Oltre 7000 presenze il 19 ottobre alla seconda edizione dell’Open Day Anpas, l’apertura al pubblico, in un’unica giornata, delle sedi delle Pubbliche Assistenze del Piemonte finalizzata a promuovere tra la cittadinanza il volontariato del soccorso sanitario e della protezione civile.
L’evento rientra nel programma delle celebrazioni per il 120° anniversario di fondazione dell’Anpas insieme alla partecipazione dei volontari e delle volontarie delle Pubbliche Assistenze al primo Raduno Regionale del Volontariato di Protezione Civile, svoltosi nel centro di Torino domenica 20 ottobre.
L’open day dell’Anpas ha coinvolto, in numerose attività, centinaia di bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie, insieme alle loro famiglie e ai tanti cittadini interessati al mondo del primo soccorso e del volontariato.
Durante la giornata è stato infatti possibile visitare le sedi delle associazioni e ricevere informazioni sui presidi e sulla strumentazione delle ambulanze e su come diventare volontari soccorritori. Una particolare attività proposta ha riguardato proprio l’esperienza di essere soccorritore per un’ora, diventando parte di un equipaggio di ambulanza in un intervento di soccorso sanitario simulato.
Tanti sono stati i corsi di primo soccorso gratuiti aperti a tutti, come la formazione sulle manovre salvavita, massaggio cardiaco e la disostruzione delle vie aeree in età pediatrica e su persona adulta, che hanno visto la partecipazione di numerosi genitori, e ancora corsi di primo soccorso in caso di incidenti domestici e sportivi, dimostrazioni sull’utilizzo del defibrillatore semiautomatico esterno, simulazioni di interventi di soccorso in emergenza e attività di prevenzione sull’abuso di alcol con percorsi sensoriali che simulavano lo stato di ebbrezza.
Le attività per le scolaresche hanno riguardato soprattutto la chiamata di soccorso, il Numero unico di emergenza 112 e Sistema 118, truccabimbi e ambulanza dei pupazzi per i più piccoli, dimostrazioni con le unità cinofile e altro ancora.
Le celebrazioni per i 120 anni di fondazione dell’Anpas proseguiranno il 24 ottobre, Giornata Nazionale delle Pubbliche Assistenze. Il 24 ottobre è infatti la data del Congresso di Lerici (1987) durante il quale avvenne la trasformazione della Federazione nazionale delle società di pubblica assistenza e di pubblico soccorso in Associazione nazionale.
Il 24 ottobre i monumenti e gli edifici storici di numerosi comuni italiani verranno illuminati di arancione, colore delle divise dei volontari di pubblica assistenza. In Piemonte ammireremo illuminati di arancione la Mole Antonelliana di Torino, il Castello di Grinzane Cavour, piazza Ottinetti di Ivrea, la Cupola della Basilica di San Gaudenzio a Novara e diversi palazzi comunali.
Il momento istituzionale del 120° anniversario di fondazione dell’Anpas si terrà il 29 novembre 2024, a Torino presso il Grattacielo della Regione Piemonte con la premiazione delle volontarie e dei volontari che maggiormente si sono distinti per l’impegno nell’attività di volontariato e nella condivisione dei valori Anpas. Per l’occasione è stato infatti istituito il premio Essere Anpas che andrà alle volontarie e ai volontari che maggiormente rappresentano i valori di umanità, volontarietà, solidarietà e gratuità che caratterizzano il movimento delle Pubbliche Assistenze.
La premiazione avverrà alla presenza del presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, dell’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi e dell’assessore regionale alla Protezione Civile, Marco Gabusi.




Una vita operaia, libro scritto da Giorgio Manzini e pubblicato da Einaudi nella collana degli Struzzi Società nel 1976, non è evidentemente un libro nuovo e nemmeno si può dire sia stato all’epoca un bestseller anche se vendette parecchie copie. E’ comunque un libro importante e molto attuale. Giuseppe Granelli, classe 1923 (morto a novant’anni nel dicembre di dieci anni fa), colto operaio dell’acciaieria Falck di Sesto San Giovanni, era il protagonista di questo libro-inchiesta di Giorgio Manzini, giornalista mantovano prematuramente scomparso che fu per oltre trent’anni responsabile della redazione milanese di Paese Sera, storico quotidiano progressista romano. Granelli, cresciuto nel villaggio Falck divenne, grazie a Una vita operaia, l’emblema della condizione dei lavoratori metalmeccanici nell’Italia del secondo dopoguerra. Manzini lo interrogò a lungo dopo averlo scelto tra decine di migliaia di operai di Sesto San Giovanni perché era conosciuto come uno stimato sindacalista di fabbrica e una persona libera e intelligente. La sua era una vita come tante, chiusa in un giro ristretto ma anche investita “dai bagliori dei grandi avvenimenti politici”: la Resistenza, le illusioni dopo il 25 aprile del 1945, le difficoltà economiche del dopoguerra, la rottura del fronte operaio, la restaurazione, la caduta del mito di Stalin, la lenta riscossa sindacale che portò all’autunno caldo. Questo libro di Giorgio Manzini che potremmo definire allo stesso tempo un saggio, un’inchiesta o un romanzo verità – ripubblicato nel 2014 da Unicopli – assume oggi un significato ancora più profondo perché racconta di un uomo, quel Giuseppe Granelli, che per quarant’anni lavorò alla Falck di Sesto San Giovanni, acciaieria simbolo di una fase dell’industria italiana. La sua esistenza fu indissolubilmente legata a quella della città dove visse, ribattezzata la “Stalingrado d’Italia”, tra gli stabilimenti dell’acciaieria e il villaggio operaio al Rondò da dove partivano le grandi marce solidali. Vicende che sono diventate una parte della nostra storia nazionale: un simbolo altalenante di conquiste, di sconfitte, di risalite e di cadute, un microcosmo che può rispecchiare la vita dell’intero Paese. La fabbrica amata e odiata – il pane, la fatica, il conflitto – non c’è più. I resti dei vecchi capannoni (Concordia, Unione, Vittoria: si chiamavano così i vecchi stabilimenti della Falck), le fonderie, i laboratori, l’altoforno sono come ombre e fantasmi di un passato. Resta però la memoria di quella “vita operaia”, di Giuseppe Granelli che, una volta andato in pensione, diventò la “voce degli operai” e raccolse le biografie di quasi 490 sindacalisti della Fiom, militanti e semplici operai che avevano speso la vita in fabbriche come l’Alfa Romeo, la Falck, l’Innocenti, la Breda, la Pirelli, la Richard Ginori, la Magneti Marelli e tante altre di cui non ci si ricorda nemmeno più il nome. Un lavoro prezioso, svolto con una pazienza certosina, con la lucida coscienza che quelle vite raccolte a una a una, catalogate nell’Archivio del lavoro di Sesto San Giovanni, erano la sua eredità, la medaglie al valore che nessuno gli ha mai messo sul petto. Il padre di Granelli, Tone, aveva lavorato anche lui alla Falck Concordia per quarant’anni, manutentore al laminatoio. Lui, Giuseppe (detto Giuse, Tumìn, Granel) cominciò a faticare da ragazzo di fabbrica a 14 anni, per 84 centesimi l’ora a portar l’olio, scopare i trucioli di ferro, allungare gli stracci ai compagni alla macchina. Manzini con quel libro seppe fare di Granelli il simbolo di milioni di uomini di un passato ormai morto e sepolto. Questo libro appartiene, come scrisse Corrado Stajano, “alla letteratura industriale”, quella dei Carlo Bernari, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Primo Levi, Vittorio Sereni. Granelli conservò nel portafoglio per anni una fotografia di Stalin, per lui l’uomo della guerra patriottica, il vincitore delle armate naziste. Il ventesimo Congresso del Pcus lo visse come un trauma, la rivolta di Budapest del 1956 come un colpo al cuore. Ma Granelli non indulgeva in nostalgie e tenne sempre fede ai suoi principi di giustizia sociale: tolse dal portafoglio la foto di Stalin e non ne rimise altre. Amava il dubbio e il confronto. Aveva un grande rispetto per il sapere ed era curioso, frequentò a Milano la Casa della Cultura diretta da Rossana Rossanda, fu attratto dal fascino di Cesare Musatti e lesse i grandi libri della storia e della letteratura. Il libro di Manzini lo rese felice. Gli fece capire che una vita come la sua, simile a quella di tanti altri, poteva e doveva essere ricordata. Le ultime tre righe del libro raccontano la sua pazienza, la tenacia e la saggezza di quest’operaio che sapeva fare “i baffi alle mosche”: “L’importante è continuare il rammendo, sostiene Granel, e avere fiducia. Se non si avesse fiducia si starebbe qui a diventar matti tutti i giorni?”. Manzini è morto giovane nel 1991. Granelli da due lustri non c’è più : è sepolto nel silenzio del cimitero del paese dei suoi genitori, a Moio De’ Calvi in alta val Brembana, nella bergamasca. Rimane questo libro, Una vita operaia, troppo bello e troppo importante per non essere ripreso in mano, leggerlo e riflettere su cos’è stata e cos’è tuttora la “condizione operaia”.