Da svariati lustri la geografia politica italiana è incardinata attorno ad un singolare bipolarismo.
Che, non a caso, viene comunemente definito come una sorta di “bipolarismo selvaggio”. Ma si tratta di un bipolarismo che può ancora essere battuto a livello politico ed elettorale. È ormai convinzione abbastanza diffusa, infatti, che ciò che capita sino al 25 settembre difficilmente ci sarà dal 26 settembre in poi.
Ora, sgombriamo il campo da ogni interpretazione forzata e da ogni fantasia, ma è indubbio che più passa il tempo e più emergono le contraddizioni politiche all’interno dei due schieramenti maggioritari. Ed è perfettamente inutile che il segretario del Pd inviti alla lotta senza frontiere contro il ritorno del fascismo quando tutti sanno, ma proprio tutti, che la demolizione e l’annientamento del nemico politico rientrano, appunto, in una logica di “bipolarismo selvaggio” che non risponde più alle dinamiche concrete della politica italiana. E men che meno a ciò che capita realmente nella società italiana. Perchè è sempre più evidente che, al di là della propaganda elettorale, non saranno questi due schieramenti a garantire un seria guida al governo del paese a medio/lungo termine. Se sul versante della sinistra si è dato vita ad una coalizione sbilenca e destinata oggettivamente a soccombere nelle urne, è altrettanto vero che l’unità apparente del centro destra nasconde una prospettiva politica diversa coltivata dai principali contraenti la coalizione stessa. Contraddizioni e diversità che emergono in modo sufficientemente palese negli stessi dibattiti pubblici che coinvolgono i diversi leader politici.
Certo, chi punta ad incrinare nelle urne le sorti di questo bipolarismo deve essere politicamente convincente nel denunciare le storture e le pesanti contraddizioni che caratterizzano coalizioni posticce ed eterogenee sotto il profilo programmatico. È di tutta evidenza che di fronte ad alleanze che non garantiscono una convergenza sul terreno concreto delle cose da fare oltre a coltivare prospettive politiche non particolarmente affini, difficilmente si può parlare di una strategia duratura se non quella di distruggere l’avversario/nemico in virtù di un bipolarismo sempre più bislacco ed anacronistico. E il decollo, politico ed elettorale, di un “centro” che sia autenticamente capace di declinare una “politica di centro”, è la sfida decisiva che può mettere definitivamente in crisi questa fragile impalcatura politica.
Ecco perchè il destino di questo “bipolarismo selvaggio” che continua a coltivare l’obiettivo di una violenta radicalizzazione della contesa politica italiana è destinato, prima o poi, ad arrivare al capolinea. E questo per due motivi persin troppo semplici da richiamare.
Innanzitutto perchè non si può governare una società complessa e una fase politica alquanto difficile e carica di incognite come quella contemporanea con un metodo politico che incentiva alla perenne radicalizzazione e al conflitto permanente. La strategia della “solidarietà nazionale”, seppur declinata in modo diverso di volta in volta, si impone sempre di più in un clima di profonda frattura sociale e con progetti politici dei vari partiti non ben definiti e fortemente radicalizzati tra di loro.
In secondo luogo perchè con l’assenza di partiti che esprimano un forte pensiero politico – frutto di una precisa cultura politica – accompagnato da una altrettanto definita visione della società, è abbastanza naturale che questi cartelli elettorali non possano tranquillamente governare con autosufficienza ed esclusivismi aprioristici.
In sostanza, è necessario mettere in campo una iniziativa politica che sia in grado di garantire la governabilità da un lato con un programma altrettanto definito e realistico dall’altro. Due condizioni che, oggettivamente, non sono compatibili con risse continue, con un clima da “ok corral”, con una contrapposizione violenta e frontale tra i vari schieramenti e, soprattutto, con una voglia di distruggere e annientare l’avversario/nemico. Ovvero, con le regole e le prassi che hanno contraddistinto questi anni di contrapposizione violenta fra i due schieramenti maggioritari. E questo senza invocare ridicole e grottesche emergenze. Dittatura, possibile ritorno del fascismo, regimi illiberali se non addirittura sovversivi sono però richiami ed osservazioni del tutto privi di senso per il semplice motivo che non corrispondono alle dinamiche concrete che caratterizzano la società contemporanea. Semmai, si tratta di ricostruire una fase politica che non sia fondata sulla precarietà degli equilibri e sulla inconsistenza dei programmi. E, sotto questo versante, la ricostruzione di un luogo politico di “Centro” può essere decisivo e determinante.
Per questo dopo il 25 settembre arriverà il 26 settembre. E lì, forse, assisteremo ad una nuova ed ennesima stagione della politica italiana. E non più all’insegna del trasformismo, del populismo e dell’’inconsistenza programmatica.
Giorgio Merlo
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