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Le ciliegie “salate”

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Stavamo bevendo un bicchiere in compagnia quando Giorgio mi rivolse – all’improvviso – una domanda: “Ti ricordi quando andavamo per ciliegie?”.  Ci misi un attimo, giusto il tempo di mettere le mani nel cassetto dei ricordi e – trovato il filo giusto – mi vennero in mente, nitidamente, quei tempi

A Giorgio erano state le amarene rosso scuro che la Maria aveva sistemato nel cestino della frutta ad accendere la “lampadina“. In quell’istante, la nipotina della Maria, ne prese due coppie, tenute insieme dai gambi, e se le appese come fossero orecchini. Ridemmo, entrambi, di quel gesto che, tanti anni fa, avevamo fatto anche noi, scherzando tra ragazzini. All’epoca si andava in “banda” per i poderi a far razzia. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio, nei tardi pomeriggi di quelle calde giornate d’estate, si cercavano gli alberi più carichi di ciliegie. Era una “caccia” troppo invitante. Le ciliegie sono frutti allegri, dissetanti. Ci sono quelle dolci, zuccherose, a polpa tenera ( le tenerine) e a polpa più carnosa (i duroni). E poi, le amarene e le marasche. Con gli anni ho imparato altre cose: oltre ad essere buone fanno pure bene. Sono indicate  nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali. Contengono  buone quantità di fibre, potassio, calcio, fosforo e vitamine. Ci si possono produrre sciroppi, marmellate e liquori come maraschino, cherry e ratafià. Insomma, c’è tutto un elenco di cose positive che fanno rima con ciliegia. Ma noi, all’epoca in cui eravamo ragazzi, piacevano soprattutto perché erano il frutto di un piccolo furto e questo fatto, accompagnato dall’avventura, dai rischi e dalla voglia di trasgredire, rendeva le ciliegie il “frutto proibito” per eccellenza. Mario era arrivato al punto di sostenere una tesi tutta sua: Adamo ed Eva erano stati cacciati dal Paradiso non per colpa di una mela colta senza permesso ma di un cestino di ciliegie rosse e carnose. Il rischio più grande era quello di trovarle “salate“.

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Infatti, capitava che i contadini di un tempo, poco inclini a tollerare le nostre scorribande, ci accoglievano con una doppietta caricata a sale grosso, determinati a scoraggiarci con la minaccia di  piantarci due schioppettate nel sedere. All’arrivo dell’estate, immancabilmente, sembravamo due eserciti in assetto di guerra. “Noi“, a gruppi di 4 o 5, lesti a salire sull’albero, cogliere le ciliegie al volo, riempire il sacco di tela o il cestino, cercando di fare il più in fretta possibile. “Loro“, i proprietari dei ciliegi dove cresceva quel ben di Dio, confezionavano cartucce di diverso calibro con sale grosso, in sostituzione dei pallini di piombo. Rinforzavano anche le linee difensive lungo i confini dei frutteti: reti metalliche orlate di filo spinato, staccionate, siepi irte di spine. Era la “guerra delle ciliegie” che, in altre località, si trasformava in una vera e propria “guerra della frutta”. Se i contadini erano i difensori del loro diritto alla proprietà privata noi, gli incursori che negavano questo diritto, sostenendo che la natura non aveva padroni, colpivamo senza pietà, svanendo subito dopo nei boschi e nella campagna circostante, a volte trascinandoci appresso i compagni feriti. “Lo si faceva per fame e per gioco. Per molti di noi era l’unico modo per mettere sotto i denti quella frutta che non potevamo comprare. Ed era una cuccagna perché a casa il cibo era scarso“, rammentava Giorgio. E, come un rosario, sgranavamo i  nomi dei nostri compagni di quella guerriglia senz’armi: io e Giorgio, Mario, Luigino “Trota” – abilissimo nel pescare nei ruscelli e nel fiume -, Remo, Marco ed anche Marina. Era, quest’ultima, una ragazzina sveglia che dava dei punti a tutti noi. Ed era golosissima di ciliegie. Il campo di battaglia più duro era il frutteto del vecchio Roger Zuffoli, detto “il marsigliese“. Aveva un paio d’ettari piantati a frutta dove si trovava di tutto: susine, albicocche, pesche, mele, pere ed ovviamente ciliegie ed amarene. Verso il limite del bosco aveva anche noci e nocciole. Roger, piccolo e secco, vestiva i pantaloni alla zuava e camicie a quadrettoni mentre in testa teneva sempre il suo basco calato sulle “ventitré“. All’epoca poteva avere si e no una settantina d’anni, gran parte dei quali passati a scaricare merci nei porti di Marsiglia e di Tolone. Era tornato a Baveno già anziano perché, diceva, ” dopo tanta acqua salata ho sentito la nostalgia dell’acqua dolce del Maggiore“. In ricordo di quegli anni, al circolo comandava sempre un bicchiere di  “pastis“,  liquore profumato all’anice, tipicamente francese, che allungava con l’acqua di una caraffa dove galleggiavano dei grossi pezzi di ghiaccio. Attaccare le sue piante era molto ma molto rischioso. Raramente riuscimmo a farla franca ed una volta, quasi, ci lasciammo le penne. Quell’episodio, ancor meglio di me se lo ricorda Mario. Stranamente silenzioso, il frutteto pareva incustodito quella sera. Saranno state le diciannove o poco meno. Roger mangiava presto e quindi pensavamo fosse quello il momento giusto per compiere l’incursione. Invece il perfido vecchietto, mangiata la foglia, si era appostato dietro al piccolo fienile con la doppietta in mano.

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Non facemmo in tempo a renderci conto di quanto stava accadendo che l’eco dello sparo risuonò secco, costringendoci a tappare le orecchie. Colpito al sedere dalla fucilata di sale grosso, Mario cadde dal ramo. Dolorante si rialzò e tutti insieme corremmo a più non posso verso il bosco per far perdere le tracce. Mentre fuggiva a gambe levate, Mario sentiva il dolore delle ferite, poi il bruciore dei grani di sale che si scioglievano nella carne viva. Appena avvistò il ruscello, vinto dal bruciore, si gettò nell’acqua per calmare il fuoco che gli stava divorando il fondoschiena. Ma il rimedio si rivelò peggiore del male: l’acqua , accelerando lo scioglimento del sale, rese insopportabile il bruciore. Remo, appassionato collezionista di francobolli, portava sempre con se una pinzetta e con quella, tra le grida ed i lamenti di Mario, estraemmo i grani di sale, pulendo alla meglio le ferite. Per un po’, da quella sera, gli assalti vennero sospesi per poi, calmate le acque, proseguire per la disperazione dei contadini della zona, compreso Roger. Quella volta però, la “missione” si era conclusa senza il “bottino“. Mario , d’allora, non volle più prendere parte alle nostre imprese. L’invitavamo, lo pregavamo ma lui diceva sempre di no,  opponendo resistenza. Diceva che lui, ormai, non aveva più “il sedere di una volta“. In cuor nostro non ce la sentivamo di dargli torto.

Marco Travaglini

“Ecco perché sto con Cristina Seymandi”

Parla il saggista cattolico Maurizio Scandurra, opinionista de ‘La Zanzara’ di ‘Radio24’ in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne.

Ci sono casi che fanno riflettere sulle cose. Specie su quelle di un mondo folle sempre più alle prese nel cercare di attuare quella che, al di là delle transizioni di ogni tipo in atto, credo sia la più ardua: il rispetto della Persona.

Nonostante i progressi compiuti e la strada percorsa, il cammino appare alquanto lungo, ancora. E, talvolta, anche irto. Al punto che viene difficile pensare che, in concreto, sia mai iniziato.

Si fa ovunque un gran parlare di parità di genere, briefing & meeting per il maggiore coinvolgimento della figura femminile in sé anche negli organici d’impresa. Ma i fatti, dove stanno?

E’ un po’ come guardare al traguardo, ignorando la partenza. Vagheggiando sulla conseguenza senza tener conto della causa. Cercare il domani prescindendo dall’oggi.

La vicenda di Cristina Seymandi mi ha toccato particolarmente. In un’estate infuocata per via di un clima impazzito, che bisogno c’era di arroventarlo ancora di più? Portando alla ribalta un modello di coppia del tutto antitetico a quel sano e producente equilibrio che dovrebbe essere il carburante sicuro di ogni relazione realmente tale?

Ed ecco che la dicotomia s’insinua, pericolosa e altrettanto contagiosa, laddove dovrebbe invece regnare incontrastatamente sovrana l’armonia. Rubandole il posto. Cambiando il passo, modificandolo profondamente. Mentre il palcoscenico si sdoppia, le platee pure.

Da un lato una donna oggetto di una intollerabile ignominia. Dall’altro, tutt’altro?

Da un lato il silenzio di una persona composta, elegante, intelligente. Dall’altro, tutt’altro?

Da un lato una torinese che evita di prestare il fianco a un vorticoso giro di giostra. Dall’altra, forse,  tutt’altro, con la discreta Città della Mole pronta a improvvisarsi, suo malgrado e tout court, nel più chiacchierato dei salotti romani.

Da un lato un’imprenditrice moderna, in linea con i tempi. Una self-made-woman proprio per questo ancor più meritevole di menzione. Dall’altro un contesto finanziario dalle radici lontane cui, probabilmente, il successo degli altri – o meglio, “delle altre”, dell’altra – dà fortemente fastidio.

Sarebbe stato un connubio perfetto, se vi fosse stato tutt’altro: magari, semplicemente sciacquando il bucato in casa. Facendo memoria e tesoro della sapienza elementare, comune a ogni dignitosa civiltà, che ricorda invece come in Amore vincono sempre buonsenso, correzione fraterna e reciproco perdono, e mai il potere. Evitando, forse inconsapevolmente, di alimentare la promozione di uno stereotipo maschile totalmente in contraddizione con le premesse del 25 Novembre.

Parafrasando il grande Antonio Lubrano, “La domanda sorge spontanea”: “Ma come facevi a stare con Segre?”. Se l’è chiesto pure Roberto Dagostino (come testualmente racconta oggi 23 novembre in edicola sul quotidiano ‘La Stampa’ il collega Fabrizio Accatino), fotografato con la raggiante Seymandi alla prima nazionale del suo docufilm ‘Roma, Santa e Dannata’.

Cara Cristina, scusami se, forse troppo confidenzialmente, mi permetto di evitare il “Lei”. Desidero chiederTi perdono per i peccati mesti di noi uomini.

Invidiosetti, miseri. Permalosi, e talvolta fin troppo macchinosi.

Dì questa volta Tu, se puoi, una preghiera accorata per la nostra redenzione. Per la nostra Salvezza. Perché possiamo cambiare, fintantochè abbiamo respiro.

Siamo ancora in tempo. Sono certo che il buon Dio Ti ascolterà.

Maurizio Scandurra

Maison Gioia, i bijoux di Emily e Chiara

Emily Grosso (Social Media Manager) e Chiara Girivetto (Visual Merchandiser), due giovani amiche chiuse in casa durante il periodo del Covid, hanno iniziato un po’ per gioco, un po’ per passare il tempo, a creare bijoux particolari, molto creativi e fra qualche mese, il loro progetto “Maison Gioia” compirà cinque anni.
“Maison” perché ogni più piccolo dettaglio dei loro bijoux viene fatto in casa e “Gioia” perché la nonna di Emily la chiamava “Gioia”, ed è proprio stata nonna Valeria, meravigliosa sarta, l’ispiratrice di una parte della Collezione.
Durante il periodo Covid, Emily si ritrova fra le mani le scatole di bottoni che nonna Valeria cuciva amorevolmente sulle sue creazioni, e prova a smontare degli orecchini aggiungendo dei bottoni, il risultato è più che accettabile.  Contemporaneamente la sua amica Chiara con dell’argilla polimerica da forma a braccialetti e orecchini proprio come quelli che si usano moltissimo negli USA.
Nascono così due collezioni: i bijoux con i bottoni, molti dei quali vintage, provenienti anche dall’estero, soprattutto da Parigi e Nizza e quelli realizzati con resina e argilla polimerica.
Le Collezioni che si sono susseguite in questi anni sono molte e tutte bellissime, da quella dedicata a S.Valentino, a quelle di Natale, altre realizzate ispirandosi alla serie Bridgerton e alla serie Mercoledì: orecchini, collane, anelli e braccialetti.
Se vi ho incuriosito potete vedere i bijoux sul loro canale Instagram: maisongioia_torino, e su www.etsy.com; spediscono dappertutto e a Torino consegnano personalmente. Oppure, se siete da quelle parti, il Centro Estetico in corso Casale 298 a Torino ospita le collezioni Maison Gioia.
Se invece volete conoscere personalmente Emily e Chiara potete incontrarle sabato 2 dicembre dalle 10.00 alle 18.00 al Bite Market da Combo ( vintage, second hand, piccolo artigianato) in corso Regina Margherita 128 a Torino, dove fra le altre cose esporranno i nuovi bijoux della Collezione di Natale, tanto oro, argento, rosso e glitter !
Didia Bargnani

De Wan: i foulard dedicati alla Turandot

Nasce una serie limitata di foulard dedicati alla Turandot, ispirati alla pittura di Roberto De Wan, torinese di nascita, milanese di adozione

 

Bellissima, contraddittoria estremamente contemporanea, Turandot viene rievocata da Roberto De Wan, torinese di origine, milanese di adozione, in occasione del centenario della morte di Giacomo Puccini, nei suoi 150 foulard limited edition, dedicati all’eroina di un’opera lirica così affascinante da interessare critici quali Rolando Bellini e Angelo Mistrangelo.

Quest’ultimo ha scritto: ”De Wan consegna alla pittura il vibrante racconto di una ieratica Turandot, che trasmette la forza dei propri sentimenti e la magia di un amore rivelato”.

Unitamente ai quadri ad olio che la raffigurano, realizzati dal pittore designer, i foulard saranno presentati il prossimo lunedì 20 novembre in orario 15-18 presso l’atelier De Wan in via Manzoni a Milano e poi a Torino.

Al vernissage interverranno Alberto Veronesi, presidente del Comitato promotore per le celebrazioni del centenario del compositore Giacomo Puccini, autore di quest’opera, Daniela Javarone, presidente dell’Associazione milanese della Lirica e l’artista performer Erica Tamborini che, indossando i nuovi accessori De Wan, coinvolge non soltanto gli amanti della musica, ma anche quelli dell’arte e della moda, in un messaggio universale di pace per le prossime festività.

I foulard saranno esposti in modo permanente al Museo Storico dell’Arma di Cavalleria di Pinerolo e saranno presti disponibili nelle sedi di Torino e Montecarlo e alla galleria d’arte contemporanea Battaglia di Brera, unitamente a un piccolo omaggio esclusivo.

Il quadro Scala 2024 è quello del quale è tratto uno dei foulard della collezione “Turandot Anniversary”, in tema con le tele sullo sfondo realizzate da Roberto De Wan

 

Mara Martellotta

Torino si prepara al peloso Natale con Quattrozampeinfiera

LingottoFiere ospita questo fine settimana il 18 e il 19 novembre, la “due giorni pet friendly” più famosa d’Italia 

 

versione Christmas edition

 

Informazione e formazione, incontro con le aziende, 

spettacoli, sport e sfilate con propri amici fedeli. 

www.quattrozampeinfiera.it

Un incantevole weekend dedicato ai nostri amici a quattro zampe, in perfetto spirito natalizio, sta per sbocciare a Torino con Quattrozampeinfiera, l’evento più pet-friendly d’Italia. In programma sabato 18 e domenica 19 novembre 2023 presso il LingottoFiere Padiglione 1 (Via Nizza 294), la manifestazione promette un’esperienza coinvolgente sia per i nostri adorabili cani che per i gatti. L’evento è pensato per offrire divertimento, benessere e per rafforzare i legami speciali tra animali e padroni.

L’atmosfera sarà avvolta da un suggestivo clima natalizio, mentre i visitatori avranno l’opportunità di far tuffare i propri cani nella piscina AquaDog, sfidarli in attività come Dog Agility, Disc Dog, Hoopers e Treibball, e partecipare a corsi e attività che promuovono il legame umano-animale.

Quattrozampeinfiera offre una vasta gamma di attività appositamente studiate per gli animali, garantendo che ogni partecipante trovi qualcosa adatto alle esigenze e alle personalità dei propri amici pelosi.

L’evento rappresenta anche un’occasione unica per scoprire nuovi prodotti e servizi, partecipare ad attività coinvolgenti e sfilate insieme ai propri amici pelosi. Saranno due giorni all’insegna del divertimento e del benessere, offrendo l’opportunità di immergersi nell’affetto e nella gioia dei propri animali.

Per coloro che stanno pensando di aggiungere un cane o un gatto alla propria famiglia, Quattrozampeinfiera offre la possibilità di connettersi con numerose Associazioni e allevatori di razza, fornendo informazioni preziose e consigli utili.

INFO PER ACCEDERE IN FIERA
SABATO e DOMENICA dalle 10.00 alle 19.00 – chiusura casse 18.00

Ingresso gratuito per bambini (0-10 anni non compiuti), cani e gatti.

Biglietto intero € 12

Scaricando lo sconto € 9

Biglietto on line € 8.5

info@quattrozampeinfiera.it – Tel. 0362.1636218 – quattrozampeinfiera.it

LE ATTIVITA’

 

INIZIATIVE PER IL PUBBLICO

 

TV QUATTROZAMPEINFIERA LIVE by Babalù

Torna la tanto amata Tv di Quattrozampeinfiera, uno spazio LIVE/SOCIAL dedicato alle interviste dei visitatori e delle aziende partecipanti.

Da quest’anno in collaborazione con Babalù, il primo social network completamente dedicato al mondo dei Pet Lovers!

Tutte le interviste raccolte saranno visibili sui canali ufficiali e sulla mappa geolocalizzata di Babalù per mettere in contatto le Aziende e i Pet Lovers di tutta Italia!

 

#UNSELFIEXQZF by Babalù

Anche quest’anno torna la gettonatissima iniziativa #unselfiexqzf !

Da quest’anno in collaborazione con Babalù, il primo social network completamente dedicato al mondo dei Pet Lovers!
Nei giorni precedenti la fiera, caricando su Babalù un selfie con il proprio cane o gatto, si avrà la possibilità di partecipare contemporaneamente su tutti i canali ufficiali di Quattrozampeinfiera!  Lo scatto che otterrà più “Mi Piace” verrà premiato sabato e domenica sul RedCarpet!

 

QUATTRO ZAMPE – la Rivista

Nell’ottica di vivere una giornata da protagonisti, i visitatori potranno partecipare al casting fotografico della rivista “Quattro Zampe”, tra i fondatori della fiera stessa. La foto più votata sarà pubblicata in copertina.

 

 

LE AREE SPECIALI

 

IL SALONE DI BELLEZZA

In una fiera tanto completa non può certo mancare uno spazio dedicato alla cura del pet, grazie al Salone di Bellezza si potrà far toelettare gratuitamente il proprio cane imparando anche tutto sulla sua igiene quotidiana.

CAT HOUSE by ERBAPIU’

Uno spazio interamente dedicato ai gatti dei visitatori che potranno cimentarsi in tunnel, salti, ostacoli e testare un percorso sensoriale per poi rilassarsi un’area allestita ad hoc per loro.

ELETTRODOMESTICI A SUPPORTO DELLA GESTIONE DEI PET

 

Numerose aziende di hi-tech, presenteranno i loro prodotti, alleati perfetti dei pet parent, per la gestione quotidiana dei loro amati cani e gatti: aspirapolveri, phon, web cam, depuratori, erogatori di cibo e acqua, lettiere autopulenti,…

 

 

PET A’ PORTER – IL FASHION SFILA IN PASSERELLA

Nell’area fashion, direttamente dalle sfilate della moda milanese, una vera passerella consentirà alle aziende di presentare le proprie creazioni e ai visitatori di essere immortalati nella veste di Top Model.

 

PRIMO SOCCORSO PET

 

Sarà possibile imparare a soccorrere un pet quando si fa male grazie alle dimostrazioni di Primo Soccorso.Esperti veterinari daranno indicazioni sulle corrette modalità di intervento per aiutare il nostro amico in difficoltà.

LE COMPETIZIONI

 

QUATTROZAMPEINFIERA DOG WINNER by Farmina

Anche quest’anno, torna la richiestissima doppia esposizione cinofila amatoriale by Farmina, destinata a cani di razza con o senza pedigree.

DOGGY SHOW by Monge

A grande richiesta, torna in fiera anche la sfilata: un momento di celebrità sulla passerella che potrete vivere come protagonisti in compagnia del vostro cane meticcio.

LE DOG ACTIVITIES

 

SPORT PER TUTTI I TIPI DI CANI 

Gli “umani” potranno cimentarsi gratuitamente con i loro cani e sotto la guida di esperti educatori cinofili in varie attività sportive come Dog Agility, Freestyle in acqua, Attivazione mentale, Treibball, Hoopers, Splash Dog e tante altre!

 

PESCA DI BENEFICIENZA
La “Pesca di beneficienza”, è un evento ideato dall’Associazione il Collare D’Oro A.N.C.Ass “APS” in collaborazione con QUATTROZAMPEINFIERA, volta a raccogliere fondi da destinare ai progetti dedicati alla formazione dei cani d’assistenza per disabili; in particolar modo per cani d’allerta epilessia, supporto autismo, servizio psichiatrico e disabilità motorie.

Un gioco divertente per i nostri amici a quattro zampe e anche per i loro umani che affidano la sorte nel compagno peloso per scegliere la pallina fortunata.

I premi saranno di diverso valore ma naturalmente inerenti all’ambito Pet.

DISC DOG 

È uno sport cinofilo che consiste nel cimentare il proprio cane in prove di abilità per afferrare il disco.

Questa disciplina sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese, essendo uno sport divertente e ideale per mantenere in forma il nostro fedele compagno, in più consente l’instaurarsi di una perfetta sintonia tra cane e il conduttore.

 

PROBLEM SOLVING E GIOCHI DI FIUTO

Sono attività ludiche che stimolano l’intelligenza del tuo cane e la sua capacità cognitiva. Questo tipo di giochi consistono nel porre il cane di fronte a un problema la cui soluzione gli farà guadagnare una ricompensa. In questo modo il cane dovrà concentrarsi sulla ricerca della soluzione e, in caso di successo, oltre alla ricompensa ne gioverà molto la sua autostima. Scopriamo quali sono i prodotti più idonei a stimolare l’intelligenza e le capacità cognitive del nostro amico a quattro zampe.

MOBILITY
È una disciplina sportiva che grazie all’ausilio di attrezzatura specifica come saltisuperfici ondulatealtalenepasserelle e componenti di vita quotidiana

come pneumatici e scale, viene creato un vero e proprio percorso di una ventina di ostacoli totalmente interattivo da affrontare con il nostro amico a quattro zampe.

Con l’esecuzione del percorso si cerca di rafforzare il rapporto tra cane e umano.

TANA LUDICA
È un’attività ricreativa a finalità educativa, pensata per cani di piccola taglia, meticci

e di razza, con particolari predisposizioni genetiche per la caccia in tana. La struttura utilizzata è un brevetto, che permette di condividere con il proprietario un’esperienza di caccia simulata costruita sulle attitudini del cane, in modo semplice, sicuro e divertente per tutti. In questo esercizio non ci si avvale dell’utilizzo di “prede vive”, ma si utilizzano giochi adeguatamente arricchiti di una forte componente odorosa, che servirà all’animale per orientarsi all’interno della tana durante l’inseguimento al buio della “preda”. E’ una novità per il mondo dei piccoli terrier e sorprendente! In pochi metri racchiude un’infinità di possibili percorsi di caccia, molteplici fattori di difficoltà gestibili e soprattutto adattabili al soggetto di turno, dandogli la possibilità di essere finalmente liberi di esprimere sé stessi seguendo l’istinto e dando fondo alle loro energie, oppure direcuperare l’autostima e l’indipendenza per i soggetti più timidi.

 

HOOPERS

Si tratta di un nuovo sport cinofilo. Consiste in un percorso sempre diverso, costruito con specifici attrezziche il cane deve affrontare sotto la guida del conduttore.
Le indicazioni vengono impartite a distanza.

Il cane esegue quindi tale percorso seguendo segnali direzionali verbali e gestuali che gli indicano di andare dritto verso un attrezzo, aggirare un ostacolo, girare e tornare indietro, ecc.

In questo sport, il lavoro a distanza è l’aspetto più interessante e più complesso da insegnare. Richiede grande impegno da parte del conduttore e ascolto da parte dell’animale poiché l’attivazione mentale del cane risulta davvero importante.

Hoopers è anche un’attività dinamica divertente e questo crea un mix stimolante che migliora il rapporto e la relazione del binomio cane-umano.

RALLY-O

È una disciplina sportiva cinofila aperta a tutti i cani senza discriminazione di età, taglia o razza ed a tutti i conduttori. Favorisce una corretta relazione tra cane e conduttore ed è basata sulla reciproca fiducia, sul rispetto e sulla collaborazione. La disciplina prevede che il binomio ed il conduttore compiano insieme un percorso costituito da delle stazioni, segnalate da cartelli, lungo il quale vengano eseguiti degli esercizi nel minor tempo possibile e con la maggiore precisione possibile. L’aspetto che rende unica la Rally-O è che gli esercizi richiesti non sono unicamente quelli di obbedienza di base ed avanzata ma anche quelli di movimento come: slalom, salto, spirali, svolte. Non è quindi una disciplina statica e monotona né per il cane né per l’umano.

 

TREIBBALL

Sport competitivo e adatto a cani di tutte le razze e di tutte le età.

Si gioca con un numero di palloni da pilates che varia da quattro a otto, la cui misura viene scelta compatibilmente con la taglia del cane, una porta da calcio e, in termini di competenze del conduttore, i classici comandi di base.

Un gioco che coinvolge tantissimi aspetti della relazione tra umano e cane, non si tratta di portare il cane a svolgere meccanicamente una funzione, ma si basa su una forte cooperazione che garantisce una crescita del rapporto e della consapevolezza del cane nelle proprie capacità. Non è solo attività fisica: c’è un grosso impegno mentale da parte dell’animale, il quale non viene mai abbandonato a sé stesso nel portare a termine il gioco, ma può contare sull’aiuto del suo umano.

 

EDUCAZIONE BASE 

Consiste nell’entrare in sintonia con il proprio migliore amico a quattro zampe, riuscendo ad educarlo anche nei confronti delle differenti situazioni sociali a cui si va spesso incontro. I risultati ottenuti saranno decisamente importanti e benefici.

 

CONDOTTA AL GUINZAGLIO 

È una delle prime discipline che viene insegnata. Aiuta il nostro amico peloso a comportarsi in maniera corretta nell’ambiente esterno abituandolo a restare tranquillo e a godersi il momento della passeggiata rimanendo accanto al proprio compagno umano.

DOG AGILITY
Salti, tunnel, passerelle e tutto ciò che può mettere alla prova le abilità del cane! Un modo per rimanere in forma e migliorare il feeling.

 

 

PER CHI CERCA UN CANE O GATTO 

Chi è intenzionato ad inserire un nuovo cane o gatto nel proprio nucleo familiare verrà aiutato e consigliato nell’individuare quello più in linea con il proprio carattere e stile di vita. Una scelta consapevole del proprio compagno a quattro zampe è il presupposto più importante per costruire un rapporto bello ed armonioso e per evitare il più possibile equivoci.

 

 

 

DOGS WORLD by Farmina

Saranno presenti allevatori di razze canine che illustreranno le loro diversissime caratteristiche e peculiarità.

FELIS WORLD by Monge

Saranno presenti allevatori di razze feline che illustreranno le loro diversissime caratteristiche e peculiarità.

 

LE ASSOCIAZIONI A SUPPORTO DELLE ADOZIONI CONSAPEVOLI

Per coloro che invece volessero adottare un cane o un gatto nel proprio nucleo familiare, diverse sono le associazioni che presenziano all’interno della fiera.

Chi non comprende con chiarezza l’impegno, la dedizione e le cure richieste da un animale, spesso finisce per abbandonarlo!

PET TRAVEL&HOSPITALITY

 

AREA DOG TRAVEL by TRIPDOGGY 

E’ la più grande community attiva di viaggiatori dog-friendly in Italia, nata dall’esigenza di viaggiare con il proprio compagno a 4 zampe.
E’ un punto di riferimento nel settore del Dog-Travelling, la community conta più di 10.000 membri in tutta Italia. “Conoscersi, condividere e viaggiare” sono le parole chiave di questa comunità di persone il cui collante è l’amore verso i propri compagni di vita a 4 zampe. 

TripDoggy organizza viaggi di gruppo a misura di zampa, i Doggy Tour: viaggi in cui le persone possono condividere l’esperienza con altri dog-lovers alla scoperta di luoghi meravigliosi, soggiornando in strutture selezionate e supportati da un educatore cinofilo professionista. Dalle più belle valli dell’Alto Adige, fino al mare cristallino del Gargano, sono numerose le mete di questi meravigliosi tour.

Ma non solo…eventi, passeggiate, party e molto altro in cui la community si può incontrare e conoscere.
DoggyTalks, sono interviste attraverso cui gli esperti della community divulgano e informano su tematiche legate al dog-travel e a come vivere al meglio con i nostri fedeli amici a 4 zampe.

 

Doggy Talks 

–       Viaggiare con un cane: trasporti, regole e cosa sapere

–       Cosa mettere in valigia quando si viaggia con un cane

–       Il benessere del cane in vacanza: come organizzare una vacanza a misura di cane

–       Ospitare un turista dog-friendly: quello che cercano gli ospiti a 4 zampe

–       Viaggiare all’estero con un cane

 

INFLUENCER AREA 

Sveva Gelfi – Diva di TikTok, è seguita da una vasta community grazie alle avventure che vive in compagnia dei suoi lupi cecoslovacchi, Ares e Dracayres. Con il suo carisma e le conoscenze sulla razza, Sveva organizzerà coinvolgenti momenti di intrattenimento per i visitatori della fiera.

Nicola e Sensej_cat – Nicola, con il suo affezionato gattone e gli oltre 497mila follower su TikTok, sarà presente in fiera per incontrare i suoi seguaci e presentare dal vivo Sensej.

Al CAAT i nuovi Energy Drink Del Monte

Verranno presentati il 16 e 17 novembre dalle 6 alle 9 del mattino

 

Il 16 e 17 novembre prossimi Piccadilly Srl presenterà i nuovi drink del Monte presso il noto CAAT, Centro Agroalimentare di Torino. L’evento si terrà nello stand numero 5 dalle 6 alle 9 del mattino. I nuovi Energy Drink del Monte sono promossi dalla Old Tom Gin Company in St Andrews LTd, esclusivo distributore in Europa del prestigioso marchio Del Monte, in collaborazione con Piccadilly SRL!

Queste nuove bevande, il blood orange spritz, la pomegranate Rasperry, il Pineapple lime mint, il lemon ginger, il pineapple grapefruit lime e il pineapple mango passion fruit lime, offrono un’esperienza di gusto straordinaria, creata con una selezione di sapori freschi e autentici. Si tratta di un’esplosione di sapore con ananas, mango, passione e lime, il mix perfetto di ananas, lime e menta, la giusta dose di vivacità con zenzero e limone, un’incredibile spritz all’arancia rossa, il connubio perfetto tra melograno e lampone.

Queste bevande sono state progettate per offrire una carica di energia, essendo una bevande energetiche a base di frutta, fonte di energia naturale. Contengono almeno il 20 per cento di succo di frutta per una carica istantanea di energia. Sono senza zuccheri aggiunti dal gusto autentico senza compromessi. Contengono 4 vitamine del gruppo B, le più energizzanti e con caffeina aggiunta rappresentano un boost adeguato per affrontare al meglio la giornata.

Durante l’evento, si avrà l’opportunità di assaporare gratuitamente queste Delizie fino a esaurimento scorte, potendosi immergere in un’esperienza unica. L’ideatore delle bevande, Ceo della OTG Ltd, Giorgio Cozzolino, sarà presente per condividere questa esperienza creativa insieme ai titolari di Piccadilly Srl, Domenico Raso e Luca Gallipoli. Dalle 9 alle 11 presso la Trattoria del Marcato si potrà assistere alla preparazione di cocktail speciali, creando un’occasione unica di interazione tra gli operatori del settore e i buyer.

Stand n. 5 Caat, Centro Agroalimentare di Torino, Ingresso Palazzina Uffici, Strada del Portone 10, Grugliasco

 

Mara Martellotta

Il burnout. Esaurimento delle energie e stress da lavoro

LOMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2019 lo ha definito una sindrome inserendolo ufficialmente nella lista delle malattie:

l’ICD-11 (“International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems”) che entrerà in vigore dal 2022. Il Burnout è un fenomeno molto serio legato alla sfera lavorativa caratterizzato da ansia, stress, perdita di motivazione, mancanza di energia, una profonda stanchezza e nei casi più gravi fobie specifiche e disturbi dell’umore che possono portare al totale distaccomentale  dalla propria attività professionale e ad una conseguente carenza di efficienza.

In epoca attuale il rendimento, la competizione e risultati professionali sono determinanti, siamo costantemente sotto pressione, alla ricerca della produttività e della perfezione mentre  il tempo da dedicare a noi stessi è molto ridimensionato, se non addirittura inesistente.  

Nel Burnout l’esaurimento fisico è il primo sintomo ad insorgere in risposta ad una situazione lavorativa non più sostenibile. Ci si sente consumati, svuotati ed incapaci di trovare energie ed affrontare sfide e nuovi obiettivi. Alla questione fisica si aggiunge, poi, una forte apatia emotiva, l’allontanamento  dall’attività    ma anche da tutti quei valori e ideali che accompagnano l’impegno professionale. Il cedimento fisico e l’intorpidimento dell’interesse portano ad una ridotta efficienzanell’espletamento dei compiti previsti dal proprio ruololavorativo e questo, a sua volta, può causare un senso di inadeguatezza che spegne l autostima.

Perché si arriva a questa condizione di elevato stress lavorativo?

Come accennato stiamo sperimentando condizioni di lavoro “disumane” che ci mettono continuamente in gara con noi stessi e con gli altri; il nostro valore come persone viene troppo spesso definito attraverso i risultati professionali e il successo, così come viene concepito attualmente ovvero attraverso una dimensione puramente materiale. Tutto deve essere vissuto secondo schemi predeterminati di innaturale esemplarità, mentre l’aspetto spirituale della nostra esistenza così come quello creativo è sempre meno considerato macinicamente sostituito dalla tecnica e da ritmi impersonali che puntano solo all’efficienza.

Il Burnout può colpire qualsiasi categoria lavorativa mace ne sono alcune più a rischio come le cosiddette le “professioni d’aiuto” per esempio gli insegnati, i medici, gli operatori sociali, le forze dell’ordine, i pompieri, gli psicologi e psicoterapeuti. In alcune di queste attività, al sovraccarico di lavoro e di responsabilità, si aggiunge lo scarso controllo sulle situazioni e sulle condizioni di lavoro e la scarsa remunerazione.

Uscirne è complicato ma possibile, venirne fuori necessita di una riorganizzazione dello stile di vita e un riordino della scala delle priorità. E’ necessario prendere consapevolezza di quanto il nostro benessere debba dipendere dal nostro interno e non dall’esterno, del fatto che non siamo quello che produciamo e che il nostro valore non è legato unicamente ai nostri risultati professionali e al denaro che siamo capaci di guadagnare. Fare troppo arrivando ai limiti della sopportazione non farà di noi degli individui migliori ma, al contrario, ci porterà sulla riva dell’ esaurimento fisico e mentale e questo può avere gravi conseguenzesulla nostra salute. E’ necessario riprendersi i propri spazi e il proprio tempo , riconquistare quei momenti fondamentali per alimentare la sfera spirituale e creativa.Cosa vuol dire concretamente? Vuol dire dare valore alla nostra vita praticando attività che ci piacciono, dedicaretempo alle nostre passioni, stare a contatto con la natura e con le persone a cui teniamo e che ci fanno stare bene. E’ necessario ricaricarci di energia positiva, assecondando i nostri bisogni, accettando i nostri limiti come esseri umani e soprattutto non ricercando quella perfezione che nella realtà non può esistere. Se le condizioni lo richiedono è essenziale l’ aiuto e il supporto di uno specialista per imparare ad affrontare lo stress sul posto di lavoro ma anche per apprendere l’autoaccettazione e riprogrammare l’autostima in base a valori sani e aderenti ad una realtà che ci vuole sereni e non impeccabili e altamente performanti.

Maria La Barbera 

“New coffee rituals. Riscopri la pausa caffè”

La mostra negli spazi di Nuvola Lavazza
inaugura  mercoledi 15 novembre alle ore 17
Via Bologna 32, Torino

Gli studenti del Master dell’Istituto Moda e Design Raffles di Milano, coordinati dal Prof. Giulio Vinaccia, con la consulenza di ICO – Organizzazione Internazionale del Caffè e con il sostegno del Gruppo Lavazza, presentano negli spazi di Nuvola, Headquartes del Gruppo, la mostra dal titolo “New coffee rituals”, attraverso la quale gli studenti ci offrono una nuova chiave di lettura della pausa caffè, e ci raccontano come i riti e i rituali del caffè, che provengono da tutto il mondo possano essere raccontati attraverso nuovi sguardi, tra i quali quello del Design.


Gli studenti, interfacciandosi con coloro i quali “conoscono il caffè”, dai professionisti del settore agli chef dei ristoranti, hanno indagato su come il caffè venga preparato e servito in tutto il mondo, al fine di capire il motivo per il quale una qualunque e semplice tazzina di caffè sia diventata un rito importante, un simbolo di connessione e piacere, un linguaggio universale. Il design traduce questo potente racconto attraverso i dettagli di una tazzina, un tavolo, uno spazio garantendo che ogni singolo dettaglio faccia la sua parte nell’evocare un’esperienza memorabile.

In mostra dunque progetti di caffè per nottambuli, confezioni speciali per prendere finalmente un buon caffè in aereo, profumi di caffè che servono a caratterizzare l’abbigliamento con le nostre miscele favorite, blend speciali per sportivi e atleti, una sneaker realizzata completamente con fondi di caffè e resine vegetali e altri

I rituali del caffè iniziano con i coltivatori e finiscono nel ricordo di ognuno di noi. Ogni giorno, in tutto il mondo, si bevono un gran numero di tazzine di caffè. Il caffè che nasce in Etiopia e si diffonde dall’Africa all’Europa, e arriva in Asia e anche oltre… con tradizioni locali differenti che si sviluppano attorno al reperimento, alla preparazione e al piacere di degustare questa bevanda oggi conosciuta a livello globale. Un piacevole e lungo interludio, come quello che prende origine proprio dal cerimoniale del caffè in Etiopia; oppure dagli innumerevoli espressi bevuti al bancone del bar per avventori frettolosi.

La mostra “New coffee rituals” inaugura alla presenza degli studenti e designers mercoledi 15 novembre alle ore 17 e sarà possibile visitarla fino al 27 novembre, negli spazi di Nuvola Lavazza, in via Bologna 32, a Torino.

LORI BAROZZINO

Ritorno in Formazza

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STORIE PIEMONTESI: a cura di CrPiemonte – Medium /   Il regionale 4792 delle ore 15,48, proveniente da Novara, è in arrivo sul binario numero 2. Termine corsa

di Marco Travaglini

Dall’altoparlante la voce gracchiante conferma che stiamo entrando nella stazione di Domodossola. Se non avessi il finestrino abbassato e non stessi qui, con la testa fuori e controvento, non si sentirebbe un granché. Anche perché il frastuono della vecchia locomotiva copre ogni altro suono. Che sia vecchia, nessun dubbio: basta dare un’ occhiata alle macchie di ruggine per capire che questa E.424 marchiata Breda è ormai prossima al pensionamento. Ciò nonostante ha fatto il suo dovere, coprendo i novanta chilometri a binario unico dalla città delle risaie al capoluogo ossolano un poco più di due ore, contenendo in una decina di minuti il ritardo sulla tabella di marcia.

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La stazione di Domodossola

Quasi un record, visti i tempi. Erano più di vent’anni che non tornavo a Domodossola viaggiando in treno e nel frattempo le vecchie macchine diesel erano state sostituite dalle motrici elettriche. Una botta di vita per la vecchia Novara-Domodossola anche se il viaggio attraverso la campagna novarese, la sponda orientale del lago d’Orta e la piana del Toce è stato accompagnato da un intero campionario di rumori, cigolii e sferragliamenti oltre al classico e tradizionale ta- tam, ta- tam, ta- tam. Potevo scegliere di viaggiare in auto ma non mi andava di guidare e volevo ripercorrere a ritroso la stessa strada che facevamo un tempo per raggiungere Novara quando bisognava recarsi in qualche ufficio pubblico, come il catasto, o all’Ospedale Maggiore.

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Una vecchia corriera

La corriera, in attesa sul piazzale della stazione, a pochi metri da quella grande “D” di Domodossola, non è certo un esempio di modernità ma in quattro e quattr’otto si è lasciata alle spalle Crevoladossola, Oira, Crodo e Baceno. Ansima un po’, sbarellando nelle curve, ma “tiene” bene la strada e l’autista , decano di questa tratta, non tocca più il bicchiere da una quindicina d’anni. Un tempo la sua guida era da brivido, complice l’abitudine di alzare il gomito e l’audacia nel pigiare il pedale dell’acceleratore. Mai un incidente, per carità, ma si arrivava sul pianoro sopra la salita delle Casse con lo stomaco in gola e la tremarella nelle gambe. Oggi invece, nonostante l’età, viaggia tranquillo. Passata S.Rocco di Premia, sulla sinistra, vedo la strada che conduce a Salecchio, il nido d’aquile dei walser, un tempo raggiungibile a fatica e con gran dispendio di sudore. Mi è stato detto che oggi una strada facilita molto la salita a quel che resta del bellissimo insediamento alpino dove ogni anno, la prima domenica di febbraio, si festeggia la Candelora. Da Rivasco al ponte sul Toce saliamo i nove tornanti delle Casse che precedono Fondovalle. Sul dolce falsopiano il motore della corriera tira il fiato e in pochi minuti, attraversate le frazioni di Chiesa e Valdo, si ferma al capolinea, davanti al vecchio municipio di Ponte.

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Ballo in costume walser

La casa dei miei, affittata solo d’estate, da metà luglio alla fine d’agosto, mi accoglie silenziosa. Raccoglie sotto un unico tetto , come tutte le antiche case rurali dei walser, l’abitazione, la stalla e il fienile. Il nonno e i suoi fratelli l’hanno costruita con maestria su tre piani. Sul seminterrato, in muratura di pietre, è posata la struttura lignea dell’abitazione con la stalla, un angolo dedicato al soggiorno, la cucina e un angusto bugigattolo dove ricoverare gli attrezzi. Al primo piano le due camere da letto — una grande e l’altra più piccola — e sopra il fienile e la stanzetta per la conservazione di segale, patate, formaggi, carne secca e mele. Il nonno era un giramondo e, curioso come pochi, aveva studiato le abitazioni valsesiane fino al punto di imprimerne alcuni dei caratteri architettonici alla sua. Da lì è venuta l’idea dell’ampio loggiato che la circonda, consentendo a fieno, segale e canapa di seccare all’aperto, evitando che la pioggia le bagnasse. Orientata con il fronte principale rivolto a sud, in ogni sua parte il legno e la pietra le danno un senso di solida unità e di equilibrio con i monti e i boschi che stanno attorno. Il nonno, del resto, ci teneva tanto alla sua “radice” vallesana e come i suoi antenati svizzeri e tedeschi amava testimoniare il fatto di essere felicemente ordinato. Nel letto di rovere ho dormito come un ghiro e dopo un giro a salutare i pochi, vecchi amici che mi rammentano gli anni della gioventù, mi incammino a ritroso nel tempo discutendo con Walter. Ormai in pensione, dopo una vita passata a controllare quadri elettrici e prese d’acqua per conto dell’Enel sui bacini di Morasco e dei Sabbioni, Walter non perde l’occasione di rievocare insieme gli anni felici della nostra gioventù. Complice una bottiglia di Gattinara che ho acquistato per celebrare l’occasione, si sciolgono i ricordi. In poco tempo torniamo agli anni di scuola, d’inverno.

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Benvenuti in Formazza

Rammenti l’inverno del 1959?”, dice Walter. Eccome, se lo rammento. Quell’inverno di neve ne era già venuta giù molta. Anche troppa. E non finiva mai. Asciutta e morbida, continuava a cadere. Una spessa e soffice coltre bianca si era depositata ovunque. Sul tetto della baita di Joseph, sul fienile di Marianna, sul sagrato della chiesa . Ogni cosa cambiava forma e aspetto, sotto la neve. “Per fortuna il raccolto della segale e delle patate è andato bene e la caccia autunnale ci ha riservato delle buone soddisfazioni”, diceva mastro Peter, schiacciando il tabacco nel fornello della pipa di radica che s’era comprato all’emporio di Briga. Era lui, con il suo aspetto severo di vecchio montanaro che sapeva come far rendere la terra a quell’altitudine, l’anima della comunità. Capace di buoni consigli e di sagge decisioni, mastro Peter stava per compiere ottant’anni ma ne dimostrava venti di meno. Alto, dal fisico asciutto, i capelli corti e radi ed un viso segnato da alcune profonde rughe, incuteva rispetto e un po’ di soggezione. La nostra piccola comunità walser viveva d’agricoltura di montagna, di allevamento e del lavoro che i componenti maschi più giovani prestavano nelle cave di serizzo o nei cantieri dell’Edison.

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Case walser a Salecchio

Noi si andava a piedi a scuola. Con il bello o il brutto tempo, raggiungevamo la scuola elementare di Ponte dove ci attendeva, dai primi d’ottobre alla metà di giugno, la maestra Rosamaria con le sue lezioni d’italiano e matematica, storia e geografia. E di tutto il resto, compreso le ore dedicate alla nostra lingua. La pronuncia era quella che era. Impacciata, claudicante e soprattutto troppo marcata da quell’inflessione francese che ne tradiva le origini valdostane prima ancora che dichiarasse il suo cognome: Jannod. In Formazza era stata mandata per sostituire la vecchia maestra Hilde Brunner, troppo anziana per tenere a bada la pluriclasse. Doveva essere un affidamento temporaneo. Almeno così le avevano detto al Provveditorato agli studi di Novara per “indorare la pillola” della cattedra assegnata all’estremo nord della provincia, a ridosso con il confine svizzero. Ed invece rimase lì con noi. Se all’inizio si riteneva fortunata per non avere ancora una famiglia tutta sua, Rosamaria — con il tempo che passava e con quell’incarico provvisorio che come tutte le cose provvisorie era ormai da considerarsi definitivo — una famiglia pensò di farsela . Sposò Piero Locker, un boscaiolo alto e biondo, appartenente ad una delle più antiche famiglie walser formazzine. La classe che gli era stata affidata risultava composta da ragazzini intelligenti, vivaci. Avevamo tutti una gran fretta d’imparare. Ascoltavamo la maestra in religioso silenzio, divorando ogni testo ci passasse tra le mani. Eravamo attratti dalla storia e, tra i vari episodi, uno in particolare ci incuriosiva: la vicenda di Annibale, il grande generale cartaginese. “Maestra, e gli elefanti?”. Iniziava Giosuè, detto “pel di carota” per i capelli fulvi ed il volto coperto di lentiggini.

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Case walser in Formazza

Voleva che Rosamaria parlasse di Annibale e della sua impresa più straordinaria: l’attraversamento delle alpi con il suo esercito composto da 50.000 fanti , 90.000 cavalieri e una quarantina di elefanti. Si, gli elefanti. Animali enormi dalla grande memoria, probabilmente scelti da Annibale con l’intento di farli restare nella memoria, appunto, consegnando alla storia un’impresa che pareva impossibile tanto era collocata oltre ogni ragionevole immaginazione a quell’epoca. Come se lui sapesse, e forse proprio per questo, che dopo la sua impresa qualsiasi altro esercito si fosse trovato sulle Alpi non avrebbe fatto lo stesso effetto. Tant’è che , qualche anno dopo il suo passaggio, la stessa via venne ripercorsa da suo fratello Asdrubale senza che nessuno ne porti il ricordo, nonostante avesse con se il doppio di elefanti e avesse subito molte meno perdite. Dopo di lui a tutti gli altri — Giulio Cesare, Carlo Magno, Napoleone, gli Alpini ed i Kaisershutzen — non restò che il ruolo di imitatori di un’idea. Ogni qualvolta s’accennava ad Annibale i ragazzi ascoltavano attentissimi, mostrando curiosità mista ad interesse. E la maestra non si faceva pregare.“ Il condottiero cartaginese, tra il 218 e il 216 avanti Cristo, marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in tre grandi battaglie: quelle della Trebbia, del lago Trasimeno e — la più famosa — di Canne. Sconfiggendo le tribù montane, sfidando le difficoltà del terreno, intemperie e tempeste di neve, inerpicandosi su strettissimi tornanti e scendendo in gole impervie a filo degli strapiombi, Annibale ha compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico. Trovò persino un metodo geniale per spaccare le rocce che impedivano il passaggio: riscaldava la roccia e una volta che questa si raffreddava, la spezzava dopo averla ricoperta di aceto. Il prezzo fu altissimo .Non si contarono le perdite tra gli elefanti e gli uomini dell’esercito, nonostante ciò Annibale riuscì nel suo intento di ridiscendere i monti e affacciarsi sulla Pianura Padana”.

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La cascata del Toce

Che ricordi. Belli, lontani. Eravamo ragazzini e c’era l’entusiasmo di conoscere tutto, la curiosità delle domande che bruciavano le risposte. E la fame di futuro. Ed ora? Ora con Walter, in questa serata, tra un bicchiere e l’altro, si rievoca un po’ tutta l’infanzia. Intanto, lenta e silenziosa, fuori la neve sta cadendo. Gli parlo dell’incontro avuto poche ore prima con padre Giacomo, che mi ha procurato una forte emozione. Non ci vedevamo da una vita ma entrambi non abbiamo avuto esitazione alcuna nel riconoscerci quando ci siano trovati, uno davanti all’altro, di fronte all’entrata del negozio della signora Hilde, dove si può comprare il miglior Bettelmatt di tutta la valle. Un energico abbraccio e un paio di bicchieri di rosso davanti al banco da mescita di Liborio, hanno colmato in un attimo quasi quarant’anni. “Caro Marco, ne sono passate di stagioni, eh? Io ormai sono vecchio ma tu non sei tanto cambiato da quand’eri ragazzo. Sì, ora sei quasi calvo e hai messo su un po’ di pancetta, ma quella luce che ti brilla negli occhi è la stessa di quando venivi all’Oratorio a discutere con me di ogni cosa ti capitasse per la testa. Ricordi? Eri curioso, intelligente ma anche un gran testardo e non c’era verso di farti cambiare idea quando te ne infilavi una in testa e ci attaccavi anche il cuore”. Giacomo, pur essendo di vent’anni più anziano, è sì un prete ma è anche un amico. Uno dei più cari tra gli amici.

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La chiesetta di Riale

Mi vuol bene anche se le mie idee e le scelte che ho fatto in seguito non sono mai state le sue. Però, e di questo gli devo merito, non ha mai cambiato il suo atteggiamento nei miei confronti, rispettando anche ciò che non condivideva. E’ con lui che abbiamo imparato — io, Walter e tanti altri — a conoscere quel sentimento religioso che ha accompagnato, nel tempo, la vita quotidiana della nostra gente. “Ti ricordi, Walter? E’ lui che, insieme al suo sacrestano, il vallesano Berti, ci ha insegnato la formula di ringraziamento con la quale i walser di Formazza invocavano la protezione di Dio per le persone e i loro cari defunti, quel “Färgalts Gott tüsuk Maal, tresch gott un ärlesch Gott di Abkschtorbnuseela” che significava Ti ricompensi Dio, mille volte, consoli Dio e liberi Dio le anime dei tuoi morti”. Con lui si giocava a calcio nel prato di Valdo e s’andava sugli alpeggi dove, dopo il tramonto, il casaro e i pastori recitavano il Vangelo di San Giovanni affinché gli spiriti maligni non andassero a molestare gli animali. Padre Giacomo ci spiegava che dall’allevamento e dai prodotti derivati dal latte dipendeva buona parte dell’economia della valle e che le preghiere ( qualche volte accompagnate da veri e propri rituali di esorcismo) servivano a “scacciare il male” dalle stalle. Ricordo a Walter, che annuisce, quando — all’inizio di una estate — a Foppiano, nel giorno di San Giovanni, che cade il 24 giugno, assistemmo alla benedizione dei gigli rossi i cui petali erano stati messi ad ardere in un braciere insieme all’ulivo benedetto, affumicando la stalla del papà di Martino, allo scopo d’allontanare ogni influsso negativo.

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Merenda a Formazza

Quanti ricordi, E i fratelli Arnold e i loro cugini Berger? Da bambini accompagnavano al pascolo le mucche fin su nel pianoro di Riale e si divertivano con un gioco, ”Z Hêmmelfarä” che significava ”correre in Paradiso”, seguendo tutte le fasi che portavano dall’Inferno al Purgatorio e da lì al sommo dei cieli , e quindi alla vittoria, aiutandosi con un legnetto che veniva lanciato in aria. Con Giacomo abbiamo anche ricordato mia nonna, Helga. Mi portava spesso ai due santuari dedicati alla vergine Maria, ad Antillone e a Brendo, il suo preferito, dove si venerava Maria del monte Carmelo. Una volta si mise in testa di condurmi in pellegrinaggio, ovviamente a piedi. Era indecisa sulla meta: Sion, Reckingen o Einsiedeln? Mia madre Maria, sua figlia, sfruttando quell’indecisione riuscì a convincerla che non era il caso di farmi fare una sfacchinata del genere e così, pur contrariata e a malincuore, la nonna s’arrese. All’interno di casa, nell’angolo della Stube, tra le due finestre, teneva un grande crocifisso di legno e le statuette di San Teodulo e di San Nicola, i suoi ( e nostri) santi protettori. Mi fece un grande effetto quando mi toccò, a meno di dieci anni, fare la dolorosa scoperta del significato della piccola finestrella, sormontata da una croce, aperta sulla facciata della casa dei nonni.

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Nevicata

Quando nonna Helga , a causa di una brutta febbre, stava per morire, la finestrella — che era sempre stata chiusa — venne aperta affinché la sua anima potesse trovare il passaggio per uscire e andare in cielo, per essere poi richiusa subito dopo la morte, impedendole di rientrare. La “finestrella dell’anima”, la “Seelenbalgenn”, pensavo m’avesse rapito la nonna e io piangevo, piangevo disperato e non mi davo pace. Toccò proprio a Giacomo, a quell’epoca appena ordinato prete, trovare le parole giuste per consolarmi. E, con grande pazienza, vi riuscì. Per questo oggi, da ateo qual sono diventato, mi spiace avergli fatto un così grave torto. Lui, però, con quel sorriso aperto che il tempo non ha cambiato, mi ha confidato di non aver abbandonato la speranza in un mio ravvedimento. E così, tra una chiacchiera e l’altra, amico mio, abbiamo fatto scorrere le ore fino al vespro quando l’anziano prete mi ha salutato con un abbraccio ed è andato a dir messa. Sull’uscio, girandosi, mi ha rivolto un ultimo sguardo, dicendomi: “Oh, Marco. Mi raccomando. Non far passare ancora troppo tempo nel tornare qui a casa perché non posso garantirti che mi troverai ancora qui ad aspettarti. E chi ti confesserebbe, a quel punto, per darti assoluzione da tutti i tuoi peccati?”. Così mi ha detto ,con il suo sorriso. Poi, con un cenno della mano, mi ha salutato e, lentamente, se n’è andato verso la chiesa di Santa Caterina. Ma gli incontri non sono finiti qui. In questo mio peregrinare tra le vie ho incontrato anche Edith e Ingrid, le due sorelle Meier. Entrambe vedove, le ho trovate ancora in gamba, nonostante l’età: la prima ha novantasette anni e la seconda solo due di meno. Sarà il freddo dei lunghi inverni o l’aria buona che scende dalle vette a conservarle così arzille? Se io, tu e tanti altri come noi, cresciuti qui in valle, ci siamo nutriti a pane, formaggio e leggende, è grazie a loro. Le due Meier, originarie della valle di Goms, con il loro italiano indurito dalla pronuncia tedesca, nelle sere d’inverno quando tra una casa e l’altra c’era tanta, troppa neve e ci si doveva aprire dei varchi spalando di gran lena, invitavano amici e parenti nella loro grande casa e lì, con in mano una tazza di tisana alle erbe raccolte tra il lago Kastel e il Toggia, raccontavano delle storie incredibili. Rimaste vedove ancor giovani, avevano deciso di rimanere qui in Formazza, dove mandavano avanti la loro attività di sarte. Sia io che Walter ricordiamo bene quelle sere. Del resto le leggende hanno sempre avuto una grande importanza, occupando un posto di primo piano nella cultura walser perché nel racconto si mescolano i desideri, le convinzioni, le gioie e le paure insieme ai fatti della vita quotidiana e ai personaggi. Un nostro coetaneo, Aldo Svillar, che noi chiamavano “kartoffen” vuoi perché aveva un gran naso a patata, vuoi perché di quei tuberi faceva grandi scorpacciate, era sempre in prima fila, con la bocca aperta. Silvia, la figlia del sindaco, una bella morettina tutto pepe che aveva anch’essa più o meno la nostra età, gli dava delle botte terribili sotto il mento, facendogli mordere la lingua, dicendo al povero Aldo: “Chiudi quel forno, altrimenti la strega di Morasco ti mangia la lingua”. E noi giù a ridere. Ridevamo tutti, tranne il malcapitato, cioè lui.. Quando però le Meier iniziavano i racconti, non volava nemmeno una mosca. Le leggende erano ambientate tra i monti, in sperdute valli e isolati alpeggi dove la natura selvaggia era popolata da streghe, diavoli, folletti e nani. Dai Pubrina di Salecchio, uomini selvatici o esseri mostruosi che fossero, che portavano i bambini ( le cicogne non c’erano e sotto i cavoli non si trovavano neonati ) ma che al tempo stesso erano il terrore dei piccoli quando questi facevano i capricci, al pari dell’uomo nero, agli Zwärgji, eccentrici burloni che abitano i boschi, bassi di statura e coperti di stracci e foglie, sempre pronti a divertirsi alle spalle degli alpigiani, vittime dei loro dispetti. A differenza delle streghe che fanno malefici al bestiame o che mandano in malora il latte e il formaggio, gli Zwärgji avevano insegnato ai nostri avi come fare il bucato con la cenere o lavorare il latte. Forse per farsi perdonare gli scherzi, forse per evitare che pastori e i casari, stanchi di esser presi in giro, se ne andassero via, abbandonando gli alpeggi formazzini. Nei racconti di Edith e Ingrid le valanghe, le bufere di neve, i movimenti dei ghiacciai, il sibilare del vento erano ricondotti al mistero delle tante creature fantastiche che vivevano la montagna. Lo scricchiolio dei ghiacciai del Sidel o dei Camosci era interpretato come lamento delle anime. “Sì, perché Edith, alzando l’indice minaccioso, ci ammoniva sul fatto che i ghiacciai fossero il purgatorio dove i defunti scontavano i loro peccati”, dice Walter. “E noi zitti, con il cuore in gola e i brividi lungo la schiena. In fondo, lo capimmo più tardi, la morte, per chi viveva in condizioni così difficili, era una componente non così estranea o distante dalla vita di tutti i giorni”. Oltre alle vicende dei morti, alle loro inquietanti processioni e alle streghe dal brutto carattere, alle sorelle Meier piaceva raccontare la leggenda di un uomo della valle che, per sfuggire alle vessazioni di un signorotto, decise di passare il confine, emigrando in Alta Val Bedretto, a Ronco, dove fu bene accolto al punto da metter su famiglia. Da quell’avvenimento, dicevano le sorelle, discendeva il diritto che veniva riconosciuto alla gente di Ronco di andare a far legna sul territorio di Formazza, in nome di quell’antica discendenza che accomunava le due valli, comprovata anche da alcuni documenti.

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Val Formazza

Ma la leggenda più bella era quella della valle perduta. Te la ricordi, Marco?”, dice Walter. Eccome, se la ricordo. In ogni villaggio walzer sgorga una sorgente d’acqua proveniente dalla valle perduta, la nostra terra d’origine, dove tutto è iniziato. Dai padri ai figli, per generazioni, dalla notte dei tempi si parla di questo luogo meraviglioso. Un vero paradiso, verde d’erba e alberi, ricco di pascoli e boschi, nascosto tra ghiacciai e nevi eterne. Una leggenda che, per molti secoli, ha aiutato la nostra gente ad affrontare asprezze e difficoltà con il miraggio di poter raggiungere un giorno la straordinaria, fertile e mite “valle perduta”. Così, tra un sorso e una scheggia di formaggio stagionato, abbiamo tirato tardi. Fuori la nevicata si è fatta più intensa. E’ ormai buio e attorno alle luci fioche dei lampioni i fiocchi disegnano traiettorie leggere, sospinti dall’aria. Alcuni finiscono sui vetri della casa, disegnando arabeschi di gelo. Viene giù che è un piacere, secca e soffice. Ancora un paio di giorni e mi raggiungerà anche Carla. Nella vecchia casa dei nonni addobberemo l’abete che mi ha regalato Walter. A Natale e a fine anno sarà una festa. Si canterà Stille Nacht, in tedesco. Per chi non ha dimestichezza con la lingua dei vecchi padri, la tradurremo in italiano, nell’Astro del Ciel. Ci augureremo che l’anno nuovo sia migliore di quello che ci lascia. E le fiammelle compariranno sulle finestre, tremolanti. Come un tempo.

Crpiemonte

Il canale Medium ufficiale del Consiglio regionale del #Piemonte, dove raccogliamo notizie e approfondimenti. I video su http://www.crpiemonte.tv

Notte di musica in sella alla bici, con FIAB Torino Bike Pride

Biciclettata notturna gratuita

Sabato 18 novembre, ore 21:00, ritrovo in Piazza Castello lato Via Accademia delle Scienze. Partenza ore 21:30

Evento gratuito previa registrazione

Torino si trasforma in una festa itinerante in occasione delle Nitto ATP Finals, FIAB Torino Bike Pride si unisce a questa ondata di energia con una Biciclettata notturna gratuita.

 

Si farà un giro tra le piazze del centro di Torino, accompagnati da un palco musicale itinerante curato dall’entusiasmante Associazione Musicamorfosi. La pedalata danzante condurrà fino a Piazza Vittorio, alle 22:30, dove ci si fermerà per uno spettacolo di luci e musica, con l’esibizione del collettivo Funky Club e di altri ospiti speciali.

 

La partecipazione è gratuita, ma per facilitare l’organizzazione si chiede la registrazione: https://forms.gle/WZtqGXuN6AaJZ3rA7

 

Si può sostenere FIAB Torino Bike Pride, tesserandosi (è inclusa l’assicurazione RC verso terzi): https://bikepride.net/bikepride-tesseramento-2024/ 

Per informazioni e approfondimenti: info@bikepride.net