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Il trasferimento della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” a Napoli va bloccato 

Torino che, scrisse Bobbio, fu la seconda città più crociana d’Italia, non può rimanere insensibile al grido di dolore che arriva da Napoli.

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Credo che la notizia vada conosciuta in tutta Italia. Bisogna tentare di fermare il progetto di trasferimento della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli da Palazzo Reale all’ex Real Albergo dei Poveri a Palazzo Fuga. Spostare la Nazionale appare un vero azzardo: la Vittorio Emanuele III ospita circa due milioni di volumi tra cui cinquemila incunaboli, quarantamila cinquecentine, trentamila manoscritti, l’intero corpus autografo delle opere di Giacomo Leopardi, tanti autografi, il fondo Lucchesi Palli, i preziosi codici miniati medioevali, il Dioscoride Napoletano, i manoscritti copti del V e VI secolo d.C., i 1800 papiri ercolanesi del III secolo a.C. … Solo chi non conosce i libri e  il delicatissimo patrimonio cartaceo conservato alla Biblioteca di Napoli può condividere una scelta totalmente errata. E’ stato tentato in passato di cancellare il nome a cui è intitolata , adesso vogliono trasferirla il che potrebbe voler dire esporla a  danneggiamenti. La Napoli di Benedetto Croce sarebbe inorridita. Torino che, scrisse Bobbio, fu la seconda città più crociana d’Italia, non può rimanere insensibile al grido di dolore che arriva da Napoli.

Il Gay Pride, riflessioni controcorrente

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il Gay Pride torinese si è rivelato un successo perché secondo gli organizzatori la sfilata di 150 mila persone con il caldo afoso è stato un vero traguardo.
Non ci sono numeri ufficiali da parte della Polizia, come accade di norma per altri eventi.

Il fatto nuovo è la partecipazione del quotidiano “La Stampa“ con in testa il suo direttore e vicedirettore ad un evento pubblico di quel genere. Una tappa miliare nella storia del giornalismo, ha scritto sullo stesso giornale, il leader politico ed esponente Gay Ivan Scalfarotto, elogiando la scelta di campo fatta da Giannini e da una parte dei suoi collaboratori. Direttori come Alberto Ronchey, ne sono certo, sarebbero inorriditi da certi elogi. Se leggo nello stesso giornale il bellissimo articolo di Renato Rizzo su Ferruccio Borio, il mitico redattore capo della “Stampa”, in cui si ricorda come il giornale per iniziativa di Borio, riuscì a mobilitare oltre duecentomila torinesi ad esporre il tricolore nel 1961, centenario dell’Unita’ nazionale, vedo come il passato sia davvero una preistoria rispetto alle nuove scelte che forse si armonizzano anche con quelle di Lapo Elkann. Eugenio Scalfari direttore di “Repubblica” scrisse a Mario Soldati che avrebbe voluto iscriversi al Centro “Pannunzio”, ma che la sua indipendenza professionale glielo impediva. Scalfari non fu mai sempre così indipendente, ma in quel caso si pose il problema di non poter parteggiare formalmente e insieme informare con l’autonomia necessaria. Le ampie cronache offerte da “La Stampa” dimostrano che il giornale si è limitato ad esaltare i partecipanti e a pubblicare gli elogi non proprio imparziali di Scalfarotto. Possibile che un giornalista avveduto come Giannini non si sia neppure posto il problema di chi non ha ritenuto di sfilare o dissente dalle sguaiataggini del Pride evidenziate in passato dallo stesso padre nobile del “Fuori”, Angelo Pezzana e anche da Gianni Vattimo?
Anche chi dissente e’ un lettore che può diventare ex lettore se vede che il concetto di un’informazione completa è disatteso. I giornali devono fare i giornali, le associazioni le associazioni. Potrei elencare le tante manifestazioni importanti svoltesi a Torino ed ignorate totalmente dal quotidiano.
Persino la Regione, che non ha dato il patrocinio al Pride, è stata oggetto di critiche, senza rispettare l’autonomia degli Enti. Anzi, ci sarebbe da porre un problema inverso: a quali manifestazioni va dato il patrocinio e quando un sindaco possa indossare la fascia tricolore. Che durante il corteo si siano viste esibizioni sguaiate e sentite volgari bestemmie contro la Madonna che io ho ascoltato con orrore con le mie orecchie, è un dato incontestabile.
Va bene, sia  chiaro, il diritto di tutti di manifestare liberamente, ma, di norma, la concessione di un patrocinio e la presenza di un sindaco in fascia tricolore sono condizionate dalla firma di certi impegni che nel suo vitalismo erompente,  direi quasi inconsciamente dannunziano, il Pride non ha rispettato e non sarebbe in grado di rispettare. Voglio ripubblicare una fotografia del sindaco Fassino che rivela quanto meno un disagio che fa molto onore a Piero.

La condanna ignorata di T r a v a g l i o

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

Il 5 giugno l’Agenzia Adnkronos ha battuto questa notizia: “Ho vinto la causa di diffamazione contro i giornalisti del” Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio, Ilaria Proietti e Carlo Tecce”. Così la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. “Questo il dispositivo della sentenza di condanna: ‘Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accerta la responsabilità dei convenuti per il carattere diffamatorio, nei limiti e per le ragioni esposte , degli articoli del 17.11.2019 a firma Carlo Tecce, del 20.6.2020 a firma Ilaria Proietti, del 10.12.2019 a firma Marco Travaglio, nonché degli articoli dell’11.12.2019 e del 12.12.2019”. Ed ancora: “Per l’effetto condanna i convenuti in solido Società Editoriale Editrice il Fatto Spa, Marco Travaglio, Carlo Tecce (nei
limiti di euro 5.000,00) e Ilaria Proietti (nei limiti di euro 10.000,00) al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, a favore dell’attrice Maria Elisabetta Alberti Casellati di euro 25.000,00;
condanna Marco Travaglio, Carlo Tecce e Ilaria Proietti ex art. 12 .47/1978 al pagamento rispettivamente di euro 2.000,00 ciascuno Marco Travaglio e Ilaria Proietti e di euro 1.000,00 Carlo Tecce; ordina la pubblicazione delle sentenza per estratto a cura e spese dei convenuti
su Corriere della Sera, Il Mattino, il Gazzettino e il Fatto Quotidiano. Condanna altresì i convenuti in solido a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in euro 940,90 per spese, euro 7.254,00 per onorari, oltre IVA, se dovuta, CPA e 15,00 % per rimborso spese generali”.
Ma questa notizia non è apparsa sulla grande stampa che ha  ignorato la condanna di Travaglio per la diffamazione alla seconda carica dello Stato Casellati che non si è limitata a smentire le accuse false, ma ha trascinato in tribunale  i suoi diffamatori. Oggi le querele vengono annunciate, ma non vengono date o vengono rimesse dopo una lettera di scuse o due righe di rettifica. La libertà di diffamare le persone non ha nulla a che vedere con la libertà di stampa. Esistono, non rispettati, anche  dei codici deontologici stabiliti dallo stesso Ordine dei Giornalisti. L’Ordine ha recentemente protestato contro una presunta restrizione della libertà di informare che sarebbe stata voluta dalla ministra della Giustizia e dalle Procure che hanno giustamente limitato l’accesso alle notizie che spesso sono delle vere e proprie fughe di notizie che violano il segreto istruttorio. La libertà di ledere la dignità delle persone, marchiandole a vita  spesso persino prima del rinvio a giudizio, è un fatto di barbarie che va stroncato. Ma il fatto che la stampa italiana nel suo complesso abbia ignorato o minimizzato la condanna di Travaglio e’ una forma di auto- censura che non rende credibile la corporazione dei giornalisti, spesso  interessati  soltanto a difendere privilegi impensabili in una libera democrazia .
Una persona specchiata come il presidente Casellati e’ stata costretta a ricorrere alla Magistratura per vedersi riconosciuti i  propri diritti. Ma le notizie false e ingiuriose che la riguardavano erano state urlate dal “Fatto“ e naturalmente riprese dagli altri giornali e da alcune trasmissioni televisive . Questo modo di “informare “ è chiaramente incostituzionale. In tempi recenti un giornale ha massacrato l’immagine intellettuale di Gianni Vattimo, ottantacinquenne , ammalato e non in grado di difendersi . Nessuno , forse salvo chi scrive, ha condannato questo abuso disumano della libertà di stampa. La Casellati ha indicato la strada da percorrere per affermare la verità contro la menzogna e l’odio politico. E la sentenza rivela anche  l’esistenza di magistrati seri e indipendenti rispetto a quelli che, disonorando la toga che indossano, fanno politica in modo sfacciato . Per nostra fortuna quei magistrati continuamente alla ribalta sono pochi, mentre la maggioranza dei giudici lavora in silenzio, restando nell’ombra e mantenendo fede al mandato e alla funzione loro affidata dalla Costituzione.

Gli Aosta

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

Non posso credere che la Real Casa di Savoia (sic) abbia fatto un necrologio per l’anniversario della scomparsa di Amedeo di Savoia -Aosta,  presentato come Duca di Savoia, senza riferimento alcuno al ramo di appartenenza, gli Aosta che hanno avuto un ruolo più che importante nella storia italiana tra Ottocento e Novecento. Cosa significa omettere il richiamo agli Aosta? L’intento nel necrologio è fin  troppo evidente: far passare la tesi che l’erede al trono fosse diventato il duca Amedeo,  per iniziativa di una presunta Consulta dei senatori del Regno creata da un ex preside della Provincia cuneese, in concorrenza con l’altra Consulta, l’unica legittima, voluta dal re Umberto II contro cui l’ex preside di Torre San Giorgio scrisse un articolo, dichiarandosi contrario all’eliminazione dell’esilio dalle norme transitorie della Costituzione, un testo che meriterebbe una ripubblicazione. Io ho troppo rispetto per i morti per aprire una polemica in questa circostanza, ma va detto che questa” usurpazione “di titoli almeno oggi appare di pessimo gusto. Al di là delle speculazioni politiche e alle ambizioni personali di alcuni, resta il fatto che il legittimo erede è il figlio del re Umberto II che nessuna congiura di un palazzo, tra l’altro, inesistente può cancellare. Una Consulta di Senatori (sic) che decide sulla successione e’ un’anomalia e un ossimoro repubblicano più che monarchico che può esistere solo nel guazzabuglio italiano di oggi, senza suscitare ilarità. Parlando dei nostalgici dei Borbone, Benedetto Croce, descrisse un mondo in decadenza fuori dai tempi. Molte espressioni di Croce si attaglierebbero a questi “ valdostani”.
Io sarò a Superga il 3 giugno su invito dell’Associazione internazionale Regina Elena e del Principe Sergio di Jugoslavia nipote di Umberto II a ricordare i Savoia sepolti a Superga, compreso il Duca d’Aosta morto un anno fa. Ma ricordero’ soprattutto a ottant’anni dalla morte in prigionia a Nairobi il Duca d’Aosta eroe dell’Amba Alagi, il principe che fu vice Re d’Etiopia e fu un asso dell’aviazione italiana, il principe guerriero che, come disse Carlo Delcroix, mori’ da santo come visse da eroe. Lui resta un grande e nobile esempio della storia italiana, un esempio di soldato fedele al giuramento prestato, che volle condividere con i suoi soldati una prigionia che lo ha portato alla morte a 44 anni.  A Lui tutti gli italiani dovrebbero guardare perché vedrebbero l’esempio di un dovere civile portato con fierezza e sacrificio oltre la morte come fu quello del re Umberto II che, per evitare una nuova guerra civile, il 13 giugno 1946 scelse la via dell’esilio che durò  crudelmente fino alla sua morte.

I filippini, nuovi veri torinesi

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Pier Franco Quaglieni

Si è svolta domenica pomeriggio un’imponente processione della Comunità Filippina di Torino per Maria Ausiliatrice e Don Bosco nella festa dell’Ascensione. Una grande lezione di civiltà di una comunità laboriosa e disciplinata che è davvero una risorsa per Torino, una città sempre più scristianizzata e profana (non laica, il che sarebbe tutt’altra cosa) che ha perduto i grandi valori espressi dai suoi Santi ottocenteschi, una Torino imbarbarita e violenta che stento a riconoscere, piena zeppa di spacciatori e di gentaglia, per usare un’espressione del mio amico Giovanni Ramella.

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Un’altra San Salvario civile, non quella del chiasso e della movida, ma della preghiera cristiana, parola dimenticata, non quella degli intellettualoidi che ci abitano contenti e orgogliosi di viverci. I Filippini sono i veri nuovi torinesi che aprono la loro  processione sventolando il tricolore italiano oltre alla loro bandiera. Nel degrado di San Salvario è stata un’eccezione splendida assistere dal mio balcone allo snodarsi ordinato  della processione destinata a concludersi nella parrocchia di San Pietro e Paolo dove i Salesiani sono diventati protagonisti silenziosi di una rinascita cristiana dopo anni di preminenza arrogante di varie immigrazioni, destinate a non integrarsi mai nel tessuto della città ma ,al contrario, ad essere fonte di continui problemi di ordine pubblico e non solo.
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Se non ho visto male, nessuna autorità presente, neppure del Quartiere. Loro preferiscono attendere il Gay Pride per essere presenti in prima fila. Ma il cuore vero di Torino e’ con i filippini che ricordano ciò che molti torinesi hanno dimenticato, facendo prevalere i propri interessi materiali e, in molti casi, il loro cinismo, proprio di una città senza valori, nichilista, godereccia, in una parola, alla deriva, che si entusiasma per un film girato a Torino che apparirà ambientato a Roma. Giusta nemesi per una città che ha smarrito le sue radici storiche e non ha più da tempo una classe dirigente degna di questo nome.

Antonio Martino l’ultimo grande liberale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Io  che sono stato molto  amico di Valerio Zanone, dovetti ricredermi su Antonio Martino dipintomi come un liberista più che un liberale. Non sempre il liberismo coincide con il liberalismo, come ci ha insegnato Benedetto Croce. Quando lo conobbi a Messina per iniziativa del comune amico Girolamo Cotroneo, andai un po’  prevenuto e discutendo con lui giunsi a dirgli che anche la Cina comunista pratica il liberismo economico più sfrenato.

La mia era ovviamente una provocazione, ma servì a portare i nostri discorsi su un terreno molto concreto. Mi resi conto che Martino era un vero liberale ,certamente non solo perché  figlio di un grande liberale e ministro degli Esteri a cui si deve l’inizio della nascita dell’ Europa, quel Gaetano Martino oggi quasi del tutto dimenticato di cui mi parlava l’amico Vittorio Badini Confalonieri, che voglio accomunare nello stile proprio dei gentiluomini liberali ,così distanti dai politicanti d’oggi. Antonio Martino volle tentare di arrivare alla segreteria del PLI nel 1988 come leader di una minoranza che non era alla sua altezza e andò a cozzare contro l’egemonia zanoniana che aveva portato il partito a sinistra ed era riuscita a ricondurre il microscopico partito al Governo. La linea di Martino era per un liberalismo più coerente e meno legato al potere. Nella crisi indegna che segnò la chiusura non certo gloriosa del Partito di Cavour, di Giolitti e di Soleri, Martino ebbe modo di trovare accoglienza e rispetto in Forza Italia a cui diede idee liberali e soprattutto, insieme a Giuliano Urbani, una credibilità politica che le mancava totalmente. Ma va detto che il ruolo da lui esercitato nella fase costituente non venne rispettato nei decenni successivi. Fu apprezzato ministro degli Esteri e della Difesa nei governi Berlusconi, tra i pochi ministri di alto livello intellettuale e politico. Se scorriamo i nomi dei ministri berlusconiani il suo è stato l’unico nome di autentico prestigio seguito solo da Franco Frattini che fu anche lui agli Esteri. Forza Italia fece di lui molto presto un blasone nobiliare per coprire il partito di Dell’Utri, di Verdini, di Bondi, togliendo spazio politico a Martino che, non avendo particolari ambizioni politiche, fu un disciplinato deputato fino al 2018 ,quando decise di non ricandidarsi. Posso dire che non era amareggiato per una sostanziale emarginazione personale,ma perché le sue idee liberali erano andate totalmente disperse. Martino aveva la stoffa del leader e ogni volta che parlava riusciva a dire cose non banali,frutto di una cultura di altissimo livello. Lo ascoltai un’ ultima volta quando parlò del suo incontro con Putin di cui dette una descrizione disincantata ed obiettiva. Martino era molto professore ed assai poco fazioso: la lucidità della cultura prevaleva su tutto. Aveva delle riserve sull’unificazione europea e sull’euro così come si stavano delineando e molte delle sue osservazioni avevano un fondamento di verità. Forse nessuno gli diede seriamente ascolto e questo la dice lunga sul declassamento della politica d’oggi. Fu il ministro che abolì il servizio militare obbligatorio,già deciso in precedenza. Io credo che un uomo come lui lo abbia fatto perché costretto dalle scelte compiute .Una volta gli dissi le mie riserve sul fatto che senza un po’ di disciplina militare avremmo avuto una generazione di rammolliti .Sorrise, non commentò, ma capii che anche lui condivideva la fondatezza di quel dubbio. Oggi la cultura liberale italiana ha perso l’unico vero punto di riferimento su cui poteva contare. Spero che gli amici della sua Messina, raccolti attorno al senatore Enzo Palumbo, possano colmare il vuoto  con la loro nascente “ Democrazia liberale “,unica speranza che ci sia rimasta per una rinascita liberale autentica.
scrivere a quaglieni@gmail.com

Il conformismo ci sta travolgendo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Le polemiche, prendendo a pretesto un manifesto forse non proprio  felice, ma che certo non è una “vergogna”, come dice l’ANPI, sul Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo Giuliano- Dalmata, si ripetono per il secondo anno di fila dopo l’uscita lo scorso anno di un fazioso libello giustificazionista del dramma del confine orientale dal 1943 al 1945.

C’è stato chi ha detto che quel manifesto della Regione Piemonte e del Circolo dei lettori (che ha fatto una scelta coraggiosa) evocava il clima del 1948 e addirittura della propaganda nazista. Il manifesto in maniera molto dura evoca ciò che accadde in Istria e in Dalmazia con l’uccisione di 15mila italiani e la cacciata di oltre 300mila nostri  compatrioti dalle loro terre. Fu una pulizia etnica, lo ha detto anche il Presidente della Repubblica Mattarella  E’ strano questo arretramento di giudizio da parte di persone note per la loro onestà intellettuale che ora negano che fu pulizia etnica. Si può discutere se il manifesto sia esteticamente bello o brutto, ma certo rispecchia efficacemente, direi brutalmente  il dramma  reale dell’epoca e per questo da’ fastidio a tutti i negazionisti e i giustificazionisti delle foibe. E’ una vicenda atroce  come quella della cacciata degli Italiani. non credo sia materia di discussione per gli esteti, ma semmai per gli storici. Vedremo cosa accadrà il 10 febbraio. Fin d’ora mi schiero senza incertezze con l’ANVGD con cui collaboro da tanti anni. Ma l’ondata di conformismo non si ferma al 10 febbraio e  travolge anche il festival di Sanremo dove Ornella Muti pubblicizza la legalizzazione della canapa indiana e Roberto Saviano ricorderà davvero da par suo  i giudici Falcone e Borsellino “a titolo gratuito“. Il festival dovrebbe essere motivo di svago e non di propaganda politica.  Almeno così era in passato. E non può essere tribuna privilegiata  per i demagoghi. Anche la Polizia è oggetto di una campagna di stampa delegittimante per aver usato il manganello per contenere una protesta di studenti e di centri sociali che pretendeva di fare un corteo non autorizzato dalle disposizioni sanitarie. E una parte di studenti parla di repressione ( parola già usata nel 1968 e nel 1977), forse non sapendo neppure cosa significhi e i soliti giornalisti soffiano sul fuoco, elogiando l’occupazione del liceo Gioberti di Torino. Finalmente la ministra dell’ interno si è svegliata dal torpore dopo troppo lassismo che ha fatto moltiplicare il contagio e adesso fioccano contro di lei le interrogazioni e le interpellanze parlamentari  da parte di gente faziosa ed irresponsabile. Voglio dirlo chiaramente: io sto senza esitazioni dalla parte del Prefetto e del Questore di Torino.

L’elezione del Presidente della Repubblica rivela la “cara e porca Italia” di Prezzolini?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Le elezioni dei presidenti della Repubblica in Italia non sono quasi mai state edificanti.

Ma le prime votazioni per il successore di Mattarella hanno rivelato una classe politica davvero di infimo
ordine, forse persino impensabile.  Eleggere un presidente arbitro, super partes, per iniziativa dei giocatori e’ sempre apparso un obiettivo difficile, se non impossibile.Ma le polemiche che si sono ascoltate rivelano l’abissale incapacità di buona parte del mondo politico a rappresentare gli interessi dei cittadini, in un momento
storico come quello della pandemia che richiederebbe responsabilità da parte di tutti. La prima cosa stonata si e’ rivelata la candidatura di Silvio Berlusconi che, non fosse altro per motivi di età, doveva subito accantonare un desiderio legittimo, ma irrealizzabile. E ovviamente e’ apparso fuori luogo anche  l’antiberlusconismo rampante, risorto più forte che mai. La sinistra, da Scalfaroin poi, ha sempre egemonizzato l’elezione del Presidente, quasi fosse un suo diritto sceglierlo aprioristicamente e deciderlo.
La faziosità di Letta, anche questa volta, si è rivelata intollerabilmente arrogante. Il rifiuto a priori della possibile candidatura della Presidente Casellati con la minaccia di far saltare subito il Governo di emergenza nazionale appare davvero incompatibile con la responsabilità di un politico degno di questo nome. Ma non è meglio il sedicente centro-destra che dopo il ritiro di Berlusconi non ha saputo finora esprimere una strategia di un qualche respiro. Dopo la proposta di una rosa di rispettabili candidati (Pera, Moratti e Nordio) ieri Fratelli d’Italia si sono subito smarcati votando Crosetto , una scelta sicuramente di …grande peso, ma politicamente ridicola.  Una smargiassata che rivela l’infantilismo di una certa destra  che si sta rivelando di cortissimo respiro, invotabile per un futuro governo. Grandi elettori che si dimostrano piccoli piccoli, forse si sono finora rivelati non degni di eleggere un presidente. Si tratta per lo più di politicanti mai eletti, ma scelti dai vertici dei partiti, anche se l’abnorme gruppo misto rivela l’atomizzazione di una realtà politica in stato comatoso che ha evidenzia sia la crisi del verticismo
partitico sia dell’antipolitica grillina ormai archiviata. Pensare all’incapacità dimostrata e al protagonismo verbale di molti fa quasi venire il voltastomaco. Un discorso a parte meriterebbe il presidente Draghi che ha rivelato ambizioni e modalità di auto- candidatura incompatibili con l’immagine  che ci aveva offerto in precedenza. Una grande delusione per molti
italiani che avevano visto in lui una sorta di uomo della Provvidenza. Ci troviamo in una situazione difficilissima per la pandemia, per una crisi economica evidente, per i venti di guerra che sono tornati a sibilare con prepotenza. Pensare ad un presidente adeguato che duri sette anni diventa molto difficile.  Una delle scelte peggiori ( l’elezione di Scalfaro) avvenne in un momento drammatico della storia italiana tra l’inizio di Tangentopoli e la strage di Capaci. La nostra situazione è sicuramente più difficile di quella che porto’ in modo scriteriato a votare Scalfaro.
Cosa succederà oggi o domani? Ci vuole un miracolo per riuscire ad ottenere una votazione che porti ad una scelta decente.In un’altra emergenza si trovo’ l’intesa su Sandro Pertini che, pur con i suoi limiti, fu un presidente che restituì la fiducia agli Italiani, disorientati dalle accuse false ed infondate rivolte al Presidente Leone, poi solo molto tardivamente riabilitato. Certo è difficile far comprendere ai politici che galleggiano sulla loro mediocrità, la necessità di un’assunzione di responsabilità che moderi gli egoismi settari incompatibili con gli interessi nazionali. Troppi interessi particolari finora sono prevalsi. Occorre un atto estremo di responsabilità.  Sarà possibile? Chi ama l’Italia ,deve augurarselo , deve disperatamente augurarselo. Sarebbe davvero paradossale che la soluzione del problema fosse Casini,  passato attraverso la Dc , il centro -destra e il centro -sinistra. Dalla prima Repubblica che ebbe una sua dignità, a questa Italia “scombinata “come disse Salvemini, per non citare Prezzolini che machiavellicamente parlò di una “cara e porca Italia”.

Cacciari torna all’ovile?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Massimo Cacciari si e’ sottoposto alla terza dose del vaccino antiCovid.

Considerando le polemiche aspre di cui e’ stato ascoltato protagonista ,sono rimasto sorpreso perché il professore ha scritto tutto il male possibile contro il modo in cui il Governo Draghi ha affrontato la situazione . Non ricordo parole tanto dure con il Governo Conte che meritava invece tutte le critiche possibili .Per rendersene conto, basta sfogliare i giornali o riascoltare le trasmissioni a cui ha partecipato, che hanno contribuito a creare un movimento no vax molto combattivo ed a volte anche violento. Le parole sono pietre , diceva Carlo Levi, e lui e’ responsabile di aver contribuito a dare forza al ribellismo velleitario e gravemente dannoso di questi mesi che si è aggiunto all’esercito degli irresponsabili senza mascherine. Adesso dice di essere come Socrate e di rispettare le leggi, quasi il vaccino fosse la cicuta. In verità, quando bombardava le persone con le sue denunce – senza avere nessuna competenza in materia -, contemporaneamente si sottoponeva alla prima e alla seconda dose. Anch’io amo la libertà , forse più di Cacciari che come comunista militante e parlamentare del PCI forse non l’hai mai amata con la stessa passione dei liberali. Ma so distinguere il limite invalicabile che va rispettato: la mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri cittadini e viceversa. Questa è la concezione della libertà responsabile che si differenzia dalla licenza individualistica e anarcoide che in tempi di pandemia non è una semplice e innocua opinione, ma un tradimento e un attentato al bene comune. Tutti quelli che senza mascherina vanno in piazza a protestare trovano nella sua autorevolezza di professore una sorta di legittimità che li differenzia dai seguaci dell’ ex generale Pappalardo. Forse per Cacciari la parola Patria è qualcosa di sconosciuto o di disdicevole.La Patria che per me non è mai nazionalismo, rappresenta invece il patto solidale tra cittadini che impone nei gravi pericoli nazionali (e in questo caso mondiali) il senso di una autodisciplina incompatibile con quello che in tempo di guerra sarebbe disfattismo.

Oggi, siamo in guerra e se non siamo giunti a Caporetto, lo si deve ai tanti medici, infermieri , farmacisti , volontari che, invece di parlare ,di pontificare. di litigare , si sfiancano negli ospedali e negli studi medici . Che il professore veneziano a loro non abbia neppure pensato, è grave . Anche gli uomini di cultura devono dare una mano solidale. Non c’è da evocare Socrate , un esempio sbagliato che non gli si addice perché ha assunto il vaccino per vivere e non per morire come il filosofo ateniese. Da ex comunista adesso sembra quasi essere diventato un libertino , certamente non un liberale perché i liberali hanno il senso dello Stato: sub lege libertas. Alla stregua di Gianni Vattimo che ha contribuito al nichilismo distruttore di ogni valore morale. Mi compiaccio invece per il fatto che sotto sotto si sia vaccinato, pur negando per mesi la necessità del vaccino. Chissà che Cacciari non stia tornando all’ovile della ragionevolezza , magari portando con se’ tante pecore disperse. Meglio tardi che mai. I cattivi maestri a volte potrebbero diventare dei buoni pastori.

Sorpresa in via San Tommaso

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

Sono affezionato al Convitto Nazionale Umberto I di Torino dove ho insegnato per breve tempo, e dove il direttore generale del Miur Romano Cammarata (che venne a Torino ad insignirmi della Medaglia d’oro di benemerito della scuola) avrebbe voluto affidarmi la direzione del nascituro e sperimentale liceo europeo che continua ad avere un grande successo.

I miei impegni erano incompatibili con quella allettante proposta e declinai il generoso invito. Anima del Convitto che ricreo’ dopo  un periodo di sbandamento, era il Rettore prof.  Giovanni D’Inca’ con cui naturaliter divenendo molto amici anche sul piano personale. In occasione di un anniversario einaudiano D’Inca’ volle scoprire all’ingresso di Via Bligny una grande lapide in ricordo del primo Presidente della Repubblica che fu convittore illustre. Tocco’ a me dettare l’iscrizione della lapide e feci venire a inaugurarla il figlio Mario Einaudi, tornato in Italia dopo un lungo insegnamento negli Stati Uniti. Non riuscii a trascinare il mio amico Valerio Zanone che allora era sindaco liberale di Torino, ma stava ormai pensando di tornare in Parlamento, commettendo un grave errore politico che gli fu fatale.
Fu una bella cerimonia. Si fecero anche tante belle iniziative con il centro Pannunzio nell’Aula Magna del Convitto. Poi persi i contatti e D’Inca’ lascio’ il rettorato per ritirarsi a Parma. Passando in via San Tommaso ho avuto la bella sorpresa di vedere che il logo attuale del Convitto che fu Regio, e’ tornato lo stesso delle sue origini storiche con tanto di scudo sabaudo. Una scelta coraggiosa in una città che ha perso il senso delle sue origini e che va ad onore di chi attualmente regge il Convitto che è in pieno sviluppo, fino ad occupare una succursale in via San Tommaso. Con quel logo il Convitto che fu inizialmente convitto militare, indica ai suoi allievi la strada della memoria storica, un insegnamento molto importante soprattutto nella classica modernità degli insegnamenti che si impartiscono in quelle aule.