Aprile 2018- Pagina 39

Il giornalista Mauro Pianta muore dopo un esame medico

E’ morto alle Molinette il giornalista  Mauro Pianta, di 47 anni. Dopo la gastroscopia alla quale si era sottoposto  in sedazione totale, al risveglio è stato colpito da infarto.  Sarà l’autopsia a stabilire se esiste un legame tra l’esame e il malore. Era laureato in Scienze Politiche e aveva lavorato per agenzie  e uffici stampa, siti online, testate come Il Sole 24 Ore, Il Foglio,  La Stampa e il Corriere della Sera, realizzando inchieste e servizi di attualità. E’ stato inoltre redattore del sito dedicato alla Santa Sede Vatican Insider. Alla sua famiglia le condoglianze della redazione del Torinese.

 

Sposa due donne in tre mesi. Accusato di bigamia aggravata

In tre mesi ha sposato due donne: una connazionale in Marocco e un’italiana a Torino. Il trentenne  è ora sotto processo con l’accusa di bigamia aggravata. Una vicenda molto complessa, per la quale la causa è stata aggiornata. Infatti il tribunale ascolterà anche un rappresentante del consolato marocchino. Secondo quanto si sa l’uomo sposò una prima donna in Marocco, anche se al matrimonio non seguì una convivenza e vennero avviate  dopo poco tempo le procedure per il divorzio. Poi a novembre l’uomo sposò un’italiana di 47 anni, certificando il proprio stato civile. La donna successivamente si accorse del precedente matrimonio e presentò querela.  Non si comprende ancora come il trentenne sia riuscito ad ottenere i documenti dalle autorità marocchine.

Ravetti nuovo capogruppo Pd a Palazzo Lascaris

 

Nella riunione del Gruppo del Partito Democratico del Consiglio regionale del Piemonte, svoltasi in data odierna, è stato eletto all’unanimità Presidente del Gruppo il Consigliere regionale Domenico Ravetti.

Il Gruppo ha, altresì, individuato le candidature del Consigliere regionale Nino Boeti alla Presidenza del Consiglio regionale e della Consigliera regionale Angela Motta alla Vicepresidenza del Consiglio regionale e, nei prossimi giorni, le proporrà ai gruppi consiliari di Maggioranza. Il Presidente dimissionario del Gruppo Pd in Consiglio regionale Davide Gariglio, neoletto deputato, ha voluto“ringraziare i colleghi per l’impegno profuso in questi anni e per il lavoro che abbiamo portato avanti insieme, in un clima di condivisione di intenti e obiettivi e di dialogo costruttivo e ha formulato i migliori auguri per il lavoro di fine legislatura”.“Il nostro impegno – ha affermato il neoeletto Presidente del Gruppo Pd Domenico Ravetti – sarà incentrato sulle priorità di fine legislatura, sul rapporto con le diverse forze politiche della coalizione di centrosinistra e soprattutto con i cittadini piemontesi. Ringrazio Davide Gariglio per il lavoro svolto in questi anni alla guida del gruppo in Consiglio regionale”.

Al Martinetto il 74° del sacrificio del Primo Comitato Militare CLN 

Giovedì 5 aprile, alle 10, al  Sacrario del Martinetto di Torino – nella IV Circoscrizione,  in corso Svizzera angolo corso Appio Claudio – il vice Presidente Nino Boeti presenzierà alla cerimonia di commemorazione del 74° anniversario del sacrificio dei Componenti il Primo Comitato Militare Regionale del CLN Piemontese

 

Il sacrario del Martinetto è uno dei luoghi simbolo della memoria della Resistenza cittadina: qui saranno ricordati gli otto membri del primo comitato militare regionale piemontese del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Nei giorni 2 e 3 aprile 1944, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato processò e condannò a morte i membri del Comando militare regionale piemontese (CMRP), catturati il 31 marzo durante una riunione clandestina nella sacrestia della chiesa di San Giovanni, a Torino. Il  5 aprile Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini, Errico Giachino, Eusebio Giambone, Massimo Montano e Giuseppe Perotti vennero portati al poligono di tiro del Martinetto e fucilati da un plotone di militi fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana. Il Comando militare era stato costituito clandestinamente a Torino nell’ottobre del 1943, come organo del Comitato di Liberazione Nazionale, con il compito di coordinare le azioni delle bande partigiane già esistenti. Al Martinetto  furono uccisi un gran numero di antifascisti  e resistenti  nei venti mesi che trascorsero tra l’8 settembre 1943 e la Liberazione dell’ aprile 1945.

L’umanità semplice di Pietro Domenico Olivero

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Pur essendo famoso durante la prima metà del 700 come pittore di corte dei Savoia, di Pietro Domenico Olivero non fu mai allestita una mostra monografica; l’occasione viene data ora dal Museo Civico di Moncalvo attraverso la presentazione, ad opera di Aleramo Onlus, di diversi dipinti che denotano la sua tipica vocazione al genere delle “bambocciate”.

 

Accanto alla grande pittura aulica della ritrattistica e all’enfasi dei temi religiosi erano in voga le scenette episodiche intinte di paesaggismo dell’Olivero che venivano richieste dai reali, dalla nobiltà delle ville della provincia e da appassionati collezionisti. Quando nel 1705 morì il pittore di corte, il viennese Seyter protetto dalla Madama Reale Giovanna Battista di Nemours, che aveva istituito nel 1678 l’Accademia di Belle Arti per la protezione degli artisti, il figlio Vittorio Amedeo II si tenne caro il pittore apprezzandone il talento e il vivace temperamento. Dapprima gli furono dati incarichi minori di decoratore di fiori, accostandosi al fiorismo locale di radici fiamminghe e francesi,   in cui si specializzò in particolare Anna Caterina Gili, per la Reggia di Venaria e gli fu assegnato il compito di collaboratore di vedutisti e quadraturisti per affrescare colorite figurine nella veduta, voluta da Juvarra, per l’atrio del Castello di Rivoli, insieme al Michela. Divenne poi il maggiore esponente della pittura macchiettistica riallacciandosi al filone che si era diffuso a partire dal 1625 nella Roma papale ad opera della scuola dei Bamboccianti di via Margutta fondata dall’olandese Pieter Van Laer. Tra i molti generisti fiamminghi e olandesi si erano distinti anche gli italiani Michelangelo Cerquozzi, detto “Pittore di Battaglie”, Carlo Lanfranchi “Il flamenco” e in particolare Jean Miel che, soggiornando a Torino alla Corte di Carlo Emanuele II, aveva diffuso in ambito piemontese i suoi divertenti capricci con succose carnevalate e cacce. Sicuramente l’Olivero tenne conto di questo retroterra, accogliendo e dando una connotazione strettamente torinese alle canzonatorie e spiritose scenette popolane. La sua vena arguta, l’autoironia, per cui non disdegnava di ritrarsi con le proprie deformità, alla pari di un Toulouse Lautrec, la sagace osservazione di ciò che avveniva per strada resero la sua arte una perfetta testimonianza di usi e costumi della vita della città sabauda.

 

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Fiere, mercati, feste religiose e profane, risse di strada, cavadenti, giocolieri, imbonitori, osti, botteghe di ciabattini e di calderai, animano i dipinti freschi e maliziosi con la bonarietà scherzosa di chi si vuole divertire e divertirsi senza dare giudizi morali. Mai superficiale e volgare, però, poiché affiora sempre partecipazione e sensibilità umana, a volte malinconica, che addolcisce lo spirito dissacrante delle precedenti bambocciate romanesche mantenendo un’impronta di eleganza tipicamente piemontese. Significativo fu l’apporto delle incisioni di Jacques Callot esperto di bulino e acqueforti oltre che di decori, tra il raffinato e il grottesco, di tabacchiere e scatoline d’oro e di porcellana, la cui “Fiera dell’Impruneta” del 1620 è stata osservata dall’Olivero nel comporre” La fiera e la festa del santuario di San Pancrazio a Pianezza” del 1724 e “La processione al santuario della Madonna del Pilone” del 1744. Una maggiore finezza di tocco barocchetto si trova nelle sovrapporte della Sala degli Archivi di Palazzo Reale e della Palazzina di Stupinigi in accordo con lo spirito arcadico Juvarriano. Senza dimenticare che Olivero fu anche valente disegnatore come attestano i circa180 disegni, contenuti in un volume del Museo Civico torinese, che erano stati attribuiti erroneamente, nonostante la sua firma, dal mercato antiquario inglese a Jacques Van Laer. Le opere in mostra rendono partecipi delle tradizioni popolari e della parabola della vita quotidiana con rappresentazione dettagliata, sincera e garbata dei soggetti in cui egli si identifica; si sente parte di quell’umanità semplice e vera intenerendosi al cospetto di madri che cullano o allattano infanti mentre vendono la merce nei mercati, gioisce ai giochi dei bimbi e alla vista dell’albero della cuccagna, s’inebria di vino durante la festa dei brentatori, prova lo stesso stupore dei popolani che guardano attraverso il “ mondo nuovo” del pantoscopio usato dagli ambulanti nelle fiere, è orgoglioso dell’eroismo dei soldati nell’accampamento, prega insieme ai fedeli alla festa della Madonna del Pilone. Le immagini riportano una Torino riconoscibile negli usi, costumi e vedute paesistiche ma suggeriscono aperture più vaste superando i limiti strettamente locali allargandoli ai molteplici aspetti di un’epoca di grandi cambiamenti e del sorgere di una nuova coscienza avviata alla modernità.

 

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La sua è una pittura che parla del popolo ma non è pittura incolta poiché, oltre all’ampia conoscenza dei bamboccianti seicenteschi, tiene a mente la cultura figurativa dei grandi maestri del passato con uno spirito assolutamente diverso. Senza arrivare all’alta profondità di pensiero della commedia della vita di Pieter Bruegel troviamo lo stesso brulichio di figurine minute che si affaccendano nelle vedute ma, se nel grande olandese predomina l’amara ironia dell’affannarsi inutile e stolto di un’umanità spaesata guardata con disincanto, nell’artista torinese si coglie un’empatia che unisce armonicamente l’uomo al paesaggio; non più una considerazione dell’assurdità e della follia dell’esistenza ma un’ accettazione tra gioia e malinconia della vita e del lavoro anche se umile. Nel ritratto che presenta il macellaio a braccia conserte fiero del proprio ruolo, in primo piano, lasciando nello sfondo l’animale scuoiato appeso allo stesso modo del famoso dipinto di Rembrandt, sicuramente ricordato, non compare un simbolismo drammatico ma solo un’ispirazione iconografica e un virtuosismo tecnico dell’uso della luce e del colore. Più vicino sicuramente allo schietto realismo della “bottega del macellaio” di Annibale Carracci che coraggiosamente rompeva il tardo manierismo cinquecentesco, ormai l’Olivero nel 700 si sente a suo agio e libero di esprimersi secondo i propri interessi ben accettati da Vittorio Amedeo II che, pur consigliandogli una pittura più nobile, l’accoglieva benevolmente a Corte apprezzando i suoi dipinti di piccoli eventi pieni di poesia. Con lui non ci troviamo di fronte ad un semplice pittore di genere che risolve la pittura in banali e ripetitivi aneddoti, tanto disprezzati con sarcasmo da Salvator Rosa, che pure agli inizi era stato bambocciante, ma ad un vero artista che dà dignità ad un repertorio considerato minore in quanto la valutazione delle opere non deve essere vista attraverso una scala gerarchica di soggetti e temi scelti poiché tutte le poetiche sono legittime se si risolvono e concretizzano in Arte.

 

Giuliana Romano Bussola

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 Museo Civico Città di Moncalvo  7 aprile / 1 luglio 2018 – apertura sabato e domenica dalle ore 10,00 alle ore 18,00 durante la settimana su appuntamento informazioni – 327 7841338

Fondazione Libro, Magliano: “chiedo certezze sul futuro dei dipendenti”

Solidarietà a questi professionisti, che ora si trovano senza stipendio e che, nonostante tutto, stanno lavorando senza risparmiarsi per preparare la prossima edizione. Pretendo chiarezza sul loro futuro lavorativo. Esprimo inoltre la mia totale fiducia nel liquidatore.

Esprimo la mia più totale e incondizionata solidarietà ai dipendenti della Fondazione per il Libro. Persone che, nonostante si trovino ora senza stipendio, stanno lavorando con il massimo impegno per la buona riuscita dell’evento. Da trent’anni, edizione dopo edizione, l’evento si è sempre tenuto ed è stato un successo. A queste persone va riconosciuta la loro parte di merito. Esprimo inoltre la mia altrettanto totale fiducia nel liquidatore, persona dal profilo e dalle capacità di qualità assoluta e riconosciuta. Ora vorrei avere certezze sul futuro professionale di queste persone, sulla cui dedizione e professionalità nessuno può davvero avere dubbi. E vorrei averle in fretta. È necessario anche avere al più presto certezze sul nuovo strumento. Tutte le parti in causa si diano una mossa.

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Silvio Magliano – Capogruppo Moderati, Consiglio Comunale Torino.

Ragazza di 15 anni muore sotto un treno a Porta Susa

Questa mattina sui binari della stazione di Torino Porta Susa una ragazza di 15 anni è morta dopo essere finita sotto un treno. I soccorritori l’hanno rianimata a lungo sulla banchina del binario 4 una volta estratta da sotto il convoglio, ma la studentessa è morta durante il trasporto in ospedale. La polizia ferroviaria sta compiendo le verifiche per capire  come la giovane sia finita sotto il treno, ma sembra si sia trattato di un incidente. Il binario  è stato chiuso e non ci sono stati rallentamenti del traffico ferroviario.

Allegri: “Real squadra devastante. Ai ragazzi non rimprovero nulla”

Massimiliano Allegri esprime la sua delusione  dal canale Premium Sport a proposito del pesantissimo 3-0 subìto dalla Juve all’Allianz Stadium, nell’andata dei quarti di Champions, da parte del Real Madrid: “Quando si gioca contro questi giocatori e queste squadre si deve essere assistiti anche da un pizzico di fortuna. Al primo gol siamo stati un po’ passivi, ma per un’ora la squadra ha fatto bene e abbiamo avuto una buona reazione. Ma  è capitato tutto contro, di fronte ad una squadra devastante. Ai ragazzi non posso rimproverare nulla, davanti avevamo il più forte centravanti del mondo,  ha segnato per la decima partita consecutiva in Champions. Ora, bisogna pensare al campionato e alla Coppa Italia. Peccato per il terzo gol: sul 2-0 si poteva  tentare l’impresa a Madrid, così è difficilissimo. Rimasti in 10 è diventato impossibile contro una squadra che sbaglia quasi niente”.

 

(foto: Claudio Benedetto www.fotoegrafico.net)

Trieste, memoria e dolore tra i mattoni rossi della Risiera

I mattoni rossi della Risiera di San Sabba

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L’appuntamento è a Valmaura, rione alla prima periferia meridionale di Trieste, lungo l’asse che la collega con l’Istria

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di  Marco Travaglini

Il primo appuntamento, per gli studenti piemontesi distintisi nella 37° edizione del Progetto di storia contemporanea bandito dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale, si terrà a Trieste, capoluogo del Friuli Venezia Giulia all’estremo lembo orientale dell’Alto Adriatico, città di confine stretta tra il Carso e il mare.

La cella della morte

L’appuntamento è a Valmaura, rione alla prima periferia meridionale di Trieste, lungo l’asse che la collega con l’Istria. In questa piccola valle tra il colle di Servola e quello di San Pantaleone si trova la Risiera di San Sabba, unico esempio di lager nazista in Italia.

Luoghi di detenzione alla Risiera

Già all’entrata s’avverte, incombente, il “peso” della vicenda consumatasi tra le mura del grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel 1898.

 

L’ingresso

 

Dapprima utilizzato dall’occupante nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 ( lo Stalag 339), verso la fine di ottobre di quell’anno venne strutturato come Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici, ebrei.

La Risiera oggi

 

La Risiera, dal 1965, è monumento nazionale e, dieci anni dopo, ristrutturata su progetto dell’architetto Romano Boico, divenne Civico Museo. Nel primo stanzone posto alla sinistra prima di entrare nel cortile e dopo aver attraversato lo stretto e inquietante “budello” tra le mura di cemento alte undici metri, s’incontra la “cella della morte”. Lì venivano stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati a essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. Proseguendo sempre sulla sinistra, si trovano, al pianterreno dell’edificio a tre piani, i laboratori di sartoria e calzoleria dove venivano impiegati i prigionieri, nonché le camerate per gli ufficiali e i militari delle SS, le 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri. Queste celle erano riservate a partigiani, politici e ebrei destinati all’esecuzione.

Le celle

I graffiti degli internati

Le prime due venivano usate per la tortura o la raccolta di materiale prelevato ai prigionieri: vi sono stati rinvenuti, fra l’altro, migliaia di documenti d’identità, sequestrati non solo a detenuti e deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto.

Mazza usata dagli aguzzini nazisti alla Risiera

Quasi tutti i documenti, prelevati dalle truppe jugoslave che per prime entrarono nella Risiera dopo la fuga dei tedeschi, furono trasferiti a Lubiana, dove sono attualmente conservati presso l’Archivio della Repubblica di Slovenia. Le porte e le pareti dei locali della Risiera erano ricoperte di graffiti e scritte. L’occupazione dello stabilimento da parte delle truppe alleate, la successiva trasformazione in campo di raccolta di profughi, sia italiani che stranieri, l’umidità, la polvere, l’incuria degli uomini hanno in gran parte fatto sparire graffiti e scritte. Ne restano a testimonianza i diari dello studioso e collezionista Diego de Henriquez , conservati dal “Civico Museo di guerra per la pace” a lui intitolato, che ha sede al 22 di via Cumano, a Trieste. Nei diari è stata riportata l’accurata trascrizione delle scritte, offrendo una testimonianza drammatica di quanto accadde tra le mura della Risiera.

Una veduta del museo alla Risiera

Nel successivo edificio a quattro piani venivano rinchiusi, in ampie camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania: uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi mesi.Da Trieste venivano inviati a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi hanno potuto evitare. Nel cortile interno, proprio di fronte all’area contrassegnata dalla piastra metallica ( dove si pensava sorgesse l’edificio destinato alle eliminazioni) si trovava il forno crematorio. L’impianto, al quale si accedeva scendendo una scala, era interrato. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica Pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino.

La targa alla Risiera di San Sabba

La struttura del forno crematorio venne distrutta con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Tra le macerie furono rinvenute ossa e ceneri umane raccolte in tre sacchi di carta, di quelli usati per il cemento. Tra i resti venne trovata anche la mazza usata per l’esecuzione dei prigionieri la cui copia, realizzata e donata da Giuseppe Novelli nel 2000, è ora esposta nel Museo (l’originale venne trafugato nel 1981). Triestini, friulani, istriani, sloveni e croati, militari, ebrei, “passarono” per la Risiera.

Studenti e docenti piemontesi alla Risiera di San Sabba

Quante furono le vittime? Calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze danno una cifra tra le tre e le cinquemila persone soppresse tra quelle mura di mattoni rossi. Ma in numero ben maggiore furono i prigionieri e i ”rastrellati” che da lì vennero smistati nei lager — in particolare, a quello di Auschwitz-Birkenau — o al lavoro obbligatorio. La Risiera è un luogo della memoria della deportazione importantissimo, essendo stato il principale campo di concentramento, transito e sterminio italiano (altri campi di transito sorgevano a Fossoli, Ferramenti, Bolzano e — in Piemonte — a Borgo San Dalmazzo). In luogo della memoria importante come lo è la storia di questa città “dalla scontrosa grazia”, come scriveva Umberto Saba, dove sulle piazze e tra le vie soffia la bora e “ s’infrange l’ultima onda del Mediterraneo”.