“Vittoria Vintage”, il Second Hand di lusso a Torino

E’ una scommessa vinta quella di Vittoria Vintage che 14 anni fa, a Torino, ha aperto il suo negozio di articoli griffati di seconda mano, pezzi iconici a prezzi abbordabili.

All’epoca era una novità e lei è stata lungimirante perché il second hand funziona. Esattamente il 17 novembre cade l’anniversario dell’apertura di questo scrigno di autentici tesori, racchiusi in una manciata di metri quadrati nel blasonato quartiere a ridosso della Gran Madre.
Vittoria è diventata un volto noto che quotidianamente ci diletta con le storie su Instagram. Momenti piacevoli e istruttivi in cui -oltre a presentarci i capi del negozio decantandone qualità e attrattive- racconta anche aneddoti e retroscena del mondo della moda, ripercorre le biografie dei grandi stilisti. Potremmo definirle pillole di stile.
Abbiamo incontrato questa bella signora bionda charmant che si illumina di immenso mentre racconta con dirompente passione il suo mondo intriso di buon gusto e bellezza.
Lo stato di salute del second hand?
Come tutti i settori merceologici subisce battute d’arresto; anche noi viaggiamo di pari passo con la crisi…e oggi la sentiamo. Ma le nostre clienti trovano sempre qualcosa per tutte le tasche e possono togliersi qualche sfizio.  E’ importante il gusto con cui selezioniamo i capi da vendere. Non è facile e ho visto vari negozi chiudere.
Cosa c’è dietro l’angolo per questo settore?
Prevedo un grande ritorno al sartoriale, che costa meno di un brand, e la continua nascita di modiste-stiliste che creano le loro collezioni. Aumenteranno gli outlet che rivendono le grandi firme, i cui costi saliranno alle stelle. La giacca griffata dagli odierni 1900 euro tra qualche anno balzerà a 2500; sempre più inaccessibile. Saranno presi d’assalto i negozi vintage dove potersi permettere mise di qualità. Mi auguro che abbiano un’espansione tale da riempire una via, e che diventi un’abitudine quotidiana frequentarli.
Lei prima faceva tutt’altro, perché ha cambiato rotta?
Arrivo da studi e ambizioni artistiche, poi per 10 anni ho lavorato in banca. Qualcosa è scattato quando è morta una mia collega, con la quale due giorni prima facevo shopping e 48 ore dopo non c’era più. Mi si è aperta una finestra, ho capito che siamo niente e volevo fare qualcosa di mio e di maggior peso nella mia vita. Il mio capo diceva che ero un’abile oratrice e direi che il commercio richiede anche questa dote.
Perché proprio il second hand?
Sono sempre stata appassionata di moda, una spendacciona che dilapidava lo stipendio in scarpe, vestiti e borse. Questo non è un lavoro che puoi fare se non hai quell’inclinazione; una volta che compri, poi sai anche cosa vendi. Amavo indossare ed accostare capi di abbigliamento e accessori acquistati nei mercatini; quando li smettevo, scoprii che le mie amiche si ammazzavano per averli. E’ allora che iniziai a pensare a un negozio di questo tipo.
Il suo primo incontro con il lusso di seconda mano?
Fin da ragazza spendevo la paghetta in giornali di moda, compravo nei mercatini dell’usato, dal Balon a Londra e Parigi; in mezzo a montagne di abiti scovavo magari una giacca di Montanà, Valentino o Ferrè. Un po’ c’era la conoscenza, un po’ l’intuito e un po’ la fortuna; ma in verità è il pezzo che ti sceglie. Da allora quando qualcosa mi colpisce non lo lascio e raramente mi sbaglio.
Come descrive il suo negozio?
Per prima cosa non voglio che metta soggezione perché vendo pezzi di alta moda o ricercati. Ho pensato di dargli l’impronta di una cabina armadio, una stanza dove tutto è un po’ in calcolato disordine: una giacca appoggiata sulla sedia la sera prima, le décolleté che non sono state riposte nella scarpiera. Qui ci si sente a proprio agio e un po’ come a casa propria.
Come sono stati gli inizi?
Difficili: qualcuno mi dava solo sei mesi di vita, ed è scaturita anche l’invidia. Ma sono stata ripagata quasi subito da quelle che ancora oggi sono clienti affezionate. Ho aperto il negozio anche con tante cose belle che erano mie, e a volte mi sono pentita di averle vendute.
Come si è costruita una conoscenza così vasta e approfondita del mondo delle griffe?
Comprando, leggendo, viaggiando, studiando, e se dimentico qualcosa consulto i miei cataloghi di moda. Ho tutti i volumi dello scibile umano sui grandi nomi dell’haute couture e mi aggiorno costantemente. Molto l’ho imparato ascoltando le vendeuse preparate di una volta, le dame che mi spalancavano i loro armadi e le signore più grandi; a partire da mia mamma e mia zia, ex modella negli anni 70’.
Poi non mi sono mai vergognata di chiedere a persone più esperte. Ma se compri una borsa di Chanel, Prada, Gucci, Hermes o altri, poi sai anche riconoscerle.
Predilige qualche stilista in particolare?
Li amo tutti. Oltre ai più famosi e ricercati, strada facendo, mi sono interessata anche a quelli meno blasonati, che vantano grande qualità, ma non tutti li conoscono. Sono un’infinità e ognuno di loro merita un podio perché ha fatto qualcosa di meraviglioso.
Come si smascherano le contraffazioni?
Purtroppo il mondo del contraffatto viaggia così velocemente che devi essere più aggiornata di chi lo fa. Però c’è sempre quel particolare che ti lascia incerta e perplessa; allora, con un po’ di istinto, conoscenza e il tatto, si riesce a scansare un fosso. In verità tutti possono essere fregati; la volta che mi è successo sono andata direttamente nella boutique di riferimento e il dubbio mi è stato tolto. Mi capita di ricevere oggetti non idonei che cortesemente rifiuto. Preferisco tenere 4 pezzi vintage, tipo la borsa della nonna in coccodrillo, piuttosto che rischiare di averne una finta.
L’identikit di chi le lascia i capi da vendere.
L’esperienza in banca mi ha insegnato che gli argomenti difficili da trattare sono soldi, figli e le case, che i torinesi non aprono facilmente agli estranei. Fin dall’inizio sono stata avvantaggiata dalla conoscenza di signore che mi stimavano; allora come oggi mi invitano per un caffè e mi danno libero accesso alle loro cabine armadio da favola.
Ogni volta entro in una storia e alcune sono meravigliose: rimandano a cene galanti, incontri d’amore, capi custoditi fin dal giorno in cui hanno conosciuto il marito.
Riemergono anche aneddoti degli anni in cui le grandi firme sartoriali di casa nostra andavano alle sfilate parigine delle grandi Maison, poi tornavano a casa con i bozzetti e confezionavano i capi dalla grande allure.
Chi li acquista?
In linea di massima la clientela è medio alta, con una forbice di età piuttosto ampia; dalla ragazza 25enne alla signora 70enne. C’è chi se ne intende e chi cerca l’affare.
Che rapporto instaura con le clienti?
Innanzitutto le ascolto, e normalmente scatta la fiducia. Bisogna anche avere il coraggio di dire che magari quel tal vestito non è donante. Mai mettere il guadagno al primo posto. Voglio che le mie clienti si sentano bene e stiano davvero al meglio con i miei capi di abbigliamento.
Come è nata l’idea delle stories su Instagram?
Ho sempre pubblicato foto, come fosse una vetrina. Da circa 4 anni con i video online sicuramente ho ampliato il pubblico e dove non arriva la cliente nuova, in un certo senso, vado io da lei. Sono seguita anche da uomini che cercano regali per le compagne. La verità è che questi articoli dovrebbero vendersi da soli.
La sua formula è particolare, come ha trovato il tono giusto?
Mi piace raccontare la genesi dei capi che propongo. In definitiva vendo il superfluo e non è facile. Bisogna saper presentare e promuovere il pezzo usato, far capire alla persona che starebbe benissimo con quell’abito o quella borsa. E’ giusto che sappia la meraviglia che sta comprando: è un piccolo, unico, tassello della storia della moda che si ha la fortuna di portare a casa, a un prezzo decisamente inferiore a quello esorbitante in boutique. L’affare lo fa chi lo compra, non chi lo vende. Una frase che fa male è «ma come è possibile che costi così tanto una cosa usata..» senza considerare che da 10,000 euro del nuovo si passa ai 5000 del second hand.
E’ stato difficile presentarsi in video?
Io rifaccio le storie anche 5, 10, 15 volte, non è mai buona la prima. Da brava Vergine ascendente Gemelli – anche se come dico sempre, mi rappresenta meglio ascendente bionda- tendo ad essere una perfezionista e se inizio qualcosa lo porto avanti. La mia cifra è sempre autoironica, scherzo sui miei difetti quando indosso un capo.
I siti online che vendono griffe di seconda mano, per esempio Vestiaire Collective, vi danneggiano?
Non direi, anzi ci danno un aiuto, proprio perché a volte noi vendiamo un capo a un prezzo ancora inferiore a Vestiaire che è un enciclopedia a livello mondiale e una forbice di paragone. Comunque anche sui siti autorizzati bisogna sempre fare attenzione; se c’è il servizio di concierge si spende qualche euro in più, ma è una garanzia e se prendono loro una cantonata è sempre responsabilità fisica di qualcuno.
Consigli di acquisto?
Ormai possediamo di tutto e, come dice una mia cliente «abbiamo più vestiti che giorni di vita». Bisognerebbe trovare il coraggio di buttare quello che non è di buona fattura, tutto il fast fashion. E’ un investimento avere un maglione in cachemire di Loro Piana che non andrà mai alla fine, piuttosto che due maglioni sintetici che costano poco meno. Si può sempre andare incontro alle clienti. Io ritiro anche pezzi sartoriali non griffatissimi ma belli ed eccellenti.
Chi è Vittoria Vintage oggi?
All’inizio i miei sacchetti erano anonimi, poi quando ho capito che il mio negozio stava diventando di tendenza li ho personalizzati. Oggi è bello avere sotto l’albero un pacco regalo siglato “Vittoria Vintage”. E’ un marchio.

La catapultano su un’altra galassia, cosa porta con sé?
Tutta la famiglia compreso il cane, taccuino e biro, un cappotto, un bel paio di scarpe comode, e le borse una dentro l’altra tipo matrioska, dalla più grande alla più piccola.
La borsa più bella al mondo?
La Bagonghi di Roberta di Camerino.
LAURA GORIA
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