Un uomo di 40 anni è morto oggi a Moncalieri, nei pressi di La Loggia in un incidente stradale sulla tangenziale Sud. Stava viaggiando verso Milano quando improvvisamente ha perso il controllo dell’auto e si è schiantato contro il guard-rail. Inutili i soccorsi. La polizia stradale sta analizzando la dinamica dell’incidente.
PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione
Valla a cercare, lungo tutto l’arco del film, quell’euforia che Valeria Golino – alla sua seconda esperienza come regista, dopo Miele, riuscitissima – promette. Compare (forse) sotto le vesti dell’affetto completo, della comprensione che non ammette limiti, del riavvicinamento che promette (forse) grandi cose e affetti, nella scena finale, s’allarga sullo schermo, improvvisa, gioiosa, finalmente complice, come un fuoco d’artificio, come quello stormo d’uccelli che prende a zigzagare attraverso il cielo di Roma, tanti piccoli frammenti che si compongono in un corpo unico. Euforia è la storia di due fratelli, un intreccio narrativamente robusto e partecipato dell’autrice in vena intimista ma ben lontana con Valia Santella e Francesca Marciano da ogni facile commozione, tre donne che narrano di uomini (le figure femminili sono accennate, tratteggiate per sommi capi, irrisolte per quel che importava di risolverle) e dei loro sentimenti, dolorosi e sbrindellati, una storia che potrebbe correre il rischio di essere fragile o addirittura scontata nel proprio svolgimento, con il pericolo del già visto, se sempre non vigilassero certe soluzioni e certe verità a frenare e a correggere il discorso della malattia, se la macchina da presa non andasse a cercare certe pieghe inaspettate. La storia di Matteo, innamorato della vita e di tutte le cose – materiali: il denaro, le comode amicizie, gli affari in campo religioso, nella città sporcata di oggi, e gli intrallazzi, la casa con il grande terrazzo, i locali trasgressivi e le tirate di coca – che la vita gli può dare, omosessuale abituato a prendersi il ragazzo che vuole, un compagno accanto che lo adora ma che lui non si sogna nemmeno di andarci a letto. La storia di Ettore, certo non realizzato, insegnante di scienze in una scuola media, da poco tempo s’è separato dalla moglie, qualche attimo di gioia nei giochi con il figlio, dolente, avvizzito, fuori ormai dalla vita, un cancro nel cervello, inoperabile, che Matteo alla notizia gli camuffa da ciste, l’asportazione e sei di nuovo come prima, il professore amico mio mi ha detto il professore mi ha rassicurato, le parole che cominciano a ingarbugliarsi, i ricoveri, le pasticche sempre a portata di mano, una scivolata nel passato con una strisciata di polvere bianca a dirci che forse la perfezione sta da un’altra parte e che i fratelli qualche punto in comune ce l’hanno. Matteo, intraprendendo la sua attività di angelo custode, tenta di mettere il fratello al coperto da ogni più completa conoscenza, lo ospita in casa, gli presta quell’autista e quella carta di credito cui certo non è abituato, lo protegge, gli
fa respirare momenti di libertà, la gita al mare con la donna che potrebbe essere la nuova compagna, gli sfoglia illustrati cataloghi di Lourdes per poi scarrozzarlo tra le montagne della Bosnia in qualche pellegrinaggio di ragazzi ispirati, se ne serve quando lo fa sloggiare dalla loro camera perché ha appena trovato una momentanea anima gemella: e i due fratelli si seguono da vicino, si guardano e si conoscono, scoprono qualcosa l’uno dell’altro, scoppiano in quelle verità che vengono a galla in urla e in parole che feriscono e che il giorno dopo non vorresti aver detto. Golino nel suo Euforia – benissimo accolto lo scorso maggio a Cannes nel cartellone di “Un certain regard” – sa calibrare certi momenti del ritrovarsi, certi silenzi e quelle sospensioni che ingigantiscono il racconto, fruga negli sguardi e nei ricordi, nelle cose mai dette, crea con convinzione un mondo altro che accorre in aiuto del presente. Ha a che fare con la malattia e con la morte che non tarderà ad arrivare, come in Miele ci parlava di suicidio assistito, ma sa alleggerire il non facile percorso con un sorriso rubato, con una nota allegra che rovescia il resto della scena, con la vita sopra le righe di Matteo. Che è un Riccardo Scamarcio capace di sostenere il peso maggiore della storia, di convincere per quella faccia da schiaffi che chiunque rifiuterebbe, per il suo sapersi mettere con precisione negli ingranaggi dell’illecito, per guardare il quotidiano dall’alto e farlo suo, completamente. Valerio Mastandrea è Ettore e gioca sapientemente al ribasso, va per sottrazioni, asciuga il proprio personaggio, lo sussurra, abita le retrovie: e in questo apparente nascondersi si dimostra ancora una volta l’eccellente attore che conosciamo, nella umanità dei silenzi e degli sguardi, del perdente.
Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea in alcuni momenti di Euforia; Valeria Golino poche sere fa alla presentazione del film nella sala gremita dell’Ambrosio.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini polemizza nuovamente con la Francia: “A Modane, la gendarmeria ha fermato un treno regionale diretto in Italia per far salire un immigrato del Mali. Pretendeva di lasciarlo in carrozza senza titolo di viaggio ma il personale di Trenitalia ha informato la polizia italiana. Dopo insistenze l’immigrato ha pagato il biglietto. Risultato: 47 minuti di ritardo. Parigi dovrebbe rimborsare i viaggiatori”.
Allegri: “Noi bravi. E complimenti all’Empoli”
Massimiliano Allegri, nel suo tweet del dopo partita scrive: “Bravi a vincere una partita difficile, e complimenti all’Empoli, avversario capace di metterci in difficoltà. La stanchezza, quando si fa sentire, va combattuta con la tecnica e la pazienza”. Così il tecnico della Juve sulla rimonta contro l’Empoli.
(foto Claudio Benedetto www.fotoegrafico.net)
Il 4 novembre ricorre il centenario della Vittoria nella Grande Guerra. Da più parti, tra cui il Centro Pannunzio, e’ stato rivolto con adeguato anticipo l’invito a proclamare festa nazionale la ricorrenza, almeno nell’anno centenario, come avvenne il 17 marzo 2011 per i 150 anni della proclamazione dell’Unita ‘ Nazionale. Tra il resto, essendo di domenica il 4 novembre, il riconoscimento della festività nazionale non avrebbe nessuna conseguenza sul lavoro e assumerebbe esclusivamente un valore morale. Dopo esserci rivolti al Governo inutilmente, ci siamo permessi di sottoporre al Capo dello Stato, anche nella sua veste di Capo delle Forze Armate, questa richiesta per onorare degnamente i 650 mila Caduti nella Grande Guerra , memori del fatto che la Costituzione definisce”sacro” il dovere dei cittadini di servire la Patria in armi.Disconoscere il valore del completamento dell’Unita’ nazionale raggiunta con Trento e Trieste, senza attribuire alla ricorrenza il valore di festa nazionale ,ci appare un’ingiustizia storica e un invito implicito alle giovani generazioni a sottovalutare la storia patria in una delle pagine più importanti.Lo chiediamo anche come nipoti di Caduti e Combattenti in quella guerra . Con i migliori saluti
prof . Pier Franco Quaglieni
Direttore generale del Centro Pannunzio
La cappella che raffigura il martirio di Sant’Eusebio è la chiave di accesso che porta al percorso devozionale del Sacro Monte di Crea (che insiste sul territorio comunale di Serralunga di Crea in Provincia di Alessandria). Si trova a poche decine di metri dalla frazione Forneglio, lungo la strada che porta al Santurario mariano. Il 27 ottobre 2018 rimarrà sicuramente una data importante nella sua storia perché la sua visione è tornata praticabile per i fedeli, i turisti e gli amanti di storia dell’arte, perché in tale data sono stati ufficialmente presentati i lavori del restauro che l’ha resa fruibile, completamento di un percorso durato ben quarantun anni. Tutto era nato da un atto ignobile, quanto stupido, di vandalismo. Ignoti, nel lontano 1977, la sfregiarono e distrussero con bastonate le statue di quello che per gli abitanti della zona era il primo luogo di culto che portava al Sacro Monte. A dare l’allarme fu l’allora padre guardiano Antonio Brunetti (allora a Crea c’erano i francescani, adesso questa proprietà della Diocesi di Casale Monferrato ha visto affiancare alla presenza del rettore, monsignor Francesco Mancinelli, anche quella delle sue domenicane provenienti a Chieri) e iniziò così un percorso di recupero che si è protratto per anni, ben quattro decadi, in parte anche per cause esterne. Per la storia la cappella del Martirio di Sant’Eusebio, come tutto il Sacro Monte, nacque da un’idea di padre Costantino Massino, canonico lateranense, dopo una vista al Sacro Monte di Varallo che raffigurava la Nuova Gerusalemme.
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Il percorso devozionale di Crea, che oggi costa di 23 cappelle e 5 romitori, è invece dedicato a Maria e qui si intrecciano due devozioni, una alla Madonna e l’altra a Sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli, che, come vuole la tradizione, portò qui una statua della Madonna scolpita da San Luca. Ma questo è ciò che narra la leggenda. Certo è che ad Eusebio si fa risalire un primo luogo di culto a Crea. La “Cappella numero 1”, come viene definita nella classificazione dagli studiosi, o “Sant’Eusebio” come la chiamano invece gli abitanti del luogo che per decenni andavano a prendere l’acqua dalla fonte che sgorgava ai suoi piedi (e di cui parleremo poc’anzi, perché ha provocato qualche problema) ha un forte legame con la città di Vercelli, di cui Eusebio è Santo Patrono. Infatti, padre Massino, oltre a “batter cassa” ai Marchesi del Monferrato, lo fece anche alla vicina città e se ne trovano tracce in provvedimenti di quel consiglio comunale nel 1595 quando venne decisa l’erogazione di un contributo in tre tranche, nel 1599 quando se ne parlò in un’altra riunione consigliare perché erano state realizzate le statue e si cercava un pittore per le statue e le pareti, come era d’uso a quel tempo. E sullo sfondo della cappella appare in tutta la sua imponenza la chiesa di Sant’Andrea di Vercelli, a dimostrazine del fortissimo legame che esiste tra la città Eusebio e Crea. Il Sacro Monte e le cappelle ebbero un periodo di abbandono al tempo di Napoleone e delle successive Leggi Siccardi, sino a quando nel 1899 l’ufficio per il Piemonte e la Liguria, antesignano dell’odierne Sovrintendenza, guidato da Ettore D’Andrade effettuò un sopralluogo e dispose un consolidamento delle cappelle.
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Altri interventi si sono avuti nel 1902 alla parte pittorica e all’inizio degli anni Settanta, sino al momento dell’atto vandalico. I lavori di recupero sono iniziati nel 1980 e hanno avuto una fermata nel 1982 perché si era verificato uno sprofondamento del pavimento. All’inizio del percorso devozionale si trovava, infatti, una fontana esterna alimentata da due cisterne sotterranee di acqua sorgiva, filtrata dal pendio. L’acqua, del resto, è un elemento presente in tutti i Sacri Monti, simbolo della Grazia. Ma l’acqua qui è stata causa di infiltrazioni che hanno provocato una notevole problematica nei lavori di restauro. Si rese, pertanto, necessario un intervento che salvaguardasse le statue e la staticità del luogo. Poi vennero gli anni Novanta, critici per il costante dissesto idrogeologico del Sacro Monte e negli anni Duemila è ripresa la fase degli interventi dei recupero, con una nuova sosta forzata nel 2009, quando una frana interessò la strada di accesso al Santuario ed i fondi accantonati per l’intervento alla cappella vennero utilizzati per questo scopo improvviso e non richiesto. Dal 2012 al 2015 si ripresero i lavori per il restauro della parte scultorea e pittorica, con il laboratorio Nicola di Aramengo, che è stato una costante in tutto questo periodo, per la sua altissima professionalità. E grazie alle testimonianze iconografiche si è potuta anche ricostruire, uguale e riproduzione fedelissima dell’originale, la testa di un personaggio al centro della scena della lapidazione che, purtroppo, nel 1977, era andata completamente perduta. L’ultima parte è stata quella degli esterni e del tetto, realizzato grazie al contributo del ministero dei Beni culturali e ad un intervento della Fondazione Crt, nell’ambito del suo “Progetto Restauri – cantieri diffusi”. Il 27 ottobre, pertanto, l’annuncio è stato dato, con un’apposita cerimonia nella sede del Parco di Crea, con l’intervento di Renata Lodari, presidente dell’Ente di gestione dei Sacri monti, monsignor Francesco Mancinelli, vice presidente e Rettore del Santuario, Elena De Filippis, direttore dell’Ente, Monica Fantone, architetto della Sovrintendenza, Massimo Bianchi della Fondazione Crt e del vescovo di Casale Monferrato, monsignor Gianni Sacchi che, dopo aver auspicato che Crea “non sia un Museo, ma un punto che faccia luce a tutti coloro che cercano la luce”, e quindi un luogo di fede, ha poi presenziato, benedicendola, all’inaugurazione vera e propria.
Massimo Iaretti
Mazzarri: “Non accetto l’arroganza del potere”
Dopo la partita tra Torino e Fiorentina, finita in pareggio 1-1 parla il tecnico granata Walter Mazzarri su DAZN: “Siamo stati subito in salita, quasi un autogol e poi la squadra ha cominciato a giocare come piace a me, contro una squadra forte. La mia squadra è stata brava, sa giocare bene, nonostante, e arrivo al sodo, mi hanno buttato fuori subito. Questa arroganza non mi va bene da parte del potere e mi riferisco agli arbitri. Io ho chiesto spiegazioni per il fallo e mi hanno buttato fuori, sono stanco, è una vita che alleno e non sono un pivello”.
(foto: Luca Tonatto)
Migranti: “diritti, non privilegi”
La manifestazione per la Campagna ResistenzAsilo – Diritti, non privilegi!, coordinata da EuropAsilo, della rete nazionale per il diritto all’asilo, si è svolta ieri a Torino. “Diritti, non privilegi”, questo lo slogan del presidio in piazza Castello, sotto la sede della Regione Piemonte. “Non dobbiamo girare la testa di fronte alle leggi discriminatorie di questo governo. E vogliamo dire che le migrazioni sono un fenomeno storico inevitabile, bisogna saperlo governare e non usarlo come arma contro chi non ha diritti passandoli per privilegi”, affermano i promotori.
Orgogliosamente ignoranti
Chissà se la media dei politici conosce che cosa è avvenuto in via Rasella? O leggermente prima in piazza Barberini, a Palazzo Barberini? Si stava facendo e si è fatta la Storia di questo nostro paese. I gappisti travestiti da netturbini facevano saltare mezza divisione tedesca ed i romani conoscevano la ferocia nazifascista. E il futuro Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat rompeva con i compagni socialisti capeggiati da Pietro Nenni. Padri della nostra Repubblica. Bene, dubito che molti sappiano, ora che l’ignoranza va di moda nel Paese. Direi quasi che si deve dimostrare di essere
orgogliosamente ignoranti. Così non c’è sospetto di essere stati della “casta”. Anche su questo qualcosa non funziona. Ho assistito ad una seduta del Senato. Questi nuovi senatori tanto attenti non mi parevano quando i loro colleghi parlavano. Non tutti ovviamente, ma la maggioranza sì. Decisamente ridanciana. Ad una più attenta osservazione Giorgio Napolitano era invece
decisamente attento. Cordiale con chi lo omaggiava ma risoluto nel voler ascoltare e rimandare dopo i saluti. Solo formalismo istituzionale? Non penso proprio. Sicuramente sentire il dovere del proprio ruolo ad oltre 90 anni. Non è poco. Ed allora ecco decido di girare per Roma tra ricordi e ” pellegrinaggi” dei luoghi della prima repubblica, quando conoscere era indispensabile, non sufficiente ma fondamentale. Quasi sempre non si era
d’accordo tra le parti politiche ma si sapeva che l’altro sapeva. Poi è arrivata Roma ladrona. E pensare che alcuni epigoni di ieri ora governano il Paese. Tra la prima Repubblica e questa attuale repubblichetta c’è stata la seconda che ha portato a casa poco o nulla. La Rivoluzione Liberale di marca Berlusconi si è infranta sulla prosecuzione di una Tangentopoli ante litteram. Da prima i Lombardi a prima il Nord, per finire a prima gli Italiani. Riformismo senza popolo, è l’ottima definizione del “compagno ” Dalema. Dove le virgolette non sono ironiche. E
poi Grillo che ascoltando il consiglio di Piero Fassino ha fondato un partito veramente, consegnandolo a Di Maio decisamente debole nel campo del sapere. Ma iniziamo il percorso “amarcord” partendo da via Del corso 476. Doveroso iniziare dal Psi sempre stretto tra PCI e Democrazia Cristiana, tra riformismo e stanza dei bottoni. Da Pietro Nenni che entusiasta accettò il premio Stalin, al suo figlioccio politico Bettino Craxi. Batteva i pugni se alle frontiere italiane non facevano entrare gli esuli antifascisti cileni e a Sigonella spiegò ai Marines americani che essendo nel territorio italiano non erano graditi ospiti. O Giusi La ganga il vero numero due responsabile Enti Locali che dai comunisti aveva ” imparato ” il centralismo democratico e a Torino diceva a Fiat e Agnelli: ” parliamoci”. In Via Della vite la Federazione nazionale dei giovani comunisti, dove ci venne presentato Massimo
Dalema. Sapevamo che arrivava da Pisa, figlio del romano segretario del PCI del Lazio, voluto da Enrico Berlinguer. Ciò bastava. Scelta incontestabile. Con tutti quei capelli neri, allora fumava ed era già cinicamente intelligente. Ci aspettava il ’77 dove violenza e terrorismo la facevano da padroni. Poi Piazza del Gesù che aveva visto entrare Enrico Mattei, Aldo Moro il divo Giulio o Amintore Fanfani. Oramai la Dc figlia del potere ed indissolubile dal potere. Democristiani e comunisti agli antipodi, due opposti che non hanno
impedito di fare la resistenza insieme. Aldo Moro che ha pagato con la vita le sue convergenze parallele, odiato dai servizi segreti inglesi e statunitensi. Infine il tormentato Zaccagnini, tormentato e diviso tra l’amicizia per la sorte del suo amico Moro ed il senso dello Stato che gli impediva di trattare con i banditi brigatisti in odore di servizi segreti russi. Ed ecco Botteghe Oscure: lo Stato nello Stato. Dove dal dopoguerra Palmiro Togliatti
nel sottotetto cominciò a vivere con Nilde Jotti clandestinamente perché il capo del Partito non può e non deve avere una “concubina”. E Luigi Longo da segretario aveva già deciso la sua successione scegliendo un certo Enrico Berlinguer, segretario tutt’altro che incontestabile. Ma nessuno doveva e poteva sapere di contrasti. Centralismo democratico, veniva chiamato. E lo spessore di Giorgio Amendola e di Pietro Ingrao con un altro futuro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E Nilde Jotti prima
presidente della Camera donna e comunista. Si faceva politica ognuno con la
propria filosofia. E che dire del Craxi riformatore che aveva capito che non era più possibile escludere i comunisti. O di Berlinguer che alla via italiana al socialismo aveva aggiunto la rottura con gli oppressivi sovietici che avevano per antonomasia sempre ragione. Del resto Dio non si contesta, e loro erano Dio in Terra. Torniamo al presente, forse sono solo nostalgico
di qualcosa che so perfettamente che non può e non sa ritornare. Ma lasciatemi dire che preferivo e preferisco quei tempi dove ignorare e non sapere o mancare di esperienza e capacità era una colpa. E la politica era una cosa seria.
Patrizio Tosetto
Climathon premia l’albero urbano
Si è chiusa a Torino la maratona delle nuove soluzioni tecnologiche contro il cambiamento climatico. A Roma vince un moderno impluvium per rotatorie, Venezia punta a distribuire borracce anti-plastica
Un albero urbano, fatto di bambù e pneumatici usati, da installare nelle piazza dei centri urbani, che raccolga l’acqua piovana e offra riparo contro i raggi del sole estivi. Si chiama ArTree ed è il progetto vincitore del Climathon di Torino, che quest’anno è stato il main stage della maratona di idee e soluzioni a contrasto del cambiamento climatico presso l’Environment Park. “In questi due giorni Torino è stata capitale mondiale del clima ed Envipark il palcoscenico internazionale di Climathon 2018. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, sotto la quale c’è una solida base di competenze, conoscenze, capacità e volontà, che finalmente vediamo riconosciute pubblicamente in un evento così importante – ha commentato Davide Canavesio, Amministratore Delegato di Environment Park, sede del Climathon Main Stage – . Abbiamo dimostrato, una volta ancora, di essere un laboratorio attrattivo di idee e progetti sui temi legati alla sostenibilità ambientale e di avere volontà e capacità di unire la sostanza all’innovazione”. Alla giornata conclusiva di Climathon è intervenuto il Sindaco di Torino Chiara Appendino, che ha ricordato l’impegno della città nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. “Lavoriamo ogni giorno per coinvolgere cittadini e aziende su prevenzione e rischi. Per questo è stato creato un gruppo di lavoro che sta lavorando su una serie di azione a sostegno della resilienza e a promuovere uno stile di vita più green”. “Abbiamo affrontato il tema del cambiamento climatico – ha riassunto la due giorni Angelica Monaco, direttore Climate-KIC Italia – da prospettive diverse: chef, giornalisti e attivisti che hanno offerto uno spunto anche provocatorio, affiancati da scienziati e policy maker che hanno offerto una visione più tradizionale: un bel mix di punti di vista, coronati dall’intervento conclusivo di Stefano Caserini, docente del Politecnico di Milano che ha saputo mettere insieme scienza, musica e ironia”.
COS’è IL CLIMATHON
Climathon è un hackathon di 24 ore sui cambiamenti climatici che si svolge in contemporanea nelle maggiori città del mondo. La data di quest’anno è il 26 ottobre. I partecipanti collaborano nell’arco delle 24 ore in una maratona di idee dal basso – una sorta di brainstorming – durante la quale studiano come risolvere i problemi legati al clima in città. Innovatori e imprenditori di tutto il mondo hanno la possibilità di entrare in azione nel contesto urbano in cui vivono, mettendo a punto soluzioni innovative