ilTorinese

Da sabato 14 gennaio “livello arancione” per le limitazioni al traffico

Da sabato 14 gennaio, e fino a lunedì 16 gennaio 2023 compreso (prossimo giorno di controllo), le misure di limitazione del traffico passeranno al livello 1 (arancio).

I dati previsionali forniti  da Arpa Piemonte evidenziano infatti il superamento del valore di 50 mcg/mc di concentrazione media giornaliera di PM10 nell’aria per tre giorni consecutivi.

Alle limitazioni strutturali in vigore, per il trasporto persone si aggiungerà il blocco dei veicoli diesel con omologazione Euro 5 valido tutti i giorni (festivi compresi) dalle ore 8 alle 19, mentre il blocco dei veicoli diesel Euro 3 e Euro 4 verrà esteso alle giornate di sabato e domenica, sempre dalle ore 8 alle 19.

Per i veicoli adibiti al trasporto merci si bloccheranno anche i diesel con omologazione Euro 3 ed Euro 4, tutti i giorni (festivi compresi) dalle ore 8 alle 19.

Si ricorda che con l’attivazione del livello arancio si fermeranno anche tutti i veicoli dotati di dispositivo “Move In”.

Eventuali variazioni del semaforo antismog in vigore, con le relative misure di limitazione del traffico, vengono comunicate il lunedì, mercoledì e venerdì, giorni di controllo sui dati previsionali di PM10, ed entrano in vigore il giorno successivo.

L’elenco completo delle misure antismog a tutela della salute, delle deroghe e del percorsi stradali esclusi sono disponibili alla pagina www.comune.torino.it/emergenzaambientale

Accossato (LUV): “Gli studenti non devono rischiare la vita per formarsi”

Sicurezza sul lavoro

“Gli incidenti e le morti sul lavoro si possono contrastare con l’impegno concreto della Regione Piemonte” spiega la Presidente del Gruppo Consiliare regionale Liberi Uguali Verdi Silvana Accossato dopo l’audizione in terza commissione dell’INAIL, Ispettorato del Lavoro e degli SPRESAL di quasi tutte le Asl regionali.

“Il tema della carenza di personale, medico e tecnico, è presente in quasi tutti gli SPRESAL, con difficoltà a reperire addetti e quando reclutati a mantenerli in servizio” – prosegue Accossato evidenziando come “sia evidente che la carenza di organici e il continuo turn over non consentono un’adeguata programmazione delle azioni di controllo e soprattutto fanno passare in secondo piano le attività di prevenzione che sarebbero invece primarie”.

Durante l’audizione i responsabili dei servizi presenti hanno rappresentato il quadro di un sistema molto complesso, che, anche in virtù della legge 215/21 sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, sta cercando di attivare gli organismi di coordinamento a livello provinciale e regionale previsti e indispensabili, ma non ancora a pieno regime.

La carenza di personale sembra inserirsi nella più generale e drammatica fuga del personale medico dal sistema pubblico, sempre meno attraente e competitivo. Una questione di vitale importanza se si vogliono applicare e far funzionare leggi importanti come il Testo Unico sulla sicurezza.

Altro tema sollevato quello della formazione universitaria dei tecnici addetti alla sicurezza. In Piemonte esiste un solo corso di laurea, presso l’università di Torino: pochi i laureati e poco interessati a scegliere sedi di lavoro in altre provincie. Viene richiesta l’attivazione di un secondo corso di laurea nel Piemonte orientale.

“In questo senso la Regione dovrebbe farsi promotrice di questa richiesta, così come far ripartire la formazione in servizio degli addetti” – sottolinea ancora la capogruppo di LUV evidenziando infine come vada controllata con particolare attenzione anche la situazione dell’alternanza scuola lavoro dove ci sono alcune esperienze locali di collaborazione tra SPRESAL e singoli istituti scolastici, interessanti e probabilmente replicabili.

“Non esistono però protocolli specifici, che vedano coinvolto l’ufficio scolastico regionale, nè, sembra di capire, indirizzi della Regione Piemonte mirati a questo ambito di prevenzione e controllo, la cui esigenza diventa indifferibile perché gli studenti non devono rischiare la loro salute e la loro vita per formarsi. Una lacuna da colmare prima possibile!” conclude Accossato.

Silvana Accossato

Capogruppo Liberi Uguali Verdi

Consiglio regionale del Piemonte

Criptovalute: rischio furti e truffe

L’ultimo crack riguardante le cosiddette criptovalute è il fallimento della “piattaforma” Ftx, che rischia di mandare in fumo oltre 30 miliardi di dollari versati fiduciosamente da oltre un milione di investitori che hanno acquistato il “token” FTT emesso dalla società.

 

La notizia riapre drammaticamente il tema dei rischi connessi alle criptovalute, un mondo parallelo in cui ormai pullulano oltre 9.500 diverse monete virtuali, alcune note in tutto il mondo (Bitcoin, Ethereum, Shiba, Dogecoin) altre assolutamente sconosciute alla disperata ricerca di un po’ di notorietà.
Elemento comune a tutte è il fatto di essere emesse e di circolare in assoluta libertà, senza alcun collegamento a Stati, ad economie nazionali, a valori reali: sono “progetti informatici” che promettono mirabilie, in certi casi hanno una (limitata) utilità ma generalmente rappresentano solo una flebile speranza di diventare ricchi in poco tempo grazie alla crescita del loro prezzo.
I sostenitori della “libertà di emissione” sbandierano i fantasmagorici risultati del bitcoin (il primo esempio al mondo di valuta decentrata), passato da 7 millesimi di dollaro del 2009 a 68.000 dollari del novembre 2021 (una performance impossibile da esprimere in percentuale).
Ma a fronte di queste mirabilie si contrrappongono numerosi episodi drammatici, non solo per i tracolli che già in tre/quattro occasioni hanno provocato perdite ingenti agli speculatori/investitori (negli ultimi dodici mesi Bitcoin ed Ethereum, i due giganti delle criptovalute, hanno generato perdite per oltre 700 miliardi di dollari!), ma anche per crack dovuti a vere e proprie truffe o malversazioni realizzate da operatori privi di scrupoli.
Facciamo una rapida carrellata degli avvenimenti più significativi.
I primi incidenti iniziarono già nel 2011: due fra le maggiori piattaforme operative dell’epoca, Bitcoinica e Tradehill, furono attaccate da un gruppo di hacker, che svuotarono molti conti depositi dei clienti.
Nello stesso anno fu attaccata Mt. Gox, (piattaforma di negoziazione giapponese, una delle più grandi del mondo, arrivata a gestire il 70% delle criptovalute in circolazione), che però riuscì in parte a respingere il tentativo di furti. Ma nel 2014 la piattaforma ebbe un tracollo irrefrenabile che portò al fallimento. Un gruppo criminale sottrasse 850.000 bitcoin (circa 480 milioni di dollari ai tempi).
Nel 2018 è stata la volta di Bitgrail, una società italiana che usava un sistema complicato per investire in bitcoin: obbligava i clienti a passare attraverso una criptovaluta creata appositamente, il Nano Xrb. La società ha denunciato ammanchi per 17 milioni di Nano (pari, in base ai versamenti ricevuti dalla società, a 120 milioni di euro, fiduciosamente investiti da 230.000 risparmiatori), ed è stata dichiarata fallita. E’ in corso un processo per frode informatica, auto-riciclaggio, bancarotta fraudolenta, esercizio abusivo dell’attività bancaria.
Nello stesso anno l’austriaca Cointed GmbH (specializzata in transazioni per centinaia di milioni di euro gestendo l’estrazione di criptovalute in Austria e nell’Europa orientale) è stata dichiarata fallita per frode. I clienti hanno perso tutto.
Altro caso recente è quello della turca Thodex, fondata nel 2017, che ha improvvisamente chiuso il sito. Il proprietario Faruk Fatih Ozer è sparito nel nulla provocando l’integrale perdita dei depositi dei 400.000 clienti (controvalore oltre 2 miliardi di dollari).
In Canada la Voyager ha provocato perdite ingenti ai suoi clienti-depositanti investendo in un hedge fund Three Arrows Capital, specializzato in speculazioni su criptovalute.
Segnaliamo anche la notizia dello scandalo Africrypt (piattaforma exchange) una truffa con furto di criptovalute di oltre 2 miliardi di dollari di bitcoin in Sudafrica. Due giovani proprietari di una piattaforma di trading hanno prima intascato “soldi veri” per vendere criptovalute e poi, procedendo mediante servizi di “bitcoin mixing” (piattaforme software borderline in termini di legalità) hanno vaporizzato le criptomonete detenute dagli stessi clienti sulla loro piattaforma facendolo sembrare un attacco hacker. Attualmente sono irreperibili e le indagini in corso.
Il caso Celsius è emblematico della varietà di rischi legati alle criptovalute. Si trattava di una piattaforma che raccoglieva valute legali ed erogava prestiti in criptovalute. All’improvviso ha “congelato” i prelievi degli investitori a giugno e poi ha presentato istanza di fallimento a luglio.
Il “buco” è di circa 4,7 miliardi di dollari. Cavallo di battaglia della società il “Celsius Custody Service”, un prodotto reso disponibile nell’aprile 2022, descritto come “l’hub centrale per le attività digitali”, una sorta di deposito di denaro parcheggiato in attesa di essere spostato su opportunità più interessanti – il programma “Earn” – che prometteva attraenti rendimenti.
Nessuno ha letto la clausola di utilizzo della piattaforma: “Una volta che le criptovalute vengono trasferite a Celsius, la società ha il titolo di proprietà e la completa autorità di utilizzare gli asset come ritiene opportuno”.
Segnaliamo anche l’ultimo (per ora) caso di truffa in Italia, quello esploso a Silea (provincia di Treviso), dove aveva sede la NFT (New Financial Technology, l’inglese attira sempre…), emanazione di una società con sede a Londra, i cui titolari sono spariti dopo aver raccolto centinaia di milioni di euro da oltre 6.000 risparmiatori. Possibilità di ricuperare i soldi: nessuna, meglio non farsi illusioni. La sede italiana è una semplice succursale, eventuali reclami vanno indirizzati a Londra, eventuali cause legali vanno avviate nel Regno Unito, impossibile anche ipotizzare una class action collettiva. E’ un caso da manuale per la commistione fra l’appeal delle criptovalute che la società sosteneva di negoziare con algoritmi particolarmente efficienti (che garantivano il 10% mensile di profitto!) ed il vecchio sistema piramidale “alla Ponzi”. Molti clienti, infatti erano remunerati per portare nuovi investitori, grazie ai quali potevano essere pagati i mirabolanti profitti; ovviamente, finché entravano dei nuovi, poi quando il flusso è diminuito è scattato, come sempre, il meccanismo della sospensione dei pagamenti e della chiusura del sito.
Emblematico il caso Terra/Luna, un progetto basato sulla commistione tra una criptovaluta “a cambio fisso” (una “stablecoin” che garantiva la parità con il dollaro) ed un’altra a quotazione fluttuante. Purtroppo chi ha fiduciosamente versato i suoi dollari per acquistare la “stablecoin” si è trovato all’improvviso invischiato nel tracollo della valuta fluttuante, azzeratasi di valore in pochi giorni.
Inseriamo il link a questa interessantissima documentazione internazionale sulle frodi in ambito criptocrimine.
https://go.chainalysis.com/rs/503-FAP-74/images/Chainalysis-Crypto-Crime-2021.pdf

Purtroppo il mondo cripto è fuori da ogni regolamentazione, da ogni controllo, da ogni garanzia. I sistemi di protezione dei portafogli in criptovalute depositati presso le piattaforme operative sono efficaci, ma non è possibile escludere a priori l’eventualità di un furto ad opera di hacker particolarmente attrezzati. E l’assenza di autorità di vigilanza (che i sostenitori delle criptovalute evidenziano come fattore positivo…) espone chi si avventura nelle monete virtuali a perdite irricuperabili.

Consiglio finale: prima di ipotizzare di comprare bitcoin e simili, cercate di capirne la natura vera, al di là di slogan e di rappresentazioni puramente grafiche. Chi vuole può leggere il mio libro PINOCCHIOCOIN, che illustra, in maniera semplice e chiara, il variegato mondo cripto, fornendo anche numerosi suggerimenti delle cautele da adottare per contenere i rischi.

 

 

GIANLUIGI DE MARCHI
demarketing2008@libero.it

 

Una gelida Hedda Gabler verso il colpo di pistola finale

Il nuovo, intelligente sguardo di Kristza Székely sul testo di Henrik Ibsen

Kristza Székely è nata a Budapest e ha quest’anno superato energicamente i quarant’anni, nei suoi ricordi c’è un diploma come ballerina classica, oggi continua a dimostrarsi uno dei nomi di punta della drammaturgia europea, celebra le proprie incursioni nel mondo della prosa (Fassbinder, Ibsen, Brecht) e della lirica (Saint-Saëns, Offenbach), le vengono riconosciuti premi importanti, è stata eletta Presidente dell’Associazione dei registi ungheresi. Lo Stabile torinese, all’insegna di una ventata europea che richiama l’applauso, l’ha eletta “artista associata”, l’abbiamo tre anni fa vista all’opera con uno “Zio Vania” e l’attendiamo (al Carignano dal 7 marzo) con lo shakespeariano “Riccardo III”.

Smonta e ricompone (dramaturg è Ármin Szabó-Székely), in chiave contemporanea certi titoloni, certe pietre angolari della classicità, inerpicandosi su per sentieri che metterebbero i brividi a qualunque collega. “Ardita”, l’avevo definita all’indomani del precedente spettacolo. E ardita è rimasta. Un salire verso l’alto che in altra occasione non mi era parso convincente, su quello “Zio Vania”, snaturato nella sua originale scrittura, nelle intromissioni e nelle esasperazioni costruite strada facendo, nella perdita di quel male di vivere che faceva posto a temi troppo legati all’oggi come il riscaldamento globale e il depauperamento delle coste, avevo espresso tutti i miei dubbi. Voleva dire andare troppo al di là delle intenzioni dell’autore per costruire pressoché appieno una visione tutta propria, voleva dire sgomitare per dare spazio al più che superfluo.

Prendendo tra le mani oggi un testo come “Hedda Gabler”, che Ibsen scrisse nel 1890 e che lo Stabile Torinese coproduce con il Katona Jòzsef Szìnhàz, l’acutezza dello sguardo della regista gettato sulla società che circonda i personaggi, in special modo quelli femminili, chiusi e stretti entro le convenzioni più soffocanti, porta ad un raggiungimento “civile” della sua messinscena, analizza, coinvolge nell’attualizzazione, sa vanificare sicurezza e arrivismo.

Soprattutto non sposta di un millimetro la Hedda che Ibsen ha costruito, il gelo che la attraversa, la noia quotidiana verso un matrimonio male sopportato, la freddezza dei rapporti con amici e famigliari, la difesa di uno status che la pubblicazione del libro del consorte Jörgen, devoto ma mediocre, e del suo incarico universitario confermerebbero, il campo di annientamento e di autodistruzione che invade la protagonista, l’intelligenza fredda e calcolatrice che la accompagna sino a quel colpo di pistola finale. Non è più un mescolare le carte, l’oggi viene visto e accettato per una giusta ragione d’essere. Un modo di essere che s’è spostato in linea retta da un panorama di cento e trent’anni fa. Non importa assolutamente nulla se gli eleganti salotti dell’epoca vengono sostituiti da un grigio divano usato e abusato e le azioni degli attori sono inquadrate in anonime pareti di legno, non importa se le lampade a petrolio lasciano il posto ad applique di poco prezzo, se le toilette ricercate e ostentate sono cambiate con gonne da casa e semplici sottovesti, se la stufa in ceramica che inghiotte e distrugge il manoscritto dell’antico amore Løvborg oggi ha il pregio assai inferiore di un onesto trita carta. Non più il “tranquillo” castello di menzogne e confessioni e rigidità di alcune vecchie edizioni, ma qui tutto è frenesia, chiacchiere e chiacchiericcio velocissimi, ardui sfrigolii come quelli che suddividono l’adattamento del testo in vari capitoli, a distruzione della partitura musicale senza inciampi che tutti vorremmo, tutto assume quasi un taglio cinematografico, in precise sequenze, in scatti nervosi, in balletti tarantolati, in frasi rotte dentro un microfono, in un assurdo che è lo specchio preciso del nostro quotidiano.

Le intenzioni e il disegno di Székely sono questa volta esatti, suggestivi, fisicamente accettati, solidi, viscerali, nettissimi. Senza sbavature, vanno dritti a quel colpo di pistola con cui la protagonista rinuncia ad una vita senza futuro. Una Hedda che è una splendida (e per noi, ahimè, sconosciuta e vorremmo rivedere in altre prove) Adél Jordan, secca, vibrante, ai limiti sempre del rovescio isterico e immediatamente pronta a rimettersi in linea con quelli che la circondano; accanto a lei un autorevole, perfetto Béla Mészàros che è Løvborg e gli altri compagni che hanno definito il grande, più che tangibile (il pubblico che al termine non si stancava d’applaudire) successo della serata. Ultime repliche – la lingua cecoslovacca non spaventi, dei precisi soprattitoli tranquillizzano lo spettatore – sabato 14 alle ore 19,30 e domenica 15 alle ore 15,30. Uno spettacolo intelligente da non perdere.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Judit Horvath

Violenza in carcere: rotto setto nasale a un agente

Riceviamo dal sindacato SAPPE e pubblichiamo


Prosegue inarrestabile la spirale di violenza nelle carceri italiane, dove non passa giorno in cui non si registrino da un lato gli episodi violenti ed eventi critici e dall’altro le richieste di urgenti provvedimenti da parte dei rappresentati sindacali SAPPE dei poliziotti penitenziari.

 

L’ultimo grave evento è accaduto, come riporta il segretario regionale per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Vicente Santilli, nella Casa circondariale di Biella: “Continuano le aggressioni da parte dei detenuti nei confronti della Polizia Penitenziaria in Piemonte. Questa volta è il personale in servizio a Biella ad aver vissuto una mattinata da incubo. Un detenuto straniero, già recidivo per atti di violenza, non voleva rientrare in cella dopo avere effettuato la doccia ed ha colpito, proditoriamente ed improvvisamente, il poliziotto penitenziario che lo invitava appunto a rientrare chiedendogli le ragioni del rifiuto. L’Assistente Capo Coordinatore, che era addetto alla Sorveglianza Generale dell’Istituto, ha subìto la rottura del setto nasale e 30 giorni di prognosi. Queste sono situazioni che destabilizzano l’ordine, la sicurezza e la serenità del personale operante. Pertanto, considerato quanto previsto dal protocollo in vigore, si rende indispensabile disporre il trasferimento degli aggressori in altro istituto penitenziario”.

Santilli evidenzia ancora che “le carceri del Piemonte stanno vivendo ormai da tempo momenti di grande difficoltà nella gestione dei detenuti. Sono continue le aggressioni al Personale che si verificano senza che vi sia un intervento da parte degli organi superiori. La gestione e movimentazione dei detenuti protagonisti di aggressioni ci lascia alquanto perplessi, in quanto non sempre vengono applicate repentinamente le normative ministeriale che prevedono il trasferimento immediato del detenuto che che si rende protagonista di aggressioni nei confronti del personale”.

Donato Capece, segretario generale del SAPPE esprime vicinanza e solidarietà ai poliziotti di Biella ed evidenzia come e quanto sia importante e urgente prevedere un nuovo modello custodiale. “Le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria non possono continuare ad essere aggrediti o a trovarsi costantemente in situazioni di alta tensione senza che il Ministero della Giustizia ed il DAP adottino provvedimenti urgenti. Siamo al collasso! Serve una stretta normativa che argini la violenza dei pochi, anche a tutela degli altri detenuti e delle altre detenute. Il personale di Polizia Penitenziaria è stremato dai logoranti ritmi di lavoro a causa delle violente e continue aggressioni. Fino a quando i vertici del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria pensano di continuare a restare a guardare questi gravi fatti con apatia ed indifferenza? Fino a quando assisteranno a questo sfascio dell’ordine e della sicurezza interna provocato dal lassismo di decisione assurde e illogiche, come la vigilanza dinamica e soprattutto l’assenza di adeguati provvedimenti disciplinare e penali per chi aggredisce gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria?”.

Servono allora più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”, conclude il leader del SAPPE. “I decreti svuota-carceri, che più di qualcuno continua ad invocare ad ogni piè sospinto, non servono: serve piuttosto una riforma strutturale dell’esecuzione, serve il taser per potersi difendersi dai detenuti violenti e la dotazione di body-cam al personale”.

Basaglia, che hai fatto?

La legge Basaglia è conosciuta da tutti come la legge che ha, di fatto, chiuso i manicomi.

Decisione ammirevole, considerando cosa fossero quelle strutture in cui molti hanno passato la maggior parte della propria vita.

Verso la fine degli anni ’70, complice un periodo di enormi cambiamenti sociali (pensiamo solo agli scioperi studenteschi, alla marcia dei quarantamila a Torino, al terrorismo) questa legge fu il cambiamento necessario per modificare la vigente legislazione che riteneva i “matti” dei pazienti da togliere dalla società, e da curare con metodologie sicuramente discutibili (elettrochock) e spesso più dannose della patologia da curare.

La legge 180 del 1978, appunto la legge Basaglia, mise fine a queste strutture; restano famosi il manicomio di Collegno (si pensi al caso Bruneri-Canella ed alla sua trasposizione cinematografica ne “Lo smemorato di Collegno” con Totò) o a quello di via Giulio a Torino.

La legge 180, tuttavia, introdusse l’istituto del TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio che, in deroga a quanto prevede l’art. 32, 2° comma, della Costituzione Italiana che recita “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”, consente il ricovero coatto.

Ecco, se analizziamo il TSO, la sua utilità e l’ultima parte dell’art. 32 ci accorgiamo che spesso il TSO non solo è perfettamente inutile ma, addirittura, può recare danni a chi ne sia sottoposto.

In pratica il paziente che manifesti un comportamento pericoloso per sé e per gli altri, o che rifiuti le cure (per esempio malattia infettiva) viene prelevato dove si trova (abitazione, luogo pubblico) e ricoverato per sette giorni, rinnovabili. I TSO possono essere disposti per qualsiasi motivo di natura sanitaria, sebbene la quasi totalità riguardi patologie psichiatriche.

In pratica, è necessario che due medici, dei quali uno dell’ASL competente, propongano il Trattamento ed il Sindaco del luogo emetta il provvedimento; entro 48 ore il Giudice tutelare dovrà poi convalidare il provvedimento.

Su alcuni punti molte associazioni si stanno muovendo per una riforma sostanziale.

Il primo punto sul quale si sta lavorando per ottenerne una riforma è che contro il decreto del Giudice in Tribunale non è ammesso contraddittorio né il soggetto interessato è ammesso a partecipare.

Ha molte più tutele, ad esempio, chi venga arrestato per un reato, anche colto in flagranza, di chi sia sottoposto ad un TSO pur essendo lucido e collaborativo.

Si tratta, comunque, di una limitazione temporanea della libertà individuale e con essa di autodeterminazione di un individuo.

Proprio a Torino si è verificato un delitto connesso all’esecuzione di un TSO: nel 2015 Andrea Soldi, affetto da schizofrenia, siede su una panchina in piazza Umbria. Da mesi ha sospeso le cure, in quel momento si trova su quella panchina perché è il posto dove si sente a suo agio quando le crisi si manifestano, quando i pensieri diventano prepotenti. Quel giorno Andrea viene raggiunto dal suo psichiatra e da alcuni vigili urbani, provano a farlo salire su un’ambulanza per sottoporlo ad un TSO ma Andrea si rifiuta.

In quattro lo immobilizzano ammanettandolo; sull’ambulanza viene trasportato a pancia in giù e questo gli crea una crisi respiratoria. Andrea muore poco dopo l’arrivo in ospedale.

A stabilire il nesso di causa-effetto tra la costrizione subita e la morte è stata l’autopsia disposta dalla Procura di Torino. I quattro imputati, accusati di omicidio colposo, sono stati condannati a un anno e sei mesi di reclusione e le condanne sono state confermate in Cassazione.

Ora sorge spontanea una domanda: perché una persona, affetta da schizofrenia e quindi sicuramente bisognosa di cure continue e pericolosa per sé e, forse, per gli altri, era libera di girare ed anche di rischiare la vita in giro per la città? Non sarebbe opportuno, prima di giungere al Trattamento Obbligatorio, creare le condizioni perché un soggetto sia accudito, protetto e, possibilmente, curato?

Non tutte le famiglie possono prendersi cura di un loro congiunto, sia per incapacità tecnica, sia per mancanza di tempo; perché lo Stato, attraverso le Regioni che gestiscono la sanità e le Prefetture che sono l’emanazione del Governo presso un capoluogo, non provvedono a censire i soggetti che necessitino di cure al fine di adottare provvedimenti realmente adeguati?

Così come stanno aumentando di numero le RSA (molti anziani non hanno nessuno che possa prendersi cura di loro), perché non prevedere RSO (Residenze Sanitarie Obbligatorie) che nulla abbiano in comune con i lager raccontati da Alda Merini, ma che realmente si prendano cura dei nostri cari, affetti da problemi che richiedono interventi certi e, ove possibile, risolutivi?

Dove i residenti non vengano legati ai termosifoni o lavati sotto docce gelate, ma curati secondo i progressi della medicina.

Sergio Motta

Il mecenatismo di Riccardo Gualino, il grande appassionato d’arte

Il nuovo riordino, nei Musei Reali, con il contributo della Consulta

Quando nel 2014 la Galleria Sabauda lasciò il piano superiore dell’attuale Egizio per trovar posto nella Manica Nuova di Palazzo Reale, la Collezione Gualino fu relegata al terzo piano, uno direbbe quasi nascosta, inavvicinabile. Nella nuova configurazione dell’intero Palazzo, in un alternarsi di indovinate scenografie, dalle sale in cui sono riproposte le opere dedicate alla pittura rinascimentale piemontese a quelle a piano terreno, dal febbraio di quest’anno, dedicate alla Galleria Archeologica (senza dimenticare, nell’interezza del complesso, i Giardini Reali e la Cappella della Sindone, il riordinamento avanzerà e chissà se si concluderà l’anno prossimo con la raccolta del principe Eugenio, che occuperà le sale del secondo piano poste verso il corso Regina Margherita), la collezione dell’illuminato industriale e mecenate ha preso oggi forma, nell’allestimento dell’architetto torinese Loredana Iacopino (una tranquillizzante pennellata verde salvia alle pareti, un elencarsi di angolature e di piccoli spazi, un disegno prospettico che dal lungo corridoio s’allunga sino a spingerci a portare il nostro occhio verso le chiome e le forme sinuose e il pudore della “Venere”, capolavoro dell’arte botticelliana, vera regina di quelle sale), 120 opere a ricordarci l’amore per l’arte, rivolto in più direzioni, dell’uomo. Con l’investimento da parte della Consulta – da 35 anni alla valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, 38 oggi le aziende socie, una stretta collaborazione iniziata con i Musei Reali nel 1998 con la realizzazione della Sala Leonardo presso la Biblioteca Reale – di 80 mila euro, si allineano altresì le opere del collezionismo sabaudo settecentesco, grande organizzatore Filippo Juvarra, sette ambienti con i nomi di Francesco Solimena e Sebastiano Ricci, di Gaspar van Wittel e Charles-André van Loo, per arrivare alle due splendide vedute di Bernardo Bellotto, di cui ammiriamo oggi la “Veduta di Torino dal lato del giardino reale”, essendo il suo pendant, ovvero la “Veduta dell’antico ponte sul Po a Torino”, attualmente in prestito temporaneo al Castello Reale di Varsavia per la mostra “Bernardo Bellotto. On the 300th Anniversary of the Painter’s birthday”.

In un riordino che guarda essenzialmente “alla più ampia accessibilità dei contenuti e delle grandi storie racchiuse nel patrimonio ella Sabauda”, ancora sottolinea Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali: “Per Gualino, la vita e le passioni di un fine collezionista si intrecciano ad una storia della produzione artistica che va dall’antico Egitto all’Ottocento, abbracciando pittura, scultura e arti decorative. Un percorso che meritava di essere sorretto da un allestimento nuovo e adeguato, sia in termini di articolazione di spazi e di luci, sia per i supporti esplicativi.” Soprattutto al lavoro e al gusto di Annamaria Bava, responsabile delle Collezioni d’Arte e di Archeologia dei Musei Reali, va la sensibile sistemazione del materiale pittorico e scultoreo: “A seguito dei recenti studi ad ampio raggio condotti sulla figura del finanziere piemontese in occasione della mostra “I mondi di Riccardo Gualino collezionista e imprenditore”, allestita nelle sala Chiablese nel 2019, risultava ormai imprescindibile restituire anche una giusta dimensione alla straordinaria raccolta di un personaggio che, in primis nel mondo dell’arte e dell’industria, ma anche in tanti altri campi, ha segnato la storia della città di Torino all’inizio del Novecento.”

In una prima sala multimediale ha inizio il racconto dell’imprenditore, grande protagonista della storia artistica e non soltanto del Novecento. Sete di conoscenza e fittissima rete di conoscenze, spirito cosmopolita e desiderio d’affermazione, Gualino coltivò nell’arte una delle sue più prepotenti passioni, lui proveniente da una agiata famiglia biellese – era nato nella città del tessile nel 1879, si spense a Firenze nel giugno del 1964 – di imprenditori orafi, capace di interessarsi nel corso della propria vita, nel campo lavorativo, al commercio di materiale edile, di entrare in rapporto con la famiglia Perrone dell’Ansaldo e e con quella dei Piaggio, di dar vita all’Unione Italiana Cementi, di acquistare 23.000 ettari di foresta nei Carpazi meridionali, nel cuore della Transilvania, per costruire un grande e moderno stabilimento per la lavorazione del legname, con annessi case, ospedale e mensa per gli operai, di immergersi nella costruzione dei nuovi quartieri residenziali parigini come fornitore eccellente di cemento e laterizi, di buttarsi a capofitto nel progetto immobiliare promosso dalla Duma a San Pietroburgo, a partire dal 1913. Progetto che la Rivoluzione d’Ottobre cancellò, costringendo Gualino e la moglie Cesarina Gurgo Salice, sposata nel settembre del 1907, ad una fuga improvvisa quanto avventurosa. Furono poi i tempi della SNIA, l’acquisizione di quote della Renault e della Peugeot, della fondazione della Banca Agricola Italiana, della costruzione del castello di Cereseto, progettato dall’ingegner Tornielli e presto pronto a ospitare i molti reperti archeologici e le opere d’arte che la coppia andava acquistando nel propri viaggi in giro per il mondo (ma anche la casa torinese di via Galliari aveva lo stesso fine: si veda il raro piatto cartaginese del VI secolo e il gruppo scultoreo egizio della IV dinastia, acquistati con altri cento pezzi nel 1924 durante un viaggio in Egitto, visitando la galleria del celebre Maurice Nahman al Cairo), e poi una zampata nel cioccolato torinese e nei teatri della Ville Lumière. Arrivò persino a fondare la Société Anonyme des Cafés et Restaurants che deteneva la proprietà di alcuni tra i più famosi bistrots parigini. Poi un occhio alla Florio e uno alla Cinzano. E ancora il Teatro di Torino dei Ballets Russes e del teatro kabuki (numi tutelari Felice Casorati e Gigi Chessa), il tracollo e il confino a Lipari, visti i rapporti sempre meno allineati con il fascismo, il trasferimento a Roma e la nascita cinematografica, nel 1935, della Lux Film, apprendistato per le future imprese di Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, etichetta tra i tanti titoli delle “Miserie di Monsù Travet” e di “Anna” e di “Riso amaro”, di “Senso” e del “Brigante di Tacca del Lupo” e dei “Soliti ignoti”. E molto altro ancora.

La collezione, costruita passo dopo passo con i consigli di Lionello Venturi (un’amicizia che risaliva al 1918) e di Bernard Berenson, e dello storico dell’arte finlandese Osvald Sirén per quanto riguardava le acquisizioni di arte orientale, ceduta nel ’31 per volontà dello Stato alla Sabauda, si potrebbe aprire con quell’idea di “casa museo” che a Cereseto aveva il proprio autentico specchio. Case museo come Poldi Pezzoli e Bagatti Valsecchi a Milano, come Frederick Stibbert a Firenze. Oggetti in dialogo tra loro, abbinamenti che raffiguravano il gusto personale del proprietario: qui la “Madonna con il Bambino” di Andrea di Giusto Manzini, collaboratore di Masaccio, un altare ad ante mobili, destinato forse a una cappella privata ed eseguito tra il 1440 e il 1450 e il “Cristo benedicente” di Antoniazzo Romano tra ori e mobili, piccole sculture e avori, non ultima bellezza il “Volto di donna” di Francesco Laurana, il grande Crocefisso ligneo affiancato dall’Addolorata (in una elegante e inusuale rappresentazione di tre quarti) e dal San Giovanni Evangelista di Paolo Veneziano.

Di particolare fascino “L’uomo col libro”, attribuito all’epoca dell’acquisto ad Antonello per poi essere dirottato su un anonimo “pittore veneto” della fine del XV secolo, ma non meno di felice fattura; la “Madonna in trono”, un tempo tra gli arredi dell’ambasciata italiana a Londra, definita semplicemente la “Madonna Gualino”, opera di Duccio da Boninsegna (1280 – 1285), tra l’autorità della Vergine e l’affetto del Bambino in cerca di conforto nell’abbraccio della madre, colta dall’appassionato ricercatore sul mercato veneziano. E ancora la “Natività” di Signorelli (confrontabile con gli affreschi eseguiti dal pittore all’interno dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, vicino Siena, intorno al 1497), il minuscolo “Venere e Marte” di Veronese, acquistato sul mercato americano, databile tra il 1575 e il 1580, con il simbolico Amore pronto a imbrigliare il cavallo alle spalle degli amanti e l’affascinante “Madonna con il Bambino” di Giovanni de’ Predis, stretto collaborazione di Leonardo.

Un angolo dei Musei Reali certamente da visitare, e approfondire, anche per la certezza che, grazie all’arrivo nei mesi scorsi di una ventina di giovani a presidiare il luogo, la Collezione non incorrerà più nel dubbio della possibile apertura o no: fattaccio che in passato troppo spesso succedeva proprio per la cronica mancanza di personale. Di una continua apertura assicura Enrica Pagella, “grazie a queste nuove risorse del museo, credo che questo problema sia ormai superato”.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Davide Bozzalla: la “Venere” botticelliana, vera star della Collezione Gualino; al fondo, “Madonna con il Bambino in trono e angeli” di Duccio da Boninsegna; in primo piano, “Ragazza che si affaccia alla finestra” attribuito alla scuola di Rembrandt (1650 – 1670) e sul fondo  “Venere e Marte” di Veronese; in primo piano, “Volto di donna marmoreo” di Francesco Laurana (1470 – 1480)

Assemblea Teatro ricorda Pitigrilli, padre del professor Furlan

Terzo appuntamento:  “Leggere è una cura” 

 

Assemblea Teatro presso la Biblioteca Pubblica San Luigi a Orbassano, nel complesso dell’Ospedale San Luigi Gonzaga, promuoverà giovedì 19 gennaio prossimo alle 16 il terzo appuntamento di “Leggere è una cura”, in occasione del primo anniversario della scomparsa del Professor Pier Maria Furlan. Si tratta di un omaggio attraverso le parole complesse di un personaggio impegnativo quale Pitigrilli, controverso e discusso autore torinese.

Per non dimenticare, anzi per celebrare questa ricorrenza, è nata la scelta di leggere pagine tratte dall’autore “Pitigrilli”, pseudonimo di Dino Segre, enfant terrible della letteratura italiana, dietro il quale si nascondeva il padre di Pier Maria Furlan.

Pitigrilli conobbe una notevole notorietà e successo nel Ventennio, piombando poi, con la caduta del fascismo, in cattività, per il sospetto di aver collaborato con l’Ovra, la polizia politica fascista.

Non trovando più editori disposti a pubblicarlo, avrebbe lasciato l’Italia per la Francia e poi per Buenos Aires. Convertitosi al cattolicesimo, ripudiò e impedì lui stesso la pubblicazione dei suoi primi cinque romanzi ritenuti immorali. Sarà Umberto Eco, anni dopo, pur non volendo scagionare Pitigrilli dalle accuse mossegli, ma in un’ottica di critica libera dalle sue presunte collusioni col Fascismo a riattribuire il giusto valore artistico alle sue opere, rivelando in lui uno scrittore gradevole, sapido, fulminante e, contro il giudizio corrente, anche “casto”.

Il Professor Furlan, nelle interviste rilasciate sull’argomento, ha sempre difeso l’opera, nella dignità del padre, e in questo appuntamento, Assemblea Teatro, sgombra da pregiudizi, si è avventurata nella lettura delle sue pagine. Le letture di Alberto Barbi avranno inizio alle ore 16:00, ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti.

Mara Martellotta

 

Per prenotazioni: bibliosanluigi@gmail.com

Tel: 0119026212

Morto operaio ferito sul lavoro nel cimitero

E’ morto all’ospedale di Novara l’operaio 62enne di origini albanesi, di Marano Ticino, rimasto ferito in un incidente sul lavoro nel cimitero di Castelletto Ticino in provincia di Novara. L’uomo lavorava per una azienda di Cameri, che gestisce i servizi cimiteriali a Castelletto e a Cameri. È caduto da una scala  mentre  lavorava alla manutenzione di un loculo.
NOTIZIE DAL PIEMONTE

Saltacoda, prenotazione online agli sportelli della polizia municipale di Torino

 IN VIA BOLOGNA

Dal 16 gennaio sarà possibile accedere agli sportelli del Comando di Polizia Locale di via Bologna 74 (Ufficio Procedure Sanzionatorie, Ufficio Rilascio Atti, Sportello del Cittadino) anche tramite un nuovo servizio di prenotazione online denominato SALTACODA.

Sarà sufficiente collegarsi all’apposito link di prenotazione presente sul sito della Polizia Locale http://www.comune.torino.it/vigiliurbani/ e selezionare il servizio a cui si intende accedere (procedure sanzionatorie, rilascio atti, sportello del cittadino).

Il sistema informatico proporrà all’utente le fasce orarie disponibili per il giorno selezionato e successivamente, per completare la prenotazione, si dovranno inserire nome, cognome, codice fiscale, numero di telefono e indirizzo di posta elettronica al quale verrà inoltrata la conferma dell’appuntamento da presentare allo sportello.

In fase di prenotazione, per ridurre i tempi di permanenza allo sportello e ottimizzare gli appuntamenti, l’utente dovrà indicare nel campo note, se richiesto, per quale tipo di pratica richiede l’appuntamento, soprattutto se si tratta di pratiche complesse (es. rottamazioni, ingiunzioni o ricorsi su più verbali).