Basta attacchi ai giornalisti. Gli insulti e le minacce di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista non sono soltanto l’assalto alla nostra categoria, ma rappresentano anche e soprattutto il tentativo di scardinare l’articolo 21 della Costituzione e i valori fondamentali della democrazia italiana. Una prima risposta pubblica agli attacchi del vicepremier Di Maio e di quanti pensano di poter ridurre al silenzio l’informazione italiana è fissata per domani, martedì 13 novembre 2018.
La Federazione nazionale della Stampa italiana promuove il flash mob #GiùLeManiDallInformazione, aperto non soltanto ai giornalisti, ma anche a cittadini e associazioni che considerano l’informazione un bene essenziale per la democrazia. All’iniziativa ha già aderito il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Il flash mob si terrà in contemporanea, dalle 12 alle 13, nelle piazze dei capoluoghi di regione: a Torino l’appuntamento è alle 12 in piazza Castello, sotto i portici di fronte alla Prefettura.
«Ritrovarsi in piazza contemporaneamente – spiega Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi – significa respingere tutti insieme attacchi volgari e inaccettabili contro l’informazione e i giornalisti. Ormai non si tratta più di episodi isolati, ma di azioni mirate a screditare una categoria di professionisti con lo scopo di disorientare l’opinione pubblica. Una forza politica, il Movimento 5 Stelle, che teorizza il superamento del Parlamento e della democrazia liberale ha messo nel mirino i giornalisti e gli editori perché per realizzare questo progetto bisogna togliere di mezzo tutti gli organismi intermedi e impedire ai cittadini di conoscere. Soltanto un’informazione debole, docile o assente può consentire alla disinformazione di massa, veicolata attraverso gli algoritmi e le piattaforme digitali, di prendere il sopravvento e di manipolare il consenso e le coscienze dei cittadini. È un disegno al quale bisogna opporsi con forza».
(Ri)parlare, teatralmente, di lavoro, che cosa strana. Andare a ricercare l’antica classe operaia, oggi affievolita, qualcuno azzarderebbe inesistente, prendere fiato e spinta e costruzione da quella Classe operaia va in paradiso – il punto centrale della “trilogia della nevrosi” – che Elio Petri (con in testa la sempiterna coppola) con l’aiuto fidato di Ugo Pirro scrisse e diresse nel 1971, premiato a Cannes con il Palmarès l’anno successivo – ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi: era l’epoca dei grandi nomi, dei nomi importanti e forti, del cinema che avvolgeva e faceva discutere, che si rispecchiava necessariamente nella società – e sgradito al pubblico e a molta critica all’uscita sui nostri schermi, giudicato eccessivo e sgradevole, sgradito a molta parte della sinistra più ferrea, tanto esasperante che “qualcuno non mancò addirittura di invocare il rogo di tutte le copie della pellicola”. Ritornare a quell’affresco di circa cinquant’anni fa, ha deciso Emilia Romagna Teatro, affidando la nuova scrittura a Paolo di Paolo e la regia a Claudio Longhi, rifotografare un’epoca senza incorrere (troppo) nell’uso dello spazio angusto dell’operazione archeologica, che non ci interesserebbe davvero più, ma controllare con gli occhi di oggi (con la nostra società) se vi possano essere dei ricordi, delle piccole tragedie, dei momenti grotteschi, delle scorie che ci ricordino quel Lulù Massa che aveva la faccia indimenticabile di Gianmaria Volonté.
Un racconto di operai e di pezzi prodotti, di pugni alzati e di scioperi, di padroni e di impiegati messi ad una spanna da te a contarti il tempo, di ideologie contrastanti, di un buongiorno dato dall’altoparlante ma solo per ricordarti che il sole non lo hai visto entrando in fabbrica e nemmeno lo vedrai uscendo, ore e ore chiuso lì dentro. Un sacerdote del cottimo, quel Lulù Massa lì, produrre produrre produrre, la sua personale lotta con il sindacato, i dissidi con i compagni di lavoro, la sua non vita con la Vanda, gli amplessi straveloci in macchina, con i piedi incollati contro il parabrezza, l’incidente con il dito mozzato, un’altra visione della vita e del lavoro, la consapevolezza di essere un ingranaggio tra i tanti, tra i tutti, di far parte della grande Macchina che ti schiaccia. La figura del crumiro, dello stakanovista a tutti i costi che abbraccia i diritti dei lavoratori. E in fondo al tunnel c’è il vecchio Militina, che ha già percorso tutta quanta la vecchia strada, con i suoi sogni di lucidità e di pazzia, con il suo paradiso intravisto e forse alla fine raggiunto. C’è la politica chiusa lì dentro, ma c’è anche la storia di un paese che non è scampata anche oggi a quei ritmi, magari li nasconde nei “lindi, asettici uffici dell’odierno proletariato dei call center” o nelle corse in bicicletta di quei ragazzi che armati di zaino ti recapitano la pizza a casa. E allora bisogna raccontarlo tutto quel mondo antico che si riallaccia con il presente – si è detto Paolo di Paolo, che certo abbandona l’idea della sintesi in questa sua Classe vista al Carignano per la stagione dello Stabile torinese e in scena sino al 18 novembre -, anche con il pericolo bulimico di immettere a forza immagini e suggestioni oltre il dovuto, di creare nuove scene o rimandi a una letteratura che scomoda il Memoriale di Volponi o il selezionatore Donnarumma di Ottieri, di ripercorrere più e più volte i titoli di coda del film o gli apporti della critica non benevola, le discussioni (con gli autori seduti su quelle poltrone care a Fantozzi) e la preparazione e la realizzazione del film, le atmosfere da cineforum, il “Rischiatutto” di Mike o i Tg del tempo, la chitarra e le canzoni, giù giù sino all’immancabile (e come potrebbe essere diversamente?) Charlot che tra un imbullonamento e l’altro scivola tra gli ingranaggi della macchina di Tempi moderni. Ma al di là dei disturbanti sottofinali, lo spettacolo, brechtiano come non se ne vedevano da anni, regge intelligentemente e lo si ammira sino in fondo, nel gioco colorato dei dialetti, per come Longhi si serve della macchina teatrale ideata da Guia Buzzi, con quel tapis roulant dove scorre la catena di montaggio, per come detta il ritmo dell’azione, per come regge la compagine degli attori, mai portati sul terreno instabile della macchietta o del già visto. A cominciare da Lino Guanciale. Che lontanissimo dagli exploit televisivi, qui costruisce il
suo Lulù con tutta la maschera e il concreto della sfrontatezza, dell’idea sicura e affermata, della disperazione, della realtà agra e del sogno. È un tutt’uno con il personaggio, si annulla e si riafferma, piange e diverte, usa mezzi che non gli conoscevamo da attore dell’oggi e sicuramente del domani. Accanto a lui si segnalano la prove Franca Penone, visionaria Militina, di Diana Manea, la Vanda che nel film fu una strepitosa Melato, tutta ardori e recriminazioni, e di Simone Francia che con altri ruoli incide a tutto tondo soprattutto quello del crudele impiegato preposto a prendere i tempi di produzione: con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Eugenio Papalia, Simone Tangolo e Filippo Zattini autore delle musiche e degli arrangiamenti compongono il successo della serata.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Giuseppe Distefano
E’ di origini straniere, di 15 anni, ed è stato trovato senza vita vicino ai binari della stazione ferroviaria di Centallo, nel Cuneese, con segni evidenti di un trauma alla testa. La polizia ferroviaria sta indagando. Il conducente del treno regionale 22964 Limone-Fossano,si è accorto del cadavere e ha dato l’allarme. La linea Torino-Cuneo ha subìto l’interruzione del traffico ferroviario per due ore, dalle 8.20 alle 10.20, per l’effettuazione dei rilievi.
Le piazze di Torino
Tutti a parlare di piazza Castello e della manifestazione Si TAV di sabato 10 novembre dimenticando e , per la stragrande maggioranza, non sapendo che la piazza era non una, non due ma sono state addirittura tre. Partiamo dalla prima , la più importante e partecipata . Alle undici del mattino quarantamila persone ,di Torino e non solo, si sono ritrovate per dare un segnale forte, civico e politico, a favore della realizzazione della TAV , della candidatura olimpica, anche se la partita è oramai chiusa, della crescita economica e , soprattutto, contro il Sindaco e la sua maggioranza . Un chiaro messaggio anche per il Governo e per l’amministrazione cittadina che , indipendentemente da quando si effettueranno le prossime elezioni comunali, ha chiuso sabato . Un’intera città ha battuto un colpo forte e chiaro. Una piazza , nella migliore tradizione sabauda, composta dove prevaleva il colore arancione, quello ufficiale e scelto per l’iniziativa . Colore ripreso, non so se consciamente , dai Sindaci di qualche anno fa , e che ha sostituito i tradizionali rosso, azzurro e l’attuale , governativo, giallo-verde. Attraversandola si intravedevano gruppi più o meno compatti , gli imprenditori e professionisti davanti a palazzo madama alcune aziende con imprenditori e dipendenti con i “colori” e tute aziendali nel centro e, dato poco evidenziato se non nascosto, tanti esponenti e sopratutto elettori di sinistra. Una presenza coerente con le posizioni e gli atti di tutti questi anni . Quando una città ed i suoi cittadini danno un segnale così chiaro, inequivocabile, a sostenere posizioni diverse, legittimamente , o peggio ancora cambiarle quasi fuori tempo massimo ci si condanna ad una presenza , bene che vada, minoritaria ed ininfluente. Nella seconda piazza , Carignano, il salotto di Torino , alle ore quindici è andato in scena una triste e mesta manifestazione contro il ddl ( disegno di legge) Pillon. Il provvedimento prende il nome dal senatore della Lega Nord Simone Pillon, quello del “Family Day”, mediatore legale che fa una proposta di legge retrograda e peggiorativa del diritto di famiglia. Un provvedimento che mette sullo stesso piano i genitori indipendentemente dalla loro condizione e che favorisce , tra l’altro , l’attività professionale del proponente. Anche così va il mondo al tempo del governo giallo-verde. Così nonostante la mobilitazione fosse nazionale , in tutte le principali città del nostro paese, ed il tema così delicato e peggiorativo in particolare per le donne , la partecipazione era proprio modesta. Ridotta ulteriormente
da un’altra manifestazione sullo stesso tema e cioè il ddl Pillon. La terza piazza, appunto, dove si sono ritrovate le donne che non volevano confondersi con le donne del PD ( Partito Democratico ) . Così richiamate dall’associazione ” Non una di meno” che in evidente contraddizione con il proprio nome erano in tante di meno. Il ritrovo in piazza della Repubblica ( Porta Palazzo) secondo le organizzatrici una piazza periferica dimostrando così di avere una strana concezione della periferia e facendo pensare che non sappiano bene dove si trovino e che non ci abbiano mai abitato . E così oltre alle divisioni le scelte bizzarre, come quella delle associazioni di piazza Carignano di non citare tra chi ha aderito i partiti invitati già precedentemente , insieme ai sindacati , a non portare le proprie bandiere……in una manifestazione politica. Si vergogneranno di loro? Ah saperlo?! E come se una squadra di calcio invitasse i propri tifosi ad andare allo stadio senza sciarpe e bandiere. Decisione che fa il paio con quella delle organizzatrici di piazza della Repubblica che non avendo rappresentanti in Parlamento , non penso che ne avranno mai, non vogliano confondersi con le donne del principale partito d opposizione presente in Parlamento . Un modo singolare di contrastare un disegno di legge parlamentare. Tutto questo in un clima , peggiore di quello meteo , mesto e respingente. In condizioni simili ed in assenza di proposte chiare e comprensibili alla stragrande maggioranza degli italiani e , soprattutto, la mancanza di un leader riconosciuto e riconoscibile condanna la sinistra italiana alla marginalità .
La piazza della gente normale






Forza Italia sabato in piazza per la Tav
Forza Italia mobilita il “popolo azzurro” sabato prossimo 17 novembre, alle ore 11, in piazza Palazzo di Città, per una manifestazione a favore della Tav. Presenti questa mattina alla conferenza stampa tenutasi al Turin Palace parlamentari, consiglieri regionali e amministratori locali del partito. In occasione della conferenza stampa il coordinatore regionale azzurro, Paolo Zangrillo, ha anche sottolineato che l’alleanza
di centrodestra in vista delle prossime regionali di maggio è salda: “Non ci sono avvisaglie di problemi o fratture – ha detto Zangrillo all’ansa – i responsabili nazionali dei tre partiti hanno detto di voler riproporre lo schema delle Politiche: si va insieme, e il candidato lo esprime Forza Italia. Si tratta ora di individuare la persona più adatta”. Il vicepresidente del gruppo regionale azzurro, Andrea Tronzano, da noi interpellato commenta: “Forza Italia è da sempre favorevole alla Torino-Lione, un’opera fondamentale per dare nuove speranze e sviluppo all’economia e all’occupazione di Torino e del Piemonte. Per questo invitiamo chi la pensa come noi ad essere presente sabato prossimo alla nostra manifestazione”.
FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Ancora sangue cristiano e altri martiri in Egitto per la ferocia dei fondamentalisti islamici tornati a terrorizzare il Paese dei Faraoni. Dieci fedeli copti sono stati uccisi a raffiche di mitra “per il solo fatto di essere cristiani”, ha ricordato Papa Francesco, esprimendo profondo dolore per l’ennesimo attacco ai danni dei copti. Dieci pellegrini sono le nuove vittime degli estremisti islamici che in Egitto, sempre più terra di martiri, hanno colpito nuovamente la comunità copta, la più grande comunità cristiana del Medio Oriente.
Li hanno ammazzati mentre a bordo di due pullman si stavano recando al monastero di San Samuele il Confessore, nel governatorato di Minya, una zona desertica a centinaia di chilometri a sud della capitale dove da anni spadroneggiano miliziani jihadisti, dell’Isis e di gruppi affiliati, che sovente si scontrano con le forze di sicurezza egiziane, così come accade nel nord della Penisola del Sinai e al confine con la Libia. La reazione della chiesa copta non si è fatta attendere. I cristiani d’Egitto, dopo l’ennesima strage di pellegrini massacrati da un commando di estremisti islamici, non chiuderanno le chiese e non sospenderanno i riti religiosi di novembre in segno di lutto ma celebreranno i nuovi martiri come “vincitori”. I militari egiziani hanno subito individuato ed eliminato i 19 combattenti islamici ritenuti i responsabili della strage ma l’attacco del 2 novembre è solo l’ultimo di una serie di omicidi mirati contro la minoranza copta. Secondo la Chiesa cattolica locale i miliziani hanno agito per vendetta, per colpire la parte più debole della società, un obiettivo più semplice perchè meno protetto e difeso dalle forze di sicurezza e ora si teme una nuova ondata di attentati, a un mese e mezzo dalle festività natalizie. Il governo egiziano ha stanziato per ciascuna delle famiglie delle vittime un primo contributo di solidarietà pari a 100.000 sterline egiziane, circa 5000 euro. Alla cerimonia funebre, celebrata a Minya, hanno preso parte 10 vescovi copti che hanno annunciato il proposito di costruire una chiesa dove verranno custodite le salme dei copti uccisi. Oltre a colpire nel Sinai, i terroristi islamici vanno a caccia di cristiani nel sud dell’Egitto dove sono più numerosi. Nel governatorato di Minya costituiscono circa il 30% della popolazione, una riserva di caccia per i fondamentalisti che in queste zone non falliscono mai il bersaglio.
Un attacco molto simile si verificò a maggio 2017 quando un autobus di copti diretti verso lo stesso monastero fu bloccato da un commando armato dell’Isis che falciò in pochi secondi una trentina di persone. Il santuario copto di San Samuele fu eretto nel IV secolo dai discepoli di Sant’Antonio sul monte Qalamoun a oltre 200 chilometri a sud del Cairo. Si tratta di una comunità monastica molto vasta con un centinaio di monaci e diverse chiese. Il rapporto tra monaci, musulmani e tribù locali è cordiale e di reciproco rispetto e sovente i beduini nomadi si fermano al monastero a dormire o anche solo per consumare un pasto. Un esempio di convivenza pacifica tra cristiani e musulmani nel deserto egiziano di cui si parla poco e che purtroppo viene sconvolto ripetutamente dalla violenza dei fanatici musulmani che rifiutano la presenza degli infedeli nel loro Paese. Anche questa volta le autorità egiziane hanno fatto il loro dovere arrestando i presunti colpevoli della strage contro i copti ma a poco servono le manifestazioni di cordoglio del governo e dei comandi militari se mancano provvedimenti e leggi per contrastare o impedire le predicazioni religiose di odio verso i cristiani. I copti rappresentano il 10-15% della popolazione egiziana su una popolazione di 95 milioni di persone. Negli ultimi anni sono stati più volte presi di mira da gruppi jihadisti come l’Isis. Il caso più grave si verificò il 9 aprile 2017, nel giorno della Domenica delle Palme, quando 45 persone furono uccise in due attacchi contro la chiesa copta di Tanta e la cattedrale di Alessandria. I cristiani sono considerati nemici dai jihadisti perchè appoggiano il presidente al-Sisi che con il “golpe” del 2013 si liberò drasticamente dei Fratelli Musulmani con una spietata repressione salvando i copti dal regime religioso integralista della Fratellanza. Repressione che non accenna a diminuire. A ottobre un tribunale militare in Egitto ha condannato a morte 17 persone, ritenute responsabili di una serie di attentati contro alcune chiese cristiane copte che provocarono decine di morti e feriti fra il 2016 e il 2017 al Cairo, Alessandria e Tanta. Altri 19 imputati sono stati condannati all’ergastolo. I kamikaze che si fecero saltare in aria all’interno delle chiese erano combattenti dell’Isis o appartenenti a gruppi vicini al defunto Califfato.
Dal settimanale “La Voce e il Tempo”
Orto urbano, coltivare e meditare
Coltivare le nostre spezie preferite dai profumi evocativi, insaporire i nostri piatti con prodotti raccolti uscendo semplicemente sul terrazzo riavvicinandoci così alla natura e assicurandoci qualità e freschezza. Che meraviglia il nostro vivaio cittadino, il nostro giardino profumato e aromatico dove coltivare basilico, rosmarino, salvia, timo ma anche insalata, agrumi, ortaggi e frutta è realizzabile, dove nutrire il nostro benessere non solo alimentare ma anche psicofisico è possibile
L’Ortoterapia è considerata una vera e propria pratica, simile alla meditazione per le sue caratteristiche distensive, che può essere utile ad alleviare diversi disturbi da stress e mitigare le tensioni a cui la quotidianità ci sottopone. Curare un proprio spazio sapendo che qualcosa crescerà, dedicare tempo ad una attività pensando che i frutti del nostro impegno daranno vita a qualcosa, è una buona attività terapeutica, una occupazione che produce energia positiva, una cura che arricchisce. Secondo la Coldiretti, 6 italiani su 10 hanno il loro personale orto sul terrazzo, le motivazioni di tale interesse sono sia ecologiche, ovvero l’amore per la natura, ma anche valoriali e quindi una rivalutazione di rallentati ritmi di vita fonte di benessere e salute. Questa nuova abitudine, giovane quantomeno per la quantità di persone che vi si dedicano abitualmente, costituisce anche un piccolo apporto nella lotta contro l’inquinamento considerato che il raccolto autoprodotto non viene trasportato. Ci sono piante più facili da coltivare come la lattuga, il basilico, le fragole, il prezzemolo e i pomodori, ma qualcuno riesce a far crescere anche il cocomero, la zucca, spinaci e carciofi insomma un vera e propria produzione alimentare. Non servono grandi spazi per l’orto urbano, un terrazzo o anche un balcone di piccole dimensioni possono dare buoni risultati basta seguire alcune regole come per esempio utilizzare contenitori adatti, fertilizzanti
giusti e materiali indicati come l’argilla e poi ovviamente una corretta irrigazione ed una buona esposizione sono fondamentali. Un ottimo sistema salvaspazio è la coltivazione verticale che permette, nel caso di alcune piante, di realizzare il nostro progetto verde anche in pochi metri, uno di questi è quello in tessuto fatto da un telo corredato di tasche dove inserire i vasi, facile da gestire e di grande praticità. Non ci sono più scuse insomma, se ci piace l’idea di aggiungere del peperoncino alla nostra pasta o di insaporire le nostre insalate con profumi e fragranze di nostra produzione lo possiamo fare, basta un piccolo spazio, pochi gesti, dedizione e un po’ di pratica.
Maria La Barbera
Sfumature d’autunno sul Po
Gli orologi cosmici di Miss Bell
“Temevo di essere un po’ provinciale, non abbastanza intelligente per Cambridge. Ero sicura che prima o poi mi avrebbero scoperta e cacciata da questa grande università. Ma fino a quel momento avrei lavorato sodo per dare il meglio di me”; una delle frasi più emozionanti e uno degli insegnamenti più significativi di Jocelyn Bell si riassume certamente in questa frase, che lei pronuncia quando ha già trascinato il pubblico nell’appassionante cavalcata attraverso la pioneristica radioastronomia degli anni Sessanta. E invece la ragazza di allora, venuta dal profondo dell’Ulster, nell’Irlanda del Nord, e infine dottoranda a Cambridge – dove però, nota con squisito humour britannico, si usavano ancora le valvole mentre “giù al Nord”, in Scozia, dove aveva conseguito i precedenti titoli accademici, già si usavano i transistor – era destinata ad entrare nella storia dell’astrofisica. Nel 1968, infatti, nel brusio cosmico e terrestre di segnali radio (e pensate quello che si vede ora, nell’era dei cellulari e delle telecomunicazioni globali), quasi annegati nel rumore di fondo e incisi su chilometri e chilometri di carta millimetrata, la giovane ricercatrice scopre dei deboli segnali di periodicità piccolissima, che sembrano provenire sempre dalla stessa posizione del cielo.
Non sono segnali umani, proprio per via della loro dipendenza dal tempo siderale, quattro minuti più breve del periodo di rotazione terrestre, e non sono neanche, purtroppo o per fortuna, segnali di piccoli omini verdi, visto che non sembrano subire lo spostamento Doppler che un pianeta in orbita attorno ad una stella subirebbe durante la sua rivoluzione.La risposta è rivoluzionaria: Jocelyn Bell ha individuato la prima prova di un segnale proveniente da un oggetto misterioso ed estremo, una stella di neutroni il cui campo magnetico, disallineato rispetto all’asse di rotazione dell’oggetto, è puntato verso di noi.Come un faro nel cielo, che ruota senza sosta, quando uno dei due poli della stella è rivolto verso la terra, le onde radio irraggiate dagli elettroni accelerati nei potentissimi campi magnetici della stella (si consideri che, se un magnete industriale arriva al massimo a 10 Tesla, la stella di neutroni arriva a qualche centinaio di milioni di Tesla) partono per un lungo viaggio nelle profondità del cosmo e arrivano finalmente a noi dopo viaggi di chissà quante migliaia di anni luce. Esperimento e teoria, ancora una volta, mostrano in queste circostanze la forza della loro sinergia: che le stelle di neutroni potessero esistere, era già stato da lungo tempo predetto, almeno da quando la relatività generale si era affacciata al mondo grazie al genio di Einstein.
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La ricetta è questa: prendete una stella di qualche decina di masse solari, un autentico mostro, ma se alzate gli occhi al cielo ne vedrete almeno un paio, famosissime, Betelgeuse e Bellatrix nella costellazione di Orione che, proprio in questo periodo, si alza nel cielo ed Antares nella costellazione dello Scorpione, che invece ci ha lasciato nel primo autunno. Quando, dopo qualche centinaio di milioni di anni di vita, una stella siffatta esploderà, spargerà nel cosmo buona parte degli elementi che il suo nucleo tumultuoso ha sintetizzato e che noi tutti conosciamo così bene, il ferro, l’oro, l’uranio, il calcio, l’ossigeno, mentre il suo nucleo di ferro e silicio sarà così pesante da andare incontro a trasformazioni qui sulla Terra inimmaginabili; durante il collasso, la materia di cui è fatta si trasforma principalmente in neutroni, impacchettati e sottoposti ad una pressione tale da avere la stessa densità di un singolo nucleo atomico, oppure, per farvi un’idea e non lamentarvi più del sovraffollamento in metropolitana, di tutta l’umanità compressa in un ditale da cucito, diventando un gas degenere, l’unico stato della materia che riesce, purché la massa complessiva del nucleo stesso non sia maggiore di due, massimo tre masse solari (e già questi sono valori eclatanti, il nucleo di una stella che da solo è due o tre volte più pesante dell’intero sole), a raggiungere l’equilibrio con la forza di gravità.Se anche questo limite è superato, si entra nel regno di altri oggetti astrofisici “mitici”, tanto per la scienza come per la fantascienza, i buchi neri.Quindi, che le stelle di neutroni potessero esistere era ragionevole pensarlo: il problema era dimostrarlo, considerato che si tratta di oggetti del raggio di venti chilometri (sic!), che non emettono praticamente luce visibile e non hanno fonti di energia interne; sono stelle, ma non brillano, sono stelle ma probabilmente non sono neppure palle di gas, bensì di materia ferrosa solida in superficie. Ci restano due speranze: gli effetti dei campi gravitazionali estremi che, però, cinquant’anni fa la tecnologia non era ancora in grado di rivelare, e il ricco contenuto in ferro, che genera correnti elettriche superficiali ed i potenti campi magnetici responsabili della radiazione emessa dagli elettroni. Jocelyn Bell stana proprio questo segnale, un segnale estremamente regolare, perché la stella, così compatta, ruota a grandissima velocità, in qualche millisecondo in media, al massimo in un secondo, e perde la propria energia rotazionale su tempi lunghissimi; potremmo osservare per anni e secoli una stella di neutroni e il suo segnale si presenterebbe a lungo puntuale all’appuntamento e, solo con misure di altissima precisione, potremmo dimostrare che anche lei, un po’ alla volta, come la pendola della nonna, “si stanca” e rallenta fino a fermarsi, chissà quando, in qualche milione di anni; ecco perché un giornalista del Daily Telegraph suggerisce il nome, che subito funziona, di Pulsating Star, Pulsar per gli amici.
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Più o meno negli stessi anni, si può dire solo qualche metro di lunghezza d’onda più in là, le antenne dei, curioso cortocircuito della storia, Bell Laboratories, compagnia telefonica americana, scopriranno un altro brusio significativo, questa volta nelle microonde: la radiazione di fondo, non più un segnale pulsato e regolare, bensì un segnale elettromagnetico uniforme che proviene dalle profondità del tempo, appena trecentomila anni dopo il Big Bang, ma questa è un’altra storia. Ci si domanderà se Jocelyn Bell abbia vinto il premio Nobel per questo premio, e la risposta è no: lo vinse il suo supervisore ed altri radioastronomi con cui lei ebbe a collaborare. Vi fu chi recriminò rumorosamente per quella che potrebbe apparire un’ingiustizia, ma lei stessa ha smorzato i toni negli anni visto che, effettivamente, il vero cacciatore di pulsar era stato il suo professore ed a lui si doveva il merito dell’avvio della grande campagna radioastronomica; lei era stata nel momento giusto, al posto giusto, anche se dobbiamo riconoscere a lei si deve l’acume e la caparbietà nello scoprire e nell’escludere, metodica come l’altro suddito di Sua Maestà Britannica, Sherlock Holmes, ogni possibile sorgente che non fossero la prima e poi, dopo una nuova ricerca nella mole di dati accumulati, la seconda e la terza stella di neutroni, che si nascondevano in quel segnale. Torto o non torto, a cinquant’anni dalla scoperta, Jocelyn Bell ha ottenuto comunque un grande premio, quello che l’Osservatorio Astronomico, il dipartimento di Fisica e il Museo dell’astronomia hanno voluto celebrare venerdì al Piccolo Regio: l’americano e ricchissimo Breakthrough Prize, che ne commemora la scoperta, capace di scompaginare il mondo, questa più o meno la difficile traduzione della parola breakthrough, e cinquant’anni di illustre carriera. E, anche in questo caso, Jocelyn Bell si è mostrata rivoluzionaria, destinando quasi tre milioni di dollari alla creazione di borse di studio per donne, minoranze e studenti svantaggiati in genere, perché possano perseguire le proprie idee e i propri sogni, un tema straordinariamente attuale, che dimostra come la scienza sappia essere fonte di pace e progresso, riallacciandosi, ancora una volta, con la radioastronomia che le ha dato la fama, nata dalla riconversione dei radar nelle macerie dell’Europa della seconda guerra mondiale.
Andrea Rubiola