redazione il torinese

Violenza: necessità o volontà di scelta?

Nelle commemorazioni come questa, uniche, spesso ci chiediamo come sia stato possibile perpetrare tanto orrore, come sia possibile che l’animo umano sia in grado di fagocitare i propri simili attraverso una ferocia indicibile e faticosa da raccontare e ricordare. Si resta quasi senza fiato di fronte allo sterminio di esseri viventi, ma non si può restare senza memoria di ciò, senza ricordo. Perché è necessario, vitale, raccontare i violenti sbagli dell’umanità. E come mai accadono certi eventi? Da cosa nasce una così tale espressione di violenza? Cosa porta l’uomo a generare scelte atroci e sanguinarie? Impossibile trovare giustificazioni a ciò, ma un Dovere tentare di capire le origini di tanto male. Perché diventiamo cattivi? Dal punto di vista bio-psico-sociale, per istinto di sopravvivenza, tendiamo innatamente a difenderci, ma anche ad attaccare, ad invadere. Esempio è l’era in cui viviamo dove, nonostante le risorse a disposizione e per quanto sia evoluta la tecnologia, potremmo vivere senza “lavorare” ed invece facciamo la guerra. E’ l’uomo biologicamente e fisiologicamente predisposto al predominio su una scala gerarchica. Non è una scusa né una giustificazione, è la storia che lo racconta e seppur la storia, solitamente è declamata solo da chi vince, è indiscutibile il fatto che l’atteggiamento dell’uomo viene a sfociare in comportamenti aggressivi da sempre. La violenza ne è la conseguenza primaria, questo sia nell’uomo sia nella donna. Una violenza che assume con disinvoltura i colori sia blu che rosa. Dal generale concetto di istinto di sopravvivenza al particolare individuo che uccide per gelosia o perché non accetta l’abbandono o ipotizza consciamente, mettendolo in pratica, l’alienazione e la cancellazione di un’altra persona diversa da lui per cultura, identità sociale o territoriale. Dunque scelta di coscienza? libertà di farlo?, licenza di uccidere?, costrizione per difesa o follia mentale? Ci sarebbero un’infinità di possibili combinazioni ed esempi da elencare che porterebbero l’uno a sconfessare l’altro. Dal punto di vista umano e psicologico dobbiamo affermare che nessuno merita di subire violenza. Partendo, ad esempio, dall’ormai noto e sempre da incriminare fenomeno del bullismo, passando per il motore primario di defezione dell’umanità, cioè la guerra, tramite la quale l’essere umano stabilisce gerarchicamente e arbitrariamente la divisione delle ricchezze dell’intero pianeta, seguendo appunto la logica di prepotenza condita da violenza assolutamente estrema, con la conseguente distruzione di massa al limite del pianificato. Infiltrandoci poi in tutti gli episodi più comuni e quotidiani di mobbing lavorativo e stalking privato, fino ad arrivare al cyber bullismo e alla violenza globale nel web. Siamo paradossalmente inventori di progresso e, allo stesso tempo, sanguisughe e carnefici delle nostre esigenze , debolezze e fragilità.

***

Violenza sessuale, psicologica, fisica, virtuale e mentale, annientamento della dignità di un altro essere vivente, umiliazione per il solo fatto di esistere: rappresentano tutto ciò che l’uomo riesce ad immaginare ed a mettere in pratica, poiché atteggiamenti che sfociano nella sopraffazione dell’altro sorgono là dove il vuoto, ciò che è mancato, è stato riempito da rabbia, che altro non è che lo specchio della nostra tristezza. Quindi la tristezza fa diventare violenti? cattivi? Anche, ma non basta. Quando un omicidio viene generato e prolungato diventando strage, da una singola vita a più di sei milioni, dobbiamo parlare di collasso mentale ed emotivo, generato da sì stati emotivi incontrollati, nati da mancanze subite o che riteniamo tali, ma accompagnati da solitudine culturale, mancanza di educazione e sostegno civile, aridità emotive, sommate nel tempo, e completa inadeguatezza intima verso se stessi e verso gli altri. I “Mostri” i serial – killer, hanno tutti un’origine, ma non nascono tali. Non si nasce pluriomicidi. Nella pancia della mamma nessuno viene addestrato alla strage. Nascono da qualcosa e da qualcuno dopo, quando vengono al mondo ed entrano in contatto con altre coscienze già formate. Ed è una catena difficile da spezzare. Sembra quasi che la possibilità di diventare persone “pericolose” dipenda dal luogo in cui nasci e da chi si occupa di te. In parte è così, il resto poi ce lo mette a disposizione l’inclinazione genetica di cui siamo fatti. La prima regola, matrice della vita nel sistema natura, è la sopravvivenza. Se veniamo a contatto con pensieri che ci mostrano come qualcuno o qualcosa possa opporsi alla nostra qualità o quantità di vita inizieremo a pensare che quello è il nostro male, quello è il nostro nemico e lo tratteremo in quanto tale, generando dentro di noi una coscienza atta a concepire pensieri di ribellione verso ciò che è stato raccontato come pericolo alla nostra sopravvivenza. Nazismo, razzismo, serialità omicida, possiamo chiamarli come vogliamo, anche cambiargli di nome, restano comunque atti di violenza pura che sorgono laddove non c’è racconto di umanità. E sono stati tanti, e lo sono tutt’ora, i luoghi nel mondo in cui non sono contemplati la parola umanità e rispetto di essa e della vita che comporta. Tanti luoghi, tante Nazioni, tanti paesi e tante famiglie in cui non esiste e non viene raccontato, ne’ preso come valore, il rispetto dell’altro come “vita”. Per arrivare ai giorni di commemorazione di atroci passati storici si passa dai piccoli gesti di violenza individuale, familiare, domestica, sociale di quello che è stato o è il vivere quotidiano. Inizia tutto con lo scaricare le proprie angosce e frustrazioni, facendo male all’altro, proiettandole sull’altro perché non in grado di elaborarle interiormente. Il corpo umano è una macchina che va allenata a vivere, niente è già memorizzato, se non l’istinto di sopravvivenza, che vede nella relazione con l’altro il proseguo della specie tramite accoppiamento, ma vede anche la violenza come elemento per salvarsi. Dunque bisogna allenarsi allo stesso modo sia nel volersi bene sia a gestire le proprie capacità di espressione rabbiosa, senza darle per scontate con la famosa frase “sono un tipo tranquillo” oppure “era una persona perbene”.

***

Esistono le persone, esistiamo noi e la nostra capacità individuale di fare scelte accanto ad altre persone uguali o diverse da noi, non cambia, la vita è vita sempre, quindi impossibile giustificare l’atto violento, la forzatura verso l’altro, perché non ci sono scusanti all’atrocità e all’infliggere sofferenza fisica ed emotiva per scaricare le nostre angosce. Sia uomini che donne sono in grado, se provano, ad infliggere sofferenza all’altro, dipende sempre dalle scelte che si fanno. Si può sbagliare anche soffrendo o per troppa sofferenza passata o presente, ma si deve imparare da ciò,trarre qualcosa di utile per il nostro animo, altrimenti la strada è già definita. Guerra per guerra, vendetta per vendetta, morte per morte, cosa resterà? Per sopravvivenza e consumo finì lentamente l’essere umano. Dobbiamo prendere coscienza e consapevolezza del nostro intimo e biologico ardore, prima ancora di prendere responsabilità del nostro agito. Pesa sicuramente, peserà di più piuttosto che proiettare tutto con ingiustizie esterne che, seppur possano vestirsi di verità, non faranno mai parte di un atteggiamento sano ma anzi, lasciate come motore principale di ciò che sta per accadere per mezzo delle nostre mani, non salverà mai e non fermerà mai un braccio teso, armato, un’intimidazione psicologica, un abuso sessuale, un ricatto morale, uno sterminio di massa. Educazione, rispetto, studio, sana accettazione culturale, civiltà, regole, confini sani quei valori che dovremmo provare a ricostruire dove mancano e a salvaguardare dove esistono poiché l’unica certezza, se la pena non è certa, è che violenza senza controllo porta alla fine di una storia. La nostra storia. Possiamo riferire che l’altro non lo fa, che non ci rispetta e quindi perché farlo noi per primi. Possiamo raccontarci che, se non teniamo la guardia alta, saremo violentati da chiunque. Sì, possiamo farlo ma non migliorerà le cose, anzi. È necessario riscoprire uno stato di coscienza sano, funzionale alla vita che chiede aiuto piuttosto che farsi giustizia da solo. Serve una cultura del sostegno, della possibilità di aprirsi e raccontare a qualcuno il nostro disagio. Serve una cultura di umana sostenibilità reciproca, in cui chiedere aiuto diventi un atto di volontà coraggiosa e non un mero gesto di omertà o paura emotiva. Serve la cultura dell’accoglienza e dell’amore del diverso come arricchimento e non come limite. Serve rispettare la vita come indice primario di cultura del vivere. Servono “sguardi diversi”, con cui guardarsi nel mondo, e non è detto che non possiamo trovarli.

Davide Berardi

 

*Dott. Davide Berardi,

Psicologo – Psicoterapeuta,

Psicologo, Psicoterapeuta ad Indirizzo Relazionale Sistemico, Docente Corsi di Accompagnamento al parto, Psicologo della riabilitazione e del sostegno nella terapia individuale e familiare, Terapeuta del coraggio emotivo.

Mail: davide_berardi_78@yahoo.it      

Facebook: https://www.facebook.com/StudioStressRoma/

L’export piemontese torna a crescere

La lieve flessione del secondo trimestre 2018 è terminata e le esportazioni dei distretti piemontesi nel terzo trimestre dell’anno riprendono  la crescita, con un aumento di 108 milioni di euro (+4,9%), raggiungendo la quota di 2 miliardi e 311 milioni di euro, molto vicina al picco storico raggiunto nel quarto trimestre 2017. Sei distretti piemontesi su undici hanno registrato esportazioni in positivo. Cristina Balbo, direttore regionale Piemonte Valle d’Aosta e Liguria Intesa Sanpaolo, commenta i dati del Monitor dei Distretti del Piemonte curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo : “L’internazionalizzazione si conferma pertanto una strategia vincente, che si esprime sia nella capacità di trovare sbocchi di mercato, sia nella capacità fare investimenti sull’estero per rafforzare la filiera. Anche nel 2019 continueremo dunque a promuovere e a rafforzare gli investimenti in capitale umano, internazionalizzazione e innovazione, con un’attenzione particolare per la filiera”. Nonostante il quadro di rallentamento dei commerci internazionali, le esportazioni dei distretti industriali piemontesi sono cresciute quasi del 5% contro lo 0,4% dell’intero comparto manifatturiero.

L'export piemontese torna a crescere

La lieve flessione del secondo trimestre 2018 è terminata e le esportazioni dei distretti piemontesi nel terzo trimestre dell’anno riprendono  la crescita, con un aumento di 108 milioni di euro (+4,9%), raggiungendo la quota di 2 miliardi e 311 milioni di euro, molto vicina al picco storico raggiunto nel quarto trimestre 2017. Sei distretti piemontesi su undici hanno registrato esportazioni in positivo. Cristina Balbo, direttore regionale Piemonte Valle d’Aosta e Liguria Intesa Sanpaolo, commenta i dati del Monitor dei Distretti del Piemonte curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo : “L’internazionalizzazione si conferma pertanto una strategia vincente, che si esprime sia nella capacità di trovare sbocchi di mercato, sia nella capacità fare investimenti sull’estero per rafforzare la filiera. Anche nel 2019 continueremo dunque a promuovere e a rafforzare gli investimenti in capitale umano, internazionalizzazione e innovazione, con un’attenzione particolare per la filiera”. Nonostante il quadro di rallentamento dei commerci internazionali, le esportazioni dei distretti industriali piemontesi sono cresciute quasi del 5% contro lo 0,4% dell’intero comparto manifatturiero.

L’ultimo rifugio di Jacques Prévert

Il faudrait essayer d’être heureux, ne serait-ce que pour donner l’exemple”.Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.Così diceva Jacques Prévert. E’ possibile che una parte di felicità la trovò davvero a Omonville-la-Petite, piccolo borgo di case in pietra poco distante dal Cap de la Hague, la parte estrema del Cotentin, in bassa Normandia. E’ lì che il grande poeta francese , uno dei più popolari del XX° secolo, scelse di vivere gli ultimi suoi anni in una casa circondata da un giardino fiorito. L’ultima dimora del poeta  dell’amore, della libertà, della fantasia e della satira pungente contro i potenti, si trova lì. A poca distanza della casa c’è la piccola chiesa di Saint-Martin con il suo minuscolo cimitero dove riposano, insieme, i Prévert : Jaques,la moglie Janine e la figlia Michelle. A settant’anni, nel 1970 ( il poeta era nato nel 1900 a Neuilly-sur-Seine,alle porte di Parigi), decise di comprare questa casa nel luogo dove il suo grande amico, lo scenografo Alexandre Trauner, abitava già da qualche tempo.Un anno più tardi, i Prévert si stabilirono lì. Jaques aveva frequentato quelle zone già nei primi anni ’30, amando l’oceano e quei paesaggi selvaggi, spazzati dai venti, con i pascoli delimitati dai muretti a secco, a fianco di vertiginose falesie e splendide insenature. A Omonville-la-Petite, con i suoi 128 abitanti, la vita scorre tranquilla. La zona è poco conosciuta perché bisogna proprio scegliere di andarci, deviando decisamente dalle solite mete turistiche. I colori di questa terra sono talmente forti da stordire. Il cielo è cangiante e passa dal celeste intenso al grigio ferro delle nuvole che, sulla Manica, portano a tratti pioggia e vento. Le viuzze tra campi, giardini e vecchie mura, sono strette e dall’entroterra scendono verso le rocce e le spiagge.  Un paesaggio, quello della Hague, capace di sedurre chiunque. Anche il poeta dell’amore. Per capire la magia di questi luoghi basterebbe recarsi sulla punta di La Hague, accarezzata dal raz blanchard, l’ondata “biancastra”, una delle più forti correnti di marea del mondo. La vita di Prévert, in quegli anni, venne scandita da un tempo lento, dedicato alle passeggiate, agli ultimi lavori, alle visite degli amici più stretti come Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, Joseph Losey e Serge Reggiani.  Appassionato dei collage, compose e regalò questi montaggi d’immagini di volta in volta spassosi, satirici o decisamente sovversivi. Le sue ultime pagine, “tra gravità e tenerezza”,  ne descrivono la ricerca sui temi dell’infanzia e dell’amore, del confine stretto tra la vita e la morte, con  quel segno indelebile che ne accompagnò tutta l’esistenza e la produzione poetica e letteraria: l’irriducibile desiderio di rivolta e d’insubordinazione nei confronti delle ingiustizie. Fino alla fine, divorato da un cancro ai polmoni causato dalle immancabili, troppe sigarette, continuò a scrivere e lavorare. Morì lì, in quella casa,  l’11 aprile del 1977. Nella “maison Jacques Prévert” – al n.3 Hameau Le Val , aperta solo di pomeriggio – si possono visitare le stanze, il suo atelier, il giardino e  vedere un film sulla sua vita. Un incredibile percorso artistico, quello di Prévert. Dagli anni del surrealismo alle scenografie per il  cinema, dove collaborò con Jean Renoir, Andrè Cayatte, Claude Autant-Lara e soprattutto Marcel Carné (un sodalizio, il loro, che ci ha regalato, film-capolavoro come Il porto delle nebbie e Alba tragica) fino alle sue poesie che in molti casi sono state tradotte in canzoni. Un’esistenza intensa che sintetizzò in un aforisma: “La vita è una ciliegia. La morte il suo nòcciolo. L’amore il ciliegio”. Negli scaffali del suo studio ampio e luminoso si ammirano le varie edizioni – tantissime – delle sue opere: le raccolte di versi di maggiore successo, come Parole (1945), La pioggia e il bel tempo(1955), Alberi (1976); le antologie tradotte in italiano Le foglie morte e Poesie d’amore. Mentre calano le prime ombre della sera, bagnate da una pioggerella fine e insistente, viene quasi voglia di attendere il buio e rileggere le Trois allumettes: “Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte/Il primo per vederti tutto il viso/Il secondo per vederti gli occhi/L’ultimo per vedere la tua bocca/E tutto il buio per ricordarmi queste cose/Mentre ti stringo fra le braccia”.

Marco Travaglini

L'ultimo rifugio di Jacques Prévert

Il faudrait essayer d’être heureux, ne serait-ce que pour donner l’exemple”.Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.Così diceva Jacques Prévert. E’ possibile che una parte di felicità la trovò davvero a Omonville-la-Petite, piccolo borgo di case in pietra poco distante dal Cap de la Hague, la parte estrema del Cotentin, in bassa Normandia. E’ lì che il grande poeta francese , uno dei più popolari del XX° secolo, scelse di vivere gli ultimi suoi anni in una casa circondata da un giardino fiorito. L’ultima dimora del poeta  dell’amore, della libertà, della fantasia e della satira pungente contro i potenti, si trova lì. A poca distanza della casa c’è la piccola chiesa di Saint-Martin con il suo minuscolo cimitero dove riposano, insieme, i Prévert : Jaques,la moglie Janine e la figlia Michelle. A settant’anni, nel 1970 ( il poeta era nato nel 1900 a Neuilly-sur-Seine,alle porte di Parigi), decise di comprare questa casa nel luogo dove il suo grande amico, lo scenografo Alexandre Trauner, abitava già da qualche tempo.Un anno più tardi, i Prévert si stabilirono lì. Jaques aveva frequentato quelle zone già nei primi anni ’30, amando l’oceano e quei paesaggi selvaggi, spazzati dai venti, con i pascoli delimitati dai muretti a secco, a fianco di vertiginose falesie e splendide insenature. A Omonville-la-Petite, con i suoi 128 abitanti, la vita scorre tranquilla. La zona è poco conosciuta perché bisogna proprio scegliere di andarci, deviando decisamente dalle solite mete turistiche. I colori di questa terra sono talmente forti da stordire. Il cielo è cangiante e passa dal celeste intenso al grigio ferro delle nuvole che, sulla Manica, portano a tratti pioggia e vento. Le viuzze tra campi, giardini e vecchie mura, sono strette e dall’entroterra scendono verso le rocce e le spiagge.  Un paesaggio, quello della Hague, capace di sedurre chiunque. Anche il poeta dell’amore. Per capire la magia di questi luoghi basterebbe recarsi sulla punta di La Hague, accarezzata dal raz blanchard, l’ondata “biancastra”, una delle più forti correnti di marea del mondo. La vita di Prévert, in quegli anni, venne scandita da un tempo lento, dedicato alle passeggiate, agli ultimi lavori, alle visite degli amici più stretti come Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, Joseph Losey e Serge Reggiani.  Appassionato dei collage, compose e regalò questi montaggi d’immagini di volta in volta spassosi, satirici o decisamente sovversivi. Le sue ultime pagine, “tra gravità e tenerezza”,  ne descrivono la ricerca sui temi dell’infanzia e dell’amore, del confine stretto tra la vita e la morte, con  quel segno indelebile che ne accompagnò tutta l’esistenza e la produzione poetica e letteraria: l’irriducibile desiderio di rivolta e d’insubordinazione nei confronti delle ingiustizie. Fino alla fine, divorato da un cancro ai polmoni causato dalle immancabili, troppe sigarette, continuò a scrivere e lavorare. Morì lì, in quella casa,  l’11 aprile del 1977. Nella “maison Jacques Prévert” – al n.3 Hameau Le Val , aperta solo di pomeriggio – si possono visitare le stanze, il suo atelier, il giardino e  vedere un film sulla sua vita. Un incredibile percorso artistico, quello di Prévert. Dagli anni del surrealismo alle scenografie per il  cinema, dove collaborò con Jean Renoir, Andrè Cayatte, Claude Autant-Lara e soprattutto Marcel Carné (un sodalizio, il loro, che ci ha regalato, film-capolavoro come Il porto delle nebbie e Alba tragica) fino alle sue poesie che in molti casi sono state tradotte in canzoni. Un’esistenza intensa che sintetizzò in un aforisma: “La vita è una ciliegia. La morte il suo nòcciolo. L’amore il ciliegio”. Negli scaffali del suo studio ampio e luminoso si ammirano le varie edizioni – tantissime – delle sue opere: le raccolte di versi di maggiore successo, come Parole (1945), La pioggia e il bel tempo(1955), Alberi (1976); le antologie tradotte in italiano Le foglie morte e Poesie d’amore. Mentre calano le prime ombre della sera, bagnate da una pioggerella fine e insistente, viene quasi voglia di attendere il buio e rileggere le Trois allumettes: “Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte/Il primo per vederti tutto il viso/Il secondo per vederti gli occhi/L’ultimo per vedere la tua bocca/E tutto il buio per ricordarmi queste cose/Mentre ti stringo fra le braccia”.

Marco Travaglini

Budinetti dal cuore morbido

Questi budinetti si prestano bene per un antipasto o per un contorno raffinato. Provateli !

budini

Ingredienti per 6 persone

500gr. di zucchini (meglio se con il fiore)
3 uova intere
4 cucchiai di crescenza
3 cucchiai di panna da cucina
1 cucchiaio di parmigiano grattuggiato
1 piccola cipolla
6 dadini di fontina o toma gustosa
burro per ungere gli stampini
1 ciuffetto di menta
olio, sale, pepe q.b.

***

In una padella soffriggere con poco olio la cipolla affettata. Tagliare gli  zucchini a tocchetti e rosolare con le foglie di menta tritate e i fiori fino a cottura poi, frullare. In una ciotola, sbattere le uova intere con il parmigiano, la panna, la crescenza, il sale, il pepe e il frullato di  zucchini. Imburrare 6 stampini monodose in acciaio o alluminio, versare la crema di zucchini ed inserire al centro di ogni stampino un dado di fontina. Cuocere a bagnomaria, coperto con un foglio di alluminio, a fuoco bassissimo (o in forno) per circa 40 minuti, poi scoprire e continuare la cottura per almeno altri 10 minuti.
Servire tiepido, la fontina fondendo creera’ un cuore morbido e gustoso.

 

Paperita Patty

Il Punt e Mes di Armando Testa

PUNT E MES

Vincenzo Maiorano ha ritratto con la sua macchina fotografica l’installazione “Sintesi 59” di Armando Testa, davanti a Porta Susa. Una geniale intuizione pubblicitaria di allora per omaggiare il celebre liquore torinese

Annunciazione e Natività

Nella Sacrestia della Cappella di Sant’Uberto alla Reggia di Venaria

Fino all’8 dicembre 2019

 

Un grande Maestro d’arte. Di toccante e profonda spiritualità. Per il quale, lo studio e la rigorosa conoscenza del passato – dal Rinascimento al Barocco per arrivare, su tutti, alla “decorazione monumentale” del Tiepolo – è sempre stato “il presente della sua pittura”. “Non si può fare nulla di nuovo – affermava – se non si passa attraverso il filtro del passato. Nicola Arduino di cui sono stato allievo era solito ripetermi ‘Io t’insegno il mestiere. Se avrai qualcosa da dire lo dirai’. Ed è quanto cerco di fare. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se prima non avessi affrescato chiese, dipinto pale d’altare, tentando di scoprire i segreti della grande pittura”. Parole in cui c’è tutta l’umiltà e quella cosciente consapevolezza del dover “apprendere”, del conservare la memoria e del guardare con occhi attenti alle opere degli antichi Maestri, che fanno ancor più alta la grandezza di una artista quale fu Ottavio Mazzonis (Torino, 1921 – Torino, 2010), figura di spicco nel panorama dell’arte realistica torinese del secondo Novecento, cui la Reggia di Venaria dedica, in concomitanza con le feste natalizie, una suggestiva rassegna, perfettamente coniugata con la magia e la sacralità del Natale. Ospitata, per un anno intero, nella simbolica cornice della Sacrestia della Cappella di Sant’Uberto (insieme alla “Galleria Grande”, altro settecentesco capolavoro juvarriano), la mostra è organizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude in collaborazione con la Fondazione Ottavio Mazzonis, che conserva l’eredità artistica del Maestro, e presenta trenta opere – fra pittura e scultura – sul tema della “Maternità”, declinata attraverso il mistero cristiano dell’“Annunciazione e Natività”, mettendo in relazione alcune opere del Mazzonis con altre di arte antica provenienti dalle ricche collezioni di famiglia, in buona parte conservate nello storico Palazzo dei Solaro della Chiusa al numero 11 di via San Domenico a Torino, oggi sede del “Museo d’Arte Orientale”.

***

Si passa così, a grandi balzi, dall’“Annunciazione” (1970-’75) e dalla sfumata bellezza del “Ritratto di Silvia per l’opera Fuga d’Egitto”, alla “Natività (Presepe)” del ’70 e alla delicata immagine de “La Madre” del 2001 insieme all’intenso “Autoritratto” realizzato nell’ ’89, per arrivare alla “Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina” (1730 ca.) del partenopeo tardo baroccheggiante Francesco Solimena e al luminoso “Sposalizio mistico di Santa Caterina” (1690– 1710) del milanese Stefano Maria Legnani, meglio noto come Il Legnanino. Il tutto attraverso un più ricco itinerario d’arte perfettamente curato da Giovanni Cordero e da Silvia Peracchio, presidente della Fondazione dedicata al Maestro. Cresciuto in una famiglia dell’aristocrazia torinese (la madre ex-soprano e il padre Federico collezionista d’alto livello), Ottavio Mazzonis respirò voglia d’arte fin dall’infanzia e fu prima allievo di Luigi Calderini e successivamente di Nicola Arduino – a sua volta allievo di Giacomo Grosso – che il giovane Ottavio seguirà nel ’46 nel padovano, dove apprenderà la tecnica della “pittura a fresco” e realizzerà decorazioni e Pale d’Altare per numerose Chiese. L’attenzione per i soggetti sacri, lo porterà fra gli anni Sessanta e Settanta a realizzare anche in Piemonte opere a carattere religioso, come le decorazioni della cupola nella Pieve di Cumiana, la Pala d’Altare per San Pietro di Savigliano, le decorazioni per il Seminario Maggiore di Mondovì Piazza e la Pala d’Altare con il beato Valfrè per la Chiesa di San Filippo Neri di Torino. Da segnalare anche le 15 stazioni della “Via Crucis” per la Chiesa del “Santo Rosario” di Cento (Ferrara) e l’incarico, ottenuto nel 2009 su interessamento di Vittorio Sgarbi, per eseguire due Pale per il transetto della siciliana Cattedrale di Noto; opere di cui esistono i bozzetti ma che non verranno mai realizzate per la scomparsa dell’artista, avvenuta l’8 novembre del 2010. Il Sacro, ma non solo. Dal ’47, Mazzonis partecipa infatti alle mostre sociali del torinese Circolo degli Artisti e soprattutto avvia una proficua collaborazione, a partire dagli anni Ottanta, con la “Galleria Forni” di Bologna, partecipando a tutte le esposizioni nazionali ed internazionali organizzate dalla stessa Galleria, da Bari a Bologna, da Parigi a Stoccolma non meno che a New York, a Los Angeles, a Londra e a Madrid. Artista curioso. E anche saggio scrutatore dei nuovi e nuovissimi fermenti artistici del Novecento. Ma sempre fedele a quei richiami del Sei-Settecento ( al suo amatissimo Tiepolo, da cui sempre“riparte– secondo Vittorio Sgarbicome se nulla vi fosse stato in mezzo”), che anche in studio – si racconta – rinnovava ogni giorno con la stravagante eleganza del suo immaginifico “pittoresco” papillon al collo. Cose d’altri tempi e d’altri mondi. Ma per Mazzonis, segni imperdibili di un mestiere dalle radici antiche, cui rinnovare quotidianamente eterne promesse d’amore.

Gianni Milani

“Annunciazione e Natività”

Sacrestia della Cappella di Sant’Uberto – Reggia di Venaria, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992333

Fino all’8 dicembre 2019 – Orari: mart.-ven. 9/17; sab.-dom. e festivi 9/18,30; lunedì chiuso

***

Foto

– Ottavio Mazzonis: “Ritratto di Silvia per l’opera Fuga d’Egitto”, olio su tela, 1970
– Il Legnanino:”Sposalizio mistico di Santa Caterina”, olio su tela, 1690-1710, Fondazione Ottavio Mazzonis
– Sacrestia della Cappella di Sant’Uberto (1716-1729)

Ventidue “maratoneti” al Campionato Regionale di fondo

Domenica pomeriggio alla piscina Usmiani (Sisport) di via Pier Domenico Olivero 40 a Torino si svolgerà il Campionato Regionale di fondo, la gara in vasca che vede gli atleti della categoria Ragazzi impegnati sui 3000 metri e i nuotatori delle categorie Junior, Cadetti e Senior sui 5000 metri. I primi a partire – alle 13.30 – saranno i più giovani, divisi in due serie e seguiti dall’unica serie di 5000 metri. In quest’ultima gara saranno presenti gli Junior Anna Chierici Tommaso Gallesio, entrambi classe 2002 e tesserati per il CSR Granda. Tutti e due nella passata stagione hanno partecipato alla Mediterranean Cup (Coppa Comen) di nuoto di fondo in acque libere, conquistando l’argento nella 5 km e il bronzo nella 4×1250 mista. In precedenza, al Campionato Italiano Indoor di fondo disputato ad aprile, Anna Chierici aveva vinto l’oro Junior dei 5000, mentre Tommaso Gallesio era salito sul secondo gradino del podio dei 3000 Ragazzi (classe 2002). A proposito del Campionato Italiano Indoor di fondo, l’edizione 2019 si terrà il 31 marzo e il primo aprile allo Stadio del Nuoto di Riccione, anticipando come sempre gli Assoluti di nuoto. Il Campionato Regionale alle porte sarà quindi prova di qualificazione per i tricolori; vedrà in gara 22 atleti in rappresentanza di 7 società: Sisport, CSR Granda, Rari Nantes Torino, Arona Active, Centro Nuoto Nichelino, Swimming Club Alessandria e la lombarda Nuoto Club Brebbia.

 

Informazioni e risultati a questo link

 

Foto LC ZONE Fotografia&Comunicazione

Ventidue "maratoneti" al Campionato Regionale di fondo

Domenica pomeriggio alla piscina Usmiani (Sisport) di via Pier Domenico Olivero 40 a Torino si svolgerà il Campionato Regionale di fondo, la gara in vasca che vede gli atleti della categoria Ragazzi impegnati sui 3000 metri e i nuotatori delle categorie Junior, Cadetti e Senior sui 5000 metri. I primi a partire – alle 13.30 – saranno i più giovani, divisi in due serie e seguiti dall’unica serie di 5000 metri. In quest’ultima gara saranno presenti gli Junior Anna Chierici Tommaso Gallesio, entrambi classe 2002 e tesserati per il CSR Granda. Tutti e due nella passata stagione hanno partecipato alla Mediterranean Cup (Coppa Comen) di nuoto di fondo in acque libere, conquistando l’argento nella 5 km e il bronzo nella 4×1250 mista. In precedenza, al Campionato Italiano Indoor di fondo disputato ad aprile, Anna Chierici aveva vinto l’oro Junior dei 5000, mentre Tommaso Gallesio era salito sul secondo gradino del podio dei 3000 Ragazzi (classe 2002). A proposito del Campionato Italiano Indoor di fondo, l’edizione 2019 si terrà il 31 marzo e il primo aprile allo Stadio del Nuoto di Riccione, anticipando come sempre gli Assoluti di nuoto. Il Campionato Regionale alle porte sarà quindi prova di qualificazione per i tricolori; vedrà in gara 22 atleti in rappresentanza di 7 società: Sisport, CSR Granda, Rari Nantes Torino, Arona Active, Centro Nuoto Nichelino, Swimming Club Alessandria e la lombarda Nuoto Club Brebbia.
 
Informazioni e risultati a questo link
 
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