Quagliotti, il coraggioso
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Oggi Quagliotti rivendica il diritto alle correnti in un partito plurale, giungendo a dire che anche nel PCI c’era dibattito, cosa della quale dubito. Soprattutto dice che Sasà diventa l’occasione
buona per egemonizzare il Pd torinese sotto il controllo della nuova segretaria nazionale dal cognome impronunciabile e dalle origini radical- chic -Lgbt, a danno della maggioranza bonacciniana che si fonda sull’apporto determinante dell’ on. Laus. Quagliotti mette in evidenza come gran parte dei parlamentari piemontesi siano già passati con la segretaria e mette in guardia dalle moraliste con il seggio sicuro in eterno che si atteggiano ad arcigne Cassandre, non sapendo cosa significhi fare una campagna elettorale volta a prendere voti dai cittadini.
Nuovi Gobetti un po’ attempati
IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni
Un manifesto di circa cento persone, in verità non tutti intellettuali (evito di citarne i nomi), merita sempre attenzione. Se poi a ispirarlo e illustrarlo è un avvocato di lungo corso come Fulvio Gianaria, esso merita di essere letto e meditato. A due mesi dal voto, appare strumentalizzabile e anche un po’ fuori tempo perché il manifesto di Croce del 1926 ebbe ben altre firme e guardava al fascismo con una profondità di pensiero che qui non si coglie anche perché oggettivamente non ci sono le condizioni per scriverlo. Manca anche l’interlocutore Giovanni Gentile e il delitto Matteotti. Fa sorridere Elena Caffarena, figlia del più noto Mino, funzionario e dirigente del PLI , quando scrive: “ Ci unisce il desiderio di vedere un nuovo Risorgimento. Vogliamo ispirare chi la pensa come noi”. L’idea sarebbe buona, ma mancano gli ispiratori. Neanche una parola diretta a sostegno di Israele, ma solo giri di frase. I liberali, i liberal-democratici sono stati sempre dichiaratamente filoisraeliani. Stupisce la conversione al liberalismo di Massimo Negarville, figura oggettivamente lontana da vecchi e nuovi risorgimenti, anche lui autorevole firmatario. Gobetti nel suo slancio non sempre rigoroso aveva un’attenuante: era giovane ed immaturo. Un‘attenuante che non si può concedere a molti dei firmatari. Sempre cento o quasi, come quelli che ebbero bisogno dell’Ungheria invasa per dimettersi dal PCI togliattiano che difendeva i carri armati di Mosca. I liberali non si agitano per l’eguaglianza sociale ma per libertà che consente ai più capaci e meritevoli di liberarsi dal soffocante egualitarismo livellatore. Farmacisti, politicanti vari della I repubblica e improvvisati saggisti provenienti dal pci, si sono dimenticati anche di denunciare la corruzione correntizia in particolare del Pd odierno che allontana dal voto i cittadini e dà il potere ai capi bastone, fomentando il populismo di ogni colore, anch’esso incompatibile con il liberalismo. Non sono dimenticanze da poco. Ma molti il liberalismo l’hanno conosciuto in un corso al Cepu, come dice Dino Cofrancesco.
L’inno di Mameli affidato agli studenti
La prof. 54 enne circuisce l’allieva 14 enne
Un francobollo per Berlusconi
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
L’idea di dedicare un francobollo a Silvio Berlusconi ad un anno dalla morte fa discutere anche in modo sguaiato. Sono molti quelli che dissentono e vorrebbero che addirittura il presidente della Repubblica intervenisse a impedire l’emissione filatelica. C’è addirittura chi parla di una proposta indecente. La faziosità resiste al tempo, anche se un anno, specie se si tratta di un anno elettorale, è nulla rispetto alla storia. Di norma i francobolli sono destinati a ricordare figure del passato. Non a caso insieme al francobollo per Berlusconi escono quelli per Matteotti, Marinetti, San Tommaso e Tatarella. Un’ insalata russa presentata come una forma di pluralismo. È evidente che il francobollo per Tatarella un personaggio di dubbio significato politico, malgrado la svolta di Fiuggi del MSI, appare forzato. Avrebbe avuto più senso un francobollo per Giorgio Almirante che sarebbe stato divisivo, ma non senza un qualche significato storico: la storia non è solo quella che ci piace, come vorrebbero alcuni. I nomi scelti nel loro complesso evidenziano che a un contemporaneo morto un anno fa non possono essere neppure accostati, per nessun motivo, almeno tre degli altri personaggi suddetti. Matteotti in particolare si discosta da tutti, per non dire di San Tommaso. A 80 dalla morte eroica avrei visto bene un francobollo per il generale medaglia d’oro al V.M. Giuseppe Perotti, caduto al Martinetto con 7 altri membri del Comitato militare del CLN o, sul versante opposto, un francobollo dedicato a Giovanni Gentile ammazzato nel 1944 da gappisti comunisti che gli tesero un agguato sulla porta di casa. Un francobollo implica quello che Omodeo definiva “il senso della storia” . Un francobollo per Berlusconi non suscita nessuna ripulsa etica come alcuni faziosi sostengono ed appare stupida la richiesta di intervento del presidente Mattarella. La figura di Berlusconi a cui furono concessi – non dimentichiamolo – i funerali di Stato e il lutto nazionale, è oggi consegnata alla storia che ha bisogno di distacco critico per esprimere un giudizio. Per Napoleone Manzoni scrisse che l’ardua sentenza era affidata ai posteri. A maggior ragione per un personaggio fuori misura come Berlusconi, che è più che mai, anche morto, nel pieno della ribalta politica anche oggi, occorre quella che Guicciardini chiamava la “discrezione”. Non credo però che l’entusiasta del francobollo senatrice Ronzulli abbia mai letto Guicciardini e tanto altro. Per un uomo come Berlusconi un francobollo voluto da un governo amico ad un anno appena dalla sua morte, appare poco o nulla. Stiano sereni gli anti berlusconiani che si indignano per così poco. La vera gloria la stabilirà un giudice molto più importante e credibile: il tempo.
Salvare la democrazia da chi la vilipende
IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni
Il caso Gallo non è certo l’unico. L’affarismo in politica non è una novità, se Salvemini accusava persino Giolitti di essere un ministro della malavita. Il voto non è mai stato un bagno di democrazia vera perché l’inquinamento personale ha sempre giocato un ruolo preciso. Era l’Italia dei notabili con Giolitti è l’Italia delle correnti clientelari oggi. Oggi, tra l’altro, viviamo in un sistema elettorale bastardo che solo in alcuni casi prevede le preferenze anche se i paracadutati nei collegi forse sono l’esempio più clamoroso di scarsa democrazia. Ma i casi Gallo pongono anche una riflessione sul voto di preferenza in base al quale un signor nessuno occupa un seggio che deve ad un dispensatore di piaceri, ad essere generosi, e quindi dipende dal “benefattore”. Da tempo abbiamo imboccato la strada dell’abbandono della democrazia come si può constatare dal calo pauroso dei votanti che fa il gioco dei capi clan. La scarsa affluenza è conseguenza di una politica che non convince più ed è la condizione ottimale che consente ai vari Gallo di prosperare nell’allevare i propri polli. Va ripensato il sistema: i fascisti definirono le elezioni dell’Italia prefascista dei “ludi cartacei” in cui le schede erano una finzione. I fascisti poi dimostrarono che la stessa democrazia era una perdita di tempo e che occorreva l’uomo forte per decidere. Così, dopo il delitto Matteotti, un deputato che denunciò in Parlamento i brogli e le violenze delle elezioni dell’aprile 1924 , iniziò il regime autoritario e la dittatura divenne realtà nel 1925. Sono passati cent’anni e non è possibile stabilire confronti, ma il disprezzo per la democrazia dimostrato dai vari Gallo sparsi per l’Italia è molto pericoloso. Gli elettori già in giugno devono tornare a votare in massa in modo libero, mandando a quel paese i mandarini del potere fondato sulle tessere. Votare in libertà e per la la tutela della libertà e’ la vera scelta antifascista di oggi: le elezioni sono un momento culminante della democrazia e non dei “ludi cartacei” decisi dai capicorrente di ogni partito che sovente sono manovratori ignoranti e incapaci di qualsivoglia pensiero politico. Questo è un altro paradosso: i peggiori decidono chi far eleggere, lasciando i migliori al palo come il professor Salizzoni e tanti altri. Se si ascoltano gli interventi di certi consiglieri, quando decidono di non limitarsi ad alzare il dito in aula, c’è da rimanere imbarazzati per loro: lo stile Furnari-Alabiso – due consiglieri anni 70 – ha fatto scuola. Anche la Dc venne presa d’assalto dalle clientele come il PSI e tanti altri. Bisogna reagire con fermezza assoluta a tutela del nostro futuro democratico. Esisteva in passato l’ Ande, associazione delle donne elettrici. Oggi occorrerebbe una sorta di sindacato degli elettori che desse indicazioni di voto in base ai curricula dei candidati, lasciando gli impresentabili alle cure dei ras, cui va imputato, a mio parere, soprattutto il gravissimo reato di vilipendere la democrazia, il bene più prezioso da difendere insieme a quello della libertà. veri fascisti oggi sono loro.
Il pesce d’aprile elettorale in Riviera
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
L’episodio è minimo e non meriterebbe attenzione, ma esso è rivelatore di un protagonismo che giunge a beffarsi delle stesse istituzioni, coinvolgendole in uno stupido scherzo del primo aprile. Le elezioni sono più che mai oggi l’ultimo momento sacro rimasto della democrazia, riconquistata il 25 aprile 1945 al prezzo del sangue e del sacrificio di tanti italiani. Le elezioni restano un momento solenne, l’unico nel quale il cittadino sovrano può decidere nel segreto dell’ urna e i partiti possono uscire anche con le ossa rotte. Ebbene, il 1 aprile, complice una giornalista che ha giocato ingenuamente al facile scoop, un gruppetto di burloni -che si auto definiscono “monelli “armati di fionda, malgrado l’età avanzata e quasi veneranda – di Albenga, città nota per le sue torri medievali, ha annunciato la presentazione di una propria lista comunale con candidato sindaco il loro “ducetto”, quel Gino Rapa che lui stesso con raffinata autoironia si auto definisce “testa di rapa” titolo di un suo librino di grande successo entro le torri ingaune fino a lambire la periferia di Borghetto Santo Spirito e Ceriale.
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Ferruccio Borio il grande giornalista
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
E’ uscito in quel di Cuneo un libro in ricordo di Ferruccio Borio, giornalista italiano e torinese importante della seconda metà del ‘900. Dalle anticipazioni che ne leggo, temo che sia un tentativo mancato di ricordarlo degnamente e che possa anzi apparire un conato un po’ meschino, di ridurlo ad una macchietta o poco più. Chi scrive lo ha conosciuto molto bene e l’ha frequentato a lungo; di fronte a questo che parrebbe un inadeguato tentativo di ricordarlo, mi sento impegnato a scriverne diffusamente, anche al di là del suo ruolo giornalistico.
Ferruccio Borio partecipo’ da vicino insieme a sua figlia Simonetta alla fase iniziale del Centro “Pannunzio” come fecero Giulio De Benedetti e Alberto Ronchey che per ragioni diverse furono amici di Mario Pannunzio. Intervenne ad una cena offerta da Arrigo Olivetti al Ristorante del Cambio di Torino insieme a Ugo La Malfa, Niccolò Carandini, Mario Soldati, Gaetano Zini Lamberti e pochi altri amici. Durante quella cena ristretta ad una quindicina di persone nacque il Centro “Pannunzio” nel maggio 1968. Fu da subito una scelta controcorrente di cui molto bene ha scritto Gabriella Poli, per molti anni braccio destro di Ferruccio – e poi prima e unica donna capocronista alla “Stampa” -, ricordando un mio incontro con lei nella redazione di via Roma durante un chiassoso corteo studentesco. Con Ferruccio non ebbi subito un profondo rapporto perché, da quanto capivo, da vero giornalista voleva mantenere la sua indipendenza anche dal Centro, rimanendo defilato.
Il nostro rapporto si strinse e si approfondì a partire dal 1974 per merito di Valdo Fusi che insieme a me e all’avvocato Giacomo Volpini voleva realizzare la mostra dei disegni di Leonardo conservati alla Biblioteca Reale di Torino ed esposti l’ultima volta per il matrimonio del principe ereditario Umberto di Savoia nel 1930. A partire dal direttore della Biblioteca per giungere all’alta burocrazia ministeriale, c’erano ostacoli da rimuovere che sembravano insormontabili. Fusi ed io andammo da Borio che non dovemmo convincere della bontà della proposta e che si impegnò a sostenere sul giornale. Infatti nel 1975 il ministro per i Beni culturali Spadolini, sia pure in modo obliquo, inauguro’ la mostra che ebbe 150 mila visitatori e fu lanciata a livello internazionale da un manifesto in più lingue realizzato da Armando Testa. Da quel momento si può dire che nacque il nostro rapporto. Il Centro “Pannunzio” divenne il luogo prediletto in cui uno straordinario e scintillante Stefano Reggiani ambiento’ i suoi ironici raccontini con il Conte di Cavour e Vittorio Emanuele II pubblicati sulla Cronaca de “La Stampa”. Nel 1975 venne a moderare un dibattito alla vigilia delle elezioni amministrative al Centro “Pannunzio” in cui si confrontarono tutti i capilista, ma in cui soprattutto duellarono Diego Novelli e Giovanni Porcellana, i due maggiori contendenti alla carica di sindaco.
Borio seppe stabilire uno straordinario rapporto con i torinesi, creando incontri ed eventi che giustificarono lo slogan “Un giornale, una città”con centinaia di migliaia di lettori del giornale. Anche quando andò al “Piccolo”come direttore rimanemmo in rapporti perché nel frattempo la figlia Simonetta era diventata vicepresidente del Centro “Pannunzio”. Al “Piccolo” seppe fare una grande battaglia di informazione civile e democratica contro il demagogismo prepopulista del Melone. Ricordo che Borio a Trieste andò come primo atto alla Risiera di San Sabba e alla foiba di Basosovizza, lui che era stato partigiano di GL. Una volta mi invito’ a Trieste a ricordare il IV novembre 1918 e fui molto contento di parlare della Grande Guerra vittoriosa, dopo essere stato insieme a Borio al Sacrario di Redipuglia. Con noi venne anche Arrigo Levi direttore de “La Stampa”. A Trieste Borio fece la battaglia contro il qualunquismo del Melone, la lista civica che pareva aver sconvolto la storia stessa della città di San Giusto. Ricordo l’abbraccio affettuoso che ci scambiammo ai funerali di Carlo Casalegno, ucciso dalle Br. Forse l’uomo giusto a sostituire in trincea Carlo era Borio condirettore, ma gli fu preferito il letterato Mondo.
Poi iniziò la mia lunga collaborazione con “Stampa Sera“ con i direttori Torre e Bernardelli e Borio, tornato a Torino dopo la direzione del “Lavoro” a Genova – dove cercò di salvare la vecchia testata socialista che fu di Canepa, Ansaldo, Pertini e Vittorelli – avrebbe desiderato che io iniziassi come editorialista alla nuova “Gazzetta del Popolo” che aveva fatto risorgere sotto la sua direzione. La presenza del deputato Borsano impedì il rilancio. Ritenni di non dover accettare la sua generosa proposta, ma gli feci avere spesso delle note senza firma. Borio fu sospeso per un anno dall’Ordine per aver accettato l’abusivismo imposto dall’editore di cui godettero tanti finti virgulti che diventarono esponenti di punta del nuovo giornalismo subalpino.
La nostra amicizia continuo’ fino a quando l’ictus lo costrinse ad un ritiro drammatico che per un uomo attivo ed entusiasta come lui, deve essere stato un vero tormento. Si chiuse in casa e non volle più avere rapporti esterni. Resta una delle figure più importanti del giornalismo italiano della sua epoca ed insieme a Carlo Casalegno e Giovanni Giovannini uno dei più significativi giornalisti torinesi del secondo Novecento. Una schiena diritta capace di essere sempre se’ stesso, richiamandosi con coerenza al suo passato, sempre presente, di combattente per la libertà. Non la macchietta descritta ieri in un anticipo infelice del libro. Borio riuscì a sorpassare e mettere alle corde con la qualità del suo giornalismo una testata storica come la “Gazzetta del Popolo” rimasta forte in alcune aree piemontesi dove il giornale concorrente non aveva giornalisti come Borio. Simile a lui io ricordo in Liguria Sandro Chiaramonti che sorpasso’ il “Secolo XIX” e creò le edizioni liguri della “Stampa” con tanti eventi connessi come Borio fece a Torino e in tutta l’area metropolitana.
Sergio Ronchetti che fu suo vice e successore ha rilasciato su Internet una bella e lucida intervista che risarcisce Borio di una celebrazione che appare un po’ strumentale. Se fosse viva Simonetta, sarebbe andata su tutte le furie. Non dimentichiamo che Borio riusciva con una o due pagine di cronaca a rappresentare interamente la realtà torinese che oggi neppure venti pagine descrivono perché la faziosità preconcetta di certi redattori esclude e censura la città a misura del Polo e del Circolo diventati senza aggettivi gli unici protagonisti di una cultura settaria e di parte che esclude la ricchezza di una città che neppure la monocultura della Fiat e l’egemonia del PCI erano riusciti a distruggere, per merito di giornalisti come Borio.