Abbiamo visto quanto passeggiare a ritmo sostenuto preferibilmente in mezzo alla natura sia salutare e benefico, riduce l’ansia, stimola la creatività e ci tiene in forma, una sana abitudine in sostanza capace di rilassarci e attivare sostanze calmanti.
Purtroppo, e già da tempo, è in uso un’altra modalità di praticare la camminata: la “smartphone walking” ovvero il vezzo, o forse sarebbe meglio dire il vizio, di spostarsi a piedi con lo sguardo fisso sul cellulare scrivendo messaggi, postando immagini e utilizzando i social. Per strada si incontrano infatti pedoni di tutte le età che incedono con passo incerto, a zigzag quasi barcollando, che effettuano pause periodiche e scansionate. Insieme a loro cani confusi e in balia di un ritmo incomprensibile, passeggini che sbandano, accompagnatori annoiati e rassegnati. E’ tutto così urgente? Inviare messaggi, condividere foto che informano in tempo reale i nostri seguaci o i nostri amici (tecnologici) circa le nostre azioni è così improrogabile? Se si osserva lo scenario attuale durante una passeggiata o di ritorno dal lavoro ci si rende conto che le teste sono chine, che sono pochissimi coloro ancora capaci di camminare ignorando la presenza dei loro smartphone concentrandosi su ciò che stanno facendo, sul tragitto che stanno percorrendo. Incrociare sguardi è diventato improbabile, scrutare i volti delle persone che capitano sul nostro cammino praticamente impossibile.
Eppure camminare è una attività importante, è quel momento di sospensione tra una occupazione e l’altra, un tempo a noi dedicato, anche se spesso frenetico, che ci serve per riflettere e interrompere la routine. Oltre alla questione puramente sociologica che ci racconta di un vero e proprio fenomeno sociale in aumento legato alla predisposizione tecnologica delle persone che vivono in questo periodo storico e che ci spinge all’analisi e all’approfondimento, c’è anche un altro aspetto che potremmo definire pratico legato alla sicurezza. A causa di questa attività infatti gli incidenti stradali sono aumentati, sono molti di più i pedoni che attraversano le strisce e persino i binari del treno senza guardare persi nel magico mondo virtuale, la Polfer già nel 2016 parlava di un aumento del 33% degli infortuni, senza contare poi i gradini mancati, le buche centrate, le cadute con conseguenze rovinose.
Se non consideriamo gli eventi più gravi siamo comunque in presenza di costanti di spinte involontarie, distrazioni fastidiose e piccoli incidenti a danno degli altri passanti. Qualcuno è già corso ai ripari con campagne pubblicitarie come “it can wait” nella Repubblica Sudafricana dove uno spot che comincia con immagini divertenti si conclude con la visione degli effetti peggiori che questa abitudine può portare, altri ci scherzano sopra parlando di “rimbambiti vaganti” con tanto di segnale stradale. Quello che è certo è che questa pratica riduce la percentuale di attenzione durante le nostre attività in strada rendendoci più vulnerabili ed esponendoci a rischi forse sino ad ora sottovalutati. Usiamo il buon senso, rimandiamo l’invio di messaggi non urgenti, utilizziamo il computer di casa per condividere le nostre immagini, impariamo a mettere da parte i nostri dispositivi godendoci le nostre passeggiate preservando così la nostra persona e gli altri da spiacevoli e a volte dannosissimi incidenti. Torniamo a camminare a testa alta.
Maria La Barbera
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