SPETTACOLI- Pagina 24

“Sostituisci una conviviale con una sera a teatro” con il Rotary Club Torino Duomo

Il Rotary Club Torino Duomo, nella persona del suo Presidente Raffaello Lucchese, sosterrà il Cineteatro Baretti sostituendo l’usuale serata conviviale rotariana con un evento speciale, il cui ricavato verrà devoluto al Cineteatro Baretti, che a sua volta aprirà le sue porte agli ospiti con uno spettacolo. Il titolo della serata sarà “Sostituisci una conviviale con una sera a teatro”, che avrà luogo venerdì 31 gennaio prossimo, al Cineteatro Baretti, in via Baretti 4, a Torino, con la mise en place di “Madame S. Una storia molto parigina” di Corrado Rollin. L’attrice è Olivia Manescalchi, al pianoforte Achille Lampo. Alle 20 si terrà il cenino con gli artisti e alle 21 lo spettacolo. Il contributo della serata sarà di 35 euro.

Bruna con occhi blu e una voce affascinante, madame Marguerite Steinheil è una femme fatale molto in vista nella Parigi della Belle Époque. Il suo salotto è frequentato da intellettuali di primissimo piano come Zola, Gounod, Massenet e Lalique. Nel 1899 finisce su tutti i giornali con l’accusa, neppure troppo velata, di aver causato la morte del suo amante, nientemeno che Félix Faure, Presidente della Repubblica Francese. Pochi anni dopo, nel 1908, si trova coinvolta in un nuovo scandalo che riguarda il duplice omicidio di sua madre e di suo marito. Il processo la assolve, ma la sua figura resta avviluppata dal mistero. Nel monologo brillante “Madame S. – una storia molto parigina” sarà Olivia Manescalchi a portare sulla scena Madame Steinheil. Il suo salotto risuonerà delle musiche di Gounod, Chaminade, Massenet, Marchetti, Chabrier, Satie, Hahn, Fauré, Debussy, Bonis, Severac e Saint-Saëns, eseguite dal vivo dal pianista Achille Lampo.

Il contributo per la serata è di 35 euro. Chi volesse prendere parte può contattare il Presidente del Rotary Club Torino Duomo, Raffaello Luccchese, al 347 8620735, oppure per prenotazioni e informazioni scrivere a rc.torinoduomo@gmail.com

 

Mara Martellotta

Sconcertante: ma per i Cahiers di cinéma è il miglior film del ‘24

Sugli schermi “L’uomo nel bosco” di Alain Guiraudie

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Colpisce e sconcerta. Non mantiene le promesse se è vero come è vero che tu pensi di dover vedere un buon giallo ma ti trovi davanti a cento altre cose. Perché “L’uomo nel bosco” di Alain Guiraudie, sceneggiatore e regista in solitaria, strasuccessone sugli schermi francesi e promosso anche da noi nonché insignito del Prix Louis-Delluc che è un po’ quel che il Goncourt è per la letteratura, è cento altre cose. Non prende vie dirette ma imbocca scorciatoie tra quei sentieri di bosco e montagna illuminati in autunno di giallo e marrone, prende variazioni e altri suggerimenti, crea confusione di percorso, s’inerpica e si accende. È un ritratto di gente d’oltralpe come sarebbe piaciuto alla pipa di Simenon o ai serrati intrighi di Chabrol, chiusa, sfuggente, che dice una cosa e pensa l’opposto, che non è mai quel che appare e coltiva il proprio doppio, è una favola nera che sarebbe potuta uscire dalla penna dei Grimm e quel titolo adottato da noi in luogo dell’originale “Miséricorde” può voler dirla lunga, è un giocare già a carte scoperte visto che sappiamo dopo una mezz’ora chi ha fatto fuori chi, è un manifesto omosex – con tanto d’ammiccamenti, con quei membri maschili non proprio in riposo – inquadrato con i contorni del desiderio che si fa strada qua e là, in mezzo alle inquadrature, non soltanto nel protagonista Jérémie, nella normalità di una faccia e un corpo, ma pure in quegli altri omaccioni grandi e grossi, visi feriti e corpi sfatti e massicci, per nulla patinati a portare ancora fuori strada (l’estetica non trova spazio in casa Guiraudie), dall’amichetto d’infanzia a quell’altro che gira con il fucile e minaccia ma al quale è facile ripetere come un tempo, dopo un paio di bicchieri di pastis, “mi sei sempre piaciuto”: sino al parroco, corpulento e indecifrabile (sino ad un certo punto) pure lui, tra il divino e il carnale, che preferisce confessarsi che confessare e ospita volentieri nel letto della canonica.

Nell’”Uomo nel bosco” – che, per inciso, la sacra bibbia dei Cahiers du cinéma, e un’istituzione, hanno eletto miglior film del 2024 – c’è dunque un tranquillo e assonnato paesino di una manciata di anime (è Saint-Martial, in Occitania), vaso di Pandora di segreti, dove il nostro Jérémie arriva (dalla certo più vivace Tolosa) dopo un interminabile e zigzagante percorso che occupa i titoli di testa, là chiamato per la morte del panettiere di cui fu forse giovane garzone in un misto di lavoro e affetti. Tutti attorno al tavolo della cucina di casa (quelli di cui s’è detto sopra), in aggiunta la vedova per nulla in lacrime, che si fa ospitale verso il ragazzo, non vorrai mica tornartene da te, la strada è lunga, e poi di notte, rimani qui, c’è una stanza al piano di sopra. Tentennamenti e accettazione. Ma il figlio della signora prende male l’invito e non per nulla d’accordo, vede immediatamente la liaison farsi strada e non accetta: nel bosco dove tutto il paese va per funghi, cittadini e villeggianti, tutti si ritrovano (quelli di cui s’è detto sopra) in aggiunta una coppia di gendarmi che paiono usciti dalle pagine antiche (e polverose? non poi tanto) di Collodi, a tentar di chiarire. Perché sotto quelle foglie ci sta il morto e sopra ci crescono abbondanti le morchelle – vulgo “spugnole” -, il cappello bruno e buono per farci le frittatine la sera a cena: una verità che nessuno conosce e che soltanto il rappresentante della Chiesa acutamente e giustamente intuisce, prima che stringa a sé il pargolo e si veda il gendarme, che possiede il passepartout per ogni toppa, di quelle case che sembrano prigioni di azioni e sentimenti, entrare in camera sua. Anche la signora boulangère fa gli occhi dolci al ragazzotto, più amante felicemente accondiscendente che maman dolce e protettiva: e allora come volete che termini “L’uomo nel bosco” se non con i due che si tengono mano nella mano dentro il lettone di lei?

Anche boccaccesco o commedia quantomai leggera, innaffiata di abbondante ironia, negli sguardi, nelle smorfie, nei fatti che si succedono a volte con il sorriso (dello spettatore)? parabola a tratti inspiegabile dei giorni nostri? E alle radici, un po’ Pasolini che faceva irrompere Terence Stamp dentro il suo preciso “teorema” o un po’ Visconti con le grazie del Konrad di Helmut Berger catapultato in quel “gruppo di famiglia in un interno”, un po’ Bunuel con il suo “oggetto del desiderio”, qui nient’affatto oscuro. Gli attori stanno al gioco di corpi e di desideri e di sentimenti del regista, da Félix Kysyl che s’insinua a Catherine Frot – che fu già in “Marguerite” di Giannoli, la vita di Florence Foster Jenkins cantante stonata quante mai al mondo, tanto brava da superare Meryl Streep, stesso soggetto negli States – a tutti gli altri. Sconcertante comunque in quel percorso inventato da Guiraudie di seduzione e mistero, striscianti entrambi. Prendere o lasciare, accettare oppure no (dove non mancano le riflessioni al di fuori della sala). Con buona pace di Simenon e della sua pipa.

Al Regio “L’elisir d’amore” di Donizetti nella nuova produzione di Daniele Menghini

Per la prima volta coprotagonisti i burattini e le marionette della famiglia Grilli

 

Al Teatro Regio di Torino debutta stasera, martedì 28 gennaio, in scena fino al 5 febbraio 2025, “L’elisir d’amore”, melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti sul libretto di Felice Romani. L’opera è presentata nel nuovo allestimento, firmato da Daniele Menghini, in coproduzione con il Teatro Regio di Parma. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Regio salirà il Maestro Fabrizio Maria Carminati e Ulisse Trabacchin istruisce il Coro. I protagonisti sono Federica Guida (Adina), René Barbera (Nemorino), Paolo Bordogna (Dulcamara), Davide Luciano (Belcore) e Albina Tonkikh (Giannetta).

“L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti esplora il tema della gioventù attraverso i suoi protagonisti e le loro esperienze di amore, ambizione e crescita personale. Nella visione di Daniele Menghini, Nemorino, fragile e puro, si rifugia in un mondo di marionette. L’allestimento, unendo tradizione e inventiva trasforma il percorso di Nemorino in un racconto di formazione universale e, a sua volta, il racconto d’amore in una fiaba onirica popolata da burattini e marionette, reinventando il mondo di Nemorino come un “mondo di legno” in cui il protagonista plasmerà i personaggi della sua storia con la fantasia.

Daniele Menghini ha dichiarato: “Perché in un’opera che vuole avere un carattere buffo, giocoso troviamo un’aria come ‘una furtiva lagrima’? Perché sprofondiamo in quell’abisso a pochi minuti dalla fine? E cosa scopriamo in quel baratro sull’animo del protagonista? Queste domande mi hanno costretto ad aprire un dialogo profondo con la natura di un personaggio nuovo come Nemorino […], uomo fragile che non ha ancora trovato il suo posto nel mondo, un giovane alla ricerca di sé stesso, un uomo troppo sensibile che cerca rifugio dal cinismo della realtà, un nascondiglio dagli occhi disincantati dei suoi simili, lontano dai giudizi della gente. Forse un artista, forse no, ma sceglie un palcoscenico come tana. Non sa come si vive là fuori, non sa come si ama, come fare allora? Rimesso in funzione un vecchio banco sega della falegnameria del teatro, comincia a costruirsi un mondo possibile in cui vivere, dove poter finalmente amare; un mondo di legno che risponde ai suoi desideri e prenda le forme della sua fantasia […]. Tutti i personaggi sono intagliati dalla mano di Nemorino, plasmati dalla mano di un uomo che diventa demiurgo e autore della sua storia. Si tratta di una sorta di Geppetto contemporaneo che si troverà a fare i conti con l’intemperanza delle sue creature proprio nel momento in cui, grazie alla magia della musica, esse prendono vita”.

Tra le novità assolute di questo allestimento vi è la presenza in scena dei burattini della Fondazione Marionette Grilli di Torino, capaci di creare un dialogo costante tra personaggi e cantanti. In scena prenderanno vita ben 30 burattini e marionette manovrato da Augusto Grilli. Alcuni esemplari provengono dalla storica collezione del Settecento, mentre altri sono stati realizzati appositamente per questa produzione, distinguendosi dall’originale andata in scena a Parma. Alcuni burattini raggiungono anche il metro di altezza.

L’opera è ispirata al dramma “Le philtre” del contemporaneo Eugène Scribe e, composto in appena 14 giorni, e andò in scena il 12 maggio 1832 a Milano, riscuotendo un successo tale da meritare oltre 30 repliche consecutive. La ricchezza melodica, i sentimenti e la profondità psicologica, la sua ironia rendono questo capolavoro uno dei più apprezzati del repertorio settecentesco, a metà strada tra l’opera buffa italiana, di cui conserva gli aspetti più brillanti, e una sensibilità tipicamente romantica. Nemorino, un contadino innamorato della capricciosa Andina, tenta di conquistarla con un elisir d’amore che si rivela essere un semplice vino rosso vendutogli dal ciarlatano Dulcamara. A trionfare su tutto, dopo grandi equivoci e peripezie, sarà la sincerità dei sentimenti di Nemorino.

Il prossimo titolo in programma al Teatro Regio, dal 28 febbraio all’11 marzo, sarà un nuovo riallestimento del Rigoletto, una delle opere più amate di Giuseppe Verdi, la cui regia è firmata da Leo Muscato, che ha recentemente inaugurato la recente stagione del Teatro alla Scala di Milano.

 

Mara Martellotta

“Rimanete seduti e allacciate le cinture”, OFT al Conservatorio Verdi

IL concerto di martedì 28 gennaio dell’Orchestra Filarmonica di Torino

 

Martedì 28 gennaio, alle 21, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, si terrà il concerto “Rimanete seduti e allacciate le cinture”, in cui salirà sul palco del Conservatorio la prima delle giovani stelle protagoniste della stagione “One Way Together”. Il violoncellista Ettore Pagano, che ha nel suo bagaglio primi premi in oltre 40 concorsi, torna ospite di OFT dopo la prima applauditissima esibizione nel febbraio 2023.

Pagano e l’orchestra, diretti dal direttore musicale di OFT Giampaolo Pretto, eseguiranno il Concerto n.2 in si minore per violoncello e orchestra op.104 di Antonin Dvořák, considerato tra i più concerti scritti per questo strumento solista.

Il Concerto n.2 per violoncello e orchestra di Dvořák è uno tra i più suonati e registrati. Fu l’ultimo dei concerti del compositore e fu scritto nel 1894-1895 per un suo amico, il violoncellista Hanuš Wihan, ma eseguito per la primo volta dal violoncellista inglese Leo Stern. È riconosciuto come uno dei grandi capolavori di Dvořák e risulta un’opera di grande intensità, in cui l’orchestra dialoga armoniosamente con i virtuosismi del violoncello, ed è stata composta durante il soggiorno americano del musicista. Dvořák vi mise mano anche in seguito tornato in Europa, e il brano, è anche un sorta di testamento spirituale nel quale condensa il suo amore verso la musica popolare, che nobilita e plasma in un corpo nuovo attraverso trame talora malinconiche, talora travolgenti.

L’OFT nella seconda parte della serata eseguirà la Sinfonia n.2 in do maggiore op.61 di Robert Schumann. Frutto di anni dolorosi, la Sinfonia prende vita mentre il celebre compositore è tormentato dal dolore all’orecchio e dall’insonnia. Verso la fine del 1945 l’estro creativo di Schumann porta nell’arco di pochi giorni la stesura effettiva dell’opera, un lavoro comunque lungi dall’essere compiuto, poiché soltanto l’anno successivo il compositore approderà alla stesura finale e alla prima esecuzione in pubblico, avvenuta il 5 novembre del 1846 al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione del Mendelssohn. Suddivisa in 4 movimenti, risente dell’influenza di Beethoven e di quella di Bach, essendo lui e l’amata moglie Clara, in quel periodo, impegnati nello studio dell’arte del contrappunto. Il risultato tuttavia è un lavoro unico, dove le miserie della vita vengono elevate a lirismo e trasformate in una musica che irradia una poetica serenità.

Il viaggio musicale di gennaio targato OFT è introdotto da un titolo, “Rimanete seduti e allacciate le cinture”, che ne riassume potenza e senso, nonché raccontato attraverso l’immagine che accompagna il concerto, realizzata con la tecnica del collage sulla base dei brani in programma e delle suggestioni personali offerte da Ettore Pagano. Un percorso suggestivo completato dal microracconto che apre il concerto del Conservatorio, scritto appositamente per l’OFT dal giornalista e musicista Lorenzo Montanaro. La lettura del testo è affidata all’associazione Liberi Pensatori Paul Valery e all’Accademia di Formazione Teatrale Mario Brusa di Torino.

Il concerto di martedì 28 gennaio al Conservatorio, alle 21, in piazza Bodoni, è preceduto sempre da due momenti di prova aperti al pubblico. L’OFT offre la possibilità di vedere i suoi musicisti al lavoro la domenica mattina, mentre studiano e si esercitano con il direttore costruendo il concerto nota dopo nota, e lunedì mentre eseguono l’ultima prova prima della grande serata al Conservatorio del martedì. La prova generale è in calendario lunedì 27 gennaio alle ore 18.30 presso il teatro Vittoria di via Gramsci 4, a Torino.

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino. Il trio Tavolazzi-Zirilli-Di Gennaro e Daddy G

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Alle OGR il trio Tavolazzi-Zirilli-Di Gennaro. Al Blah Blah il progetto Rome+Guest TBA.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana suona il quartetto di Federico Ponzano. A Eataly Lingotto si esibisce Leo Pari.

Giovedì. Alla Divina Commedia sono di scena i Soul Time Band. Al Cafè Neruda suona Simona Palumbo Latin Quartet. Il trombonista Gianluca Petrella è di scena al Banco. All’Off Topic Didie Cara presenta: Canzoni al telefono.

Venerdì. Alla Divina Commedia si esibisce la Marconi Blues Band. Al Folk Club è di scena Dalen. Al Magazzino sul Po si esibisce Ella Nadì. Al Blah Blah suonano gli Extrema.

Sabato. Al Magazzino sul Po sono di scena i Dub Pigeon. Al Blah Blah suonano i Game Over+ Damnation. Allo Ziggy si esibiscono i Witchunter+Axeblade. Alle OGR è di scena Daddy G.

Pier Luigi Fuggetta

“Amava il Chelsea Hotel”, monologo con Marina Bassani

In scena al teatro Baretti, il 12,13 e 14 febbraio, il monologo con Marina Bassani che reciterà l’hallelujah di Leonard Cohen, promosso da Teatro Selig. Verrà presentata la storia del più grande cantante del Novecento.

Leonard Cohen è stato poeta e cantautore. La sua nota canzone, Hallelujah, riassume tutto il suo mondo. È un’esclamazione di gioia, in quanto l’autore, accanto al dolore, pone la gioia. Ogni sua canzone è lo specchio del suo passato, ma nelle sue canzoni è possibile leggere anche il nostro futuro. Il passato di Len, denso di racconti biblici, entra in ogni sua canzone, e la madre Masha, e il nonno Klein, il padre Nathan. La musica è la Bibbia e contemporaneamente la guerra. È la nostalgia e la paura, il futuro è la leggerezza e la liberazione. Accanto al passato, in scena prorompe la passione di Len per le donne, passione che lo spinge lontano da casa alla ricerca di una nuova dimensione. In scena vediamo Marianne Hilen, la musa norvegese che più lo ha ispirato. Come uno sciamano, Len riesce a farci credere che le donne siano angeli e messaggeri. Il mondo di Cohen è pieno di simboli e, come uno sciamano, conduce il suo pubblico da una terra all’altra, facendolo volare dalla Terra al cielo. La sua voce ipnotica fa immaginare la terra e il fuoco. Il passato continua a irrompere nella vita di Cohen, e nel dolore e nella disperazione (la depressione, la morte del padre, Cuba, il Vietnam) cerca una via d’uscita. La sua sete di assoluto diventa sempre più forte. Il dio della sua infanzia diventa una presenza sempre più grande. Quando Len va a incontrare il Maestro Zen Sasaki Roshi si compie la sua trasformazione: lascia un’elegante oasi zen. Qui il cantautore si riconcilia con i suoi fantasmi, supera le sue contraddizioni e, in questo luogo sospeso, anche le sue canzoni si trasformano e diventano un unico ringraziamento, un hallelujah.

Teatro Baretti – via Baretti 4, Torino

Telefono: 011 655187 – info e prenotazioni: selig@teatroselig.itinfo@cineteatrobaretti.it

 

Mara Martellotta

A teatro Stolpersteine, pietre d’inciampo

Lunedì 27 gennaio, ore 21

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

 

 

 

“Stolpersteine, pietre d’inciampo” di Pasquale Savarese è uno spettacolo divulgativo a forte impatto emotivo concentrato sui protagonisti e gli eventi legati al periodo storico della Shoah. Nel Giorno della Memoria quattro giornalisti affrontano un interminabile viaggio in treno da Milano ad Auschwitz, facendo metaforicamente tappa in alcuni degli episodi più emblematici della Shoah e soffermandosi sulla cronaca degli eventi con la formula del racconto interpretato dagli stessi protagonisti.

Gli attori sono prima cronisti, poi nazisti aguzzini, ebrei deportati, fino a restare imprigionati nelle storie che documentano. Termineranno il loro viaggio sulla banchina di Auschwitz e con un salto temporale si ritroveranno nel campo di sterminio pronti ad entrare all’inferno.

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Lunedì 27 gennaio, ore 21

Stolpersteine, pietre d’inciampo

Scritto e diretto da Pasquale Savarese

Con Andrea Bonati, Pasquale Savarese, Valeria Scaglia, Micaela Turrisi

Luci e suoni Michele Celentano

Produzione e scenografie Creadiva Human Attitude Lab

Biglietti: intero 13 euro + ridotto 10 euro

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

 

L’Ensemble Dohnányi inaugura “Le domeniche dell’Auditorium” dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

Si apre con l’Ensemble Dohnányi il ciclo di appuntamenti cameristici “Le domeniche dell’Auditorium” dell’OSN Rai, incluso nel cartellone della stagione 2024/2025. Il primo concerto è in programma domenica 26 gennaio, alle 10.30, presso l’Auditorium Rai Arturo Toscanini di Torino, registrato da Radio 3, che lo trasmetterà successivamente.

In programma il Trio numero 2 in mi minore per violino, violoncello e pianoforte op.67 di Dmitrij Šostakovič. Scritto nel 1944 in un momento drammatico per la storia sovietica e dello stesso autore, che fu bandito dal regime staliniano, è dedicato all’amico e compagno di conservatorio Ivan Sollertinskij, uno dei pochi ad essergli rimasto vicino in quel momento complicato. Il Trio op.67 è indicativo della natura schiettamente umana dell’artista, aperto ai problemi del nostro tempo e preoccupato di fornire un messaggio comprensibile a tutti. Sotto questo aspetto va notato come Šostakovič̣, dopo il disgelo culturale e politico poststaliniano, abbia sollecitato i giovani compositori del suo Paese a conoscere le correnti di moda nella musica contemporanea europea per poter combattere con maggior successo contro ogni illusoria tentazione di novità a ogni costo. Il Trio inizia con un Andante di impianto melodico piacevolmente musicale, mentre il secondo tempo ha un andamento più ritmico e inventivo. Il largo rappresenta il momento più felice della composizione, contrassegnato da un lirismo introspettivo e meditativo, che spesso affiora nella poetica di Šostakovič̣. Nella seconda parte della “domenica dell’Auditorium” viene proposto il Sestetto in do maggiore per clarinetto, corno, violino, viola, pianoforte e violoncello op.37 di Ernö Dohnányi, compositore Ungherese morto a New York nel 1960 che fornisce il nome all’Ensemble, e il cui stile è particolarmente influenzato dal tardo Romanticismo. Nel suo Sestetto vi sono elementi derivanti anche dalla musica jazz. Fu composto nel 1935 durante un periodo di malattia dell’autore, affetto da una trombosi che lo costrinse a mesi complicati. Il Sestetto contiene quattro movimenti: il primo, in forma di Sonata, è un Allegro ispirato alle sinfonie di Mahler; il secondo, un intermezzo Adagio, è una marcia; il terzo, un Allegro con sentimento è uno “scherzo” in pieno stile mendelssohniano; il quarto, un finale in Allegro vivace e giocoso, è di ispirazione jazz.

L’Ensemble Dohnányi è composto da Salvatore Passalacqua (clarinetto), Gabriele Amarù (corno), Constantin Beschieru (violino), Margherita Sarchini (viola), Amedeo Fenoglio (violoncello) a cui si aggiunge Andrea Rebaudengo al pianoforte.

I biglietti per il concerto sono in vendita online sul sito dell’OSN Rai e presso la biglietteria dell’Auditorium Rai Arturo Toscanini, in piazza Rossaro, a Torino.

 

Mara Martellotta

Allo “Spazio Kairòs” di Torino, si ride e si riflette con l’ “elogio alla stranezza e alla diversità”

A teatro con famiglia

Domenica 26 gennaio, ore 16,30

Già il titolo la dice lunga. Quanto di più “strano” e “diverso” di “Sgambe Sghembe”? Questo il titolo dello spettacolo teatrale portato in scena, domenica prossima 26 gennaio (ore 16,30) dalla “Compagnia Enrico Lombardi / Quinta Parete di Modena” sul palco di “Spazio Kairòs” – Circolo Arci – ex fabbrica di colla riadattata a luogo di cultura e sano intrattenimento (nonché “casa” della locale Compagnia teatrale “Onda Larsen”) al confine fra Barriera di Milano, Regio Parco e Aurora, area urbana non proprio fra le più “vip” della città (e meno male!), ma ricca di fervore e grandi potenzialità umane, in via Mottalciata 7, a Torino. Lo spettacolo proposto fa del “gran bene” a tutti. L’invito degli organizzatori è quello di assistervi con tutta la famiglia. Mamme, papà, bimbi e nonni … d’ogni età! Cinquanta minuti, tanto dura la storia, per “elogiare il sottosopra”. Alla base, una domanda che si pongono gli attori… pardon, l’attrice (una sola!): “E se camminare all’indietro fosse la normalità? Se i pantaloni si indossassero nelle braccia? Se si potesse avere per amica una lampada?”. Belle domande. Sacrileghe bestemmie, se prese in senso più ampio, per tanti incalliti autocrati nostrani e non! E che rispondere, se non con risposte altrettanto bislacche quanto le domande? Quelle che ci arrivano dal palco da Alessandra Crotti(diplomata presso il “Lab Accademy” di Reggio Emilia), l’attrice- performer “sola” di cui sopra. E non solo attrice e unica interprete, ma anche sceneggiatrice e regista. Una figura “sola”, che si incarta – sottolinea – si sorprende, si reinventa continuamente. Che cerca di dar voce al desiderio profondo di mettere in luce tutto quello che è contrario, differenza, diversità, stranezza, insolito”.


Nato su basi clownistiche nell’intento di proporre la tematica della “diversità” attraverso un contesto personalissimo di banale rintracciabile quotidianità, “Sgambe Sghembe” vive senza parole e senza un vero e proprio testo. Soltanto nel finale, compare una breve lettura liberamente rielaborata sui racconti di Gianni Rodari “Il giovane gambero” (che voleva imparare “a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco”) e “La strada che non andava in nessun posto”. Magnifici racconti che parlano di coraggio, di determinazione e positiva cocciutaggine nel voler cambiare, per il meglio, le cose. Dal palco – dove l’obiettivo “è soprattutto dare rilievo alle immagini e al corpo – una stupenda lezione agli spettatori, ai più piccoli soprattutto. Per i quali, è anche prevista una gustosa merenda e, al termine dello spettacolo, la possibilità di irrompere sulla scena, conoscere la protagonista e giocare sul palco.

La rassegna è realizzata da “Onda Larsen”con il contributo di “Eppela + risorse’’, di “Fondazione CRT”, “Compagnia di Sanpaolo” e “Regione Piemonte”.

Per info: “Spazio Kairòs”, via Mottalciata 7, Torino; tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.org

Gianni Milani

Nelle foto: Immagini di scena