Spesso la scelta ha semplicemente motivazioni di carattere estetico, rientrando in quei bias, o inganni della mente, che ci fanno fare scelte errate. Tra i quali il cosiddetto “effetto alone”, per cui ci facciamo fuorviare da una singola caratteristica positiva del possibile partner.
L’aspetto fisico, spesso e volentieri. Siamo così illusoriamente indotti a credere che ad essa di accompagni tutta una serie di altre caratteristiche positive… Che nel tempo si riveleranno inesistenti o non adeguate. Altre volte è la mancanza di autostima che ci può indurre a una scelta errata.
Inducendoci a preferire un partner dalle limitate qualità, poiché abbiamo paura di non essere “all’altezza” di una persona di maggiore spessore individuale o comunque con caratteristiche elevate sotto vari profili.
Molte volte ad indurci alla ricerca di un partner a tutti i costi è semplicemente il timore di rimanere soli. La paura della solitudine finisce con il renderci meno in grado di essere selettivi, e di rifiutare la vicinanza e la compagnia di persone che in fondo non ci piacciono.
Sono le nostre paure più profonde ad essere responsabili di molte scelte erronee nelle nostre relazioni affettive. Paure che determinano bisogni di cui non siamo più di tanto consapevoli. In ogni caso è fondamentale il tipo di relazione che abbiamo vissuto nell’infanzia.
Con le persone che si sono prese cura di noi nei primi anni della nostra vita, aspetto determinante per il nostro stile e la nostra modalità di attaccamento affettivo e per definire che tipo di partner sarà per noi più attraente.
Per una buona scelta del partner giocano un ruolo essenziale il rapporto che abbiamo con noi stessi e il nostro livello di autostima. Conoscere i nostri bisogni, le nostre emozioni, i nostri profondi “perché”, è dunque essenziale per non commettere errori imperdonabili…
(_Fine seconda e ultima parte_)
Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
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Rubrica su “Il Torinese”:
Ben oltre la metà del suo mandato a quasi tre anni dalla sua elezione, la Giunta di sinistra guidata da Lo Russo non è riuscita a rilanciare Torino e la metà della Città che sta male, secondo la famosa analisi dell’Arcicescovo Nosiglia, sta peggio. Lo ha ammesso lo stesso Sindaco che ha fatto autocritica e ha chiesto ai suoi Assessori di fare di più come sottolinea anche un giornalista competente ma tenero come Luigi la Spina. Lo Russo e il PD hanno anche la responsabilità di aver appoggiato in Europa la assurda decisione di puntare solo sull’auto elettrica . Quella decisione ha già avuto effetti negativi perché le Banche ovviamente si sono raffreddate con le aziende dell’indotto che avrebbero grandi difficoltà a trasformare le proprie lavorazioni.
Una passione narrata oggi, con saggia intelligenza, nelle sale del “Museomontagna” di Torino, in una rassegna (programmata fino a domenica 13 ottobreprossimo) con cui la struttura museale di Piazzale Monte dei Cappuccini inaugura insieme due importanti eventi: la celebrazione dei suoi primi 150 anni di vita e la “Giornata della Memoria”, in calendario, come ogni anno, il prossimo 27 gennaio. Il percorso espositivo (a cura di Guido Vaglio con Roberta Mori e sviluppato in collaborazione con il torinese “Centro Internazionale di Studi Primo Levi”) invita a scoprire il legame ancora poco conosciuto tra lo scrittore torinese e la montagna, nato negli anni dell’adolescenza e tragicamente legato al destino dello scrittore. Fu infatti in Valle d’Aosta, nel villaggio di Amay sul Col de Joux, che fu arrestato dalla milizia fascista, insieme ad altri due compagni della piccola banda di “Giustizia e Libertà”, nel dicembre del ’43, per essere trasferito, come ebreo e partigiano, nel Campo di Fossoli prima e successivamente ad Auschwitz, in Polonia. All’indomani dell’8 settembre 1943, l’espressione “andare in montagna” era infatti diventata sinonimo di una precisa scelta di campo, quella di aderire alla “lotta partigiana”. Sopravvissuto al lager (in quella perfetta tempesta di improbabile “casualità” raccontata nell’iconico “Se questo è un uomo”) e tornato a Torino nell’ottobre del ’45, sarà ancora una volta la montagna a favorire e a consolidare l’amicizia di Levi con altri due protagonisti del nostro Novecento: Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli, testimoniata in mostra dalla “pietra” con incisione della poesia“A Mario e a Nuto”, proveniente dalla “Fondazione Nuto Revelli” di Cuneo.
Esemplari anche le “Citazioni” di Levi che accompagnano in mostra il visitatore. Otto parole-chiave in cui si traduce perfettamente l’essenza dell’amore dello scrittore per la montagna che era e sarà sempre per lui: Natura, Materia, Letteratura, Trasgressione,Riscatto, Amicizia, Scelta e Liberazione. In un’unica espressione: la “carne dell’orso”, di cui parla nel bellissimo capitolo “Ferro” da “Il sistema periodico”, quale frase a lui rivolta dal grande amico di vita e di scalate, Sandro Delmastro, durante un rischioso bivacco in quota in pieno inverno. “Il peggio che ci possa capitare – così Sandro – è di assaggiare la carne dell’orso”. Quella carne, molti anni dopo, rimpianta da Levi “poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino”.


