dal Conte di Cavour  sepolto a Santena.  Ma gli asparagi sono anche coltivati nel Trevigiano e dintorni; sono bianchi, ma meno buoni dei verdi e dei violetti. Io li comprai sulle rive del Piave , ma furono una delusione. La mia amica Luisa mi ha fatto conoscere gli asparagi pugliesi  che piacevano tantissimo al Duca delle Puglie  Amedeo, poi divenuto Duca d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi. Il suo omonimo nipote che pretese di essere l’erede dei Savoia con il consenso  autorevolissimo di un preside di scuola  saluzzese, non sapeva neppure dell’esistenza  degli asparagi pugliesi. E, in verità, ignorava, poveretto, tante altre cose.
PIER FRANCO QUAGLIENI

Willie Peyote: “riparto con un nuovo tour e un locale”

Willie Peyote, classe 1985, “nichilista, torinese e disoccupato. Perché dire rapper fa subito bimbominkia e dire cantautore fa subito Festa dell’Unità”. Guglielmo Bruno non ama incasellarsi in una categoria precisa o semplicemente non vuole riconoscersi in qualcosa, di modo da avere la libertà di spaziare.

Ed è proprio quello che ha fatto in questi anni, combinando e sperimentando nuova musica e diverse tematiche, facendosi così spazio nel panorama musicale nostrano. Willie inizia ufficialmente la sua carriera nel 2013, con il suo primo album “Non è il mio genere, il genere umano“, anche se la sua gavetta inizia ben prima. Quell’album, però, segna il suo debutto davanti al grande pubblico. Da quel momento seguiranno, “Educazione sabauda” che suscita l’ attenzione anche da parte di alcuni personaggi politici per le accuse irriverenti alla società, nel 2017 la “Sindrome di Tôret” e nel 2019 “Iodegradabile” con cui fa suo ingresso alla Virgin Records. Il lungo stop dovuto al Covid lo allontana momentaneamente dalle scene musicali, per tornare in grande stile nel 2021 sul Palco del Festival di Sanremo dove si aggiudica il premio della critica “Mia Martini” grazie al singolo “Mai dire mai(la locura)”. L’8 aprile 2022 esce il branoFare schifo”, realizzato con la partecipazione di Michela Giraud, a cui ha segue “La colpa al vento. Entrambi hanno anticipato il suo quinto album Pornonostalgia, con cui Willie si sofferma sulla nostalgia galoppante in cui viviamo, di ciò che non ci è appartenuto, di ciò che non è mai stato nostro e “delle cose che non riusciamo a tenere in mano per più di un tot di tempo”.

Con il lancio del nuovo singolo “Picasso”, Willie tornerà di nuovo a calcare i palchi dei maggiori club della penisola, subito dopo l’estate, con un tour che riprende il nome del primo album “Non è (ancora) il mio genere”. Intanto è diventato socio di un locale di nuova apertura ai Murazzi, luogo musicalmente simbolo della sua città. In questa intervista proviamo ad indagare questo aspetto un po’ inedito di Willie.

Hai scelto di diventare socio di due nuovi locali ai Murazzi. Come mai questa scelta?

E’ stato un po’ un caso, perché sono molto amico dei ragazzi che avevano il progetto già in atto. Quando me l’hanno proposto ho accettato gioiosamente. Potrò dare una mano nella programmazione artistica o magari organizzare eventi. Sono felice di poter contribuire alla valorizzazione dei Murazzi: sono molto affezionato a quel luogo.

I nuovi locali sembrano avere uno stile molto raffinato rispetto ad un tempo.

Sì è così, anche se- essendo socio- non è stata una mia scelta decidere questo aspetto. In ogni caso il nuovo look è dato dal fatto che sono passati 12 anni ed è cambiato il mondo intanto e di conseguenza si è voluta dare un’altra impostazione.

Ti è molto caro questo posto della tua città. Ha inciso anche sulla tua musica?

Sì, come per tutti i ragazzi della mia generazione è stato un luogo di incontro ma anche di scoperta di tanta nuova musica. Era percepito come il centro della scena torinese ed era bello andare fuori da Torino e sentire che tutti conoscessero i Murazzi: un luogo di interesse musicale e non nell’immaginario collettivo italiano. Ci sono dei riferimenti nelle mie canzoni a questo posto perché ha fatto parte della mia vita e ci sono un cresciuto.

La vicinanza alla tua città è molto forte come si evince dalle tue canzoni. Inoltre capita di incontrarti in città e sei sempre rilassato e disponibile. Il successo non ha inciso sulle tue abitudini?

Non mi infastidisce che la gente mi fermi perché penso sia semplicemente una questione di educazione e di saper discernere il momento giusto. Lo reputo sempre un buon segno. In ogni caso non ho mai pensato di poter cambiare abitudini per fare questo lavoro: il successo basta non inseguirlo troppo e non arriva, ti permette di vivere una vita normale.

VALERIA ROMBOLA’

Movida, controllati 6 locali e 173 persone

Nel fine settimana hanno avuto luogo, come di consueto, i controlli congiunti della Polizia di Stato e delle altre forze di polizia – Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Municipale –  nelle aree cittadine interessate dal fenomeno della “movida”.

L’attività, iniziata alle ore 20 del sabato sera, si è concentrata in aree maggiormente interessate dall’afflusso di persone: Piazza Vittorio Veneto, Piazza Santa Giulia, via Vanchiglia, via Mattero Pescatore, via Berthollet, via Saluzzo, via Belfiore e via Galliari.

Complessivamente, sono state controllate 173 persone e 6 locali pubblici, questi ultimi ubicati nei quartieri Vanchiglia e San Salvario. A uno di questi esercizi, un kebab pizza di via Vanchiglia, è stata contestata la violazione del regolamento d’igiene.

A fronte di una segnalazione di disturbo della quiete pubblica, i controlli sono stati estesi in via Reggio con il monitoraggio dell’area all’incrocio con via Pisa.

I servizi di polizia nelle aree sopra menzionate continueranno con cadenza regolare.

Condove: i volontari risistemano il mercato coperto

Solidarietà impegno e dedizione al prossimo sono la forza delle nostre associazioni, anche a Condove. Qui, in vista del ricchissimo calendario di eventi estivi,  Fidas e Umc hanno rinfrescato l’aspetto del mercato coperto di Piazza Primo Maggio. Il Comune: “ai super volontari, un enorme grazie da parte dell’amministrazione comunale”.