Quagliotti, il coraggioso

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Avevo una qualche ragione a risentirmi quando, sbagliando  numero, il compianto Genio Bozzello, il sindaco che cancellò da Castellamonte la piazza intitolata alle foibe, chiamava me, credendo di parlare con Giancarlo  Quagliotti con cui aveva molta famigliarità. La mia risposta imbarazzata -dato l’inizio della chiamata che entrava subito in medias res – troncava  il discorso di Bozzello che poi evitò di telefonarmi, avendo colto che io non ero Quagliotti che oggi  ha rilasciato una coraggiosa intervista  in  quasi totale difesa del suo “sodale autostradale” Sasà  Gallo nel corso della quale banalizza un po’ troppo il clientelismo, considerato dagli  inquirenti, corruttivo del quasi suo  coetaneo che si sarebbe limitato a telefonare agli elettori per convincerli a votare Pd sull’esempio citato da Quagliotti: Giancarlo  Pajetta. Il voto di scambio, verrebbe da dire, è altra cosa dal fanatismo propagandistico  di Pajetta e di Novelli che incitava addirittura ad andare a suonare i “ciuchin” delle case per indurre al voto comunista: senza saperlo Salvini è  stato un allievo di San Diego, il sindaco forse  più discutibile  della Torino post bellica  perché bloccò per dieci anni la metro, ritenendola non necessaria. Ma certo Sasà non può essere considerato un allievo di Pajetta, il ragazzo rosso che non era mai cresciuto e, facendosi tanti anni di carcere durante il fascismo, si era conquistato un fascino unico e forse irripetibile. Quagliotti fu travolto dallo scandalo Zampini nel 1983, dal quale però  uscì assolto, ma poi  venne condannato a  soli sei mesi per un’altra vicenda poco limpida insieme al famoso “compagno G” quel Primo Greganti che salvò il pci con il suo ostinato silenzio dalle grinfie di Tangentopoli. Conobbi anche Greganti che appariva persona simpatica anche se molto disinvolta negli affari di partito.
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Oggi Quagliotti rivendica il diritto alle correnti  in un partito  plurale, giungendo a dire che anche nel PCI  c’era dibattito, cosa della quale dubito. Soprattutto dice che Sasà diventa l’occasione

Giancarlo Quagliotti (foto CittAgorà)

buona per egemonizzare il Pd torinese sotto  il controllo della nuova segretaria nazionale  dal cognome impronunciabile  e dalle origini radical- chic -Lgbt, a danno della maggioranza bonacciniana che si fonda sull’apporto determinante dell’ on. Laus.  Quagliotti mette in  evidenza come gran parte dei parlamentari piemontesi siano già passati con la segretaria e mette in guardia dalle moraliste con il seggio sicuro in eterno che si atteggiano ad arcigne Cassandre, non sapendo cosa significhi fare una campagna elettorale volta a prendere voti dai cittadini.

Non fosse altro che per questa verità Quagliotti suscita la mia simpatia perché egli rivela una non ipocrisia encomiabile e ricorda la serietà del PCI in cui i personalismi non valevano, almeno in campagna elettorale.
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Forse si è dimenticato lo “scandalo” di tre candidate donne in Regione a Moncalieri per ostacolare l’assessora alle pari opportunità Pompeo. Ma la sua indipendenza mi piace e apprezzai molto il fatto che Fassino sindaco lo liberò dal gulag in cui i comunisti torinesi lo avevano relegato. Fu Giancarlo a convincere Novelli che il Comune governato dai comunisti non poteva non dare a Sacharov, premio Nobel per la pace  e scienziato russo perseguitato,  la cittadinanza onoraria di Torino  che chi scrive aveva proposto al Sindaco, già oggetto di critiche astiose da  parte di Luigi Firpo e di Tullio Regge , su suggestione del PCI.   Quagliotti resta il comunista dal volto umano, mentre molti ex comunisti del Pd continuano ad avere volti assai poco rassicuranti. O almeno così appare ai molti che ritengono che la “fusione a freddo” non si sia mai scaldata. Perché il clientelismo è anche un aspetto di un matrimonio mai realmente consumato e  politicamente prolifico, come mi disse una volta Guido Ceronetti.

 

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