Di Gian Giacomo Della Porta / Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura nel 1959, e considerato uno dei più grandi poeti italiani del Ventesimo secolo, nacque a Modica nel 1901 e morì a Napoli nel 1968.
Oltre che per l’opera poetica, Salvatore Quasimodo è riconosciuto come uno tra i più importanti traduttori dei lirici greci e di opere teatrali di Moliere e di Shakespeare.
La fase creativa più importante della sua opera poetica si esprime all’inizio degli anni Trenta con le raccolte “Acque e terre”, “Oboe sommerso” e “Ed è subito sera”, nelle quali sono evocati i ricordi di una Sicilia che nel suo cuore avverte sempre più lontana a causa del periodo post industriale.
Tratta dalla sua prima opera vi è una delle sue poesie più celebri intitolata “Vento a Tindari”, nella quale trasmette tutta la propria angoscia esistenziale per la sua terra natale, la Sicilia, che diventa il simbolo di una spensieratezza perduta insieme ai sogni dell’infanzia.
La Sicilia rimane un tema centrale nell’opera di Quasimodo, caratteristica che si riscontra in molti importanti autori nativi di questa terra. Anche nella seconda importante opera intitolata “Oboe sommerso”, in cui raggiunge la piena maturità della sua voce poetica, riscontriamo una Sicilia identificata come terra depositaria della cultura greca. Da lì a poco sarebbe uscita la sua celebre traduzione dei lirici greci.
In quest’opera l’inquietudine del poeta si trasforma paradossalmente in una pace interiore affidata al rapporto tra il poeta stesso e la divinità.
Quasimodo, autore di uno dei testi più conosciuti in poesia dal titolo “Ed è subito sera”, concentra in questa lirica i temi a lui più cari a livello esistenziale, quali la solitudine come conseguenza dell’incomunicabilità e il senso della precarietà della vita.
Considerato un poeta appartenente alla corrente ermetica, possiamo affermare che, attraverso l’utilizzo di stili e temi differenti Quasimodo non sia del tutto inquadrabile nel contesto dell’ermetismo, nel quale rientra a pieno titolo soltanto in una delle sue fasi poetiche.
VENTO A TINDARI
Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sulle acque
delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
ove ogni giorno affondo
e segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.
ED È SUBITO SERA
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.