redazione il torinese

Il senzatetto morto assiderato era in grave stato di malnutrizione

Il senzatetto morto per assideramento alla Pellerina era in grave stato di malnutrizione. Lo ha stabilito l’autopsia effettuata dal medico legale Roberto Testi. La vittima si chiamava Hamed Mohamed, 43 anni,  originario del Ciad, ed era stato trovato da altri senzatetto che avevano dato l’allarme. La Procura di Torino ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Il responsabile del centro di emergenza freddo della Croce Rossa del parco della Pellerina, che la notte del 22 gennaio, quando il clochard è morto era in servizio, è stato iscritto come atto dovuto nel registro degli indagati .

La beneficenza dei “poteri forti” a favore della cultura

di Enzo Biffi Gentili

In tempi di crisi, alcuni “poteri forti” privati e pubblici torinesi paiono dedicarsi a benevole pratiche di sostegno nei confronti di vari enti e manifestazioni culturali in più o meno gravi difficoltà. È il caso, a esempio, delle rinnovate e riaperte OGR, che sin dalla loro prima mostra del 2017, intitolata Come una falena alla fiamma, hanno accrocchiato opere provenienti, oltre che dalla collezione della Fondazione per l’arte Moderna e Contemporanea CRT e della Collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che sono in buona salute, anche e tra l’altro opere conservate in alcune delle istituzioni museali pubbliche facenti parte della invece molto sofferente Fondazione Torino Musei come Palazzo Madama, il MAO Museo d’Arte Orientale, la GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea. Ma anche nel recentemente annunciato programma delle OGR per il 2018 sarà concesso spazio a manifestazioni come il Torino Jazz Festival e Club To Club. Qualcuno, come Gabriele Ferraris sul suo blog (http://gabosutorino.blogspot.it/) e altrove, ha visto in questa apertura un’attività di “supplenza di qualche assessore inadeguato e, in generale, di una classe politica in larga parte raffazzonata, velleitaria, assente o inconcludente”, e, tento per gradire, “improvvisatrice e cicalona”. Quindi “piaccia o non piaccia, si ha l’impressione che ormai a Torino i veri assessori alla Cultura siano i vertici delle fondazioni bancarie” (Gabriele Ferraris Torino, se le Fondazioni sono più competenti degli assessori alla Cultura. Il caso Ogr in “Corriere della Sera. Corriere Torino” 18 gennaio 2018). Su un altro fronte, quello pubblico, è La Venaria Reale -struttura che da sempre gode, come si suol dire, di particolari e costose attenzioni, sino a esercitare una sorta di “imperialismo oggettivo” pure sulle altre Residenze Reali fuori città, che sovente dunque espositivamente annaspano, a dichiarare con gran liberalità di essere pronta a ospitare artefatti che l’altrui miseria –dai soliti noti indotta- non riesce a ben valorizzare. Tutto va quindi ben, madama la marchesa? Certamente sì, se si ricorda il testo della canzoncina, da noi esaltato dal birignao di Nunzio Filogamo (https://www.youtube.com/watch?v=jMGanySpxrE), dove la locuzione-tormentone Tutto va ben… in realtà attenuava la progressiva rovina di un castello… Il “vizio torinese”, a proposito di OGR e altro, non consiste quindi tanto nel “non saper stupire” nella presentazione di questi programmi, come ha sostenuto Laura Milani (in “Corriere Torino” 18 gennaio 2018). Non è il sottotono a preoccupare, ma il sottotraccia. E non ci si riferisce alla caratteristica coniugazione di cortesia e falsità, ma alla propensione, alquanto evidente in questi accadimenti, a una certa “carità pelosa”. Curiosa locuzione, che il linguista Ottorino Pianigiani così spiegava: “carità pelosa dicesi quando sotto specie di carità verso altrui si tende al proprio utile” e che il nostro purtroppo scomparso italianista Giorgio De Rienzo segnalava anche ne I promessi sposi del Manzoni, ove si ritrova “una carità, una carità… non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospetta…”. Non siamo così diffidenti, ma queste farciture con ingredienti di altri cuochi, ridotti alla fame, di un cartellone o di un’esposizione divengono anche vantaggiose e risparmiose, soprattutto per strutture di cui non è ancora così chiara la missione (e che, per quanto riguarda Venaria, non posseggono una importante collezione). Un po’ di cautela quindi, prima di esaltare queste brave persone: l’aveva capito, già secoli fa, il Buddha: “Nonostante tu sia una buona persona, sarai salvato. Figurati i cattivi”.

Sacra di San Michele, Chiamparino: “Abbiamo rischiato grosso. Ma sono già pronti i fondi”

Il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino  e l’assessora alla Cultura Antonella Parigi, insieme ad alcuni tecnici, si sono recati nel pomeriggio del 25 gennaio alla Sacra di San Michele per una prima ricognizione dei danni causati dall’incendio che nella serata del 24 ha colpito il tetto del convento in cui vivono i padri rosminiani. “Abbiamo corso un bel rischio ma grazie all’intervento di pompieri e forze dell’ordine i danni sembrano circoscritti. Ora faremo verifiche più approfondite”, ha detto il presidente.

Al suo arrivo l’assessora alla Cultura, dopo essersi confrontata con i tecnici, ha confermato che, al di là delle responsabilità che verranno accertate, la Regione vuole essere pronta a intervenire dove sarà necessario. Ha quindi ringraziato i vigili del fuoco per essere riusciti con un lavoro straordinario a circoscrivere i danni e dichiarato che il rogo ha intaccato una parte che sembra facilmente riparabile.

Terminato il sopralluogo, il presidente della Regione ha confermato che nei fondi europei sono state individuate risorse abbondantemente capienti per far fronte al danno che, fortunatamente, sembra contenuto, e che si stanno cercando le modalità migliori per valorizzare questo bene straordinario. In mattinata l’assessore al Bilancio aveva infatti comunicato di aver accertato che nei Fondi di sviluppo e coesione per il Piemonte è presente una disponibilità residua che si stima sufficiente per far fronte al ripristino della parti distrutte.

Monumento simbolo del Piemonte, l’abbazia venne costruita tra il 983 e il 987 sulla cima del monte Pirchiriano, a 40 chilometri da Torino, ed attira ogni anno 100.000 visitatori da tutto il mondo. Candidata ad essere inserita nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, è dedicata al culto dell’Arcangelo Michele e si inserisce all’interno di una via di pellegrinaggio lunga oltre 2000 chilometri che va da Mont Saint-Michel, in Francia, a Monte Sant’Angelo, in Puglia

Uno per tutti, tutti per uno: riflessioni sul congresso Uilm

 

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
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Dario Basso è come al solito “gentilmente deciso” nel dire ciò che vuole dire. Garbati toni nel delineare cio che deve e  può  fare la Uilm, sindacato che rappresenta operai, impiegati e quadri intermedi metalmeccanici. Segretario di Torino sottolinea i positivi risultati dell’organizzazione.  Nonostante la crisi e nonostante i segni di ripresa economica stentino nel farsi largo in Regione.  É stato ed è un “mestiere” difficile quello del sindacato, il cercare un equilibrio tra interessi generali, dei lavoratori e dei datori di lavoro. Nella relazione, come dagli interventi, la volontà di affrontare e risolvere i problemi industriali ed occupazionali del presente. Risolverli anche per darsi un futuro. Mi sembra che il cuore della relazione sia la collaborazione in azienda. Il conflitto non paga, almeno il conflitto come soluzione dei problemi e diventa importante la stessa professionalità dei rappresentanti sindacali  Rsu. Tanto tempo e tante energie dedicate alla formazione, poi una riorganizzazione territoriale e accompagnare lo sviluppo economico difendendo i diritti dei lavoratori. Ed il loro primo diritto é il lavoro. La vicenda Embraco lo dimostra. Poi gli interventi degli invitati. La consigliera di Forza Italia Claudia Porchietto e l’assessore al lavoro Gianna Pentenero su un punto sono  d’accordo: l’ impotenza delle istituzioni. L’on Boccuzzi: sono uno di voi. Rappresentanti di Fiom e Fim desiderosi ancora di un percorso sindacale unitario. E il  funzionario della Unione industriale per una fattiva collaborazione. Segue il dibattito tra i delegati, mediamente al di sotto dei 40 anni,  dato molto positivo per la Uilm. Personali impressioni: estremamente sintetici descrivono il loro quotidiano lavoro in fabbrica, davvero  molto orgogliosi di appartenere alla Uilm. Comincio a capire che Dario Basso è stato eletto dal direttivo due anni fa in una situazione di emergenza. Doveva rinnovare e svecchiare i quadri dirigenti, c’erano troppe rendite di posizione che impedivano lo sviluppo sul territorio e degli iscritti. Si direbbe che questo compito sia stato assolto. Dario mi sottolinea d’essersi impegnato anche nella formazione  Rsu, in particolare in aziende in crisi, spiegando diversità tra procedure concorsuali o fallimenti. E il  “premio” é arrivato: eletto direttamente dai delegati. Un riconoscimento per il lavoro svolto e un rafforzamento per il lavoro futuro. Personalmente non mi rimane che auguragli buon lavoro, rubandogli la citazione detta nella sua relazione, a sua volta “rubata” dai Tre moschettieri: tutti per uno per tutti.
Patrizio Tosetto

Proseguono le indagini al Regio

Oggi gli ufficiali di polizia giudiziaria di Spresal – ASL Città di Torino, hanno consegnato al Teatro Regio un verbale di sequestro giudiziario emesso dal Pubblico Ministero dott. Vincenzo Pacileo in relazione all’incidente occorso lo scorso 18 gennaio allo scopo di consentire una ricostruzione tecnica di quanto accaduto. La Direzione del Teatro Regio, appena dopo l’accaduto e ancor prima di questo provvedimento, aveva già disposto di non utilizzare i tiri di scena tanto che le recite di Turandot sono proseguite senza alcuna movimentazione e Salome non verrà presentata nell’allestimento originale, bensì in forma semi-scenica. Nel vocabolario teatrale questo significa che l’orchestra suona in buca, i cantanti possono indossare costumi e muoversi su un palcoscenico adorno di pochissimi elementi e, nel nostro caso, non c’è alcuna movimentazione di tiri e ponti di scena.   Confidando nel lavoro della Magistratura, ci auguriamo che le indagini terminino il più presto possibile, in modo che possa regolarmente proseguire la Stagione d’Opera.

 

La piramide dei bisogni del cane

Desiderare che il nostro cane sia educato con noi e nel contesto sociale è il sogno di ogni proprietario, ma troppo spesso, ahimè, dimentichiamo che il cane non è una macchinetta e non nasce “imparato”. Spesso ci ritroviamo adavere cani indisciplinati o stressati perché frasi come “Il mio cane mangia e dorme, cosa vuole di più? La farei anche io una vita così!”, oppure “Ha a disposizione tutto il giardino, che cane fortunato!” sono purtroppo ancora in uso, avendo così la ferma convinzione che se il cane, per esempio, fa i bisogni in casa, distrugge i mobili quando è da solo, scava in giardino o è ingestibile in alcune situazioni ci sta facendo i dispetti. Quelli che noi consideriamo tali, in realtà, sono sempre l’espressione di un disagio. La piramide dei bisogni, elaborata dallo piscologo Abraham Maslow, analizza le necessità dell’essere umano inserendoli in una scala ove, partendo dalla base, l’individuo si realizza passando per i vari stadi (da quello dei bisogni primari a quelli dell’autorealizzazione).

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E’ possibile passare al livello successivo di appagamento dei bisogni solo quando lo step precedente è stato completamente raggiunto. La stessa piramide può essere adattata ai bisogni del cane. I bisogni vengono suddivisi in tre macroaree: bisogni primari, bisogni sociali e bisogni del sé. I bisogni primari sono suddivisi in bisogni fisiologici, ovvero cibo, acqua, riposo e movimento, e bisogno di sicurezza. I bisogni fisiologici sono fondamentali seppur a volte possono essere dati per scontati, ma costituiscono la condizione indispensabile per poter accedere ai gradini più alti. I cani sono molto abitudinari, per cui mangiare più o meno allo stesso orario e sempre nello stesso posto (possibilmente un luogo tranquillo) li rende più sereni. Anche il riposo dovrebbe essere fatto in modo regolare e in un luogo né affollato, né di passaggio. Il cane ha altresì bisogno di movimento; dedicare loro tempo di qualità durante la passeggiata o il gioco sarebbe buona usanza. I bisogni di sicurezza, riguardano invece la garanzia di avere qualcuno che si occupi di lui; la chiarezza comunicativa, la coerenza e il rispetto delle regole all’interno del contesto familiare giocano un ruolo fondamentale.

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I bisogni sociali comprendono il bisogno di appartenenza, che si traduce nel far parte di un gruppo anche attraverso la cooperazione, e il bisogno di stima, ovvero il sentirsi gratificato nel fare ciò per cui ci si sente più capaci. Imparare a osservare il proprio cane, permette anche di capire le sue attitudini, per dargli la possibilità di esprimere al meglio il suo potenziale attraverso uno sport o delle attività ludico-ricreative. In cima alla piramide troviamo il bisogno del sé, ovvero l’autorealizzazione, che viene raggiunta attraverso la possibilità di fare esperienze sempre nuove e stimolanti che portano alla crescita cognitiva del singolo. Si tratta di un percorso in continua evoluzione e formazione, posto che non ci si stanca mai di imparare. La soddisfazione dei loro bisogni ci permetterà di poter godere appieno del nostro amico a 4 zampe, avendo come obiettivo quello di trovare un equilibrio tra la sua corretta salute psicofisica e la nostra relazione con lui.

 

Francesca Mezzapesa

Educatrice cinofila – Istruttrice Rally Obedience

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Benedetta follia – Commedia. Regia di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere e Paola Minaccioni. Guglielmo, in depressione stabile, è il proprietario di un negozio di arredi sacri e abbigliamento d’eccellenza, per il piacere e l’eleganza della moltitudine di porporati romani. Depresso anche per il fatto che la moglie lo ha appena abbandonato perché innamorata proprio della commessa del suo negozio: quando come un ciclone entra nella sua vita una ragazza di borgata. Opera con un buon inizio se poi non prendesse la strada delle vogliose signore che in un modo o nell’altro vogliono accaparrarsi il misero quanto problematico single. Con una comicità che fa acqua da ogni parte (in sala piena ho contato un paio di risate davvero convinte), non priva di momenti quantomai imbarazzanti (oltrepassando di gran lunga, all’italiana, lo spudorato ma tranquillo divertimento della scena clou di “Harry, ti presento Sally”, la signora che nasconde il cellulare “nel posto più bello del mondo” finisce per ritrovarsi in una storiellina soltanto fuori dei limiti; l’attore/regista che si mette a fare il cicerone all’interno di palazzo Altemps a Roma denuncia tutta la sua odierna mancanza d’idee, lontanissimo dalle cose migliori; e poi le pasticche, i balletti, le cianfrusaglie tra colori e suoni…). La gieffina Pastorelli rimane se stessa in ogni occasione, immutabile se non fosse per i cambi d’abito (sempre più ristretto), alla ricerca dei begli effetti che una Ramazzotti ci ha dato in altre occasioni. Godetevi la manciata di minuti della Minaccioni. Un toccasana. Durata 109 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Passeggiate e discussioni, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate e musica, intimità. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero, in corsa verso l’Oscar con quattro candidature. La sceneggiatura è firmata da James Ivory dal romanzo di André Aciman. Chissà come risponderà il pubblico italiano? Durata130 minuti. (Eliseo Grande, Massimo sala 2 (V.O.), Nazionale sala 1, The Space, Uci)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Come un gatto in tangenziale – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola e Sonia Bergamasco. Quando gli opposti si attraggono. Ovvero l’incontro tra Giovanni, intellettuale di sinistra, abitazione nel centro di Roma, tutto quadri e libri, in riunione a Bruxelles a parlare di periferie e di quanto sia opportuna la contaminazione tra l’alto e il basso, e Monica, borgatara di una periferia stracolma di extracomunitari, piena di tatuaggi, dal più che dubbio gusto nel vestire, consorte in perenne debito con la giustizia: incontro che nasce quando i due ragazzini dell’una e dell’altra parte iniziano un filarino che punta deciso al futuro. E se l’incontro portasse l’intellettuale e la borgatara a rivedere le loro antiche posizioni? Durata 98 minuti. (Massaua, Reposi, Uci)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Downsizing – Fantasy. Regia di Alexander Payne, con Matt Damon, Laura Dern, Christopher Waltz e Kristen Wiig. In un futuro più o meno prossimo, i debiti spingono una coppia, Paul e Audrey, ad

abbracciare l’esperimento di un gruppo di scienziati norvegesi: una miniaturizzazione, il passare da un’abituale statura ai soli 12 centimetri, avrebbe i suoi bei lati positivi, non ultimo la soluzione per una vita più ricca e agiata. Ma nella sua nuova comunità, “Leisureland” (dove è rimasto solo, visto che la moglie all’ultimo minuto ha pensato bene di svignarsela), incrocia uno strambo slavo e soprattutto una rifugiata vietnamita, passata attraverso infelici esperienze, che gli insegnano come anche lì il mondo è pieno di inganni e diviso in più o meno fortunati, in poveracci raccolti in quartieri poveri e malfamati. Durata 135 minuti. Massaua, Ideal, Reposi, Romano sala 1, The Space, Uci)

 

Ella & John – The Leisure Seeker – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Donald Sutherland e Helen Mirren. Tratto dal romanzo americano di Michael Zadoorian, con alcune varianti apportate dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista in compagnia di Francesco Piccolo, Francesca Archibugi e Stephen Amidon (a lui già Virzì si rivolse per “Il capitale umano”), è la storia della coppia del titolo, svanito e smemorato ma forte John, fragile ma lucidissima Ella, è il racconto del loro viaggio, dai grattacieli di Boston ai climi di Key West, lungo la Old Route 1, anche per rivisitare con la (poca e povera) memoria il vecchio Hemingway – John è stato un professore di letteratura di successo che ha coltivato con passione lo scrittore del “Vecchio e il mare” -, un viaggio che ha la forma di una conclusiva ribellione ad una famiglia e soprattutto a un destino che ha riservato per lei il cancro all’ultimo stadio e a lui l’abisso dell’Alzheimer. Momenti di felicità e anche di paura in un’America che sembrano non riconoscere più, una storia attuale e un tuffo nella nostalgia (quella che guarda agli anni Settanta), a bordo del loro vecchio camper, mentre corpo e mente se ne vanno. Un’occasione, per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, regalando rivelazioni fino all’ultimo istante. Durata 112 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Blu, F.lli Marx sala Groucho, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Ferdinand – Animazione. Regia di Carlos Saldahna. Non ha mai avuto vita facile il libro dell’americano Munro Leaf da cui oggi nasce questo cartoon di Saldahna (già premiato autore di “Rio” e dell’”Era glaciale”), libro del ’36 su cui franchisti prima e nazisti poi non poco s’accanirono (era, inevitabilmente, nell’animo di Gandhi). La vicenda del toro decisamente pacifista diverte oggi bambini e anche adulti dal cuore pronto a rilassarsi, pronti a simpatizzare con un animale che è destinato a combattere nell’arena ma che al contrario preferisce circondarsi di fiori, fugge da chi gli impone quelle regole, stringe amicizia con una piccola animalista. Lieto fine che s’impone, al fianco del “pericolosissimo” toro altri simpatici personaggi, tra cui da non lasciarsi sfuggire la capra Lupe. Durata106 minuti. (Uci)

 

Insidious – L’ultima chiave – Horror. Regia di Adam Robitel, con Kirk Acevedo e Lin Shaye. Il regista continua il proprio viaggio nella paura, con porte cigolanti o che sbattono all’improvviso, occhi sgranati e biancastri, abiti che ballano, vocine tremolanti e piene di terrore, demoni terribili, legami indissolubili tra qui e l’Altrove. Elisa ha il potere di richiamare i morti, per questo viene convocata nel New Mexico da una famiglia che abita la casa che l’ha vista bambina. Reincontrerà tutti i fantasmi del suo passato e proverà a sconfiggerli. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Gli invisibili – Drammatico. Regia di Claus Räfle, con Aaron Altaras, Alice Dwyer e Max Mauff. Il film segue il destino di quattro degli oltre 7000 ebrei che nel giugno 1943 “scomparvero” nella città di Berlino, nella speranza di sfuggire ai campi di concentramento nazisti. Quattro ragazzi, chi s’impegna politicamente, chi si rifugia in una sala cinematografica, chi fabbricherà passaporti utili a sé e agli altri, chi si nasconde con estremo coraggio e spregio nella casa di un alto ufficiale. Durata 110 minuti. (Centrale, Greenwich sala 3)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Made in Italy – Commedia. Regia di Luciano Ligabue, con Stefano Accorsi, Kasia Smutniak e Filippo Dini. L’autore di “Radiofreccia” guarda al nostro paese tra malinconia rabbia e qualche speranza con il ritratto di Riko, fortunato per quel lavoro che possiede ma che gli consente con fatica di mantenere la propria famiglia. Una moglie e un figlio e un gruppo di amici che all’occorrenza lo aiutano: ma qualcosa s’inceppa e se Riko vorrà sottrarsi ad altre sconfitte dovrà necessariamente condurre la propria vita in maniera diversa. Durata 104 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Morto Stalin se ne fa un altro – Commedia. Regia di Armando Iannucci, con Steve Buscemi, Micael Palin, Olga Kurylenko, Simon Russel Beale. Scozzese di nascita ma napoletanissimo per origini paterne, Iannucci ci ha dato una delle opere più godibili degli ultimi anni, ricca di effetti sulfurei, di una sceneggiatura che supera con facilità la risata fine a se stessa per immergersi nella satira più corrosiva, per graffiare e far sanguinare un mondo ben sistemato sugli altari. Il vecchio castiga ridendo mores, in folclore politico. Ovvero la morte del baffuto Stalin, che ha appena impartito l’ordine che gli sia recapitata la registrazione di un concerto che però registrato non lo è stato. Orchestra, pubblico e pianista dissidente, tutti di nuovo al loro posto. Ma le preoccupazioni sono e saranno ben altre: quella sera stessa, era il 28 febbraio 1953, il dittatore è colpito da un ictus e le varie epurazioni delle vette sanitarie in odore di tradimento fanno sì che le cure non possano arrivare che in ritardo e infruttuose. Cinque giorni dopo, passato lui a miglior vita, può così cominciare l’arrembaggio alla poltrona tanto ambita da quanti tra i collaboratori l’hanno vistosamente sostenuto o tacitamente avversato, a cominciare da un atterrito Malenkov chiamato da un ridicolo Consiglio a reggere le sorti dei popoli. Senza dimenticare, tra il tragico e il ridicolo, le mosse dei tanti Mikoyan, Zukov, Bulganin, Molotov e Berija in atteggiamenti da vero macellaio sino a Nikita Kruscev (un impareggiabile Steve Buscemi, ma ogni personaggio si ritaglia un momento di gloria), astutissimo nel saper raccogliere le tante intenzioni, lotte, sospetti, accuse, sparizioni dei propri colleghi, e capace di afferrare il primo posto. Tutto questo sullo schermo, applaudito al recente TFF, risate e sberleffi come non mai: apprezzato, ma allo stesso temo ti chiedi quanto sia stato giusto cancellare la vena tragica di quelle giornate. E del poi. Durata 106 minuti. (Centrale, anche in V.O.)

 

Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Romano sala 3)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è già visto per il ruolo assegnare un Globe, sta sopravanzando sugli altri papabili per quanto riguarda gli Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: gorse un altro Oscar assicurato. Durata 125 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Harpo anche V.O., Lux sala 2, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Poesia senza fine – Biografico. Regia di Alejandro Jodorowsky. A Santiago del Cile, all’inizio degli anni Cinquanta, l’autore della “Montagna incantata”, ventenne, coltiva il desiderio di diventare poeta in opposizione al padre che per lui sogna un futuro di medico. Fermo sulle proprie decisioni, abbandona la famiglia, si rifugia in una comune di improbabili artisti e inizia il viaggio della sua vita. Durata 100 minuti. (Classico)

 

La ruota delle meraviglie – Drammatico. Regia di Woody Allen, con Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi e Juno Temple. Inizio anni ’50, pieni di colore nella fotografia di Vittorio Storaro o rivisti in quelli ramati di un tramonto, un affollato parco dei divertimenti a Coney Island, quattro destini che s’incrociano tra grandi sogni, molta noia, paure e piccole speranze senza sbocco. Ginny è una ex attrice che oggi serve ai tavoli, emotivamente instabile, madre di un ragazzino malato di piromania, frequentatore di assurde psicologhe; Humpty è il rozzo marito, giostraio e pescatore con un gruppo di amici, che ha bevuto e che ancora beve troppo, Carolina è la figlia di lui, rampolla di prime nozze, un rapporto interrotto da cinque anni, dopo la fuga di lei con un piccolo ma quantomai sbrigativo gangster che adesso ha mandato due scagnozzi a cercarla per farla stare zitta, ogni mezzo è buono. Rapporto interrotto ma la casa di papà è sempre quella più sicura. E poi c’è il giovane sognatore, Mickey, che arrotonda facendo il bagnino e segue un corso di drammaturgia, mentre stravede per O’Neill e Tennessee Williams, artefice di ogni situazione, pronto a distribuire le carte, facendo innamorare l’ultima Bovary di provincia e poi posando gli occhi sulla ragazza. Forse Allen costruisce ancora una volta e aggroviglia a piacere una storia che è il riverbero di ogni mélo degli autori anche a lui cari, impone una recitazione tutta sopra le righe, enfatizza e finge, pecca come troppe volte nel suo mestiere di regista, non incanta lo spettatore. La (sua) vittima maggiore, che più risente del debole successo è la Winslet di “Titanic”, che pur nella sua nevrotica bravura non riesce (o non può, obbediente alla strada tracciata dall’autore) a calarsi appieno nel personaggio, come in anni recenti aveva fatto la Blanchett in “Blue Jasmine”. Durata 101 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Da parte di molti “Tre manifesti” è già stato giudicato come il miglior film dell’anno, i quattro recenti Golden Globe spianano la strada verso gli Oscar. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Rosso, Greenwich sala 1, Uci)

 

Un sacchetto di biglie – Drammatico. Regia di Christian Duguay, con Dorian Le Clech, Batyste Fleurial e Christian Clavier. Joseph e Maurice hanno rispettivamente dieci e dodici anni, la loro famiglia è ebrea, abitano a Parigi. Quando la pressione delle persecuzioni diventa insostenibile, i genitori decidono di mandarli al sud, nella Francia libera, perché raggiungano i fratelli. Non è soltanto un viaggio attraverso il paese occupato, è anche un percorso per una crescita interiore. Incontri, difficoltà di ogni genere, sorprese inaspettate, il quotidiano aiuto reciproco per sfuggire alle truppe di occupazione, l’ingegno e il coraggio per sfuggire al nemico e ricongiungersi con la famiglia. Durata 110 minuti. (Greenwich sala 3, The Space, Uci)

 

L’uomo sul treno – Azione. Regia di Jaume Collet-Serra, con Liam Neeson, Vera Farmiga e Dean-Charles Chapman. Sul treno di pendolari che prende regolarmente da dieci anni, l’assicuratore Mc Cauley è avvicinato da una bella donna, una psicologa, che gli promette una bella quantità di soldi se lui vorrà fare con lei un gioco: su quel treno viaggia un tale che non ha proprio le caratteristiche di un normale pendolare, a lui scoprire di chi si tratta. Come nelle storie del maestro Hitchcock, l’uomo entrerà negli ingranaggi di un gioco più grande di lui, se volesse sottrarsene ne andrebbe della sua famiglia. Durata 105 minuti. (Massaua, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Il vegetale – Commedia. Regia di Gennaro Nunziante, con Fabio Rovazzi, Luca Zingaretti e Ninni Bruschetta. Fabio è laureato in scienze della comunicazione e all’improvviso si ritrova a gestire la società paterna, cresciuta a suon di malaffare. Lui è forte della propria onestà, lascia Milano e se ne va al sud, in cerca d’aria nuova: finirà a raccogliere frutta agli ordini di un caporale di colore, unico bianco in mezzo a cento immigrati. Dovrà tenere a bada una sorellina pestifera che per lui non ha nessuna considerazione, ma in compenso troverà anche una maestrina dal cuore tenero. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Associazione per le 2mila pazienti colpite da tumore ovarico

Ogni anno, in Piemonte e Valle d’Aosta 420 donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico il 75% delle quali in stadio avanzato con rischio di recidiva nel 60 per cento dei casi e tasso di sopravvivenza a 5 anni non superiore al 40%Da oggi, le oltre 2mila donne che nella Regione stanno affrontando questa grave neoplasia potranno contare sulla nuova realtà assistenziale rappresentata da Acto Piemonte, l’associazione pazienti che si propone come punto di riferimento regionale per tutte le pazienti unendosi alla rete Acto già presente a Milano, Roma e Bari per svolgere attività di informazione sulla malattia, offrire servizi complementari a pazienti e familiari, sostenere la ricerca scientifica, promuovere la diagnosi precoce, l’accesso a cure di qualità e la diffusione di programmi di screening. “Acto Piemonte è un’iniziativa che nasce dall’esperienza di un gruppo di pazienti e di medici oncologi consapevoli dello sconcerto che una diagnosi di tumore ovarico provoca nelle donne e desiderosi di aiutare tutte le donne che in Piemonte stanno affrontando o affronteranno il difficile percorso di questa malattia. – ha dichiarato Alice Tudisco, fondatrice e presidente di Acto Piemonte nel corso della presentazione pubblica tenutasi presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino – “Acto Piemonte intende sostenere tutte le pazienti e i loro familiari con informazioni chiare e complete sulla malattia, sulla diagnosi e sulla terapia, orientandole verso i centri di cura specializzati e aiutandole a superare i momenti di grande dubbio, incertezza e paura che accompagnano la diagnosi di questa neoplasia.” “Ho scelto di partecipare alla costituzione di Acto Piemonte perché credo che solo l’alleanza fra sanitari e pazienti possa permettere di vincere il tumore ovarico e cambiare il futuro delle donne che ne sono colpite.- ha dichiarato Elisa Picardo, vicepresidente di Acto Piemonte – “Come medico oncologo non mi accontento di fornire alle mie pazienti le cure migliori. Per me essere medico significa prendersi cura della persona nella sua totalità, cioè cercare di curare i sintomi non solo fisici ma anche psichici della malattia e fornire le giuste informazioni per conoscere in modo appropriato la malattia e il suo evolversi.-  “ACTO è un’iniziativa delle donne per le donne per condividere e superare insieme la terribile esperienza di questa malattia e deve svolgere una attività di stimolo per i medici e i ricercatori. Deve essere un momento di condivisione nel delicato rapporto medico paziente per poter comprendere al meglio scelte a volte non così intuitive ma necessarie nel tentativo di guarire la malattia.” – ha affermato Paolo Zola, responsabile del Gruppo di Ginecologia Oncologica della Città della Salute di Torino e presidente del Comitato Scientifico di Acto Piemonte sottolineando come la Regione Piemonte Valle d’Aosta stia diventando una realtà di eccellenza nel trattamento di questa grave neoplasia ginecologica “ACTO sarà direttamente coinvolta nella redazione/revisione  dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali dei Centri di Riferimento attivati in Piemonte e Valle d’Aosta diventando attore e non semplice spettatore.

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Oggi alle pazienti affette da tumore ovarico la Regione offre 39 Centri di Accoglienza e 6 Centri di riferimento dislocati a Cuneo, Mondovì, Torino, Novara, Asti e Alessandria. In questi centri le pazienti seguono percorsi diagnostico terapeutici personalizzati e ricevono una assistenza multidisciplinare in linea con le più avanzate strategie di trattamento”. La Regione Piemonte Valle d’Aosta e la sua Rete Oncologica si riconfermano quindi come modello nazionale di eccellenza non solo per il miglioramento dell’accesso alle cure e il conseguente aumento della sopravvivenza (il Piemonte si colloca ai primi posti per tasso di sopravvivenza dei pazienti oncologici a cinque anni, con il 53% fra gli uomini e il 63% fra le donne) ma anche per la sempre più stretta vicinanza tra la Rete dei centri di cura e le associazioni pazienti come Acto Piemonte . A questo proposito Oscar Bertetto, direttore della Rete Oncologica Piemonte Valle d’Aosta, ha dichiarato:”La Regione Piemonte ha adottato due anni fa una coraggiosa delibera con cui ha individuato i Centri di riferimento per ciascuna patologia tumorale, compreso il carcinoma ovarico e le altre neoplasie ginecologiche, basandosi sulla esperienza dei professionisti che vi operano, il numero dei casi seguiti, la presenza delle appropriate tecnologie, un modello organizzativo che prevede la presa in carico globale della paziente sin dall’inizio del percorso di cura e i trattamenti affrontati con un approccio interdisciplinare. La garanzia della qualità dei servizi offerti è data da un monitoraggio con precisi indicatori raccolti sistematicamente e con interventi di audit per migliorare le prestazioni dei centri in cui si sia registrato uno scostamento negativo rispetto ai risultati attesi”

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Futuro quindi in rosa per le donne piemontesi affette da tumore ovarico “Acto onlus è nata nel 2010 all’insegna della parola alleanza e oggi la nascita di Acto Piemonte, che si unisce alle Acto di Milano, Roma e Bari, e’ un’ulteriore conferma della capacità di pazienti e medici di fare squadra e lavorare insieme per rispondere sempre meglio ai bisogni delle pazienti e di sostenerne i diritti con ancor maggior efficacia a livello nazionale e regionale – ha dichiarato Nicoletta Cerana, presidente di Acto onlus – Tanto più oggi che le prospettive della medicina e della genetica stanno finalmente cambiando la storia di una grave malattia che per anni è stata misconosciuta e sotto-trattata”.Proprio il futuro della malattia sarà al centro di un convegno in programma al Lingotto di Torino l’1 e il 2 febbraio. Sul tema “Looking at the present to plan the future” interverranno i maggiori esperti chiamati ad una due giorni in cui dovranno esprimersi sulle nuove prospettive in medicina, in chirurgia, diagnostica e genetica ma anche sul futuro dell’organizzazione sanitaria e della cooperazione tra ospedali e tra ospedali e associazioni pazienti.

 

(foto: il Torinese)

Appendino su povertà e senzatetto: “L’emergenza è umana. Non dimentichiamolo”

Dopo le ferme prese di posizione sulla questione povertà, da parte dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, interviene sullo stesso tema la sindaca Chiara Appendino. Ecco il suo post pubblicato su Facebook

Secondo i recenti dati Eurostat l’Italia è il Paese che ha più Poveri in Europa.  Nel 2016 le persone a rischio povertà o esclusione sociale erano il 30%. Circa una su tre.  Pensateci un attimo: ogni due persone che possono vivere una vita “normale” (es. affrontare spese impreviste, vivere in una casa riscaldata, pagare le bollette, mangiare fuori una volta al mese, etc…) ce n’è una che questa possibilità non ce l’ha. Parliamo di un totale di 4 milioni e 742mila individui secondo l’Istat. Più di tutti gli abitanti del Piemonte. Si tratta, peraltro, di un quadro in continuo mutamento. In questi anni sono cambiati geografia e volto della povertà. È quello che mi hanno raccontato in occasione dell’ultima giornata della Colletta Alimentare e che conoscono bene gli uffici dell’assessorato al welfare della Città di Torino, guidato da Sonia Schellino.  Sono 113mila le persone assistite dal Banco Alimentare a Torino e di queste moltissime fino a qualche anno fa non avrebbero mai immaginato di trovarsi in tale situazione. L’età media si è abbassata fino a colpire molti under 35, così come le nazionalità sono diventate più eterogenee. Tra gli effetti immediatamente visibili di questo quadro vi è proprio il fenomeno dei senzatetto, che spesso scelgono le vie più frequentate della Città per trascorrere la notte, aprendo così inevitabilmente altri dibattiti. L’emergenza povertà è fatta di uomini e donne che hanno bisogno di aiuto, e per quanto ci riguarda una persona che dorme al freddo in via Bologna non è diversa da una che dorme in via Roma. Con l’aiuto di altre Istituzioni e associazioni – tra cui la Diocesi di Torino, Compagnia di San Paolo, Asl, Città della Salute e diverse altre – stiamo mettendo in campo tutti i mezzi possibili per affrontare questa emergenza, pur consapevoli che gli interventi devono essere a tutti i livelli, a partire dal Governo. In una mia recente intervista a LaStampa ho detto che non prevederemo mai un allontanamento forzoso di chi dorme in strada. Oggi, in questa intervista allo stesso quotidiano, l’Assessora Sonia Schellino ribadisce il concetto.  La ringrazio per questo prezioso contributo e vi invito a leggerlo fino in fondo. L’emergenza è umana. Non dimentichiamolo.

Chiara Appendino

Uno sguardo su Cechov nostro contemporaneo

Simon Stone è un giovane regista trentatreenne, nato a Basilea e vissuto tra Cambridge e l’Australia, ha allestito l’ibseniano John Gabriel Borkman ricevendone onori ed è stato eletto miglior regista per il 2016 dalla rivista “Theater heute”, idolo ancora con Ibsen all’ultimo Avignone, oggi sta saggiando Strindberg, ieri ha intrapreso la strada del cinema e qualcuno sussurra di un film con Nicole Kidman ma nulla di certo. Credo che in questi giorni sul palcoscenico del Carignano ci stia regalando un capolavoro. Con Les trois soeurs, prodotto ammirevolmente dallo Stabile torinese e dal parigino Teatro Odéon (in lingua francese con soprattitoli), con l’universo cechoviano che si dilata sulle infelicità e sui sogni abbattuti di Irina, di Olga e di Macha, sui loro fallimenti e il desiderio di fuga (“La vita è altrove”, ha scritto Milan Kundera), una re-invenzione purissima, una re-scrittura nell’oggi che ti appassiona, che ti può inizialmente disturbare perché ti sei accomodato in poltrona nella piena fiducia del rispetto del testo originale ma che di lì ad una manciata di attimi ti cattura. E non può non essere così. “Tutte le sue opere si svolgono nel tempo presente: il presente non finisce mai. Se fosse vivo, sicuramente Cechov vorrebbe che i suoi drammi fossero ambientati nel presente”, ne è sicuro il regista. Quello che fino a ieri era classico, diventa umanamente nostro, attuale, ripensato nella nostra contemporaneità, lungo i nostri giorni. Dimenticate ogni precedente edizione, scordatevi l’obbligatoria atmosfera legata alla noia di vivere (o al mestiere) e ai silenzi e preparatevi a vedere altro. Eliminate quelle certezze che vi può suggerire quel “da Anton Cechov” posto in locandina, è un inganno. Il senso di Stone per l’autore sta in quell’ansia voyeuristica che condividerà con lo spettatore, con quello sguardo fissato dentro la casa vetrata delle tre ragazze, un luminoso parallelepipedo – pressoché perennemente e simbolicamente ruotante – a due piani fatto di cucina soggiorno bagno doccia camera pianoforte sedie tavoli libri letti (la scena è firmata da Lizzie Clachan, eccezionale), sta in quel desiderio di catturare temi, appunti, sprazzi esplicativi per virarli e immergerli nel nostro presente. Nel rincorrersi di arrivi e di presenze maschili e femminili, degli amici che ruotano attorno alle protagoniste, del fratello che vede morire un’unione e la certezza di paternità, degli amori sperati ma che non possono vedere un domani, dei compleanni che non sono più una festa e i fuochi d’artificio che si spengono subito, del sesso consumato in fretta o vagheggiato, dei legami etero e omo, delle troppe parole, delle chiacchiere e delle urla, delle confessioni e dei rimpianti, dei sogni concentrati sul futuro, si inseriscono Instagram e facebook, Donald Trump e i rifugiati, si parla di ex sessantottini e di progetti svaniti, di qualcuno che ha abbracciato la dieta vegana. Si mescolano grandi discorsi, tra filosofia e politica, in una stanza mentre in quella accanto si rovesciano banalità, si confondono droga e ricerca della felicità, non si sogna più di andare a Mosca, oggi la meta è New York, magari San Francisco, un tempo poteva andar bene Berlino, per un weekend, Irina quella scelta l’ha già abbandonata anni prima. Si beve birra insieme, qualcuno coca-cola, qualcuno esce in giardino a preparare il barbecue, tutti abbondano giustamente di parolacce e di situazioni esplicite. La disperazione da sempre non lascia spazio all’arrivo di un sorriso. Mentre i riti seguono ai riti, sotto una nevicata la casa è venduta, gli arredi vanno liberati, pezzo dopo pezzo, si ricrea fisicamente il vuoto di sempre, qualcuno nel disordine di abbandoni e di ultime parole si chiude in bagno e si spara un colpo in testa. Nella grande casa si spegne ogni luce. È il mondo fatto di nulla di Cechov, trasportato nel nostro mondo fatto di nulla. La vendita ti riporta al Giardino, qualcuno che rischia di esser dimenticato dentro al vecchio servo Firs, lo sparo a quello di Kostia nel Gabbiano. È sempre il mondo di Cechov. Cui undici interpreti da capogiro prestano incredibile adesione, per chi scrive solo dei nomi e me ne scuso (segnatevi per tutti Amira Casar, da oggi sugli schermi nel film di Luca Guadagnino), immedesimati come raramente capita di vedere e ascoltare su di un palcoscenico con i propri personaggi, in una recitazione che non è più tale ma diventa immediatamente vita. Lo spettacolo è ancora a Torino oggi (alle 19,30) e domani (alle 20,45): un consiglio per chi ama le imperdibili occasioni teatrali, cercatevi un biglietto e correte a vederlo. E davvero a caricarlo d’applausi, come ho sentito alla seconda replica. Interminabili.

 

Elio Rabbione