Proseguono alla “Fondazione Bottari Lattes” le celebrazioni dell’eclettico e “visionario” artista torinese
Fino al 3 dicembre
Monforte d’Alba (Cuneo)
Le tante ombre. “Busti” senza volto, neri e tormentati, presagi di terrifiche ambiguità. Le inquietanti oscurità e le smarrite luci. Luci di rossi e gialli, pur intensi, graffiati da segni e memorie che bruciano immagini e anima, cui l’artista affida il compito di inquadrare il dramma de “L’incendio del Regio” (olio su carta intelata del 1983) o di “nudi” indefiniti e contorti (citazione dal viennese Schiele) e “nature morte” fatte di oscure presenze, concreti riflessi di incubi che rincorrono la vita senza mai dare né darsi pace. Eccoci ancora immersi nei “mondi di Lattes” e l’accesso ci pone, come sempre, di fronte alle consuete insidie. “Occorre adeguarsi alle sue luci e alle sue ombre, intuire l’indefinito pur sapendo che esiste un lato oscuro che non può disvelarsi”: così scriveva, a commento di una recente retrospettiva dedicata a Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001) – pittore, scrittore, editore e personaggio di spicco nel mondo culturale piemontese, e non solo, del secondo dopoguerra – l’incisore e critico d’arte Vincenzo Gatti, al quale ancora è affidata la curatela de “I mondi di Mario Lattes #2”, realizzata dalla “Fondazione Bottari Lattes”, fino al prossimo 3 dicembre, nella sede di via Marconi 16, a Monforte d’Alba. Mostra che si inserisce all’interno delle celebrazioni organizzate per i cento anni dalla nascita dell’artista e che vedono la “Fondazione” e la sua Presidente, Caterina Bottari Lattes, impegnata ormai da mesi in svariate iniziative. La più recente una mostra di grande successo (“Mario Lattes. Teatri della memoria”) tenutasi fino allo scorso maggio alla “Reggia di Venaria” e prima ancora un’altra anticipatrice retrospettiva (“I mondi di Mario Lattes #1”) ospitata, fino a fine gennaio, sempre nelle sale della “Fondazione” di Monforte d’Alba. Oggi sono oltre quaranta, tra cui diverse raramente esposte in pubblico e alcune di recente acquisizione, le opere di Lattes presenti in mostra e datate tra gli anni ’50 e i primi anni ‘90. A coprire cronologicamente l’intera attività artistica del pittore, troviamo anche un buon numero di dipinti precedentemente separati per vicende collezionistiche e ora riuniti e posti in dialogo con quelli già presenti in parete. Il “mondo” di Lattes è un mondo che intriga. Che ti inquieta, senza mai respingerti. In cui, anzi, non puoi “non entrare”. E ciò che più ti spinge a “capirlo”, a “decodificarlo” è proprio quella sorta di “dark side”, di “lato oscuro” che vibra anche nei contesti di più semplice e consueta quotidianità. E’ quella sottile, onnipresente malinconia, quell’“epico senso dell’inconcludenza umana”, forse propriamente legata (anche nei suoi romanzi e racconti pubblicati fra il ’59 e l’85) alle sue radici e alla consapevolezza della propria “frammentata identità ebraica”. Scrive Vincenzo Gatti: “Molti sono i mondi di Mario Lattes, e misteriosi. Con disincantata franchezza si muove tra diverse dimensioni, com’è ovvio per un intellettuale dalla sensibilità fittamente diramata tra parola e immagine, e giustamente insofferente a stringere l’attitudine creativa in schemi artificiosi e convenzionali categorie. Meglio affidarsi, per le immagini, a una singolare e personalissima interpretazione, intrisa di umori visionari (le suggestioni simboliste e surrealiste affiorano, ma quasi velate da una sottile ironia) in un contesto tutto mentale dove la stessa tecnica esecutiva, costantemente inventata e stravolta con indifferenza accostando materiali e procedimenti eterodossi, contribuisce a evocare, piuttosto che a svelare”. E allora ben scriveva anche Marco Vallora nel 2008, in occasione di un’ampia retrospettiva dedicata all’artista dall’“Archivio di Stato” di Torino: “ Mario Lattes è sempre là dove non te lo attendi”. Sfuggente. Espressionista, sì. Surrealista e simbolista, sì. Ma sempre “cavallo solitario”. Anima insofferente ai “recinti”. Vicino a Schiele e a Soutine. Ma libero a inventarsi segni e colori. Libero di cantare dolori, malinconie, ironiche provocazioni, voglie di solitudine e cascate di amara “memoria”. Diceva lui stesso: “I ricordi sono cicatrici di memoria”. Così anche le “marionette”, i “teatrini”, le “teste”, gli “idoli” e i “manichini” (come i pasticcieri o i valletti o i chierichetti di Soutine) “sono icone – conclude Gatti – di un’individualità attonita, consapevoli delle inquietudini che da sempre pervadono l’animo umano … L’artista-profeta ci indica così un percorso e ci invita a riconoscere i nostri fantasmi per esorcizzarli attraverso la fatica di vivere e guadagnare la nostra esistenza giorno per giorno”.
Gianni Milani
“I mondi di Mario Lattes #2”
Fondazione Bottari Lattes”, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173789282 o www.fondazionebottarilattes.it
Fino al 3 dicembre
Orari: dal lun. al ven. 10/13; sab. e dom. 11/16,30
Nelle foto: “Senza titolo”, olio su tela, 1959; “L’incendio del Regio”, olio su carta intelata, 1983; “Natura morta”, tecnica mista su cartoncino,, s. d.; “Nudo”, tecnica mista su carta intelata, 1991.
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